Se un uomo parte con alcune certezze, finirà con alcuni dubbi; ma se parte con qualche dubbio, arriverà a qualche certezza.
Francis Bacon
L’articolo è il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 - Parte VI
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII
I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VIII
I passi della crisi 2008 - 2010 - ParteIX
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte X
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XI
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XII
I passi della crisi 2008 - 2011 - Parte XIII
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XIV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XV
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVI
Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il quarto trimestre del 2012, l’analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi. L’articolo viene aggiornato quotidianamente.
ISTAT: la disoccupazione in Italia (1 ottobre 2012).
Ad agosto, secondo i dati Istat, gli occupati sono 22.934 mila, in calo dello 0,3% rispetto a luglio (-75 mila unità). Il calo riguarda in particolare le donne. Il numero di occupati diminuisce dello 0,3% anche su base annua (-80 mila unità). Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in diminuzione 0,2 punti percentuali sia nel confronto congiunturale sia in quello tendenziale. Il numero dei disoccupati, pari a 2.744 mila, diminuisce dello 0,3% rispetto a luglio (-9 mila unità). Su base annua si registra una crescita pari al 30,4% (640 mila unità). Il tasso di disoccupazione è pari al 10,7%, stabile rispetto a luglio e in aumento di 2,3 punti percentuali nei dodici mesi. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 593 mila e rappresentano il 9,8% della popolazione in questa fascia d'età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 34,5%, in calo di 0,5 punti percentuali rispetto a luglio. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumentano dello 0,6% (92 mila unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, con un aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e una diminuzione di 1,3 punti percentuali su base annua.
JP Morgan sotto accusa (2 ottobre 2012).
Gli scandali della crisi finanziaria hanno investito anche Jp Morgan, che finora era sembrata l'unica grande banca statunitense in grado di uscire indenne dagli anni del tracollo dei mutui subprime. Il procuratore generale dello stato di New York, Eric Schneiderman, ha fatto scattare un ricorso per danni contro l'istituto accusando una sua attuale controllata, Bear Stearns, di aver ingannato gli investitori con la vendita di titoli garantiti da mutui residenziali a rischio che hanno causato loro perdite per ben 22,5 miliardi di dollari. Le perdite si riferiscono a titoli emessi e collocati da Bear Stearns nel 2006 e 2007, alla vigilia cioè del suo collasso e della sua acquisizione da parte di JP Morgan.
I danni in gioco non sono stati precisati dalla procura, ma vista la stima delle perdite potrebbero essere ingenti. E il caso, soprattutto, potrebbe dilagare. È considerato un precedente significativo per aprire un nuovo vasto fronte di inchieste e rivalse, da parte di authority e investitori, contro i protagonisti di Wall Street e della finanza più aggressiva: altre grandi banche potrebbero finire a breve nella rete delle autorità colpite da simili accuse. L'onda lunga della crisi del 2008 sicuramente non si è spenta: nei giorni scorsi Bank of America ha accettato di pagare di 2,34 miliardi agli azionisti che l'accusavano di aver nascosto le vere condizioni finanziarie delle banche durante l'acquisizione di un'altra banca arrivata sull'orlo del fallimento, Merrill Lynch.
L'azione contro JP Morgan, che ha protestato la sua innocenza e estraneità ai fatti, è stata la prima condotta sotto l'ombrello di una nuova task force creata tra organismi federali e locali dall'amministrazione di Barack Obama per meglio perseguire vecchie e nuove irregolarità finanziarie. Fonti hanno rivelato al Wall Street Journal che proprio la task force vorrebbe coordinare una pioggia di ricorsi legati alla passata crisi, usando quello appena presentato come modello, contro molteplici istituti per un totale di decine di miliardi di dollari in multe e risarcimenti. «Intendiamo dar seguito all'azione con altri interventi nei confronti di sponsor o sottoscrittori di titoli garantiti da mutui residenziali», ha detto al WSJ un funzionario della procura. Anche se l'azione amministrativa potrebbe non accontentare ancora i critici più severi, che preferirebbero veder fioccare le offensive penali.
Il caso preparato e prsentato dalla procura di New York è sostanziato da una serie di documenti ed e-mail da parte di dipendenti di Bear Stearns che metterebbero in chiaro come la banca fosse cosciente della fragilità dei titoli e dell'inganno perpetrato nei confronti degli investitori. Un'operazione di cartolarizzazione dei mutui viene definita, in un messaggio interno, esplicitamente come un "sacco di merda". Per facilitare una vittoria legale Schneiderman ha deciso di far leva su una legge statale, il Martin Act, che per stabilire la responsabilità non richiede prove che la banca avesse l'intento di truffare gli investitori. JP Morgan, assieme a numerosi altri istituti globali, tra l'anno scorso e quest'anno è già finita al centro di più d'un ricorso di alcune autorità federali quali la Federal Deposit Insurance Corporation, che assicura i deositi bancari, e la Federal Housing Finance Agency, controllore del settore immobiliare, per pratiche rischiose legate ai mutui. Ma finora simili prese di posizione sono rimaste senza esito. Nei mesi scorsi JP Morgan ha inoltre visto la sua reputazione e la performance incrinate da perdite che potrebbero raggiungere i sette miliardi su scommesse nei derivati effettuate tra il 2011 e i primi mesi del 2012.
Apple: la maggiore capitalizzazione del pianeta (2 ottobre 2012).
Apple ha battuto un nuovo record storico: è la società di Wall Street a maggior capitalizzazione e di conseguenza, quella di maggior valore al mondo. Nella seduta di lunedì il titolo Apple ha fatto volare la sua capitalizzazione di borsa a 623,52 miliardi di dollari, il massimo storico di tutti i tempi. Il precedente record apparteneva a Microsoft, ai tempi del boom di Internet, nel 1999. A spingere al rialzo le azioni Apple sono le speculazioni circa l'inizio dei lavori per la fabbricazione dei un mini iPad e di un nuovo set televisivo, per cui sarà possibile vedere direttamente sul tablet programmi TV in diretta. Da inizio anno il titolo Apple ha guadagnato il 60%. Il colosso hi-tech è la società di maggior valore al mondo già dalla fine dell'anno scorso. Adesso vale il 53% in più della seconda azienda più capitalizzata di Wall Street, la petrolifera Exxon Mobil. Nel settore Hi-Tech alle spalle di Apple troviamo molto distanziate: Google con 249 miliardi, Microsoft con 247 miliardi, Intel con 129, Amazon 110, Facebook 40, HP 40, Dell 20.
Giova notare che l'intera Borsa Italiana vale meno di Apple. Alla chiusura del primo agosto l'Indice AllShares - che secondo Borsa Italiana comprende tutti gli elementi costituenti degli indici FTSE MIB, FTSE Italia Mid Cap ed FTSE Italia Small Cap, e cioé in totale 270 società - registrava una capitalizzazione complessiva di 318 miliardi di euro. La capitalizzazione di Apple espressa in euro è pari a circa 505 miliardi, oltre una volta e mezza l'intero valore di tutte le società quotate a Piazza Affari. Il precedente record di capitalizzazione a Wall Street fu battuto da Microsoft nel 1999 con picco a 620.58 miliardi di dollari, secondo i dati di Standard and Poor's. Il paragone con Microsoft non tiene conto dell'inflazione. In dollari correnti rivisti con il tasso di inflazione effettivo, il colosso hi-tech fondato da Bill Gates aveva un valore di 850 miliardi alla data del 30 dicembre 1999. Il valore attuale di Microsoft è di 247 miliardi.
La maggior parte degli analisti crede che il titolo Apple abbia ancora spazi di crescita. Il target price medio di 38 analisti interpellati da FactSet è 745.80 dollari.
Secondo le indiscrezioni che circolano in rete entro la fine dell'anno Apple lancerà sul mercato una versione con schermo ridotto del suo tablet di successo iPad - delle dimensioni simili a quelle del Kindle Fire di Amazon. Secondo le stime di Yankee Group il giro d'affari del mercato dei tablet dovrebbe superare quello dei computer tradizionali entro il 2015. L'uscita del modello più piccolo dell'iPad ha l'obiettivo di tenere a distanza la concorrenza, offrendo un dispositivo più abbordabile anche per i meno abbienti. Il mini iPad dovrebbe fare la sua apparizione negli scaffali degli Apple Store da ottobre, mentre la nuova iTV è prevista entro il 2013, secondo un report pubblicato da Peter Misek, analista di Jefferies, e citato da Bloomberg. Secondo l'analista Apple venderà più di 8 milioni di mini iPad nel trimestre che si concluderà a dicembre. Se il prezzo di mercato del dispositivo sarà fissato a 300 dollari - equivalente a quello del Kindle Fire e altri dispositivi simili - allora sarà in grado di generere un fatturato pari a 2,4 miliardi. "Siamo convinti che l'iTV sia in piena fase di produzione", si legge nel documento, in cui Misek suggerisce di comprare i titoli del gruppo americano. Il prezzo obiettivo è stato alzato a ben 900 dollari dagli 800 precedenti. Misek cita l'attività insolita segnalata negli stabilimenti di Sharp, società di schermi televisivi, e di Hon Hai Precision Industry, gruppo che si occupa di assemblare le componenti dell'Ipad. Il fatturato di Hon Hai è' aumentato del 5% da giugno a luglio. Tra i principali rivali dell'Ipad, figurano il Surface di Microsoft, il Nexus 7 di Google e il Kindle Fire di Amazon, che ha fatto il suo debutto a inizio 2012.
Bankitalia: il peso delle tasse rallenta la crescita (3 ottobre 2012).
«La pressione fiscale non è sostenibile nel lungo periodo e non è compatibile con una crescita economica che non sia il mezzo punto l'anno di Pil». Lo afferma il vice direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, in audizione alla Camera dove ha parlato di riduzione delle spese e delle tasse. «Continuiamo a dire che occorre che la pressione fiscali cali; per la Corte dei Conti c'è il rischio di un corto circuito fra inasprimenti fiscali e crescita». Bankitalia ritiene che la sfida debba essere quella di «abbassare la pressione fiscale sui contribuenti in regola, sul lavoro, sulle imprese». Le audizioni alla Camera sulla nota di aggiornamento al Def riportano in primo piano un tema che sarà centrale per il prossimo governo, il taglio delle tasse. Prima il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, e poi il vice direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, promuovono sostanzialmente l'azione del governo ma mettono anche in guardia dai rischi che restano, sia per la tenuta dei conti, sia per il sostegno alla crescita. L'analisi della magistratura contabile parte dalla constatazione che l'urgenza delle misure di correzione dei conti pubblici ha portato a degli «effetti perversi di un corto circuito tra inasprimenti fiscali e crescita economica». Giampaolino è infatti convinto che la somministrazione di «dosi crescenti di austerità e l'aumento della pressione fiscale sono una terapia molto costosa e, in parte, inefficace». In sostanza, secondo Giampaolino, «si è di fronte a evoluzioni contraddittorie: si realizzano risultati importanti nel controllo della finanza pubblica, ma i mercati li riconoscono solo in parte. Si continuano a inasprire le manovre correttive, ma l'economia reale non riesce più a sopportarne il peso». Una cura, quella somministrata durante la crisi, che «non offre neppure certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie. Si tratta di una spirale negativa che è ben evidenziata dall'esame della situazione italiana», aggiunge la Corte dei conti. Bankitalia vuole evidenziare anche come per un efficace controllo dei conti «occorrerà declinare chiaramente il principio del pareggio di bilancio per ogni categoria di enti appartenenti alle Amministrazioni pubbliche, tenendo conto delle necessità di coordinamento tra i vari livelli di governo. E sul fronte, sempre caldo del debito pubblico, sarà necessario predisporre un itinerario di significativo rientro, anche mediante dismissioni di parte del patrimonio pubblico». In questo scenario, si inseriscono le valutazioni sugli effetti delle manovre messe in campo finora e, soprattutto, sul difficile equilibrio fra sostegno alla crescita e tasse. «La maggior sfida per il futuro sta nel riavviare la crescita economica e mutare la composizione del bilancio pubblico al fine di favorirla: ridurre l'insieme delle spese, spostarsi da quelle meno produttive verso quelle che rafforzano il potenziale dell'economia, abbassare la pressione fiscale sui contribuenti in regola, sul lavoro, sulle imprese», spiega Rossi. Poi, rispondendo alla domanda di un parlamentare, l'esponente di Bankitalia, è stato ancora più preciso: l'attuale pressione fiscale «non è sostenibile nel lungo periodo e non è compatibile con un ritorno alla crescita sostenuta. Quello che è certo è che occorre che la pressione torni a calare». Vedi articolo specifico sul declino del Paese.
D'altra parte dalla fine degli anni ottanta in Italia a un annoso problema "la questione meridionale" se ne aggiunto un altro "la questione settentrionale". Prima di allora il Paese viveva in una sorta di equilibrio instabile, ma sempre equilibrio; la pressione fiscale era bassa, il potere d'acquisto cresceva, il Sud continuava a ricevere più di quanto producesse, ma non era il Nord a trasferire risorse verso il Sud. Il gioco stava in piedi grazie alla creazione di un immane debito pubblico che permeteva di sussidiare, sia il Sud, attraverso i trasferimenti pubblici, sia il Nord grazie agli elevati interessi del debito pubblico in buona parte detenuti da cittadini del Nord. Ma, prima con l'adesione a Maastricht (1992), e poi con l'ingresso nell'euro (1997), l'Italia ha dovuto stringere la cinghia: più tasse, meno debito e trasferimenti al Sud pagati dal Nord. Per la prima volta nella storia d'Italia si è creato un grave squilibrio tra ciò che i cittadini del Nord versano all stato e ciò che lo stato restituisce. La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che le minori tasse pagate dal Sud sono il frutto di un'ampia evasione fiscale e che le minori risorse disponibili al Nord inceppano la macchina produttiva delle imprese, con conseguente brusca caduta del Pil. Gli squilibri tra le regioni italiane sono impressionanti, fatto 100 il reddito prodotto dal mercato il cittadino lombardo consuma 50, il calabrese 113, l'evasione fiscale in Lombardia è sotto il 10% nelle regioni di mafia sopra il 50%, da questo nasce quel senso di ingiustizia che avvelena il Paese.
Tagli ai costi della politica. Enti locali (5 ottobre 2012).
Il Consiglio dei ministri di ieri ha varato un decreto legge (Titolo 1 - Titolo 2 - Titolo 3) che detta nuove regole per riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali in difficoltà e per favorire la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali. L'obiettivo del provvedimento d'urgenza è assicurare negli enti territoriali una gestione amministrativa e contabile efficiente, trasparente e rispettosa della legalità. Si cerca di porre un freno immediato a sprechi e usi impropri delle finanze pubbliche a livello locale. Sono anche annunciati nuovi provvedimenti che comporteranno una proposta di revisione della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni per assicurare un assetto razionale ed efficiente, con l'eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni burocratiche e chiameranno regioni ed enti locali a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del pareggio di bilancio. La riforma del Titolo V° della Costituzione del 2001 ha ridisegnato l'assetto istituzionale del Paese attribuendo alle amministrazioni territoriali nuove competenze e responsabilità con conseguente incremento dei trasferimenti erariali, in particolare per la sanità e il trasporto locale. Ci sono nuove regole in materia di finanza e funzionamento degli enti locali. Si rafforza l'azione di controllo della Corte dei Conti, che avrà poteri di controllo e sanzionatori più ampi rispetto al passato. Il decreto interviene sul contenimento della spesa degli organi politici degli enti territoriali e sulla riduzione dell'apparato politico e introduce altresì nuovi obblighi di trasparenza. Per quanto riguarda gli obblighi di trasparenza il provvedimento obbliga: i gruppi consiliari a rendicontare e pubblicare tutti i dati relativi alle agevolazioni e ai contributi ricevuti; gli amministratori pubblici (Presidenti delle Regioni, presidenti del consiglio regionale, assessori e consiglieri regionali) ad adeguarsi al rispetto degli stessi standard di trasparenza introdotti dal Governo per i propri membri: pubblicare sul sito internet dell'amministrazione di appartenenza i redditi e il patrimonio.
Decreto sviluppo 2 (5 ottobre 2012).
Si amplia il raggio d'azione del nuovo decreto sviluppo. L'ultima bozza, di oltre 80 articoli, contiene le misure su agenda digitale, start up, attrazione investimenti esteri, semplificazioni per le imprese, assicurazioni. Il provvedimento è ancora in via di perfezionamento, anche perché va sciolto il nodo delle coperture (ieri sera si è svolta una prima riunione al Tesoro). Sembra più probabile l'approdo al Consiglio dei ministri della prossima settimana, anche se resta qualche possibilità di un'accelerazione per venerdì 14. La principale novità, al vaglio del Tesoro, è il credito di imposta per le nuove infrastrutture. Una misura, alternativa all'Iva zero proposta ad agosto, che punterebbe a sostenere entro il limite del 50% le nuove opere di importo superiore ai 500 milioni, mediante l'utilizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato, per le quali è acclarata la non sostenibilità del piano economico finanziario. Il bonus, a valere sull'Ires e sull'Irap generate in relazione alla costruzione e gestione dell'opera, verrebbe riconosciuto al titolare del contratto di partenariato pubblico privato «nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico finanziario e comunque entro il limite massimo del 50% del costo dell'investimento». Spunta anche un capitolo sulle assicurazioni. Stop alle clausole di tacito rinnovo per le polizze Rc auto e imbarcazioni da diporto che potranno durare al massimo un anno. Le clausole previste nei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore del decreto decadranno automaticamente dal 1° gennaio 2014. L'Isvap dovrà inoltre definire il modello standard del contratto base Rc auto per tutte le compagnie, da offrire obbligatoriamente anche via internet. Si torna poi sul tema degli agenti monomandatari, che potranno adottare forme di collaborazione reciproca nello svolgimento della propria attività. Ogni clausola fra mandatario e compagnia che contrasta con questa possibilità diventa automaticamente nulla. Passa da due a dieci anni la prescrizione delle polizze vita "dormienti"; in arrivo, infine, nuove misure di contrasto alle frodi.
Particolarmente ricco il capitolo sulle start up che al momento consiste in 20 articoli e richiede coperture su cui il Tesoro deve ancora esprimersi. Nasce la start up innovativa con costituzione semplificata e online, che potrà accedere agli interventi del Fondo italiano di investimento. Lo Stato può sottoscrivere quote di società di gestione del risparmio finalizzate a gestire fondi comuni di investimento per il rafforzamento patrimoniale delle nuove imprese. Si pensa a quote di 500mila euro l'anno per tre anni, nell'ambito di una dotazione complessiva di 50 milioni. Il pacchetto fiscale prevede esenzione totale del reddito di lavoro derivante dall'assegnazione da parte delle start up ai propri dipendenti di azioni e strumenti finanziari. Lo Sviluppo economico ha poi individuato nei canoni annui pagati dalle emittenti tv la copertura per l'estensione dell'Iva per cassa (il tetto di fatturato di 2 milioni passerebbe a 5 milioni per le start up). Viene incentivato l'investimento delle persone fisiche nel capitale sociale di nuove aziende: detrazione Irpef triennale del 19%, con investimento massimo detraibile fissato in 500mila euro e obbligo di mantenerlo per due anni. Inoltre, scatta l'esenzione Ires del 20% sulla somma investita (il tetto in questo caso è fissato a 1,8 milioni di euro). Arrivano portali online per la raccolta di capitali di rischio per le start up innovative e sono previste deroghe al diritto societario sugli obblighi di ricapitalizzazione. L'Ice dovrà attrarre potenziali investitori per le fasi di «early stage capital» e il Fondo di garanzia dovrebbe avere una sezione dedicata (con 50 milioni). Continua invece il confronto con il ministero del Lavoro sul «contratto tipico». Nel decreto, che contiene il Desk Italia per l'attrazione degli investimenti esteri, entrano anche le semplificazioni. Spicca l'esclusione dagli obblighi del Codice della privacy per gli imprenditori e professionisti che agiscono come persone fisiche «nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale». Procedure semplificate, inoltre, in materia di sicurezza di lavoro nelle situazioni che prevedono presenza sul luogo di lavoro non superiore a 50 giorni l'anno. Confermato il corposo blocco del decreto dedicato all'Agenda digitale. Tra le novità un pacchetto di misure per la giustizia telematica e una formula più soft per l'obbligo degli esercenti e dei professionisti di consentire pagamenti via bancomat. La misura entrerebbe in vigore il 1° gennaio 2014 e non più il 1° luglio 2013, soprattutto non è indicata alcuna soglia (la precedente bozza parlava di spese per almeno 50 euro): viene tutto rimandato a un decreto ministeriale, sentita la Banca d'Italia. Questo stesso provvedimento estenderà gli obblighi anche ai pagamenti via cellulare. Il decreto è molto corposo e mostra una serie di proposte interessanti; preoccupa, peraltro, il fatto che per diventare esecutive le proposte richiedono la stesura dei decreti attuativi. Qunate legislazioni sarà necessario attendere perchè le proposte diventino realtà?
Marchionne ancora su Opel (5 ottobre 2012).
Sergio Marchionne
«Opel non è in vendita, e General Motors mantiene il suo pieno appoggio a Opel; quest'ultima è una parte pienamente integrata della struttura globale di Gm ed è vitale per il futuro successo di Gm in Europa». Così Steve Girsky, numero uno dell'azienda tedesca (e vicepresidente della Gm) ha commentato il rinnovato interesse di Fiat a un'intesa con Opel. Girsky afferma anche che «l'alleanza tra Gm e Psa Peugeot sta rispettando appieno il ruolino di marcia». Ieri Sergio Marchionne aveva riaperto il dossier Opel, puntando a un accordo con la casa tedesca nell'ipotesi in cui l'alleanza con Peugeot si arenasse e Opel venisse lasciata al suo destino da Gm (che nel 2009 voleva venderla ma ha poi deciso di avviare il risanamento). Ma la netta presa di posizione di Girsky non sembra lasciare spazi a un'eventuale proposta del Lingotto. Da quanto si era appreso, il Lingotto starebbe preparando una nuova proposta per arrivare all'azienda tedesca, per la quale era già scesa in campo nel 2009 quando la casa madre General Motors voleva venderla. Ma sulla strada di Sergio Marchionne c'è ora un ostacolo in più rispetto ad allora: General Motors ha firmato all'inizio di quest'anno un'alleanza strategica con Psa Peugeot, cementata dell'acquisto del 7% dell'azienda francese. L'idea di Marchionne è di ottenere Opel praticamente a costo zero, non diversamente da quanto accaduto con la prima quota di Chrysler e non diversamente dal contenuto della proposta su Opel del 2009. Il progetto non è ancora stato formalmente sottoposto a General Motors (anche se Marchionne ha contatti regolari con il numero uno Dan Akerson). Premessa perché sia possibile è uno scioglimento dei rapporti tra americani e tedeschi da un lato e francesi dall'altro; ma soprattutto è necessario che General Motors abbandoni i tentativi di risanare Opel. L'azienda tedesca, così come Peugeot e Fiat, del resto, è in rosso per la crisi del mercato europeo: nei primi sei mesi del 2012 ha perso quasi 500 milioni di euro a livello operativo contro i 662 di Psa e i 354 di Fiat Auto in Europa. Gm, che ha inviato in Europa il numero due Steve Girsky e ha sostituito qualche mese fa il numero uno tedesco di Opel Karl-Friedrich Stracke, è impegnata nella definizione di un nuovo piano di riassetto e ha di recente ribadito in un'intervista al Sole 24 Ore il proprio impegno per gli investimenti in Europa, nonostante la crisi. Marchionne aveva presentato, come ricordato, un'offerta ufficiale per Opel nel 2009; e anche dopo il "no" di Angela Merkel (allora si parlava di aiuti statali) era tornato alla carica con gli americani. Contatti con loro e con i francesi ci sono stati fino all'inizio di quest'anno, quando l'intesa tra General Motors e Psa Peugeot, annunciata alla vigilia del Salone di Ginevra, ha sparigliato le carte. L'alleanza Opel-Peugeot dal punto di vista operativo è ancora nella fase preliminare di individuazione dei progetti e delle possibilità di cooperazione. Il prossimo vertice, previsto tra un paio di settimane, potrebbe essere decisivo per definirne i contorni: se cioè l'intesa sarà a tutto campo o avrà un profilo più basso. Gm che non intende mettere altri soldi in Peugeot e che ha svalutato la quota rispetto al prezzo di acquisto, potrebbe decidere che il gioco non vale la candela e magari rimettere in discussione la stessa quota in Opel. Su questo punta Marchionne, che in sostanza propone agli americani di «alleggerirli» del peso – a un prezzo simbolico. Il manager del Lingotto non ha in realtà mai smesso di ritenere inevitabile un consolidamento del settore in Europa. E non ha smesso di cercare un socio europeo, prima di tutto per un motivo che ha spiegato già a Detroit a gennaio: «Un investimento per un'auto come la Punto, oggi come oggi, non si ripagherebbe». È con questa giustificazione che l'erede della piccola Fiat (prodotta a Melfi) è stata congelata almeno fino al 2014; e non è detto che Marchionne non aspetti proprio un'intesa con Opel per sbloccarla. Ma Fiat non ha già Chrysler? In realtà Opel permetterebbe risparmi sui costi di progettazione e industrializzazione delle vetture di piccole dimensioni, sulle quali ci possono essere poche sinergie con Chrysler (e sulle quali Fiat e Opel hanno già lavorato insieme dieci anni fa, all'epoca dell'alleanza Fiat-Gm). L'operazione comporterebbe però enormi problemi pratici. Il primo è la gestione della capacità produttiva in eccesso: almeno un paio di stabilimenti sarebbero di troppo. In secondo luogo, è da verificare come e quanto General Motors possa voler rafforzare indirettamente la Chrysler; non bisogna dimenticare che la proprietà intellettuale delle piattaforme su cui le auto Opel sono costruite fa capo a Gm. Per non parlare della gestione di due marchi dall'immagine simile e diretti concorrenti in Europa.
Anche Geox produrrà in Serbia (8 ottobre 2012).
Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo che mostrava come sia difficile per un imprenditore lavoratre in Italia; ecco un altro esempio di fuga dal Paese. Il presidente di Geox, Mario Moretti Polegato, e il ministro serbo dell'Economia, Mladjan Dinkic, hanno siglato oggi a Vranje il contratto per lo sbarco nel comune serbo del colosso italiano delle calzature. In vista un impianto produttivo che impiegherà 1.250 operai per un investimento di 15,8 milioni di euro. Lo ha annunciato il ministero dell'Economia di Belgrado su Twitter. «L'investimento in Serbia sarà un gioiello ad alto livello tecnologico che consentirà all'impresa di crescere globalmente» ha dichiarato Moretti Polegato alla cerimonia della firma. Presente anche il premier di Belgrado, Ivica Dacic. Il nuovo sito produttivo realizzerà calzature di alta qualità per donne con una capacità di 1,25 milioni di paia di scarpe l'anno. «Sulla base delle condizioni di mercato, siamo disposti in futuro a raddoppiare la capacità della fabbrica di Vranje», ha indicato ancora il presidente Geox. Da parte sua, il governo serbo contribuisce all'investimento con 9mila euro per ogni nuovo assunto, rientrando Vranje tra le zone «altamente disagiate» del Paese, beneficiarie delle massime quote di incentivi. «Quello che la Fiat significa oggi per Kragujevac, significherà Geox per lo sviluppo di Vranje» ha indicato il ministro dell'Economia, Dinkic. «Un giorno come questo - gli ha fatto eco il premier, Dacic - non è importante solo per Vranje, ma per tutta la Serbia la quale, grazie agli investimenti di tale portata, viene trainata fuori dalla crisi economica». L'Italia «resta un Paese amico e un partner chiave politico ed economico» della Serbia. Lo ha detto il premier di Belgrado, Ivica Dacic, intervenendo all'odierna cerimonia di firma del contratto per lo sbarco produttivo di Geox nel Paese balcanico. La firma arriva esattamente alla vigilia della visita di Stato, domani a Roma, del presidente della Repubblica serbo, Tomislav Nikolic. Dopo l'approdo di Fiat, Benetton, Seci Maccaferri ed altri numerosi gruppi medi e piccoli, con Geox la Serbia si conferma nuovamente paese di sbocco per gli investimenti italiani, nel quadro di solide relazioni bilaterali: Roma è in prima linea tra i 27 Paesi Ue nel sostenere il cammino europeo di Belgrado, anche nei momenti, come l'attuale, di maggiore difficoltà. Non è un caso che nel 2009 la Serbia abbia stretto proprio con l'Italia la prima partnership strategica mai siglata prima con un Paese Ue. Da allora, con cadenza periodica, i due Paesi si incontrano in un maxi vertice inter-governativo: l'ultimo risale a marzo scorso, primo summit di questo livello affrontato dal governo di Mario Monti, giunto per l'occasione nella capitale serba accompagnato da sette suoi ministri. Monti e Nikolic si incontreranno anche domani, ma solo dopo che il capo di Stato serbo sarà ricevuto dal suo omologo italiano, Giorgio Napolitano. Previsto, inoltre, un colloquio con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Anche questa visita di Stato è la prima che Nikolic effettua in un Paese Ue dopo la sua elezione, a maggio.
Giova ricordare che La Geox è un'impresa produttrice di scarpe e capi di abbigliamento sportivo, fondata nel 1995 dall'imprenditore Mario Moretti Polegato. L'impresa è situata a Montebelluna (Treviso) ed è entrata a regime tre anni dopo la sua fondazione. Dal dicembre 2004 è fra le società quotate in Borsa. Geox si è attestata al primo posto in Italia e al secondo nel mondo per numero di capi commercializzati nel comparto del lifestyle-casual. Geox ha una rete di 1.150 negozi monomarca, circa 11.000 punti vendita multimarca ed è presente in 103 paesi del mondo. Nel 2008 oltre il 60% del fatturato - 892 milioni di euro - è derivato dalle esportazioni: buona parte di queste sono assorbite dai mercati tedesco, francese, spagnolo e statunitense. Nel 2008 Geox ha presentato, partendo dalla celebre suola traspirante, un brevetto che garantisce una supertraspirazione alle calzature sportive. La prima linea Geox Sport è dedicata alla corsa e alla palestra. Nel campo sportivo professionale e non, Geox è attiva tramite Diadora, società leader nella produzione di calzature ed abbigliamento sportivo acquisita nel 2009 che produce anche scarpe antinfortunistiche marchiate Diadora Utility.
FMI: continua la recessione (9 ottobre 2012).
Il Fondo monetario internazionale ha rivisto in peggio le previsioni sull'economia globale, rilevando che "la ripresa ha subito nuove battute d'arresto mentre l'incertezza pesa con forza sulle prospettive". Ora per quest'anno l'istituzione di Washington si attende una crescita globale del 3,3 per cento, in netto rallentamento dal 3,8 per cento del 2011 e dal 5,1 per cento del 2010, mentre sul 2013 il Fmi stima un più 3,6 per cento.
Christine Lagarde, direttore operativo del Fmi.
Le nuove previsioni sono contenute nel World Economic Outlook presentato alle assemblee autunnali assieme alla Banca Mondiale, che quest'anno si svolgono a Tokyo. Sul 2012 la stima è stata abbassata di 0,2 punti percentuali, sul 2013 di 0,3 punti. Nella sua analisi il Fmi parla di fattori ben noti che stanno guidando l'economia - come i piani di risanamento dei conti e la debolezza finanziaria che frenano la crescita, laddove all'opposto le politiche monetarie espansive, fatte di tassi bassi tendono a stimolare l'attività - ma non solo. "Al lavoro sembra esserci di più di queste forze meccanicistiche - scrive il capo economista Olivier Blanchard nell'editoriale - ovvero un generale clima di incertezza". E' difficile valutarne esattamente gli effetti e la natura, ma se si riuscisse a smorzare questa incertezza, afferma il Fmi, la situazione potrebbe evolversi ben meglio del previsto. I conti pubblici italiani stanno per tornare in nero. Malgrado la pesante recessione degli ultimi mesi, nel 2013 il bilancio, oramai in pareggio strutturale, al netto del ciclo economico registerà un attivo pari allo 0,7% del Pil (dal -0,5% del 2012) grazie a manovre correttive che nel biennio 2012-2013 toccheranno i 3,4 punti percentuali di Pil. La previsione è contenuta nel rapporto "Fiscal Monitor" del Fondo Monetario Internazionale - presentato a Tokyo - che segnala come al netto del ciclo stesso il deficit italiano nel biennio in questione si ridurrà dal 2,7% all'1,8%, il valore più basso tra i Paesi del G7, con la sola eccezione della Germania. In ascesa seppur marginale, il debito pubblico che nello stesso periodo passa dal 126,3% del Pil al 127,8%.
L'Italia in questo modo, rileva l'istituzione di Washington, figura, insieme Danimarca, Finlandia, Germania e Svezia nel plotone di Paesi europei che entro il prossimo anno raggiungeranno gli obiettivi di medio termine (Mto) concordati con l'Unione europea nell'ambito del Patto di stabilità e crescita. E sempre l'Italia, insieme ad Australia, Canada, Francia e Germania, e all'eurozona nel suo complesso figura come uno dei Paesi che ha centrato l'obiettico stabilito nel 2010 nel vertice gruppo dei venti (G20) a Toronto di dimezzare il deficit pubblico entro il 2013. Italia e Spagna «stanno pagando tassi d'interessi più alti di quanto possa essere spiegato dai tradizionali fondamentali, inclusi debito e deficit, crescita e inflazione». Il giudizio é contenuto nel Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, secondo cui «gli alti spread sovrani hanno spinto» Roma e Madrid «ad accorciare la scadenza delle nuove emissioni per ridurre i costi di finanziamento». Tuttavia, si legge ancora nel Rapporto, i bisogni finanziari in rapporto al Pil necessari al Governo italiano per coprire il debito a scadenza sono destinati a scendere, dal 30,1% del 2012 al 25,4% del 2014, passando per il 25,3% del 2013.
Le quattro maggiori banche cinesi non partecipano al summit del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Lo confermano all'agenzia Xinhua gli stessi istituti, tutti di proprieta' statale: Industrial and Commercial Bank of China, Bank of China, China Construction Bank, Agriculture Bank of China. La decisione delle banche è stata presa alla luce delle tensioni nei rapporti bilaterali tra Cina e Giappone dopo la decisione del governo nipponico di "acquistare" da un privato il piccolo arcipelago delle isole Senkaku (Diaoyu per i cinesi). La mossa di Tokyo ha alimentato proteste anti-giapponesi in numerose città ed ha già influito sui rapporti commerciali e sui legami economici bilaterali. Queste liti cino-giapponesi, in nome di un vacuo pattriottismo, assomigliano alle liti dei nostri contadini di un tempo che per contendersi mezzo metro di confine avviavano faide generazionali.
Per l'Fmi, l'Italia resterà a lungo in una pesante recessione: dopo il -2,3% del Pil previsto per quest'anno, la nuova stima pronostica per il 2013 un calo dello 0,7%, mentre tre mesi fa ipotizzavano una contrazione limitata allo 0,3 per cento; solo nell'ultimo trimestre del 2013 l'economia italiana potrà approssimarsi alla crescita zero, mentre la disoccupazione sarà salita all'11,1 per cento. Il messaggio evidenziato a Tokyo dal capo economista del Fondo, Olivier Blanchard, riguarda la necessità, per i Paesi ad alto indebitamento, di procedere sulla strada del consolidamento fiscale ma anche di "mantenere la crescita". Ma - ha spiegato Carlo Cottarelli, direttore del Fiscal Affais Department dell'Fmi nel presentare stamattina il nuovo "Fiscal Monitor", per quanto l'Fmi preferisca un "passo graduale" negli aggiustamenti, nei singoli Stati il ritmo appropriato dell'aggiustamento dipende dall'entità degli squilibri fiscali, dal grado delle pressioni dei mercati e dallo stato complessivo delle economie. Così ha espresso un "pieno supporto all'azione del governo Monti nei suoi sforzi di ridurre il deficit e arrestare l'incremento del debito pubblico" e ha lodato in particolare la riforma pensionistica: "Tra le economie avanzate, l'Italia è ora nella situazione migliore nel fronteggiare la pressione derivante dall'aumento della spesa previdenziale ("healthcare and pension spending") nei prossimi 20 anni". In prospettiva, Cottarelli ha poi riconosciuto l'opportunità di una minore tassazionesulle imprese e sul lavoro ma ha aggiunto che "occorre tempo" in quanto non si può pensare di porre rimedio in pochi mesi a situazioni sfavorevoli accumulatesi nell'arco di decenni. Blanchard ha altresì sottolineato che le necessarie e pesanti misure attuate nell'immediato stanno contribuendo a migliorare le prospettive dell'Eurozona, dando impulso a una "ragionevole speranza" che il peggio sia dietro le spalle.
CDM: la legge di stabilità. Manovra da 11,6 miliardi. (10 ottobre 2012).
Arriva il taglio dell'Irpef ma sarà finanziato con l'aumento di un punto delle aliquote Iva. Il Governo rimette sul piatto la riduzione delle tasse ritoccando di un punto le aliquote Irpef più basse. In compenso scatterà, da luglio, l'aumento delle aliquote Iva che sarà di un solo punto: dal 10 all'11% e dal 21 al 22%. Il solo aumento dell'Iva non basterà però a finanziare la riduzione delle tasse che dovrebbe costare all'incirca 5 miliardi: altre risorse potrebbero essere reperite attraverso il riordino delle agevolazioni fiscali.
Ecco in sintesi i provvedimenti della lergge di stabilità che una volta si chiamava legge finanziaria.
Taglio Irpef. Riduzione di un punto percentuale (da 23 a 22 punti e da 27 a 26) dell'aliquota sui primi due scaglioni di reddito (da 0 a 15mila euro e da 15mila a 28mila euro). Lo sconto, che si applicherà a partire dai soldi guadagnati dal prossimo 1° gennaio, riduce dal 23% al 22% l'aliquota dedicata ai redditi fra 0 e 15mila euro annui, e dal 27% al 26% quella rivolta ai guadagni fra 15.001 e 28mila euro. In base al meccanismo progressivo dell'imposta sui redditi, la riduzione riguarda anche chi guadagna di più, ma naturalmente lo sconto si sente sempre meno via via che l'imponibile cresce: per un reddito da 100mila euro, per esempio, l'Irpef da pagare si ridurrà dello 0,77%, mentre per chi dichiara 10mila euro lo sconto è del 4,35 per cento.
Operazione Lampioni spenti. Meno illuminazione pubblica per risparmiare
Aumento Iva. Scatta l'aumento dell'Iva di un punto percentuale sulle aliquote del 10 e del 21 per cento.
Sanità, tagli per un miliardo a regime. Nuovi tagli al fabbisogno
del servizio sanitario nazionale per un miliardo a regime. Nel 2013, come ha spiegato il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli, sarà inferiore a un miliardo.
Arriva la Tobin Tax. Introdotta una tassa sulle transazioni finanziarie da cui saranno esclusi i titoli di Stato, sulla scia di un accordo europeo a 11. Con la disponibilità a parteciparvi espressa ieri all'Ecofin di Lussemburgo da 11 Stati membri, Italia compresa, si riaprono le prospettive di attuare, in almeno una parte dell'Ue, una tassa sulle transazioni finanziarie. Undici paesi sono due in più dei nove necessari per innescare una "cooperazione rafforzata", secondo le regole dei Trattati Ue. E la Gran Bretagna, da sempre contraria, non potrà porre il veto.
L'economista James Tobin
Pensioni di guerra e invalidità. Le pensioni di guerra e di invalidità saranno soggette ad Irpef.
Costituzione di un fondo ad hoc per gli esodati. La controriforma delle pensioni prospettata in Parlamento da tutti i partiti non poteva certo essere una soluzione ed avrebbe di nuovo fatto suonare l'allarme in Europa e sui mercati.
Crescita della competitività. Palazzo Chigi metterà sul piatto circa 2 miliardi per detassare i salari di produttività.
Risorse. Previste risorse per la Tav Lione-Torino, il Mose (le dighe mobili di Venezia) e 300 milioni per pagare le penalità contrattuali previste per la mancata messa in opera del Ponte sullo Stretto di Messina.
Tagli della spesa. Stretta contrattuale sul pubblico impiego, stop all'affitto e all'acquisto di nuovi immobili (ed automobili) per la pubblica amministrazione e nuove e più stringenti regole per gli arredi. Assai più controversa, anche all'interno del governo per il "no" del ministro Balduzzi e per l'opposizione del Pd, si presenta la manovra sulla sanità. Qui la logica dei tagli lineari, di nuovo, sembra prevalere con effetti distorsivi anche per settori trainanti dell'industria di settore.
Riordino agevolazioni. Per i redditi superiori ai 15mila euro si introduce una franchigia di 250 euro per alcune deduzioni e detrazioni Irpef e, per le sole detrazioni, si fissa il tetto massimo di detraibilità a 3000 euro.
Pagamenti Pa con dismissioni. Il pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione verso i creditori sarà finanziato con il piano di dismissioni finalizzato a pagare il debito pubblico.
Banche. Saranno posticipate di 5 anni le deduzioni riconosciute alle banche per il maggior valore riconosciuto al riallineamento per l'imposta sostitutiva.
Controlli su bilanci Pa. Controlli dei bilanci delle pubbliche amministrazioni: verrà rafforzata la capacità di controllo sui bilanci degli enti locali, che farà leva sulla Corte dei Conti, sui servizi ispettivi della Ragioneria Generale dello Stato e sulla Guardia di Finanza.
Commissario anticorruzione. Il Cdm ha deciso di istituire nella legge di stabilità il Commissario anticorruzione, che presiederà la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche. Il ddl relativo ha ricevuto in nottata l'ok della commissione Giustizia e Affari costituzionali del Senato.
Riforma del Titolo V della Costituzione. Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sulla riforma del Titolo V della Costituzione. Ma si tratta di un disegno di legge costituzionale che necessita di un doppio passaggio parlamentare ed il tempo a disposizione è poco, considerato anche che le Regioni cercheranno di arginare la controffensiva dello Stato centrale in tema di legislazione "concorrente" e considerato che il confronto con gli enti locali, di nuovo chiamati ad usare le forbici, si presenta comunque molto aspro. Nonostante la recente emersione di scandalosi sprechi metta il Governo nelle condizioni migliori per imporre condotte rigorose.
Il provvedimento è stato così giustificato dal premier Mario Monti: «Il nostro Governo si é dedicato al compito di prendere misure per accrescere la competitività dell'Italia e rimuovere alcuni impedimenti strutturali, ma abbiamo riscontrato che un ostacolo tra i molti risiede in alcuni particolarità istituizionali, in particolare alcuni aspetti del Titolo V della Costituzione».
Monti ha sostenuto, inoltre: «L'austerità non é un circolo visioso e la disciplina di bilancio paga e conviene perché ci ha consentito di non dover rincorrere di continuo la congiuntura. Con le decisioni di questa notte in questo Consiglio dei Ministri abbiamo voluto dare il chiaro segnale che quando ci sono segni di stabilizzazione ci si può permettere qualche sollievo. Abbiamo dato questo segnale con l'inizio della riduzione Irpef, speriamo che gli italiani vedano in questa serie di decisioni di politica di bilancio, che non é una modifica di rotta, il fatto che quella rotta ha senso, che contiene elementi per dare benefici e quando le condizioni lo consentono i benefici ipotetici potenziali possono diventare concreti».
Considerazioni di IMPRESA OGGI sui tagli alla Sanità. Sull'altare della "buona spesa pubblica", che da sempre e giustamente vede la sanità nell'occhio del ciclone, si rischia di consumare un male peggiore di quello che si vuole curare. Con potenziali, pericolosi effetti per la salute dei cittadini. E con ricadute devastanti sull'intera filiera produttiva della sanità e sull'occupazione di settore. Come è accaduto a più riprese per la farmaceutica. E come ora si sta insistendo a fare con colpi ripetuti alle imprese del biomedicale che operano in Italia. Quelle che, per dire, riforniscono il servizio sanitario di tac, risonanze magnetiche, pace maker, reagenti di laboratorio, siringhe, protesi, pannoloni. Tutto ciò che fa marciare la macchina sanitaria. Ma a tutto c'è un limite. E colpire e caso non paga. Le imperfezioni della spending review sono sotto gli occhi di tutti e gli stessi amministratori locali non sanno come districarsi nel ginepraio che s'è venuto a creare. Mentre le imprese lamentano ritardi di pagamento da record mondiale. In media il servizio sanitario onora le fatture in 292 giorni. Ma in Calabria ce ne vogliono 951, in Molise 879, in Campania 748 e 343 in Puglia. Mentre la Lombardia paga in 99 giorni e il Trentino in 89 giorni. Ma che dire della asl di Napoli centro che rimborsa i fornitori del biomedicale in 1.836 giorni, ben 5 anni? E dell'azienda ospedaliera «Federico II» (sempre a Napoli) che ne impiega 1.675, dell'ospedale «San Sebastiano» di Caserta dove i giorni di ritardo dei pagamento sono 1.419? Intanto il credito in sospeso delle imprese biomedicali è salito a quasi 5,2 miliardi. Altro che rilancio, altro che spinta all'innovazione, altro che premiare l'eccellenza e l'hi-tech che ci invidiano. Se poi si pensa, al peggio non c'è mai fine, che intanto sempre con la legge di stabilità (addirittura in contemporanea col "decretone sanitario" di Balduzzi) è spuntata anche per tutto il 2013 la proroga di un anno del blocco dei pignoramenti nelle Regioni sotto piano di rientro. Una batosta in più, proprio lì dove i crediti (e i debiti) salgono vertiginosamente.
Commento della CGIA di Mestre sulla fiscalità. L’effetto combinato “meno Irpef più Iva” penalizzerà le persone in gravi difficoltà economiche: i pensionati al minimo, i titolari di assegno sociale e i cassaintegrati, ad esempio, subiranno l’aumento dell’Iva ma nessun beneficio dalla riduzione delle aliquote Irpef. A regime, questi aumenti potranno raggiungere i 75 euro all’anno. Avverrà ciò, perché gran parte di queste categorie di contribuenti rientrano nella cosiddetta “no tax area”. Ovvero, nell’area in cui non si pagano le imposte sui redditi. La CGIA ritorna sugli effetti economici prodotti dalla Legge di stabilità che purtroppo penalizzeranno le fasce sociali più deboli: circa 8 milioni di persone, pari al 20% circa del totale dei contribuenti italiani. “Sono certo – commenta Giuseppe Bortolussi della CGIA di Mestre – che in sede di conversione del disegno di legge questa svista sarà eliminata. In una fase di crisi così profonda non si possono certo penalizzare i pensionati al minimo, i disoccupati o i cassaintegrati che, nella stragrande maggioranza dei casi, rientrano nell’area di esenzione fiscale e quindi non potranno godere della diminuzione delle aliquote dell’Irpef prevista dalla legge di stabilità”.
FMI: fuga di capitali dall'Eurozona (10 ottobre 2012)
Nei 12 mesi compresi tra giugno 2011 e giugno 2012, l'Italia ha assistito a un deflusso di capitali pari a 235 miliardi di euro equivalenti al 15% del Pil. La stima è contenuta nel Rapporto sulla stabilità finanziaria globale del Fondo monetario internazionale, presentato questa mattina a Tokyo. Peggio è andata alla Spagna dove la fuga di capitali ha toccato i 296 miliardi di euro, pari al 27% del Pil. ll rapporto dell'Fmi traduce sul versante finanziario quanto affermato nel World Economic Outlook, che il giorno prima aveva sottolineato come l'Eurozona rappresenti la principale minaccia all'economia mondiale, la cui crescita è in forte rallentamento. La crisi del debito del'Eurozona costituisce la principale minaccia alla stabilità del sistema finanziario inetrnazionale e i politici dell'Eurozona devono accelerare i piani di integrazione finanziaria e fiscale per ripristinare una duratura fiducia sui mercati: altrimenti la situazione andrebbe fuori controllo, costringendo le maggiori banche europee a cedere asset per ben 2.800 miliardi di dollari in due anni per ridurre la loro esposizione (nel peggiore dei casi, le necessità di riduzione del loro balance sheet arriverebbe a 4.500 miliardi di dollari), portando a una contrazione del 9% dell'erogazione di credito nell'europeriferia entro fine 2013 (-18% nello scenario pessimista), con devastanti conmseguenze su investimenti e occupazione. Nel presentare il report José Vinas, Financial counsellor e director dell'Fmi, ha detto che la fiducia nei mercati è ancora «molto fragile e i rischi sono aumentati rispetto all'ultimo rapporto di aprile. Il mio principale messaggio è che ulteriori sforzi sul versante politico sono necessari per raggiungere una stabilità durevole. Inoltre le forze della frammentazione finanziaria ed economica hanno allargato il "divide" tra centro e periferia dell'Eurozona, provocando il fenomeno veramente insolito in una unione monetaria di una sottrazione cross-border di flussi privati di capitali: le azioni della Bce hanno agevolato la rimozione dei peggiori timori degli investitori ma queste azioni necessiteranno un seguito sia a livello nazionale sia a livello di area euro. In particolare la costituzione di un Singolo Meccanismo di Supervisione è un passo importante che deve essere attuato senza indugio e una chiara roadmap verso una completa unione bancaria è richiesta per guidare le aspettative di mercato». Nell'invocare forti "firewalls", Vinas ha evidenziato che l'European Stabilization Mechanism e il programma di acquisto illiminato di bond della Bce «devono essere considerati dai mercati come reali e non virtuali e vanno accoppiati a una condizionalità credibile». L'Fmi, comunque, non si sbilancia in consigli a singoli Paesi in difficoltà: «Tocca al Governo spagnolo decidere se chiedere l'aiuto della Bce o no». Stamattina anche il governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, ha spezzato una lancia in favore di una unione bancaria europea: «Se vogliamo spezzare il legame tra rischio sovrano e banche, dobbiamo trasformare il sistema bancario in un sistema bancario dell'eurozona». Parole importanti, anche perché pronunciate dal rappresentante di un Paese tradizionalmente assai geloso della sua sovranità, anche finanziaria.
L'opinione di Oscar Giannino sulla legge di stabilità (10 ottobre 2012).
Oscar Giannino
Il Consiglio dei ministri ha varato la legge di stabilità. I giornali hanno toppato, perché il giallo sui presunti tagli alle tasse è stato sciolto troppo tardi per le aperture da mandare in stampa. Vorrei anticipare che non mi allineo al coro “iniziano i tagli alle tasse” che è partito stamane, sento in diretta Ezio Mauro che già commenta che il governo Monti cambia l’agenda politica e si butta a destra. Se aumentare di un punto l’aliquota Iva generale e quella più bassa mentre si diminuiscono di un punto le due aliquote più basse sui redditi è un taglio alle tasse, io sono alto, biondo e mi chiamo Sigfrido. Detto questo, è sconfortante come rispetto al governo Monti che magheggia, le opposizioni siano molto più sconfortanti. Prendete il confronto tra Grilli e la Camusso. E’ come se vivessero su due pianeti diversi. Forse, addirittura galassie. Da una parte il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, che ieri ha annunciato lo schema della legge di stabilità, quella che un tempo si chiamava la legge finanziaria, croce e delizia dei conti pubblici a ogni fine anno. Dall’altro la segreteria della Cgil, Susanna Camusso. Il contrasto dei toni, degli obiettivi e delle visioni non potrebbe essere più macroscopicamente evidente. E da solo rende bene l’idea di quanto profonda sia la frattura che si spalanca sempre più sotto i piedi delle classi dirigenti, e dell’intero Paese.
Da una parte il governo Monti e soprattutto il ministero dell’Economia e la Ragioneria generale dello Stato, che compiono un altro passo di quasi 12 miliardi di tagli per impedire che il saldo pubblico peggiori e cioè aumenti il deficit. Lo scudo-scusa che si usa è ancora una volta quello di scongiurare l’ennesimo aumento dell’Iva. Dicendo che si evita un aumento fiscale programmato, si fodera di buone intenzioni la realtà che vede la spesa pubblica ancora fuori controllo. Mentre il debito pubblico purtroppo sale ancora, per via del fatto che l’Italia perde più PIL della Spagna, grazie alla feroce politica fiscale che è stata preferita ai tagli di spesa.
Dall’altra, la segretaria della Cgil che sposa in toto la proposta di Cesare Damiano, ex ministro del Pd, che per dare una risposta ai cosiddetti esodati – un errore grave della riforma Fornero –che propone di smontare di fatto la riforma in quanto tale, tornando a un’età pensionabile di 58 anni. Con esborsi di decine di miliardi non quantificati, coperti immaginificamente da lotterie e giochi, ma in realtà a carico del contribuente. Una bella riprova di come anche la sinistra non sia poi tropo diseguale dalla destra berlusconiana: quando si avvicinano le elezioni, si apre la gara a chi nega di aver votato le misure di rigore, e a chi propone di annullarle, naturalmente addossando a noi il costo.
E che cosa dice, di fronte a tutto questo, la segretaria della Cgil? Che il Tesoro ha torto a opporsi come si è opposto, perché quand’anche fossero decine di miliardi, basta una bella patrimoniale e tutto va a posto. Ora io rispetto la Cgil e la sua segretaria, come molti dei dirigenti e iscritti che conosco, e con cui dialogo spesso e molto seriamente sui temi talora drammatici del malessere italiano. Ma mi ha colpito, il tono con cui la leader della Cgil ieri ha liquidato un potenziale deficit aggiuntivo di decine di miliardi evocando la patrimoniale. Per quanto grave e pesantemente censurabile sia stato il cortocircuito tra ministero del Lavoro e Inps che ha prodotto la mancata quantificazione degli esodati, e per quanto sia necessario porvi riparo di anno in anno, non lo si può fare tornando alle pensioni di anzianità per tutti coperte dalla patrimoniale sbandierata come un vessillo ideologico. Questo la Camusso lo sa benissimo. Come lo sa l’onorevole Damiano.
Vuol dire allora una sola cosa: che siamo entrati ufficialmente in campagna elettorale, in quella terra di nessuno in cui ognuno si sente libero di spararle più grosse. Berlusconi aveva già cominciato, a proposito dell’euro e della Germania che potrebbe fare il favore di uscine. Ed è un peccato vero, se questa sarà la piega del confronto. Perché mai come oggi l’Italia avrebbe bisogno di argomenti, proposte e soluzioni serie, alla luce della grave discontinuità di reddito e patrimonio che colpisce famiglie e imprese, lavoro e risparmio.
Il governo Monti, che pure non taglia un euro di tasse ma di molto le ha fatte salire, che continua solo a promettere dismissioni pubbliche senza realizzarle e anzi accingendosi a impedire la cessione di Ansaldo Trasporti ed Energia, continua per questo comunque ad apparire come un frangiflutti di serietà, rispetto ai toni da strapaese e alle forzature ideologiche. Ed è anche questo un tributo da pagare a pressapochismo e alla demagogia del dibattito pre elettorale. Era un errore di questo governo, per esempio, aver tagliato i fondi per i contratti di produttività, fondi che oggi occorre ripristinare con la legge di stabilità. Ed è un errore della legge di stabilità approfittare degli scandali regionali per tagliare 2 miliardi alle Regioni senza averli concordati, perché il rischio è di finire come al solito a impugnative a raffica davanti alla Corte costituzionale. Ma di fronte a chi dice patrimoniale e sciopero generale per tornare alle pensioni per i 58enni, anche gli errori di Monti e Grilli sembrano vangelo. Tratto da Chicago-Blog.
Downgrade della Spagna (11 ottobre 2012).
Ancora giù il rating della Spagna. Standard and Poor's ha declassato Madrid di due gradini: da BBB+ a BBB-. Le prospettive per il Paese, secondo l'agenzia, continuano a essere negative e non si può escludere, in futuro, la possibilità di nuovi downgrade. A motivare la decisione di Standard and Poor's è «la profonda recessione» dalla quale l'economia spagnola sembra non riuscire a emergere. Una congiuntura - il Pil spagnolo è previsto in calo dell'1,8% nel 2012 e dell'1,4% nel 2013 - che «limita le opzioni politiche a disposizione del governo per risanare una situazione fortemente deteriorata dalla crisi del debito sovrano».
La ripresa sembra lontana, per l'agenzia di rating, che giudica le previsioni del governo spagnolo sulla crescita, e quindi sulla riduzione del deficit, troppo ottimistiche (un calo del Pil dello 0,5% nel 2013). Il clima in cui si muove l'esecutivo di Rajoi è duro: tra disoccupazione record, tagli alla spesa e il montare del malcontento sociale e delle proteste. Incluse quelle delle autonomie contro il governo centrale: un grande elemento di incertezza - ha sottolineato l'agenzia - è rappresentato dalle elezioni amministrative all'orizzonte. Centrale per l'outlook negativo che Standard and Poor's ha assegnato a Madrid è il nervo scoperto del sistema bancario, con una «carenza di credito che strangola ulteriormente l'economia». Per l'agenzia pesano sulle prospettive della Spagna i dubbi sulla reale volontà di alcuni governi dell'Eurozona di rispettare gli impegni per la ricapitalizzazione delle banche iberiche. Anche il Fondo monetario internazionale ha chiesto all'Eurozona di fare di più contro la crisi: tutte le economie avanzate, dall'Europa fino a Stati Uniti e Giappone, mostrano scarsi progressi nel gestire i deficit di bilancio. «Ci aspettiamo - ha detto il direttore generale Christine Lagarde, a Tokyo per i lavori annuali del Fmi e della Banca Mondiale - un'azione coraggiosa e cooperativa dei nostri paesi membri, con l'Europa certamente un centro della crisi che necessita più azioni». Per Lagarde «non ci sono aspettative di una ripresa solida dell'economia mondiale, ma di una ripresa molto più lenta rispetto allo scenario di aprile». La crescita mondiale è stata ribassata al 3,3%, con le economie avanzate a +1,3% e quelle emergenti a +5,3%.
La Consulta contro i tagli alla casta dello Stato (11 ottobre 2012)
I tagli alle retribuzioni superiori ai 90mila euro dei soli dipendenti pubblici, previsti dal decreto legge numero 78 del 2010, sono incostituzionali. Lo ha deciso la Consulta, stabilendo in particolare l'illegittimità dell'articolo 9, nella parte in cui dispone che a decorrere dal primo gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 «i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro». Per la Corte, «il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio». A giudizio della Consulta le disposizioni governative si pongono «in evidente contrasto» con gli articoli 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge...") e 53 ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva....") della Carta fondamentale. «L'introduzione di una imposta speciale, sia pure transitoria ed eccezionale, in relazione soltanto ai redditi di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione víola, infatti, il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante». Secondo i giudici delle leggi "da un lato, a parità di reddito lavorativo, il prelievo è ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici. D'altro lato, il legislatore, pur avendo richiesto (con l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) il contributo di solidarietà (di indubbia natura tributaria) del 3% sui redditi annui superiori a 300.000,00 euro, al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, ha inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalità, l'ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura. Nel caso in esame, dunque, l'irragionevolezza non risiede nell'entità del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. La sostanziale identità di ratio dei differenti interventi di solidarietà, poi, prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un 'universale' intervento impositivo». La Corte costituzionale non nega il potere del Governo di intervenire sulla materia: «L'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è, infatti, suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano. Tuttavia, è compito dello Stato garantire, anche in queste condizioni, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza, sul quale è fondato l'ordinamento costituzionale. In conclusione, il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio». La Consulta ha dichiarato incostituzionali anche i tagli sulla retribuzione dei magistrati previsti dallo stesso decreto legge. In particolare la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della parte della legge che prevede che «l'indennità speciale di cui all'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l'anno 2011, del 25% per l'anno 2012 e del 32% per l'anno 2013». Sempre per la magistratura é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma che stabilisce che «non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 è pari alla misura già prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21». Commento di Impresa Oggi. Del declino del Paese possiamo continuare a incolpare la politica, ma, forse, la realtà è un po' diversa: l'inerzia della classe dirigente, il suo conservatorismo, sono il riflesso di ciò che siamo diventati, della nostra indisponibilità a rischiare, a metterci in gioco. Divisi tra Nord e Sud, tra destra e sinistra, tra scettici e impegnati, ma uniti nella volontà di non cambiare, vedi i referendum contro il nucleare, contro la privatizzazione dei Servizi pubblici di rilevanza economica, contro la norma che prevede la remunerazione del capitale investito nella determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, l'ostracismo contro ogni riforma della PA, ma soprattutto nel rapporto perverso tra ceti produttivi e ceti parassitari, quel coacervo di conservatorismo, disinteresse verso i cittadini e arroganza che si permette di sostenere che manager pubblici con stipendi ingiustificati e vergognosi non debbano partecipare al contributo di solidarietà alle casse di quel Paese che essi, per primi, hanno contribuito a svuotare.
Diamo intanto un'occhiata ai costi della Consulta. Nel 2001 aveva spese correnti per 33.520.119 di euro, oggi, nonostante l'ondata di indignazione del 2007, la Consulta costa 52.700.000, un aumento del 57,22% che grida vendetta se si pensa alle lacrime e sangue richiesti ai modesti cittadini. Epppure, nel momento di maggior crisi cosa fa la Consulta? Alla lista degli ex giudici che hanno la dotazione di auto blu (tutto compreso) con autista, vita natural durante, se ne sono aggiunti altri dieci senza che alcuna riforma venisse ipotizzata per eliminare questo scandaloso privilegio.
Squinzi: la politica torni nel mondo reale (13 ottobre 2012).
Giorgio Squinzi
«È finito il tempo delle contrapposizioni. È finito il tempo dell'antagonismo». Con queste parole il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è intervenuto al Forum della Piccola Industria a Prato. «È il momento - ha aggiunto - di dimostrare che siamo disposti a cambiare. Dobbiamo impegnarci per il benessere e il progresso del nostro Paese e la strada maestra sono le riforme: concorrenza, efficienza nella pubblica amministrazione, cultura del merito e della creatività, conoscenza e, quindi, istruzione e formazione». Squinzi si é rivolto direttamente «a chi si candida a guidare il nostro Paese, puntando a vincere le elezioni, e a chi rappresenta i lavoratori. Tutti dobbiamo assumerci pesanti responsabilità. Tutti siamo chiamati a dare all'Italia una nuova prospettiva di sviluppo. Tutti dobbiamo rimboccarci le maniche per rimettere in moto l'economia e la società in cui viviamo. Per far questo, però, dobbiamo lavorare tutti insieme». «Abbiamo un grande rispetto della politica, ma alla politica chiediamo rispetto; la politica, la buona politica è fondamentale per guidare il Paese, mentre l'assenza e il sonno della politica generano mostri che ci portano alla deriva. Credo sarebbe pericoloso - ha detto Squinzi alla platea di imprenditori del forum (tra i cui ospiti ci sono anche Casini, Alfano e Fassina) - se la politica desse l'impressione di un distacco crescente dai problemi e dalle preoccupazioni degli italiani e, senza tenere in adeguato conto la gravità della situazione, in vista delle prossime elezioni, ponesse l'accento sui nomi e non sui programmi, su slogan acchiappa voti che non potranno essere punti fermi su cui costruire il futuro del Paese, soprattutto vanificando i sacrifici sino ad oggi fatti e i risultati con tanta, tanta fatica raggiunti». Squinzi ha poi contestato un «federalismo pasticcione e irresponsabile che deve essere abbandonato». «Per questo - ha detto - il provvedimento del Governo Monti va nella giusta direzione». E ha aggiunto: «A chi si alzerà a protestare che così il federalismo è stato tradito, se non abolito, ricordiamo che la clausola di supremazia dell'interesse nazionale è presente e parte costituente di tutti gli ordinamenti federali. Noi non vogliamo un nuovo centralismo, sia chiaro, ma un decentramento serio, trasparente, controllato». Ha concluso Quinzi, « Oggi registriamo la volontà delle forze politiche verso questa riforma. Se siamo tutti d'accordo allora, facciamola. Subito». Questa mattina stessa a Napoli, intervenendo al convegno "Competere per crescere", il presidente di Confindustria aveva detto che la situazione dell'Italia è «un po' più complicata», perché negli ultimi decenni «ci siamo comportati da cicale abbandonando la politica delle formiche». «Se stringiamo il fuoco sul nostro Paese - ha spiegato Squinzi - la nostra situazione é un po' più complicata per i problemi che abbiamo accumulato negli ultimi decenni, quando ci siamo comportati da cicale, abbandonando la politica delle formiche, che ci aveva permesso nel primo dopoguerra di salire da nazione agricola a maggiore potenza industriale». Il numero uno di Confindustria si è detto europeista «totale e convinto» ed ha ribadito che bisogna andare «nella direzione degli Stati uniti d'Europa". Parlando della crisi, Squinzi ha rilevato che «in Europa continua a farsi sentire ed ha messo a nudo tutti gli squilibri dei conti pubblici». A giudizio di Squinzi, comunque, è necessaria la creazione «di una banca centrale europea con veri poteri di banca centrale, poi dobbiamo mettere in comune le politiche del welfare e le politiche del fisco». Squinzi, a tal proposito, ha ricordato che «il carico fiscale sulle nostre imprese è di almeno 20 punti superiore a quello di altre nazioni europee, come Francia e Germania». Infine, per Squinzi, è necessario omogeneizzare le politiche infrastrutturali e «dobbiamo condividere una politica energetica per tutta l'Europa». Squinzi ha toccato un tasto molto delicato, quello del federalismo sul quale vorremmo dare una nostra opinione. Il sogno dei fautori del federalismo non era ultraterreno, nè lontano nel futuro, ma molto concreto; ma la politica aveva fatto credere agli italiani che il federalismo si potesse realizzare in un paio d'anni e che allora, i produttori avrebbero potuto riavere quello di cui avevano diritto: i frutti del loro lavoro saccheggiati dalle tasse e dagli sprechi. Nel frattempo, però, la politica non è stata in grado di fornire nè gloriose conquiste, nè premi di consolazione, ma solo una promessa: il federalismo come realizzzaione di un ideale di giustizia territoriale. Gli ideali dei federalisti sono stati annaquati con l'acqua del provincialismo,della resistenza della PA, dell'ostinato meridionalismo.
Draghi: segni di ripresa (14 ottobre 2012).
Mario Draghi e Olli Rehn
L'economia dell'eurozona resta debole ma ci sono segnali che giustificano un «prudente ottimismo». Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha offerto uno scenario più positivo delle prospettive dell'area euro rispetto a quello descritto nei giorni scorsi dall'analisi del Fondo monetario. Lo stesso commissario europeo Olli Rehn, che sedeva a fianco di Draghi in una conferenza stampa alla fine dei lavori dell'Fmi, si è limitato a dire di essere «meno pessimista» di qualche mese fa. In primo luogo Draghi non si nasconde le difficoltà, a partire dall'assenza di crescita: zero nel primo trimestre di quest'anno, -0,2 nel secondo e con prime indicazione che anche il terzo sarà debole. La ripresa avverrà solo il prossimo anno e sarà lenta e faticosa, ha riconosciuto. In secondo luogo, le banche europee si sono mostrate resistenti alla crisi e hanno raccolto 200 miliardi di euro di capitali freschi e progredito nel processo di riduzione dell'indebitamento. I flussi di credito sono tornati ai livelli pre-2008, anche se, ammette Draghi, la situazione è molto diversa da Paese a Paese. Anche sullo stato delle banche l'analisi della Bce appare più ottimista di quella presentata in questi giorni dall'Fmi. Il terzo punto evidenziato dal presidente della Bce sono gli «enormi» progressi realizzati a livello europeo nella riforma della governance. Ha citato soprattutto il lavoro che si sta facendo per creare una vigilanza bancaria unica, la cui responsabilità ricadrà proprio sulla Bce. Le regole dovrebbero essere formulate per il 1° gennaio 2013 e il sistema sarà pienamente operativo entro il 1° gennaio 2014. È stata poi avviata l'unione fiscale con il varo del fiscal compact, le nuove regole per la disciplina di bilancio. Il quarto punto è la minor volatilità dei mercati finanziari. Draghi ha rivendicato il ruolo dell'annuncio del piano Omt, per l'acquisto di titoli dei Paesi in difficoltà, da parte della Bce. L'ultimo tema è il riequilibrio dei conti con l'estero dei Paesi più vulnerabili, che in alcuni casi otterranno un surplus l'anno prossimo. Ancora una volta, il banchiere centrale ha ricordato che la Bce non può fare tutto da sola e che c'è bisogno che i Governi facciano la propria parte.
Luci e ombre dal vertice di Tokyo (15 ottobre 2012).
È un bilancio neutro quello che si può trarre al termine della settimana dei vertici finanziari mondiali di Tokyo (Fondo Monetario e Banca Mondiale, con contorno di G7, G24, East Asia Summit e collaterali). L'Italia non è stata posta sotto osservazione dai tecnici dell'Fmi: il nostro Paese non è stato al centro né delle preoccupazioni né delle critiche. Il ministro Vittorio Grilli ha sottolineato che né a livello formale né a livello di colloqui informali sono arrivati segnali di particolari timori o insofferenze, anzi è stato generalizzato un giudizio positivo sull'azione del governo Monti. Nel quadro dell'abbassamento delle stime sulla crescita mondiale, il Fondo Monetario si è detto più pessimista anche sull'economia italiana: la nostra recessione durerà fino al 2014, visto che anche l'anno prossimo si dovrebbe chiudere con il Pil a -0,7%. La parola-chiave del summit si chiama "moltiplicatore": negli ultimi rapporti degli esperti dell'Fmi ha causato uno shock analitico che farà discutere a lungo. In sostanza, l'Fmi si è accorto che gli aggiustamenti fiscali hanno un effetto depressivo sull'economia superiore a quanto riteneva in passato. Non si tratta di accademia, ma dello spartiacque tra lavoro e disoccupazione per milioni di persone: se a un Paese vengono richieste misure di austerità che penalizzano troppo la sua crescita e tendono anzi a innescare circoli viziosi (non riuscendo cioè nemmeno a centrare l'obiettivo di un miglioramento fiscale), allora la ricetta va cambiata. In fondo è un'ammissione che lo stesso Fmi a lungo è stato un dottore maldestro per i Paesi che son stati costretti a chiedere il suo intervento. E porta a un cambiamento di toni: l'enfasi non è più solo sul consolidamento fiscale, ma sul bilanciamento tra consolidamento e crescita. In parte legata alla scoperta sul "moltiplicatore" è la chiarezza con cui il diretore generale Christine Lagarde ha detto che alla Grecia vanno concessi altri due anni per attuare il consolidamento fiscale promesso. Una dichiarazione dalla quale ha preso le distanze il ministro tedesco Schauble, che non ha nascosto la sua irritazione, in quanto ritiene che prima di trarre conclusioni vada atteso il rapporto della Troika sulla Grecia. Attenzione, però: non si tratta del tedesco cattivo. Anche il ministro Grilli si è espresso nello stesso senso: attendere la Troika, non ragionare in astratto. Anche perché, alla fine, si tratta anche dei soldi dei contribuenti italiani. Il Fondo ha raccomandato all'Eurozona di accelerare sulle riforme, notando un miglioramento ma sottolineando che altri passi sono necessari verso una maggiore integrazione. In ogni caso, se l'Eurozona resta il maggior fattore di rischio per crescita e stabilità globale, non è certo l'unico. Il "fiscal cliff" negli Usa (ossia i tagli automatici di spesa pubblica che si attiverebbero in mancanza di un accordo al Congresso) viene subito dopo ed è seguito dai rischi di ulteriore rallentamento nei Paesi emergenti, a partire dalla Cina.
Crollo dell'auto in Europa (16 ottobre 2012).
Le vendite di automobili in Europa calano ancora una volta a settembre, con il risultato peggiore degli ultimi 12 mesi: secondo i dati forniti dall'Acea, l'associazione dei costruttori, le immatricolazioni nell'Europa a 30 (Ue più Efta) hanno segnato una flessione dell'11% rispetto allo stesso mese del 2011, a 1.132.000 auto. Si tratta del 12° calo consecutivo e, come detto, del più forte dell'anno; nei primi nove mesi del 2012 la diminuzione è stata del 7,2% per un totale di 9.724.000 unità. L'accentuazione della tendenza al ribasso viene soprattutto dal calo del mercato tedesco - 10,9% a settembre - mentre rimangono fortemente negativi i dati di Italia (-25,7%), Spagna (-36,8%) e Francia (-18%). In controtendenza, fra i maggiori mercati, solo la Gran Bretagna con un +8,2 per cento. Da gennaio a settembre le immatricolazioni sono cresciute in Gran Bretagna con un +4,3% mentre sono calate in Germania dell'1,8%, in Spagna dell'11%, in Francia del 13,8% e in Italia del 20,5 per cento. Il crollo delle immatricolazioni nel nostro Paese ha pesato negativamente sull'andamento delle vendite del gruppo Fiat, calate a settembre del 18,5% a meno di 67mila unità, con una quota di mercato al di sotto del 6% (5,9%) contro il 6,5% di un anno prima; il marchio Fiat ha ceduto il 15,5% con una quota al 4,4%; nel periodo giugno-settembre le vendite dei marchi del Lingotto sono diminuite del 16,8% a 623mila unità, con una quota in diminuzione dal 7,2% al 6,4 per cento. Fiat ha perso quote di mercato in Francia e Germania, guadagnando invece in Spagna e Gran Bretagna. Male i marchi Lancia (-18%), Jeep (-18,8%, anche se rimane positivo il consuntivo 2012) e soprattutto Alfa Romeo (-35%). Per quanto riguarda le concorrenti, si è fermata a settembre la corsa del gruppo Volkswagen (-8,4% le vendite) che ha risentito dello stop del mercato tedesco ma ha comunque guadagnato ancora quote di mercato (23,8% contro 23,2%) grazie soprattutto al dinamismo di Audi (vendite in aumento e quota al 5,8%). Prosegue la tendenza negativa per i maggiori marchi "generalisti": -32% per Renault, cali simili a quello di Fiat (tra il 14 e il 16%) per Opel, Ford e Vw, mentre hanno fatto meglio Peugeot (-6,6%) e Citroen (-11%). Si riconferma l'aggressività delle coreane Hyundai e Kia, entrambe in crescita con una quota che ha ormai raggiunto il 6,6% (6,1% nei nove mesi). Sembrano invece non risentire della crisi i marchi di lusso tedeschi, con un +10% della Bmw (+4% a livello di gruppo, inclusa la Mini): le immatricolazioni del solo marchio di Monaco (65.500 unità a settembre) hanno sfiorato quelle dell'intero gruppo Fiat. Anche Mercedes (-6,1%) ha fatto comunque meglio del mercato.
Downgrade del Monte dei Paschi di Siena(18 ottobre 2012).
Dopo la folle stagione delle acquisizioni bancarie, della sponsorizzazione delle squadre di basket e calcio, dell'ambizione di diventare una grande banca è giunto per MPS il momento della resa dei conti. Moody's ha tagliato il rating della banca di due gradini a Ba2 da Baa3: un taglio con il quale la valutazione scende a livello spazzatura. Nonostante l'«iniezione di capitale da 1,5 miliardi di euro da parte del governo italiano, Moody's ritiene che ci siano probabilità reali che la banca abbia bisogno di ulteriore aiuto esterno nell'arco dell'orizzonte del rating. Come gli stress test dell'European Banking Authority (EBA) e della Banca d'Italia hanno mostrato, Mps non è stata in grado di aumentare la propria base di capitale ai livelli richiesti» afferma Moody's. E sottolinea poi che la qualità degli «asset di Mps è debole e continuerà a peggiorare date le deboli prospettive di crescita dell'Italia per la parte restante del 2012 e per il 2013». Moody's stima, infatti, per l'Italia un pil in calo fra il 2,5% e l'1,5% per il 2012 e una contrazione in una forchetta compresa fra il -1,0% e lo 0 nel 2013, con significativi rischi al ribasso che pesano sulle prospettive. «Al momento le pressioni al rialzo sul rating di Mps sono limitate anche se meritano di essere considerate, sia l'esecuzione con successo del piano industriale, sia una significativa iniezione di capitale da parte degli azionisti» mette in evidenza Moodys's, precisando che fra le pressioni al ribasso potrebbero invece figurare «difficoltà nell'esecuzione del piano industriale e una debolezza della capacità dell'Italia di estendere l'appoggio sistemico».
Il ddl anticorruzione (18 ottobre 2012).
Palazzo Madama con 228 sì, 33 no e due astenuti rinnova la fiducia al governo approvando il maxiemedamento al ddl sulla corruzione, interamente sostitutivo del testo presentato dal ministro della Giustizia Paolo Severino. Il provvedimento nel suo complesso è stato successivamente approvato 256 voti favorevoli, 7 contrari e 4 astenuti. Il provvedimento passa ora alla Camera in quarta lettura. «C'è grande soddisfazione per il governo che ha creduto in questo ddl ma anche per un Parlamento che ne ha compreso il valore e lo ha condiviso con numeri significativi» ha detto il ministro della Giustizia dopo l'approvazione. Il testo del provvedimento è una versione ridotta di quella che inizialmente era nelle intenzioni del governo. Il ministro della Giustizia aveva spiegato in aula che se nel ddl si fossero inseriti anche i cosiddetti «reati satellite» - falso in bilancio, voto di scambio, autoriciclaggio e questione prescrizione - «si sarebbe solo affollato il provvedimento e, nonostante il governo lo consideri una priorità del proprio programma, con una massa di tutte queste materie, lo avremmo rallentato fino all'estinzione». «Questa è una legge che oggi ancora più di ieri noi tutti riteniamo indispensabile per il Paese, una legge della quale credo che l'Italia possa sentirsi orgogliosa», aveva detto il ministro alla Giustizia concludendo la sua replica sul ddl in aula al Senato. «Oggi sembra che questo provvedimento sia carta straccia e che si siano persi mesi. Non è vero che non abbiamo costruito nulla. Fare i grilli parlanti è uno sport molto diffuso, anche io appartenevo a questa categoria ma bisogna passare qui dentro per capire la fatica che c'è dietro ad ogni provvedimento. Il governo sarà sempre pronto a intervenire quando si tratterà di completare il quadro intorno a questa legge».
Il Guardasigilli aveva anche replicato alle pesanti accuse giunte ieri dai banchi dell'Idv: «Una replica doverosa da un governo di persone oneste - ha detto - e che interviene su quello che è stato detto ieri in aula e cioè che noi non vogliamo il provvedimento perché siamo amici degli amici dei corrotti: questo non possiamo permetterlo perché non è vero ed esalta le forme di demolizione che sono presenti nel paese e che gli impediscono di crescere». L'importante è che per la prima volta nella storia italiana si affronti il problema della corruzione con tempestività al contrario di quando, all'epoca di Mani pulite, la politica cercò di frenare l'azione della magistratura. Una volta che il disegno di legge anti-corruzione sarà definitivamente approvato e diventerà legge, con assoluta tempestività, il governo interverrà anche sulla materia della incandidabilità dei condannati, perché il governo mantiene i propri impegni così come li ha mantenuti su questo ddl», ha detto il ministro Severino, al termine della discussione generale sul disegno di legge. «Confido che la Camera adotti lo stesso atteggiameno sul tema della incandidabilità su cui c'è stato un preciso impegno del governo ad accogliere ordini del giorno per attuare la delega nei tempi più brevi». «La corruzione mina in radice il principio di uguaglianza che vuol dire pari opportunità di tutti i cittadini di poter concorrere a poter realizzare le loro aspirazioni», ha detto il ministro alla Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, nella sua replica in aula al Senato sul ddl anticorruzione. «La corruzione si combatte in primo luogo prevenendo il fenomeno ed evitando i danni di natura economica. La corruzione altera sicuramente il sistema economico e i meccanismi della concorrenza del mercato determinando costi imprompri ma, fondamentalmente ha ricadute di tipo etico».
Verso l'unine bancaria in Europa (19 ottobre 2012).
I 27 governi dell'Unione hanno confermato a grandi linee l'obiettivo di adottare il più presto possibile una vigilanza centralizzata nella zona euro, gestita dalla Banca centrale europea. L'intesa raggiunta a Bruxelles prevede un accordo politico entro la fine del 2012 e l'adozione operativa nel corso del 2013. Peraltro, sulla tempistica dell'attesa ricapitalizzazione diretta delle banche rimangono dubbi e incertezze. «Il consiglio europeo – si legge in un comunicato – invita i legislatori a procedere in via prioritaria nel lavoro sulle proposte legislative relativi a un meccanismo di sorveglianza unico con l'obiettivo di accordarsi sul quadro legislativo entro il 1° gennaio 2013. Il lavoro sull'adozione operativa del nuovo sistema di sorveglianza creditizia avverrà nel corso del 2013». L'intesa deluderà chi sperava che l'obiettivo della Commissione - di un'entrata in vigore il 1° gennaio 2013 dell'intero pacchetto - fosse confermato. Rispetto però al comunicato del vertice di giugno il salto di qualità è evidente: «La Commissione – si leggeva - presenterà a breve proposte relative a un meccanismo di vigilanza unico. Chiediamo al Consiglio di prenderle in esame in via d'urgenza entro fine 2012». Riguardo alla ricapitalizzazione diretta delle banche, una prerogativa offerta al Meccanismo europeo di stabilità (Esm) nel tentativo di spezzare il circolo vizioso tra bilancio sovrano e bilanci bancari, l'intesa raggiunta nella notte non risponde a tutti gli interrogativi delle ultime settimane: «Quando un efficace meccanismo di vigilanza sarà stato adottato – si legge nel comunicato - l'Esm avrà la possibilità di ricapitalizzare le banche direttamente». Le prime ricapitalizzazioni non avverranno quindi il 1° gennaio 2013, ma probabilmente nel corso dell'anno, se non addirittura nel 2014. Ha spiegato nella notte il premier italiano Mario Monti: «Non occorrerà che tutte le banche siano coperte (dal sistema di vigilanza unico), ma a un certo punto del 2013 vi sarà l'operatività del sistema e sarà allora possibile ricapitalizzare le banche senza pesare sui bilanci statali». Il cancelliere Angela Merkel - che in queste settimane aveva espresso dubbi proprio su una rapida ricapitalizzazione delle banche da parte dell'Esm - ha precisato questa notte che ci vorranno più di due mesi perché la nuova vigilanza sia efficace. Molti leader politici hanno salutato positivamente l'accordo su una futura sorveglianza unica, che rimane tuttavia da concretizzare. Dubbi legali e ostacoli tecnici non mancano e dovranno essere negoziati dai ministri finanziari. In una dichiarazione alla stampa, il presidente francese François Hollande ha affermato: «Questa sera ho la conferma che il peggio è dietro di noi». Nel corso della discussione di ieri, i 27 hanno anche accolto con favore «i buoni progressi» compiuti dalla Grecia, in gravissima crisi finanziaria. «Ci rallegriamo – si legge nel comunicato pubblicato stanotte - dei progressi compiuti dalla Grecia e dalla Troika in vista del raggiungimento di un accordo sulle politiche a sostegno del programma di aggiustamento e attendiamo con interesse la conclusione della valutazione in corso». Monti ha anche affermato: «Non ci sarà una cintura di castità finanziaria sui bilanci e, anzichè sovraccaricare la disciplina di bilancio come se fossimo in cattiva fede, abbiamo pensato di incoraggiare le riforme strutturali» sulle quali i Paesi sono indietro. Così Mario Monti smentisce o almeno attenua quanto detto ieri da Angela Merkel al Bundestag a proposito della legittimità del diritto di veto sui budget nazionali da parte del commissario degli affari economici. Monti ha affermato, anche che la crisi è in via di superamento, ha ammesso forti tensioni in Grecia ma nessuno vuole Atene fuori dall'Eurozona. «Non è la prima volta che si parla di Grecia ma in questa occasione il bilancio è positivo come è stato sottolineato». Sulla Grecia Monti ha letto una dichiarazione del presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Poi ha aggiunto che arrivare a una «soluzione di consenso» frai 27 sull'adozione del meccanismo di vigilanza unica per le banche «non era ovvio». «Alcuni Stati avrebbero preferito lasciare indeterminata la data di partenza». E ha rilevato che «non manca più moltissimo tempo» all'attivazione del meccanismo che «si applicherà a tutte le banche europee». Il premier ha rilanciato l'idea di tenere la prossima primavera a Roma un summit contro gli "euroscettici" e aggiunge che la delegazione italiana lavora a questo con il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy. Poi ha sostenuto che in Italia non ci sarà alcuna manovra aggiuntiva e che non ha «nessun rammarico o pentimento» per le scelte di politica economica fatte finora: «abbiamo fatto molti errori, soprattutto abbiamo lavorato nella fretta», ma «non ho assolutamente nessun motivo di rammarico o pentimento». Sul provvedimento anti corruzione «sono state superate le resistenze dei partiti». «Non mi risulta che governi, anche di colore opposto, anche a quello che ci ha preceduto, abbiano realizzato provvedimenti più esemplari di questo».
La corruzione in Italia (23 ottobre 2012).
In Italia la corruzione è in crescita sia pure con una diminuzione contestuale delle denunce e delle condanne. Ci collochiamo al pari di Ghana e Macedonia; in particolare il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa, con un trend in peggioramento, e al sessantanovesimo posto nel mondo. Lo evidenzia il Rapporto della Commissione per lo studio e l'elaborazione di misure per la prevenzione della corruzione nominata dal Ministro Patroni Griffi. Il fenomeno corruttivo è particolarmente diffuso nel nostro Paese e ne frena in maniera considerevole lo sviluppo economico. I dati riportati sono particolarmente allarmanti. Considerando il Corruption Perception Index (CPI) di Transparency International il nostro Paese ci colloca al sessantanovesimo posto (ex aequo con Ghana e Macedonia) per corruzione percepita con un progressivo aggravamento registrato negli ultimi anni. L’Italia si è attestata a 3.9 contro il 6.9 della media OCSE, su una scala da 1 a 10,dove10 individua l’assenza di corruzione. Analoga tendenza "registra la Banca mondiale attraverso le ultime rilevazioni del rating of control of corruption (rcc), che collocano l'Italia agli ultimi posti in Europa e con un trend che evidenzia un costante peggioramento negli ultimi decenni. I dati giudiziari indicano invece un calo dei delitti di corruzione e concussione consumati: dai 311 casi del 2009 ai 223 del 2010 (-88 casi). Le persone denunciate sono passate nello stesso periodo da 1.821 a 1.226 (-595 persone). I condannati da 341 a 295 (-46). Le condanne per reati di corruzione sono passate da un massimo di 1.700 nel 1996 a 239 del 2006.
Quali sono i costi della corruzione? In primo luogo vanno individuati i costi economici che la Corte dei Conti stima in diversi miliardi di euro; emblematica la quantificazione dell’incremento straordinario degli oneri delle grandi opere stimata intorno al quaranta per cento. Vanno poi evidenziati i costi economici indiretti rappresentati dai ritardi nella definizione delle pratiche amministrative, dal cattivo funzionamento degli apparati pubblici e dei meccanismi previsti a presidio degli interessi collettivi, dalla inadeguatezza se non inutilità delle opere pubbliche, dei servizi pubblici e delle forniture pubbliche realizzati, dalle opere pubbliche iniziate e mai completate, dalla non oculata allocazione delle già scarse risorse pubbliche, dalla perdita di competitività e freno alla crescita del Paese. Da non sottovalutare poi i costi di tipo sistemico, riguardanti i valori fondamentali per la tenuta dell’assetto democratico quali l’eguaglianza, la trasparenza dei meccanismi decisionali e la fiducia nelle istituzioni e nella legalità e imparzialità dell’azione degli apparati pubblici. Particolarmente eloquenti i numeri degli effetti della corruzione sulla crescita. Secondo un recente studio della Banca Mondiale le imprese costrette a fronteggiare una pubblica amministrazione corrotta e che devono pagare tangenti hanno una crescita in media di quasi il 25% in meno di imprese che non devono fronteggiare tale problema. L'interazione tra il settore pubblico e quello privato fanno degli appalti pubblici "un'area in cui è particolarmente elevato il rischio che si registrino fenomeni corruttivi, con ripercussioni sullo sviluppo della concorrenza e del libero mercato". Nel Rapporto si evidenzia che nel 2011, il mercato degli appalti pubblici ha impegnato una spesa di 106 miliardi di euro (iva esclusa), pari a circa l'8,1% del pil".
Si impone perciò, per il settore della contrattazione pubblica, una costante azione di vigilanza finalizzata alla tutela dei principi di trasparenza, concorrenza ed economicità. Come fronteggiare il fenomeno corruzione? Diviene indispensabile l’attività di prevenzione; un possibile benchmark è quello brasiliano con il modello delle 'ispezioni randomizzate' affidate alla Controladoria general da união (l'equivalente della Corte dei conti italiana), che trae ispirazione dai random audit programs sperimentati negli Usa nei primi anni novanta in ambito fiscale. Ciò che caratterizza tali forme di controllo è l'elemento della casualità. È proprio questo aspetto, dice il rapporto, "che rende questo tipo di controllo particolarmente efficace, in termini di effetto di deterrenza, come misura di prevenzione della corruzione".
La Consulta: no all'obbligatorietà della conciliazione (24 ottobre 2012).
Ancora una volta la Consulta privilegia la forma alla sostanza; la sostanza è costituita, sia dalle circa mille imprese che sono sorte in Italia grazie al decreto legislativo sulla mediazione, sia dall'alleggerimento del lavoro dei nostri tribunali. La Corte costituzionale ha dichiarato, infatti, la illegittimita' costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione, che rappresentava la parte più importante della legge poichè mirava ad affidare alla mediazioni i casi più complessi per i quali gli avvocati tendono ad allungare i tempi dei processi per mandarli in prescrizione. Occorrerà, comunque, attendere le motivazioni per migliori riflessioni. Le motivazioni ai sensi dell’art. 26 c. 3 della legge che regola il funzionamento dei giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale, “…devono essere depositate in cancelleria nel termine di venti giorni dalla decisione”. La decisione, tuttavia, leggendo il comunicato diramato dalla Corte, riguarderebbe solo l’art. 5 del D.Lgs. 28/10 il quale prevede, appunto, l’obbligatorietà della mediazione. Ovviamente, a cascata rimarranno coinvolte anche le altre disposizione che facevano rinvio all’art. 5 c. 1, come ad esempio quella di cui all’art. 8 c. 5 seconda parte, il quale prevede che “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”. Rimangono, dunque, in piedi le altre forme di mediazione: facoltativa, delegata e contrattuale. Tra Consulta e Csm si annidano gli azzeccagarbugli nostrani che facendo ricorso a pandette e a vacui formalismi arrestano la modernizzazione del paese.
La Bicamerale per gli affari regionali dice no all'ingerenza dello stato nelle autonimie locali (25 ottobre 2012).
La Commissione bicamerale per gli Affari Regionali ha bocciato, per i profili di propria competenza, il decreto sui tagli ai costi della politica di Regioni e Enti locali. Si tratta di un secco "parere contrario" dato alle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera che esaminano nel merito il testo. Pur considerando "apprezzabili" le misure "tese a determinare una riduzione dei costi della politica nelle Regioni" e ravvisando "l'opportunità di un rafforzamento della leale collaborazione tra Stato e autonomie territoriali in merito al contenimento delle spese", la bicamerale ritiene tuttavia "insufficiente l'impianto complessivo del provvedimento e di non piena compatibilità con le prescrizioni del Titolo V della Costituzione". Il decreto era passato in Consiglio dei ministri a inizio ottobre, frutto dell'accelerazione impressa dagli scandali, in particolare quello che ha travolto la Regione Lazio e la Giunta Polverini. Tra le misure, introduce tagli e tetti ai compensi di consiglieri e assessori, lo stop ai vitalizi facili, la riduzione delle poltrone, controlli sulle attività degli enti da parte della Corte dei conti, anche con l'utilizzo della Guardia di Finanza, il pareggio di bilancio, la non ricandidabilità di amministratori che abbiano contribuito al dissesto finanziario dell'ente, controlli sulle attività partecipate. Il decreto, inoltre, fissa al 31 ottobre il termine per modificare le aliquote Imu. Il parere contrario della Commissione bicamerale per gli Affari regionali fa riferimento in particolare alle previsioni in materia di "controlli della Corte dei conti sugli atti delle Regioni, dei gruppi consiliari e delle assemblee regionali e di enti locali". Si evidenzia "la carenza di incisive modalità di interazione e interlocuzione con le autonomie territoriali in relazione all'esigenza di una graduale modulazione degli interventi in materia di rafforzamento della partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti territoriali, di tipologia dei controlli interni agli enti locali, di procedure di riequilibrio finanziario e di sviluppo degli strumenti di controllo della gestione finalizzati all'applicazione della revisione della spesa presso gli enti locali". I commissari, nel loro parere, hanno anche messo in luce "specifici profili di criticità" sui "controlli di legittimità della Corte dei conti sugli atti regionali, ai fini della verifica del rispetto dei vincoli finanziari, nonché in relazione alla parificazione del rendiconto della Regione, alla tipologia delle coperture finanziarie delle leggi di spesa, alla proposta di bilancio di previsione e alla legittimità regolarità delle gestioni, in quanto comprimono eccessivamente la sfera di competenza propria delle autonomie regionali". Secondo i parlamentari, il decreto "incide fortemente sull'autonomia organizzativa e gestionale degli enti locali" viste le norme sulla "revoca dell'incarico di responsabile del servizio finanziario; in tema di controllo della Corte dei conti sugli enti locali in ordine alla regolarità della gestione finanziaria, agli atti di programmazione e all'efficacia dei controlli interni di ciascun ente; in merito alle funzioni del responsabile del servizio finanziario dell'ente locale". Proprio sulla base del dl, la Corte dei Conti ha già avviato i controlli degli atti di Regioni ed enti locali. Ne dà notizia una nota della magistratura contabile. Un primissimo bilancio dei nuovi compiti è stato fatto oggi durante una riunione della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti per deliberare i primi indirizzi applicativi per l'attuazione dei nuovi compiti e delle nuove funzioni. I Presidenti delle Sezioni regionali di controllo - spiega la nota - hanno comunicato la già avvenuta attuazione di numerose delle disposizioni introdotte con il suddetto decreto, con l'avvio dei procedimenti di controllo degli atti di Regioni ed enti locali. Gli stessi hanno riferito in ordine alla piena disponibilità manifestata dalle amministrazioni regionali e locali a collaborare per una celere ed ottimale attuazione delle nuove norme.
All'esito dei lavori, la Sezione ha deliberato un calendario degli adempimenti e i primi indirizzi interpretativi per l'attuazione del decreto. In particolare, sono state esaminate le disposizioni concernenti l'esame dei bilanci di previsione delle Regioni, le verifiche infrannuali sulla base delle relazioni dei Presidenti delle Regioni, il controllo preventivo di legittimità su atti delle Regioni, le verifiche infrannuali sulla base delle relazioni dei Sindaci e Presidenti delle Province.
Molti media hanno asserito che la Bicamerale ha detto no ai tagli. Questo non è vero, è solo populismo che aizza gli animi contro i politici e dà fiato alle trombe dell'antipolitica grillina. La Bicamerale ha proposto di eliminare quelle norme che prevedono un controllo preventivo sulle amministrazioni locali e questo non può essere attuato con un decreto legge, la Bicamerale ha chiesto che si ponga un limite all'eccesso di centralismo che piace tanto al governo Monti, ma che smantella quel po' di federalismo che si sta tentando di realizzare in Italia.
Confindustria e i giovani imprenditori (28 ottobre 2012).
«Le nostre aziende stanno soffrendo, forse morendo di fisco». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, a margine del congresso dei giovani imprenditori dell'associazione in corso a Capri. «Credo di interpretare l'opinione di tutti gli imprenditori italiani. È una riflessione che dobbiamo porre all'attenzione dei nostri governanti. Bisognerebbe fare una spending review molto più decisa e tutti i fondi che si liberano dovrebbero essere destinati alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori, le imprese, i cittadini». Il presidente di Confindustria ha poi fatto accenno alla prossima tornata elettorale: «Monti bis? Non ne faccio una questione di nomi. Mi sta benissimo anche il professor Monti, purché abbia una legittimazione elettorale. Nella prossima legislatura serve una legittimazione politica molto più importante». Discutendo del capitoli esodati ha chiarito che il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150 mila euro per allargare la copertura finanziaria agli esodati «sicuramente lo vediamo come un ulteriore carico fiscale e che, peraltro, non è l'unico portato avanti in questi giorni perchè sulle imprese sono arrivati anche altri balzelli; è una situazione generale che va rimeditata, pur sapendo che dobbiamo essere pronti a fare dei sacrifici». Entro pochi giorni sindacati e imprese potranno trovare un accordo sulla produttività, ha indicato Squinzi. «Siamo nelle fasi finali del negoziato - ha spiegato -, spero in un buon accordo che soddisfi tutti. L'accordo è fondamentale per recuperare in tempi brevi i 20 punti di competitività che abbiamo perso nei confronti degli altri Paesi europei, e in particolare nei confronti della Germania».
La crisi finanziaria internazionale e la «grave sbandata dell'Italia sono stati due incidenti nel progetto di costruzione dell'Europa»: a parlare è il ministro della Coesione territoriale, Fabrizio Barca, nel primo intervento della seconda giornata del convegno dei Giovani imprenditori di Confindustria. «Proprio grazie all'Italia, l'Europa ha evitato il baratro. Oggi l'Italia ha concorso in tre modi a ritrarsi dal baratro dell'intera Europa: tolto dal tavolo il problema della finanza pubblica fuori controllo; consentito all'Europa di usare uno dei suoi strumenti, la Bce; riaperto il tema della crescita».
«Il peso della pressione fiscale per chi le paga onestamente è cresciuto cosi tanto da diventare una confisca» ribadisce Jacopo Morelli, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria. I colpi della recessione, sottolinea, hanno ridotto la base industriale del 20 per cento. E avverte: «Il tempo della pazienza è finito». Sono questi i temi principali della relazione con cui Morelli ha aperto il convegno dei Giovani di Capri dal titolo Europe under pressure, integrazione , sviluppo, lavoro, unire l'Europa , rafforzare l'Italia. «Servono le risorse per crescere e tagliare le tasse. E la politica in questo deve essere credibile. Una classe politica che non mantiene le promesse mentre chiede sacrifici continui ai cittadini è indegna. Via i ladri, gli ignoranti e gli incapaci», ha scandito, sollecitando la lotta agli sprechi e una legge elettorale, insieme alle regole interne ai partiti, come elementi per recuperare il «deficit democratico» del Paese. Per Morelli senza azioni su investimenti, produttività e competitività la sola lotta ai deficit segnerà la fine dell' euro. Bisogna avere la volontà del cambiamento, su un'idea: «La crisi va sconfitta, sarà sconfitta».
Il messaggio di Monti. «L'Italia ha fatto in questi mesi scelte difficili e introdotto riforme importanti in modo da voltare pagina rispetto a un passato di bassa crescita ed elevato debito e contribuire ad una soluzione della crisi della zona euro. Le riforme e l'impegno per la crescita dell'Italia, come di ciascuno degli altri Stati membri, possono però avere successo solo dentro un'azione comune a livello europeo. Per questo è essenziale che le giovani generazioni, e tra esse i giovani che si trovano in prima linea nel fare impresa e creare nuove opportunità, sentano l'Unione europea come orizzonte irrinunciabile per la loro azione e si impegnino direttamente a progettarne il futuro»: così il presidente del consiglio Mario Monti in un messaggio inviato ai Giovani imprenditori.
L'intervento della Fornero. «Riforme, riforme e ancora riforme. Di questo l'Italia ha bisogno. Abbiamo cominciato e di certo e non abbiamo ancora finito. Il Governo é stato chiamato con dei compiti molto chiari: allontanare una possibile crisi finanziaria che incombeva e che avrebbe travolto il Paese mettendo a rischio l'intero sistema dei pagamenti». «Napoli è la città più significativa dal punto di vista dei progetti per il lavoro», dice il ministro, che al convegno dei giovani imprenditori ricorda «un progetto che stiamo costruendo insieme con la Germania, con i due ministri del lavoro ed i due dell'Istruzione: coinvolgiamo imprese italiane e straniere, lavoriamo con Confindustria, vogliamo lavorare su questo progetto di apprendistato. Non è un conferenza, è un progetto per il lavoro dei giovani e per ridurre l'abbandono scolastico».
L'intervento di Conti. «Nel nostro Paese ci sono purtroppo molti "spread" che affliggono l'economia: le tasse più elevate, la giustizia civile più lenta, la corruzione più diffusa, la burocrazia più invasiva»: così Fulvio Conti, ad di Enel e vicepresidente di Confindutria con delega al Centro Studi. «L'analisi 'Doing Business 2013' conferma che il nostro Paese si pone al 73esimo posto lontano dalle vette di Singapore, Hong Kong e Nuova zelanda - ha proseguito - Di tutta questa situazione ne fanno le spese sia le imprese, che pagano oltre 26 miliardi di euro all'anno per oneri amministrativi, sia i cittadini». Un dato rilevante - ha detto ancora Conti - é che un punto percentuale in più di efficienza della Pubblica Amministrazione produrrebbe un incremento dello 0,9% del Pil del Paese. «Per questo sono convinto - sottolinea - che la madre di tutte le riforme sia avviare e concludere una capillare opera di semplificazione normativa e di sburocratizzazione. È fondamentale una riforma del sistema istituzionale del Paese di cui, con senso di responsabilità, la politica presente e futura deve con chiarezza e lungimiranza farsi carico come obiettivo primario. In questo senso, il disegno di legge sulla semplificazione amministrativa approvato la scorsa settimana, e la proposta di revisione del Titolo V della Costituzione rappresentano sicuramente dei segnali positivi».
L'intervento di Barbagallo. «Gli imprenditori hanno saputo dare l'esempio. Abbiamo mantenuto la promessa fatta un anno fa, facendo la nostra parte, mettendo in campo energie economiche, mentali, emotive enormi, mantenendo a galla la barca. Ringrazio gli imprenditori per questo sforzo, esclusi i furbi, però. Esclusi quelli che non pagano le tasse, che fanno concorrenza sleale, che sfruttano i lavoratori , che vivono nell'illegalità. Quelli - che pure ci sono ed è inutile far finta di nulla - hanno remato contro. Vanno isolati, perseguiti se commettono atti illegali, esclusi dalla vita civile del Paese»: così Carlo Barbagallo, il presidente dei Giovani imprenditori della Campania. «Io vengo da un territorio che negli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2011, secondo lo Svimez ha visto un Pil inchiodato allo 0%, rispetto al + 0,4% del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree - ha proseguito - e che proprio per la dilagante illegalità vive quotidianamente difficoltà doppie, sul piano civile e sul piano imprenditoriale. La Campania registra addirittura un calo del Pil, fermandosi al -0.6%: in un decennio il recupero del gap tra Nord e Sud del Paese è stato soltanto di un punto e mezzo percentuale, dal 56,1% al 57,7%. Continuando così , sempre secondo i dati Svimez, ci vorrebbero 400 anni per recuperare lo svantaggio. Eppure abbiamo enormi potenzialità inespresse, come l'ingente patrimonio artistico e storico. Il settore in Europa dà lavoro a 3,6 milioni di persone, di cui solo 48mila al Sud. Occorre strutturare un piano di promozione complessivo ed integrato capace di valorizzare le diverse specificità del territorio. Adeguate politiche di valorizzazione dell'industria culturale finanziate con risorse nazionali e comunitarie potrebbero permettere al Sud di recuperare il gap di occupazione con il Centro-Nord in pochi anni, con 40mila nuovi posti di lavoro di cui 15mila laureati. Apriamo ai privati, mettiamo a frutto il patrimonio artistico, non limitiamoci a metterci sopra una teca. La posizione geografica di assoluto vantaggio rispetto al Mediterraneo, soprattutto delle nostre regioni, può e deve essere messa a frutto. E non solo rispetto al turismo. Penso ad esempio alla logista e alla movimentazione merci che solo un piano infrastrutturale serio può rilanciare adeguatamente».
Draghi: sì al supercommissario (28 ottobre 2012).
Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble (Cdu), ha ragione nel chiedere un supercommissario alla valuta, che controlli i conti dei Paesi dell'Eurozona. E su questo ha il pieno appoggio di Mario Draghi. «Sostengo esplicitamente la proposta» ha dichiarato il presidente della Bce in un'intervista allo Spiegel, e «sarebbe intelligente se i governi la esaminassero attentamente. Di una cosa sono sicuro, se vogliamo ristabilire la fiducia nell'Eurozona, i Paesi devono cedere a livello europeo una parte della loro sovranità perché hanno già adottato misure che sarebbero apparse impensabili un anno fa, ma non sono sufficienti», ha spiegato Draghi. E ancora: «Molti governi non hanno ancora capito di aver perso la loro sovranità nazionale da molto tempo perché si sono pesantemente indebitati e sono alla mercé dei mercati finanziari».
La promessa che la Bce acquisterà in maniera illimitata i bond dei Paesi in crisi non significa che lo farà in modo incontrollato ha poi precisato Draghi. «Al contrario acquisteremo bond solo di quei Paesi che accettano rigide condizioni e verificheremo esattamente se le condizioni sono state rispettate». Alla domanda se davvero la Bce bloccherebbe questi acquisti, nel caso in cui un Paese non realizzasse le riforme promesse, il presidente della Bce non ha esitazioni: «Ovviamente, se un Paese non rispetta gli accordi, non riattiveremo il programma di acquisto di bond. Abbiamo annunciato che le operazioni verranno sospese, non appena il Paese in questione verrà sottoposto a un controllo». A quel punto, «chiederemo al Fmi e alla Commissione europea di valutare se quel Paese rispetta gli accordi. Solo in seguito riprenderemmo le operazioni di acquisto». Parlando dello spread, Draghi ha precisato che «i tassi di interesse non devono essere uguali in tutti i Paesi, ma ad essere inaccettabili sono le differenze troppo forti, riconducibili alla distorsione dei mercati dei capitali o al timore che l'Eurozona possa andare in pezzi».«Non vogliamo eliminare del tutto lo spread tra i vari Paesi», conclude Draghi, «ma interverremo quando le differenze tra i tassi sono eccessive».
Analisi del voto all'Assemblea siciliana (30 ottobre 2012).
Rosario Crocetta è il nuovo governatore della Regione Sicilia. Nonostante l’altissimo astensionismo e, soprattutto, nonostante il boom del Movimento 5 Stelle, che è ufficialmente il primo partito dell’isola con il 14,9% dei consensi. Male, malissimo il Pdl, che ha racimolato solo il 12,9 % dei voti contro il 33% delle ultime consultazioni regionali. Allora, invece, il Pd (che ora ha preso il 13,5%) era al 18,7%, Mpa al 13,9%, l’Udc al 12,5%. A spoglio quasi ultimato, il candidato democratico (ma anche di Udc e Api) ha staccato di 5 punti Nello Musumeci (Pdl, La Destra): 30,5% il primo, 25,5% il secondo. Terzo Giancarlo Cancellieri del M5S (18,2%) , seguito da Gianfranco Micciché di Grande Sud e Fli (15,4%) e Giovanna Marano di Sel e Idv (6%). Poco sopra l’un per cento Mariano Ferro (Popolo dei forconi), Cateno De Luca (Rivoluzione siciliana), Gaspare Sturzo (Sturzo presidente). I dati confermano che a prevalere in tutta l’isola è stato l’astensionismo. Infatti ha votato il 47,42% degli aventi diritto, pari a 2.203.885 elettori. Oltre all’altissimo numero di chi ha deciso di non andare a votare, altro dato che deve far riflettere è la difficile governabilità dell’Ars. Rosario Crocetta, infatti, potrà contare su 39 deputati (14 Pd, 11 Udc, 5 lista Crocetta e 9 del listino compreso il presidente): mancano quindi 7 parlamentari regionali per avere una maggioranza seppur risicata di 46 deputati su 90. Le opzioni che si troverà davanti il futuro presidente della Regione non sono molte: o un’alleanza con il M5s o con Grande sud e Partito dei siciliani (ex Mpa) o solo con quest’ultimo. I rappresentanti del non partito di Beppe Grillo, tuttavia, hanno già detto più volte che non faranno parte di maggioranze di governo. Rimarrebbe quindi l’alleanza politica con Gianfranco Miccichè che porterebbe i voti dei parlamentari di Grande sud e Pds. Ma Crocetta, per evitare “inciuci allargati” potrebbe dedidere di dialogare solo col movimento fondato da Raffaele Lombardo, che porterà 10 deputati all’Ars più che sufficienti per governare con tranquillità. A palazzo dei Normanni, quindi, si riproporrebbe la stessa maggioranza che ha sostenuto per un lungo periodo il governo Lombardo: Pd-Udc-Mpa. Ma per molti – protagonisti in primis – si tratta pur sempre di una rivoluzione. Così l’hanno chiamata. A scrutini ancora in corso, del resto, Bersani è tra i primi a commentare i dati parziali, che considera “risultati storici”. Opinione che però non è condivisa dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando, deluso dalla “valanga astensionista”.
Le prime analisi del voto siciliano si sono basate sul confronto delle percentuali ottenute da ciascun partito. Ma queste, data la numerosità delle astensioni, sono calcolate sulla sola metà degli aventi diritto al voto. Proprio questa circostanza suggerisce di analizzare il risultato anche esaminando la numerosità in valore assoluto dei consensi ottenuti dalle forze in campo. Questo approccio permette di renderci conto di quanto abbiano perso quasi tutte le forze politiche. È stata ad esempio già notata la diminuzione in percentuale del partito di Berlusconi. Ma confrontando i valori assoluti, è ancor più impressionante rilevare come il Pdl abbia perso ben 650 mila voti, tre quarti del suo elettorato precedente. Anche comprendendo i consensi ottenuti dalle liste «Lombardo presidente» e «Musumeci presidente», la perdita resta enorme. Si tratta di elettori che hanno preso la via dell'astensione o, spesso, quella del supporto a Grillo. Un tracollo che ricorda quanto emerge dai sondaggi effettuati in questi giorni a livello nazionale riguardo alla diminuzione drastica delle intenzioni di voto espresse dagli italiani per il Pdl. Al tempo stesso anche l'altra componente del centrodestra, legata a Miccichè, ha subito una erosione, sia pure di misura inferiore. Dall'altra parte dello schieramento politico, tuttavia, anche l'alleanza Pd-Udc, pur risultata vincitrice (o, se si vuole, meno perdente), soffre di una consistente diminuzione di voti. Il Pd, anche sommando i voti delle liste per il candidato (Crocetta-Finocchiaro) perde, in valore assoluto, quasi 250 mila voti: una porzione notevolissima dell'elettorato delle scorse regionali. Analogo discorso si può fare per l'Udc che ha perso circa 130 mila voti: quasi il 40%. Insomma, pur avendo eletto il nuovo presidente di Regione, l'alleanza di centrosinistra ottiene un risultato insoddisfacente, non essendo riuscita, come osserva anche Roberto D'Alimonte sul Sole 24 Ore , a intercettare nuovi consensi, in un momento di grande fluidità elettorale. In altre parole, il partito di Bersani pare, a livello siciliano, incapace di convincere e mobilitare i delusi e gli scontenti. Che, anzi, se ne sono in parte allontanati. Al riguardo, alcuni osservatori avevano suggerito che il Pd potesse cedere voti all'estrema sinistra, data l'alleanza stipulata nell'isola con l'Udc. Ciò non si è verificato. Anche la sinistra radicale ha subito un forte calo di consensi, passando da 131 mila voti del 2008 a 59 mila di domenica scorsa e vedendo quindi più che dimezzare il proprio seguito. Dunque, la gran parte delle forze politiche esprime un saldo di consensi negativo. L'unica a sottrarsi è stata l'Idv con un piccolo incremento di poco meno di 18 mila voti. Come ha sottolineato l'Istituto Cattaneo, si tratta di un risultato deludente dopo le aspettative che aveva stimolato il successo di Leoluca Orlando alle comunali. Hanno tratto frutto da questo andamento elettorale complessivo il Movimento 5 Stelle e il folto «partito degli astenuti». Grillo ha guadagnato quasi 240 mila voti, quintuplicando di fatto il suo elettorato. Ma la diserzione dalle urne esce dalle elezioni con un bottino assai maggiore, pari a quasi 800 mila siciliani che, questa volta, hanno ritenuto di non recarsi ai seggi. Entrambi i fenomeni, il supporto per il Movimento 5 Stelle e l'incremento dell'astensione, sono stati per lo più interpretati come espressione di protesta e di disaffezione. Un fenomeno che, stando a quanto ci suggeriscono le ricerche sulle intenzioni di voto, riguarda non solo la Sicilia, ma tutta l'Italia.
FIAT: non chiude in Italia (31 ottobre 2012).
Fiat non chiuderà nessuno stabilimento in Italia. «Il vero problema è che se chiudessi un impianto in Europa dovrei aprirne un altro da un'altra parte», ha detto Marchionne. Ma il Lingotto riduce gli obiettivi finanziari per gli anni dal 2012 al 2014, e avverte che le attività europee non torneranno al pareggio fino al 2015 o 2016. Ecco i nuovi target 2014: ricavi a 94-98 miliardi (erano 104 nel 2010); Ebitda a 10,3-10,8 (erano 14 nel precedente piano); risultato operativo a 4,7-5,2 (da 7,5). I volumi di vendita sono molto meno ambiziosi: 4,6-4,8 milioni di unità, Chrysler compresa, contro i 6 del piano 2010.
Per quanto riguarda gli stabilimenti in Italia, il Lingotto ribadisce l'obiettivo di utilizzare «il 15% della capacità produttiva per l'export». Ma gli investimenti vengono ancora una volta condizionati al «rispetto dei nuovi accordi di lavoro e richiederanno da 24 a 36 mesi per la messa in atto». Marchionne ha anche annunciato ai sindacati che gli investimenti in Italia riprenderanno coinvolgendo tutti gli stabilimenti. La Fiat produrrà a Mirafiori, oltre all'Alfa Romeo Mito, una famiglia di vetture di alta gamma destinate ai mercati europei ed internazionali. A Melfi verranno prodotti i suv e a Cassino, grazie alla piattaforma già definita con Chrysler, nuovi modelli anche per l'export. «Guardiamo al futuro con un misto di eccitazione e timore, con la consapevolezza che dobbiamo uscirne lottando», ha detto Marchionne durante la conference call, richiamando tuttavia alla prudenza. Quella contro la crisi è una battaglia che va combattuta, essendo «prudenti, per non mettere a rischio la stabilità finanziaria, pur mettendo in atto i nostri progetti». La più grossa novità riguarda la strategia del Lingotto sui marchi (che peraltro Marchionne aveva già lasciato intendere più volte nei mesi scorsi): il gruppo punterà su Alfa Romeo/Maserati nei segmenti alti, su Jeep nei Suv, sulla 500 e i suoi derivati nei segmenti più piccoli del mercato. La rifocalizzazione fa due "vittime": il marchio Lancia, che verrà «ridotto o eliminato», e la presenza del marchio Fiat nei segmenti medio-alti; Fiat cessa ufficialmente di essere un marchio generalista che compete a tutto campo. Il gruppo Fiat lancerà 3 nuovi modelli di auto nel 2013 prodotti in Italia e destinati anche all'export, di cui uno targato Alfa Romeo e due Maserati. Nel 2014 é prevista la produzione di altri 5 nuovi modelli nel nostro Paese, sempre destinati anche all'export. Si tratta di un veicolo Fiat, due Alfa Romeo, una Jeep («attualmente non prodotto in altri siti»), un'auto Maserati, a cui si aggiunge anche un veicolo commerciale Fiat. Nel 2015 sul mercato arriveranno altri 5 modelli di produzione italiana, di cui 3 Alfa e 2 Maserati e nel 2016, infine, altri 3 modelli 3 usciti dagli stabilimenti della Penisola, ovvero due Alfa Romeo e un Maserati. «La produzione di Jeep non sarà trasferita dagli Stati Uniti alla Cina»: è quanto afferma il numero uno di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, in una e-mail agli impiegati del gruppo. Marchionne avrebbe suggerito a Peugeot e GM, che controlla Opel, di costituire insieme un nuovo gruppo paneuropeo dell'auto, per scavalcare Volkswagen come primo costruttore in Europa. Lo scrive Bloomberg, che cita tre fonti vicino alla vicenda. Fiat, Opel e Peugeot, insieme, rappresentano il 25% del mercato europeo, contro il 24,8% di Volkswagen.
Modifiche alla legge di stabilità (1 novembre 2012).
Il Governo ha trovato l'intesa sulla legge di Stabilità. Nella nuova versione, salta la retroattività sulle nuove norme in materia di detrazioni e deduzioni. È questo uno dei punti chiave dell'accordo politico tra governo e maggioranza sulle norme di bilancio di fine anno. I relatori, Pier Paolo Baretta (Pd) e Renato Brunetta (Pdl), insieme al relatore del ddl bilancio, Amedeo Ciccanti (Udc), hanno trovato l'intesa nel corso di un incontro nel pomeriggio alla Camera con il ministro dell'Economia, Vittorio Grilli. Stop anche alla riduzione delle prime due aliquote Irpef per finanziare interventi sul cuneo fiscale e il mantenimento dell'aliquota del 10%, mentre quella del 21% al momento è destinata a aumentare di un punto così come già previsto. Per tetti e franchigia, invece, «il Governo si riserva di dare risposte». «Nell'ordine - ha precisato il relatore Baretta - prima si provvederà a evitare l'aumento dell'Iva e quindi si redistribuiranno le risorse residue dal mancato taglio delle aliquote al costo del lavoro, privilegiando per il 2013 i lavoratori dipendenti, e dal 2014, una volta valutate le risorse disponibili, anche le imprese». Brunetta ha invece «dato atto al Governo che ci sarà una buona riscrittura del testo». Secondo il parlamentare del Pdl «sarà riscritta interamente e sarà più intelligente». L'intesa prevede anche che siano indentificate le destinazioni del Fondo di 900 milioni a disposizione di Palazzo Chigi, privilegiando gli interventi per il sociale. Eventuali risorse «aggiuntive, vere e accertate derivanti spending review e dismissioni dovranno essere assegnate a uno o più fondi destinati a famiglie e imprese». Per Ciccanti, l'intesa raggiunta con il Governo è positiva: «È stato rafforzato il terzo pilastro, viene promossa l'equità attraverso la crescita». Grazie alle nuove misure si coniugano, spiega, «rigore, equità e crescita». «Si tratterebbe di una buona notizia, se non fosse una presa in giro delle famiglie italiane». Così il Codacons commenta la decisione del governo di non aumentare l'Iva al 10%, compensando il minor gettito con il salto della riduzione delle aliquote Irpef. «La riduzione di gettito per non aver ritoccato l'aliquota del 10%, infatti, - prosegue l'associazione - é di 2,324 miliardi, a fronte di un maggiore entrata che, per la sola mancata diminuzione di un punto delle prime due aliquote Irpef é pari, per il 2013, a 4,271 mld, ossia quasi il doppio». Il Governo, quindi, dice ancora il Codacons, «avrebbe maggior spazio per non ritoccare anche l'aliquota del 21% se non volesse nuovamente intervenire a favore delle imprese, riducendo il cuneo fiscale. Un errore, questo, colossale. Monti, infatti, si ostina a dare ossigeno ad imprese che non possono guarire fino a che gli italiani non ricominceranno ad acquistare i loro prodotti. Ecco perché andrebbero indirizzate tutte le risorse che si rendono disponibili alle famiglie e soltanto a loro».
Il ponte sullo stretto (6 novembre 2012).
Il progetto ponte di Messina - che non ha mai superato la fase degli studi preliminari - è costato finora alle casse pubbliche 13 milioni di euro, molti meno dell'1.3 miliardi di euro di contributi pubblici messi in preventivo dal Cipe. A dare le cifre è l'amministratore unico di Anas e ad della società "Stretto di Messina" spa, Pietro Ciucci, che nel corso di una audizione alla Commissione Lavori pubblici del Senato nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulla realizzazione dell'opera ha confermato ll concreto interesse dei cinesi a costruire l'infrastruttura. Tra la società Stretto di Messina e la cinese Cccc (China communication costruction company), ha spiegato Ciucci, «c'è un memorandum of understanding». L'ad ha anche precisato che il documento da lui citato «non è un contratto o un impegno, ma testimonia un sentiment di interesse del mercato». «C'è un verbale fatto alla fine di un incontro che c'è stato a Istanbul in cui si afferma l'interesse a realizzare» il ponte sullo Stretto. «Il saldo per la finanza pubblica é perfino positivo», ha poi sottolineato l'amministratore unico di Anas ripercorrendo le tappe progettuali, perché rispetto ai 1.300 milioni di euro di contributi a fondo perduto «il Cipe aveva previsto un'erogazione di rate tra il 2009 e il 2013», e finora «é stata versata solo la rata del 2009 di 13 milioni, mentre quelle del 2010 e 2011 sono scadute e non sono state mai versate». Al momento, dunque, il ponte che non c'è è costato meno di quanto stabilito, ma ha comunque fatto bene all'economia siciliana, con «ricadute occupazionali, di riqualificazione delle aree, di potenziamento della rete infrastrutturale, di ricerca scientifica», ma anche sul fronte della credibilità internazionale. Per Ciucci, i «benefici» dell'opera superano «i costi anche nelle ipotesi più sfavorevoli e restrittive». Effetti positivi in particolare si registrano sul fronte occupazione, con un un «impegno medio di 3.500 uomini in modo diretto, quasi 900 di personale indiretto». Al momento di massimo impegno per la realizzazione della infrastruttura, la stima degli occupati salirà a 6.500 persone, «di cui una parte molto importante sarà reperito in Sicilia e in Calabria». Ciucci ha poi ricordato che «Se l'opera non si fa, tutti gli investimenti fatti finora andrebbero cancellati dal bilancio della società "Stretto di Messina" Spa e, senza indennizzi, «tale cancellazione causerebbe una perdita con ricadute sul bilancio di Anas, che detiene l'80% della società». Stretto di Messina Spa ha già stipulato una serie di contratti e che le penali derivanti dalla loro revoca ammonterebbero a 250 milioni.
Obama e il debito (8 novembre 2012).
Obama e la moglie Michelle dopo la vittoria per il secondo mandato.
Barack Obama non ha ancora smaltito la sbornia del 6 novembre 2012 per i festeggiamenti delle elezioni che gli aggiudicano la guida degli Stati Uniti per altri quattro anni, che puntuale arrivano i colpi dalle agenzie di rating. Fitch ha sentenziato che se Obama non risolve lo spinoso tema del fiscal cliff (il precipizio fiscale che incombe sugli Usa dato che da gennaio 2013 scadono gli sgravi fiscali approvati da Bush e prorogati dallo stesso Obama e si teme una ricaduta sul PIl tra il 3 e il 4%), la tripla A potrebbe cadere. Anche Moody's si è detta pronta a un downgrade. In questo caso l'agenzia statunitense ha puntato il dito sull'altro tallone d'Achille dell'economia a stelle e strisce: il debito pubblico che continua a crescere a causa di disavanzi annui via via più corposi. Complice la crisi finanziaria (e il salvataggio delle principali banche Usa), l'onda d'urto del piano Tarp da 700 miliardi di dollari e le tre manovre di quantitative easing in tre anni, il debito statunitense è balzato oltre i 16mila miliardi di dollari. Moody's non è andata per il sottile: se gli Usa non stabilizzeranno il debito perderanno il proprio rating. Non si è ancora pronunciata, invece, la terza grande società di rating, Standard and Poor's, che però ha tagliato la Tripla A agli Stati Uniti più di un anno fa. Insomma debito pubblico e fiscal cliff, ovvero tematiche fondamentali, tornano immediatamente sotto i riflettori una volta smaltita l'indigestione del marketing politico e degli slogan ad effetto che tanto il vincitore Obama, quanto lo sconfitto Mitt Romney hanno utilizzato nella campagna elettorale. Cosa c'è da aspettarsi adesso se Obama non riuscirà a prendere di petto i due macigni che pesano sull'economia americana? I democratici dovrebbero meditare sul fatto che le elezioni usa non sono state vinte da Obama, ma perse da Romney. Obama, infatti è un presidente che in quattro anni ha aumentato il debito del 50%, non è riuscito a far scendere la disoccupazione al di sotto del 7,8%, e non ha presentato un piano serio per ridurre l'esplosione futura delle spese sanitarie per gli anziani (il cui fondo diventerà insolvente tra 11 anni); era un presidente facilmente battibile. Cosa succederà se il prossimo anno la prima economia del pianeta incasserà il downgrande di Moody's e di Fitch? Passiamo al setaccio le incognite che pesano sul secondo mandato di Obama e come potrebbero reagire i mercati finanziari e il cambio euro/dollaro. Alla fine dell'anno mancano sei settimane, quelle che Obama ha a disposizione per mettere d'accordo Camera (a maggioranza repubblicana) e Senato (a maggioranza democratica) sulla riforma fiscale. In assenza di novità, a gennaio scadranno sgravi fiscali per complessivi 500 miliardi (a cui aggiungere 100 miliardi di spese in meno) che secondo gli esperti potrebbero avere un impatto del 3-4% sull'andamento del Pil. «La sensazione è che alla fine ci sarà un accordo - spiega Keith Wade, chief economist and strategist di Schroders -. Perché nessuno dei due partiti vuole assumersi la responsabilità di far cadere l'economia in recessione. Sembra esserci un accordo generale sulla proroga dei tagli fiscali approvati da Bush. Ma pare che Obama non abbia intenzione di estendere i tagli ai ricchi, comportando un inasprimento fiscale pari a circa lo 0,5% del Pil». La maggior parte dei nostri media suona la grancassa per la vittoria di Obana, ma c'è poco da festeggiare e molto di cui preoccuparsi.
DRAGHI: economie deboli anche nel 2013 (9 novembre 2012).
Mario Draghi
L'attività economica nell'Eurozona rimane debole e pare destinata a restare tale anche nel 2013 ma continuerà a essere sostenuta dalla politica monetaria della Bce. Lo ha dichiarato il presidente dell'Eurotower, Mario Draghi. Secondo Draghi le più recenti analisi economiche "non segnalano miglioramenti fimo alla fine dell'anno, ma la fiducia dei mercati finanziari è migliorata grazie alle misure varate dalla Bce. Subito dopo l'annuncio delle OMTs (Outright Monetary Transactions) il clima sui mercati è migliorato. Alcuni esempi sono il ritorno dei flussi dal resto del mondo, in particolar modo dai fondi money market degli Usa, un travaso dei prestiti dall'unsecured al secured, un lieve aumento delle emissioni di obbligazioni da parte delle aziende e limitati collocamenti di bond denominati in dollari da parte di istituzioni europee.
Draghi ha quindi avvertito che le riforme strutturali sono cruciali per stimolare l'occupazione e rendere sostenibili gli sforzi di consolidamento fiscale nell'Eurozona e ha aggiunto che "visibili progressi sono stati fatti per correggere i costi unitari del lavoro, ma occorre garantire ulteriori misure per aumentare la flassibilità del mercato del lavoro e la mobilità".
Il presidente della Bce ha sottolineato che la crisi del debito europea non è stata una diretta conseguenza della crisi dei mutui ma è sorta dalle "politiche insoddisfacenti che alcuni paesi stavano portando avanti in quel momento. Anche la frammentazione dell'Eurozona, evidenziata dagli elevati spread pagati da alcuni paesi è derivata dagli errori politici compiuti in passato che ora vanno corretti. Contrastare questa frammentazione che impedisce un'adeguata trasmissione della politica monetaria" è la priorita' della Bce, ha dichiarato Draghi rilevando che l'annuncio del piano di acquisto bond della Banca centrale ha portato miglioramenti sensibili sui mercati tra cui un aumento della domanda per i titoli di stato di Italia e Spagna, due paesi che hanno "soddisfatto quasi del tutto il fabbisogno di finanziamenti per il 2012" offrendo segnali "incoraggianti".
Infine, sul caso Grecia il presidente della Banca centrale ha giudicato l'approvazione delle misure di austerità da parte del Parlamento come "un passo molto importante". Sugli aiuti alla Grecia la Bce "in linea di massima ha fatto quello che doveva", ha detto Draghi a chi gli chiedeva cosa può fare l'Eurotower per la sostenibilità del debito greco. Più nel dettaglio ha spiegato che la Bce, come è noto, non puù finanziare direttamente gli stati e dunque non può partecipare a un 'haircut', ad una riduzione del debito, perchè sarebbe un "finanziamento monetario".
Debiti sovrani: incubo di oggi e domani (10 novembre 2012).
Il debito della prima economia del pianeta, gli Stati Uniti, ammonta a 16mila miliardi di dollari (il 140% del Pil);la cifra esatta andrebbe aggiornata al ritmo di 3,5-4 miliardi al giorno. Poi c'è il Giappone, la terza economia del pianeta, che ha un debito superiore ai 10milia miliardi di dollari (più del doppio rispetto al Pil). L'Italia, che in questo momento è l'ottava economia del mondo, incalzata da India, Canada e Russia, ha ormai raggiunto la soglia dei 2mila miliardi di euro (oltre 2.500 miliardi di dollari al cambio euro/dollaro di 1,28) che, in prospettiva (considerate le stime calanti del Prodotto interno lordo nel 2012) dovrebbe attestarsi al 126% del Pil. La lista dei Paesi fortemente indebitati è lunghissima. In questo momento tra i 20 Paesi primi nella classifica del Pil si nota una correlazione tra debito e livello di potenza. Come dire che, con qualche eccezione, gli Stati più forti sono anche i più indebitati. E, a giudicare dalle prospettive sull'andamento dell'economia nei prossimi anni (negli Stati Uniti pesa l'incubo del precipizio fiscale mentre la cancelliera Angela Merkel non ha usato mezze misure nel dire che la crisi europea potrebbe durare anche altri cinque anni) è ragionevole ipotizzare che, nonostante le varie misure di austerity in atto, il livello di indebitamento medio sia destinato a salire. Questa ipotesi è corroborata da un report dell'agenzia di rating Standard and Poor's (Global Aging 2010: An Irreversible Truth) secondo cui nel 2060 il 60% dei Paesi andrà in bancarotta. Fra meno di 50 anni gli Stati Uniti dovrebbero veder crescere il proprio debito al 415% del Pil (rispetto all'attuale 140%). Insomma, stiamo davvero andando verso la più grande bolla dei debiti della storia? È ormai fantascienza ipotizzare che i Paesi più sviluppati rientreranno in futuro dei propri debiti o, invece, è più logico aspettarsi che continueranno ad aumentare la loro esposizione verso creditori interni (famiglie e risparmiatori) o esteri? Ciò è tenicamente possibile in un sistema monetario, come quello statunitense, dove nel momento in cui la Federal Reserve stampa moneta, la presta di fatto allo Stato trasformando immediatamente la stessa moneta in debito. I debiti non verranno mai ripagati, la questione cruciale è fare in modo che siano sostenibili. Innanzitutto occorre cambiarne il trend, in toeria semplicemente riducendone lo stock in relazione al Pil con politiche economiche adeguate. Da una parte con il consolidamento fiscale: riduzione del fabbisogno annuo e come deciso per i Paesi dell'eurozona, con bilanci pubblici in pareggio. Allo stesso tempo con una politica monetaria accomodante come nei casi inglese, statunitense e giapponese dove letteralmente si monetizza il debito. Ma anche in maniera meno diretta consentendo un'inflazione superiore ai tassi nominali che i governi pagano sul debito. In sintesi, la politica monetaria deve in questo frangente innanzitutto scongiurare il rischio deflazionistico che porterebbe all'insostenibilità del debito nel medio termine. Purtroppo i debiti continueranno ad essere da freno per la crescita, ma la paura dei mercati riguardo il problema di debiti pubblici è sovrastimato. Tutte le istituzioni mondiali e nazionali stanno lavorando su questa questione più di ogni altra. Sembra sempre più difficile pensare che si possa ripagare questa mole di debito con mezzi convenzionali: è talmente elevato che necessita sostanzialmente di più di una delle seguenti condizioni: 1) una crescita economica che sia forte e più elevata del costo del debito da pagare e che quindi riesca a generare avanzi di bilancio elevati per abbattere il debito: 2) un tasso di inflazione che abbatte in termini reali lo stock di debito e consente di operare quella che tecnicamente viene identificata come "financial repression": tassi di interesse reali negativi inadeguati al merito di credito del debitore ed al livello di inflazione che crea la condizione per cui chi acquista i titoli di stato volontariamente paga una tassa per abbattere il debito. Esempio molto semplice: chi compra un treasury americano a tre anni che rende 0,33% o anche il decennale all'1,6% paga volontariamente un proprio contributo all'abbattimento del debito americano dato che l'inflazione è tra 1,7 e 2%; 3) una qualche forma di ristrutturazione (delle durate o delle cedole), o cambiamenti delle regole del mercato o distorsione del mercato stesso con acquirenti di ultima istanza che sostengono arbitrariamente le quotazioni: in questa categoria rientrano le azioni di monetizzazione che attualmente le banche centrali stanno effettuando per sostenere la domanda che il libero incontro sul mercato non riesce a trovare acquirenti. Come giudicare se un debito è veramente sostenibile? Il modo migliore e la prima regola semplice per tenere sotto controllo e poi diminuire il debito di un Paese è di avere una buona crescita economica. Ossia una crescita della ricchezza del Paese che sia superiore al costo del debito e quindi ai rendimenti reali dei titoli di stato (rendimento nominale – inflazione). Per esempio, gli Usa con una crescita reale del Pil del 2% circa (ed una crescita potenziale non inflattiva tra il 2.5%-3.5%) e dei rendimenti reali negativi, passa questo primo esame e se Obama riuscirà finalmente ad approvare un piano di rientro dei deficit credibile sul medio lungo termine, non ci saranno problemi. Da noi invece la situazione è ben diversa: ormai sono anni che l'Italia cresce nel migliore dei casi allo 0,qualcosa% e cade in recessione nei momenti di crisi, mentre i rendimenti reali dei titoli di stato italiani sono ancora positivi e ben superiori alla nostra crescita economica. Alla fine è il buon senso che deve prevalere: se spendo i deficit per consumare anziché per investire e produrre ricchezza con cui ripagare i miei debiti, prima o poi il sistema diventa insostenibile. In Italia per anni si è fatto esattamente il contrario, si sono tagliati gli investimenti per tenere sotto controllo una mole di debito generata per finanziare spese correnti improduttive…prima o poi bisogna cambiare il sistema».
Monti: evasione fiscale e nepotismo nel dna degli italiani (11 novembre 2012).
«Alcune pratiche, profondamente radicate nella mentalità italiana, come l'evasione fiscale o il nepotismo, non sono degne di un Paese sviluppato membro del G7 e che è la seconda potenza industriale d'Europa». Lo ha detto il premier, Mario Monti, in un'intervista al trimestrale francese, Politique Internationale. «Spero di aver contribuito a rendere gli italiani meno tolleranti rispetto agli abusi di potere e alla corruzione, e più rispettosi nei confronti dei loro doveri civici, a partire da quello che consiste nel pagare le tasse», prosegue Monti. Monti torna anche sulla necessità di una continuità sul fronte delle riforme. Sarà «difficile tornare indietro e sono rassicurato dal fatto che un gran numero di responsabili politici si sia impegnato a continuare su questa strada virtuosa. Anche perché queste riforme godono del sostegno degli italiani che si rendono conto che in passato, non sono state fatte sempre le scelte giuste e che questi sacrifici sono necessari per creare occupazione a beneficio delle generazioni presenti e future». Alla richiesta dell'intervistatore di chiarire le parole pronunciate a New York il 27 settembre , pochi giorni prima dell'intervista (il premier aveva detto che in «circostanze speciali» avrebbe potuto valutare l'ipotesi di un bis a Palazzo Chigi), Monti ha risposto: «Ciò che ho detto di recente è che, nell'ipotesi in cui risultasse impossibile costituire una maggioranza, io ci sarò. E se sarà necessario continuerò». Ma, ha proseguito, «come ho detto molte volte l'Italia deve ritrovare la via di un processo democratico normale e non c'è alcun motivo per cui questo scrutinio non consenta di esprimere una maggioranza in grado di governare». Alla domanda su come veda l'Italia tra dieci anni, Monti ha risposto: «Sono ottimista. Le azioni intraprese proseguiranno e continueranno a portare i loro frutti. Gli italiani si rendono conto che chi evade il fisco è un ladro. Ruba nelle tasche dei cittadini onesti, che sono costretti a pagare di più. Hanno capito che queste abitudini macchiano la reputazione del Paese». In un intervento telefonico al convegno La società civile si incontra e propone il premier aveva espresso invece un monito ai partiti. «Chi mi succederà dovrà seguire la strada del rigore», della crescita e dell'equità sociale percorsa dal Governo tecnico. Monti ha chiesto «meno attenzione a leadership e organigrammi» e maggiore attenzione «ai contenuti». Sul problema del nepotismo Monti forse non sarebbe autorizzato a parlare, essendo figlio di banchiere e nipote di Raffaele Mattioli.
La classifica sul miglior posto di lavoro (14 novembre 2012).
Nella classifica stilata dal Great Place to Work Institute, Sas, gigante del software, famoso soprattutto per la business intelligence, è riuscito a scalzare Microsoft, quest'anno retrocesso dalla prima alla quinta posizione, nella classifica mondiale delle grandi imprese nelle quali il dipendente è più felice. Un declassamento che non deve far molto piacere al colosso di Redmond perché al secondo posto c'è Google, che ad ottobre ha superato Microsoft anche per capitalizzazione di mercato. I criteri per stilare la classifica prevedono che la società sia compresa in minimo cinque classifiche nazionali di Great Place to Work e abbia almeno il 40% dei dipendenti (che in totale devono essere più di 5mila) dislocato al di fuori del Paese in cui c'è l'headquarter. GPTW, che studia da più di vent'anni la qualità dell'ambiente organizzativo delle imprese e offre servizi diagnostici e di consulenza, è presente in 46 Paesi nel mondo (in Italia dal 2001) dove stila annualmente le graduatorie delle migliori aziende per cui lavorare. Non solo su base nazionale, ma anche europea e – appunto – mondiale.
Qualcuno penserà che trattasi pur sempre di una graduatoria etica e che le aziende, di questi tempi, hanno ben altri numeri a cui pensare. Il punto però è che il work-life balance è sempre più una questione economica. Lo chiamano Fattore F (come felicità) e, secondo una serie di articoli pubblicati dalla Harvard business review, è un ottimo generatore di performance professionali. Com'è noto, alcune indagini sostengono che i dipendenti "felici" abbiano una produttività del 31% superiore alla media. Non solo: vendono il 37% in più e possiedono una creatività tripla di chi invece si dichiara insoddisfatto. «Abbiamo analizzato la performance finanziaria delle migliori imprese dal 97 al 2010 - conferma Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work Italia - ed è in media tre volte superiore all'andamento di mercato».
A giudicare l'ambiente di lavoro, sono proprio i dipendenti. Le promozioni vanno a chi le merita di più? Qui è possibile lavorare divertendosi? Le persone sono pronte a dare qualcosa in più per portare a termine il lavoro? È rispondendo a domande di questo tipo che i lavoratori decidono il posto in graduatoria della loro azienda. Cinquantanove domande su macrotemi come credibilità, rispetto, equità, orgoglio e cameratismo. «In tutti questi anni abbiamo valutato 5.500 organizzazioni in tutto il mondo distribuendo 3 milioni e mezzo di questionari - precisa Zollo -. Il punteggio finale dipende per due terzi dalle risposte dei lavoratori e per un terzo dalle valutazione effettuate da noi sulle politiche e pratiche di gestione delle risorse umane». La classifica, che vanta oggi 25 anni di storia, trae le sue origini da un'intuizione di Fortune che chiese a due giornalisti finanziari, Robert Levering e Milton Moskowitz, di scrivere un libro intitolato "The 100 Best Companies to Work for in America". Una missione che i due definirono «improbabile» ma su cui oggi si basa il business di questa società fondata nel 1992. La fiducia, secondo GPTW, è la chiave di tutto. Come quella che un certo Larry Page diede a un gruppo di ingegneri della grande G per un «20% time project». I tecnici di Google potevano (e possono tuttora) impiegare il 20% del loro tempo per lavorare su qualsiasi cosa a loro piacimento, con autonomia di tempo, obiettivi, squadra e tecnica. Sono nati così Gmail e Google News.
La classifica mondiale è la seguente.
1. Sas Institute.
2. Google
3. NetApp
4. Kimberly-Clark
5. Microsoft
6. Marriott
7. FedEx Express
8. W.L. Gore and Ass.
9. Diageo
10. Autodesk.
In Italia la GPTW Italia per le grandi imprese ha stilato la seguente classifica.
1. Elica.
2. Fater
3. FedEX Express Italia
4. Unilever Italia
5. McDonald's Italia
6. Eli Lilly Italia
7. Leroy Merlin Italia
8. Decathlon Italia
9. Unieuro
10. Carglass.
Mentre per le piccole e medie imprese è la seguente.
1. Tetra Pak.
2. Cisco S. Italia
3. Microsoft Italia
4. Nissan Italia
5. W.L. Gore e Ass. Italia
6. National Instruments Italia
7. PepsiCo Italia
8. ConTe.it - Admiral Group
9. Gruppo Quintiles
10. Medtronic Italia.
Eurozona in profonda recessione (15 novembre 2012).
Il Pil dell'Eurozona nel terzo trimestre, riferisce Eurostat, è stato negativo a -0,1%, dopo il -0,2% del secondo e la crescita zero del primo. È la seconda volta in tre anni che l'Eurozona entra ufficialmente in recessione (si indica un ciclo di recessione economica quando si registrano due trimestri consecutivi con Pil negativo). Anche l'Italia in recessione con -0,2%, mentre la Germania frena più delle attese, con una crescita del pil dello 0,2%, come la Francia. Spagna in negativo, con -0,3%. I previsori della Bce hanno rivisto al ribasso le stime del Pil dell'Eurozona, mentre hanno corretto al rialzo quelle relative all'inflazione e alla disoccupazione per il 2012 e il 2013. Le nuove previsioni contenute nel bollettino diffuso oggi indicano per la crescita economica di quest'anno una contrazione dello 0,5% per quest'anno (più del -0,3% previsto tre mesi fa) e per il prossimo anno un rimbalzo limitato allo 0,3% (esattamente la metà di quanto contenuto nel bollettino di tre mesi fa). Gli esperti della Bce hanno rivisto in calo anche le stime sul Pil del 2014, a +1,3% da +1,4%. Per quanto riguarda l'inflazione le nuove indicazioni parlano di 2,5% per quest'anno (corretto da 2,3%) e 1,9% per il prossimo (1,7%). «Progressi evidenti sono stati compiuti nella correzione del costo del lavoro per unità di prodotto e degli squilibri delle partite correnti. Tuttavia, occorrono ulteriori misure per accrescere la flessibilità e la mobilità nel mercato del lavoro in tutta l'area». Tali misure strutturali, aggiunge la bce, «inoltre servirebbero a integrare e favorire il riequilibrio delle finanze pubbliche e la sostenibilità del debito. La Banca centrale europea ribadisce di essere pronta ad intervenire con il suo piano di acquisti calmieranti di titoli di Stato (Omt), operazioni che se avviate contribuiranno «a scongiurare scenari estremi, limitando quindi nettamente i timori circa il concretizzarsi di forze nefaste», dice la Bce. Da mesi il presidente Mario Draghi insiste sulle condizionalità legate a queste possibili operazioni, ovvero alla necessità che gli eventuali paesi beneficiari attivino un programma di aiuti presso l'Ue. «Il Consiglio direttivo - dice ancora il bollettino - resta fermamente impegnato a preservare l'unicità della propria politica monetaria e ad assicurare l'adeguata trasmissione del relativo orientamento all'economia reale di tutta l'area».
Draghi: meno tasse e più tagli (15 novembre 2012).
Quello che stiamo dicendo da un anno su IMPRESA OGGI, viene ribadito oggi anche da Draghi. Il consolidamento della finanza pubblica, vale a dire il risanamento del Paese, deve essere basato sul calo della spesa corrente e non sull'aumento delle tasse è infatti il messaggio lanciato dal presidente della Bce, Mario Draghi, nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico della Bocconi. «L'anno che sta per terminare sarà ricordato, non solo per la crisi del debito sovrano e delle sue ripercussioni sull'euro e la sua conseguente debolezza, ma anche per le risposte date dalla Bce, dai governi e dall'Unione Europea» ha aggiunto Draghi. «In Europa per lungo tempo sono state adottate politiche economiche sbagliate o si è assistita ad una inazione da parte dei paesi. La crisi ha messo in evidenza gli errori commessi in passato. La Bce interverrà a favore solo di quegli Stati che accettano di seguire un programma ben preciso. Spetta ancora ai governi lo sforzo maggiore per il recupero della credibilità. Servono i 4 pilastri: prima l'unione bancaria, poi quella fiscale, quella economica e infine quella politica. È importante capire che la stabilità finanziaria è nell'interesse di tutti e in primis dei paesi creditori. L'Europa emergerà rinvigorita dalla crisi. I tassi d'interesse non possono e non devono essere identici ma non è accettabile avere disparità rilevante a causa della frammentazione del sistema finanziario e della presunta disgregazione dell'area dell'euro» ha concluso Draghi. «Nessun Paese è autorizzato a fare politiche che possano danneggiare gli altri» aveva detto in precedenza il presidente della Bce, e a questo si è poi richiamato il presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenuto subito dopo Draghi per dire che, «come giustamente richiamato dal Presidente della Bce, nell'essenza dell'etica della costruzione europea, nessuno può prevalere sugli altri. L'attività di governo, in questo momento di grave difficoltà, che non è ancora superato ma che è in corso di superamento, è un'attività rivolta ai giovani» ha sottolineato Monti. Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, da Roma dove ha partecipato agli Stati generali della Cultura, ha aggiunto: «Grazie al governo Monti abbiamo recuperato credibilità internazionale». E riferendosi anche alle speculazioni che avevano portato lo spread con i Bund tedschi a livelli record, sottolinea: «Dobbiamo scrollarci dalle spalle il peso del debito pubblico. Qui ci sono casi e modi in cui uno Stato può fallire, e non credo che nessuno voglia giocare su questo, compreso chiunque vada al governo. Alla tanta gente che ha comprato i buoni del Tesoro come facciamo a non pagare quello che ci siamo impegnati a pagare?».
Rapporto doing business: in Italia è difficile fare impresa (16 novembre 2012).
Fare impresa in Italia è davvero difficile; il nostro Paese si colloca infatti al 73 posto nella classifica redatta dalla Banca Mondiale (nel rapporto Doing Business). I problemi principali messi in luce sono l'inefficienza della giustizia e la pressione fiscale, sia in termini di oneri che di adempimenti burocratici. Anche se il contesto normativo è da considerarsi in miglioramento, gli imprenditori devono comunque confrontarsi con procedure lunghe, inefficienti e costose, specialmente su dispute giudiziarie e permessi edilizi. La decima edizione dello studio della Banca Mondiale “Doing Business” prende in esame gli indicatori sulle regolamentazioni nazionali per le imprese in 185 paesi che interessano 11 aree: dall’avvio di un'impresa, ai permessi di costruzione, al registro della proprietà, all’ottenimento del credito, alla protezione degli investitori, all’assunzione dei lavoratori fino al pagamento delle tasse. L’obiettivo del Rapporto è quello di individuare le differenze a livello territoriale nelle normative sull’attività d’impresa e nella loro attuazione all’interno di un singolo Stato, fornendo dati sulla facilità nel fare impresa e valutazioni sulle differenze a livello territoriale.
Nella graduatoria sull’agilità di fare impresa si va dal primo posto saldamente occupato per il settimo anno consecutivo da Singapore, al 185esimo occupato dalla Repubblica Centro Africana. Al secondo, terzo e quarto posto si collocano rispettivamente, Hong Kong, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Tra i primi 10 paesi europei ci sono Danimarca (5a), Norvegia (6a) e Regno Unito (7o). Con riferimento ai Paesi europei la Germania è al 20esimo posto, la Francia al 34esimo e la Spagna al 44. L’Italia si colloca in 73 esima posizione. Quali sono i dati medi globali? Il tempo medio a livello mondiale necessario per aprire una nuova impresa è di 30 giorni (é di 6 giorni in Italia e di 3 a Singapore) e quello per trasferire la proprietà è diminuito dal 2005 di 35 giorni, da 90 a 55 giorni, con il relativo costo calato di 1,2 punti percentuali dal 7,1 al 5,9% del valore della proprietà stessa. Concentrando l’attenzione sul nostro Paese la Banca mondiale nota che se in ciascun settore si adottassero le prassi in vigore nelle città più virtuose il posizionamento dell'Italia nella graduatoria migliorerebbe di 17 volte, avvicinandoci alla media dei Paesi dell'Ocse. Ma quali sono i maggiori limiti del nostro Paese? Il settore in cui l’Italia fa registrare la performance peggiore è la giustizia. Dai dati emerge infatti che procedure, tempi e costi per far rispettare un contratto collocano l’Italia al 160° posto; secondo il rapporto della Banca Mondiale occorrono 1.210 giorni per risolvere una controversia commerciale contro una media OCSE di 510. Vi è poi sicuramente la pressione fiscale per cui ci collochiamo addirittura al 131 esimo posto. Secondo il Rapporto nel complesso le tasse per le imprese italiane ammontano infatti al 68,3% dei profitti; in un anno si devono prevedere poi 15 pagamenti, per un totale di 269 ore dedicate agli adempimenti. Altro onere eccessivo evidenziato è rappresentato dai servizi professionali (in particolare i costi notarili) che rappresentano in media il 72,2 per cento dei costi per avviare una impresa. Lo studio ha analizzato e confrontato poi la situazione di 13 città italiane (Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L'Aquila, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Potenza, Roma e Torino): la città media italiana si piazza 96esima tra 185 economie mondiali del rapporto generale Doing Business. Andando a una rapida disamina Campobasso è la città dove è più complicato avviare una nuova attività, Bari è indietro sui tempi per la soluzione delle dispute commerciali (Torino è al primo posto), Bologna fa progressi sui tempi per ottenere permessi edilizi, mentre a Catanzaro o Padova è più facile avviare una attività di impresa. Genova si distingue per l'efficienza del porto, che registra buone performance anche a Catania. Potenza e Palermo sono le città dove è più difficile ottenere permessi edilizi, mentre accanto a Roma sulle difficoltà di trasferimenti di proprietà immobiliari compare Padova.
Anche l'export va male (16 novembre 2012).
Per trovare un dato peggiore bisogna tornare al dicembre del 2009. Il calo tendenziale del 4,2% per le nostre esportazioni di settembre abbatte l'ultimo punto forte della nostra economia, confermando le difficoltà crescenti del Paese nel ritrovare il sentiero della crescita. La "colpa" in questo caso non è nostra ma dell'Europa. Le politiche di austerità colpiscono un po' ovunque ma il punto di svolta vero è in Germania, che riduce di ben il 10,3% gli acquisti di nostri prodotti, con un calo mensile di 453 milioni di euro e un bilancio ora negativo anche da inizio anno. A settembre i Paesi Extra Ue avevano già manifestato una discreta debolezza, affondati dai segni meno a doppia cifra di Cina e India. Ma è l'Europa, con un calo tendenziale del 7,6% a determinare l'inversione di tendenza delle nostre vendite. Crolla la Germania ma a flettere sono anche Francia e Spagna, principali sbocchi del nostro export. Resiste solo il Regno Unito, con un magro +1%. Tra i settori, solo poche eccezioni come alimentare e farmaceutica. Per il resto è una lunga sequenza di segni meno, con cali pesanti per tessile, abbigliamento, elettronica e gomma-plastica. In frenata di quasi sei punti anche il baluardo della nostra meccanica, il comparto dei macchinari, che tuttavia dall'inizio dell'anno presenta ancora un bilancio positivo. La frenata dell'export, confermata anche su nase congiunturale con un calo del 2%, si accompagna a un rallentamento ancora più brusco per le importazioni, giù del 10,6% su base globale, addirittura del 13% per le merci acquistate dall'Europa. Si rende così sempre più evidente la cinghia di trasmissione che lega le economie continentali: l'Italia compra meno dalla Germania, le fabbriche tedesche lavorano meno, a loro volta riducono gli acquisti di componentistica italiana. Mi dice un amico imprenditore " Cambiavo la mia Audi ogni 150.000 km, ora la cambio ogni 250.000 km. Ma il mio export con la Germania è calato del 15% in un anno". Unico aspetto positivo messo in evidenza dal Rapporto dell'Istat è il miglioramento del saldo commerciale, salito a + 408 milioni di euro, con un miglioramento di oltre due miliardi rispetto al passivo del settembre 2011. Vedi rapporto ISTAT.
La Francia perde la tripla A. Outlook sempre negativo per l'Italia (20 novembre 2012).
L'agenzia di rating Moody's ha annunciato di aver tagliato il rating della Francia portandolo ad «AA1» dalla precedente tripla «A». Lo ha reso noto l'agenzia in una nota in un cui spiega di aver anche mantenuto sul Paese l'Outlook negativo. «Le riforme annunciate dalla Francia sono state insufficienti per ristabilire la competitività» così Moody's ha motivato il suo downgrade. Immediato il commento del ministro delle Finanze francese , Pierre Moscovici, secondo cui la decisione di Moody's rappresenta «una sanzione alla gestione del passato» che incita l'attuale governo «a mettere in opera rapidamente le riforme».
Le prospettive del sistema bancario italiano restano negative e i trend avversi sul settore «restano evidenti». Gli istituti di credito italiani si trovano ad agire in condizioni operative difficili, e sono alle prese con un ulteriore deterioramento della qualità degli asset e un ristretto accesso al mercato per i finanziamenti. Impietosa la fotografia di Moody's, secondo la quale molti di questi fattori «avversi» si sono intensificati nel corso del 2012 e questo trend «probabilmente continuerà». Anche se le banche italiane hanno «rafforzato le proprie posizioni di capitale, i livelli di capitale restano vulnerabili e al di sotto di quelli degli altri grandi sistemi bancari europei». L'insieme di continui sviluppi negativi, «alcuni dei quali al di là delle aspettative di Moody's, e i continui rischi al ribasso, sono alla base dell'outlook negativo e delle pressioni sul sistema bancario italiano». Le condizioni operative delle banche italiane sono «difficili e rimarranno tali per i prossimi 12-18 mesi. L'agenzia di rating prevede che il pil italiano si contrarrà fra il 2 e il 3% nel 2012» mentre nel 2013 resterà invariato o calerà dell'1%, con rischi recessivi al ribasso. La qualità degli asset, già su livelli deboli, e prevista deteriorarsi ulteriormente: «La recessione in corso è il fattore chiave di questo deterioramento. La redditività già modesta continuerà a indebolirsi» e a questo si aggiunge il fatto che le pressioni dall'area euro continueranno a «restringere l'accesso delle banche al mercato». Anche se questo trend si è allentato negli ultimi mesi, Moody's ritiene che difficilmente si «normalizzerà» nell'orizzonte temporale dell'outlook.
Nulla di fatto per gli aiuti alla Grecia (21 novembre 2012).
Nulla di fatto per gli aiuti alla Grecia; la riunione fiume dell'Eurogruppo (il coordinamento dei ministri dell'Economia dell'Eurozona), terminata alle 5 del mattino dopo 12 ore di discussioni, non ha raggiunto l'obiettivo di sbloccare gli aiuti alla Grecia. Arrivare a un accordo «non è stato possibile», ha detto il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker, che ha annunciato ufficialmente per lunedì 26 novembre una nuova riunione per dare la possibilità di approfondire dettagli tecnici del pacchetto di misure per ridurre il debito greco. A fare saltare l'intesa sarebbero state le resistenze tedesche. L'Eurogruppo puntava a un accordo politico complessivo sugli aiuti alla Grecia. Dopo che con le emissioni di titoli della scorsa settimana Atene ha fatto fronte alle scadenze immediate, il secondo pacchetto di aiuti deciso nei mesi scorsi dai partner (per 130 miliardi) prevede che entro la fine dell'anno la troika (Ue, Bce, Fmi) provveda a finanziamenti per 44 miliardi. Il nodo su cui si cerca l'intesa riguarda la sostenibilità del debito, pari a oltre il 160% del Pil e previsto fino al 190% nel 2014, che dovrebbe diminuire fino al 120% entro il 2020. Il Fondo monetario internazionale è contrario a una proroga di tale scadenza mentre i partner europei si erano espressi a favore della concessione di un paio d'anni in più. Nelle discussioni a 17 (con la partecipazione degli altri esponenti della troika, il direttore generale del Fmi Christine Lagarde e il presidente della Bce Mario Draghi) sono emerse diverse ipotesi per arrivare a un accordo, dalla sospensione per 10 anni dei pagamenti degli interessi sui prestiti forniti alla Grecia dal fondo salva stati Efsf, che comporterebbe risparmi per 44 miliardi, a un «buy back» del debito da parte delle istituzioni finanziarie private diverse dalle banche, per 35/40 miliardi, con un'offerta di 30 centesimi per ogni euro di debito. La terza ipotesi prevede il drastico taglio dei tassi di interesse su 53 miliardi di euro di prestiti bilaterali da parte degli altri paesi dell'Eurozona.
«Le nostre posizioni si sono avvicinate, ma continuiamo lunedì», ha detto al termine della riunione Lagarde, convinta che la sostenibilità dei conti sia «la prima cosa». Nella maratona negoziale i ministri hanno comunque fatto dei progressi: «L'Eurogruppo ha identificato un pacchetto di misure credibili per contribuire in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco», ha confermato Juncker in un comunicato. Ma le trattative si sono interrotte «per consentire di approfondire alcuni elementi a livello tecnico». Ovvero: i Paesi, e in particolare la Germania, hanno bisogno di quantificare esattamente le misure per aiutare Atene a ridurre il debito. Inoltre, i ministri non sanno come colmare il gap di 15 miliardi creato dalla loro precedente decisione di concedere due anni in più sul rientro dal deficit. E nuovi aiuti sono fuori discussione.
Accordo sulla produttività (22 novembre 2012).
Monti lascia aperto uno spiraglio per la Cgil, che lascia il tavolo Governo-sindacati-imprese sull'accordo per la produttività senza siglare il documento. «Speriamo che si unisca alla sottoscrizione del documento quando lo riterrà opportuno». Il premier Monti sottolinea lo sforzo delle parti sociali per trovare un'intesa valida. Poi si rallegra «per l'eccellente e duro lavoro», ed esalta i contenuti del testo (firmato da Abi, Ania, Confindustria, Lega Cooperative, Rete imprese Italia, Cisl, Uil, Ugl), che definisce «articolato, valido e innovativo». Ora, riconosce, ci sono «le condizioni per confermare l'impegno di risorse destinato alla riduzione del cuneo fiscale del salario di produttività». Nella successiva conferenza stampa, Monti ha continuato a elogiare il risultato appena raggiunto: «Qui abbiamo chiesto alle parti di dare loro un contributo alla crescita. È un buon impiego del denaro pubblico». Dal premier, anche un altolà alle possibili polemiche sulla mancata firma di Susanna Camusso, leader della Cgil: «Nessuno pensi che ci sia stato intento di isolare alcuni rispetto ad altri, tanto è vero che siamo qui a sollecitare la firma» della Cgil.
Tutte le parti coinvolte nel "tavolo" sulla produttività, ha invece sottolineato il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, «Hanno rinunciato ad alcune legittime esigenze per favorire un accordo nell'interesse del paese». In questo senso, l'accordo sulla produttività può essere un «elemento nuovo nelle relazioni industriali. L'inizio di una nuova fase di sviluppo e occupazione». La contrattazione collettiva, ha aggiunto, «è uno strumento utile e abbiamo chiesto che la detassazione al 10% del salario di produttività venga resa stabile fino a un tetto di 40mila euro». Il confronto, iniziato poco dopo le 19.00, vedeva intorno al tavolo, oltre alle parti sociali, una fetta consistente del Governo (il premier, ma anche i ministri Fornero, Passera, Grilli, Patroni Griffi, e Moavero Milanesi). In apertura, le parole ottimistiche del premier Monti: «Siamo all'incontro conclusivo su un tema cruciale che é quello di rilanciare la produttività e la competitività per le imprese e per il sistema paese. La nostra speranza é che tutte le parti aderiscano a quanto avete elaborato e condiviso». Dal premier, anche la conferma delle risorse a disposizione, "lievitate" in seguito ad alcuni emendamenti contenuti nel ddl Stabilità 2013: dall'1,6 miliardi iniziali ai 2,1 attuali. Oltre due miliardi di euro con modalità di utilizzazione, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo Passera, «che saranno precisate in un Dpcm». «Nell'accordo - ha sottolineato ancora - ci sono cose molto concrete, ci ritroviamo molto nei principi e nella stimolazione degli accordi di secondo livello». Sull'accordo, giudizio positivo nel corso del confronto anche da parte del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «Siamo riusciti a definire quello che serve per ridare slancio al Paese, l'intesa, infatti, serve a dare forza ai salari, ecco perché insisto per detassare gli accordi di produttività. Anche lo Stato avrà più entrate». Un aspetto questo, ripreso anche il segretario generale Uil, Luigi Angeletti, che chiede al governo di rendere strutturale la detassazione dei salari di produttività «perché la mancanza di certezza rende difficile l'incentivazione e lo svolgimento del negoziato di secondo livello». Peraltro, conclude, «più l'incentivo é efficace, più ci saranno premi, più le entrate dello Stato aumenteranno». Di segno opposto la lettura di Susanna Camusso (Cgil), unico leader sindacale a non aver siglato il documento: «è stata scelta una strada sbagliata - ha spiegato nel corso dell'incontro a Palazzo Chigi - per cui il contratto nazionale non tutelerà più il potere d'acquisto dei lavoratori», concetto poi ribadito anche nella conferenza stampa separata che la Cgil ha ospitato nella sede di Corso d'Italia. L'intesa, ha spiegato Camusso, «è coerente con la politica del Governo che scarica sui lavoratori i costi e le scelte per uscire dalla crisi. Si è persa un'occasione. Le soluzioni unitarie si costruiscono, non si aderisce a posteriori, quando il tentativo numerose volte fatto di trovare una soluzione è stato respinto».
I sette punti dell'accordo sulla produttività.
1) In premessa, il documento chiede al Parlamento di rendere stabile la detassazione del salario di produttività per i redditi fino a 40.000 euro lordi con l'imposta al 10% ma anche di applicare uno sgravio contributivo sulla contrattazione di secondo livello.
2) Un'altra sollecitazione riguarda il Fisco, che dovrà diventare «più equo», e in grado di «ridurre la quota del prelievo che oggi grava sul lavoro e sulle imprese in materia del tutto sproporzionata e tale da disincentivare investimenti e occupazione».
3) Sul fronte della contrattatazione, poi, il contratto nazionale «dovrà garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori», delegando in maniera espressa l'aumento della produttività a quello di II livello sotto aspetti come la prestazione lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro.
4) Le Linee guida fissano poi al 31 dicembre 2012 la definizione di un accordo per consentire il rapido avvio della procedura per la misurazione della rappresentanza in attuazione a quanto previsto dall'accordo del 28 giugno 2011.
5) Le parti chiedono poi di rilanciare e valorizzare l'istruzione tecnico professionale e di migliorare il coordinamento tra il sistema della formazione pubblica e privata, mentre un serrato confronto con le parti sociali dovrà necessariamente precedere l'attuazione delle misure per favorire la partecipazione dei lavoratori nell'impresa, in parallelo ad uno sforzo per monitorare e rendere più omogenee le forme di welfare aziendale già realizzate.
6) Altro confronto che dovrà essere sviluppato con il Governo riguarda la verifica sugli effetti dell'applicazione della riforma del lavoro Fornero.
7) Infine, la contrattazione collettiva per la produttività dovrà esercitarsi «con piena autonomia su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge» che incidono sulla produttività stessa. Ad esempio, l'equivalenza delle mansioni e l'integrazione delle competenze ma anche «la ridefinizione del sistema di orari e della loro distribuzione anche con modelli flessibili».
Il parere de Il Sole24Ore.
Oltre due miliardi di sgravi per il salario di produttività per il periodo 2013-2015 indicano da soli l'altezza della posta in una stagione di crisi profonda, dove consumi e domanda interna ricordano flessioni da tempi post-bellici. Sarebbe però sbagliato, per dare il senso e le prospettive dell'intesa sulla produttività, fermarsi a questo pur importante numero che in definitiva apre le porte a buste paga più pesanti. Dietro questa cifra messa sul piatto dal Governo Monti c'è infatti il ruolo che le parti sociali hanno giocato, e stanno giocando, in questo momento di transizione emergenziale che l'Italia affronta. E qui il tema si allarga. Colpisce ovviamente che la Cgil non abbia sottoscritto l'accordo: continuano le "dure repliche della storia", verrebbe da dire parafrasando Norberto Bobbio, grande coscienza critica della sinistra. Ma colpisce soprattutto la ripresa d'iniziativa delle parti sociali che quasi all'unanimità, e con la spinta forte e riconosciuta della leadership confindustriale (che aveva già proposto di rinunciare agli incentivi in cambio di una riduzione immediata delle tasse), ha aperto un capitolo nuovo. Una ripresa d'iniziativa da libro non dei sogni ma realista, consapevole che bisogna scendere al piano della vita delle aziende per trovare, in una diversa e più moderna articolazione delle relazioni industriali, gli spunti per ripartire. Come dimostra del resto l'innovativo "welferismo" aziendale affermatosi quasi in silenzio negli ultimi anni, con piena soddisfazione dei lavoratori (e delle loro famiglie), e degli imprenditori. Nel Paese che storicamente fa un'enorme fatica a cambiare e a darsi obiettivi ambiziosi e condivisi, ciascuno facendo il suo mestiere, è sempre stato più facile raggiungere accordi consociativi e più "piatti". Oggi c'è chi osserva che bisognava fare molto di più sul tema del rilancio della produttività e chi, addirittura, parla di "scempio" dei diritti e di "truffa". Non la pensa così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, una vita e una storia di sinistra, che giudica l'intesa "importante" ed auspica che anche la Cgil possa aderire all'accordo. E del resto i dati sulla produttività negli ultimi vent'anni (nel 1993, ai tempi del Governo Ciampi, ci fu il grande patto sociale per la stabilizzazione della politica dei redditi in chiave antinflazionistica) mostrano il profilo di un'Italia quasi imbalsamata e chiusa a riccio. I risultati, basta guardare all'ormai famoso cuneo fiscale e ai confronti internazionali sui livelli di competitività (a partire dalla Germania che dopo le riforme ha visto forti aumenti della produttività), sono sotto gli occhi di tutti e ben visibili anche nei portafogli in termini di ridotto potere d'acquisto. Naturalmente un accordo non è una bacchetta magica. Ma vanno, infine, notati due punti. Il primo. Si mette in moto un processo che aumenta il peso della contrattazione di secondo livello e una diversa organizzazione del lavoro che chiama in causa anche le imprese, chiamate esse stesse a riorganizzarsi, a investire nel rinnovamento degli impianti e, se necessario, a reinventare la loro presenza sui mercati. Secondo. In un momento tra i più difficili della storia repubblicana, nel bel mezzo di una crisi sistemica dei partiti e sulla soglia della campagna elettorale, l'intesa sulla produttività tra le parti sociali e con il Governo è un ancoraggio solido e un'assunzione di responsabilità da classe dirigente. Davvero è buon risultato
Passa il ddl Stabilità (ex Finanziaria) (23 novembre 2012).
Il ddl Stabilità 2012 ha concluso la prima lettura alla Camera. Dopo i tre voti di fiducia espressi ieri sui tre distinti articoli in cui è al momento suddiviso l'articolato approvato dalla commissione Bilancio, l'Aula ha espresso il suo voto finale sul provvedimento che passa ora all'esame del Senato. Il voto finale ha registrato 372 sì e 73 no, 16 gli astenuti. Con l'approvazione del ddl si amplia intanto il fronte della protesta da parte delle Autonomie. Dopo gli oltre 1.000 sindaci, che alla vigilia del voto finale hanno portato in piazza a Milano il malessere delle amministrazioni locali chiamte a sopportare un pesante programma di tagli alle risorse disponibili per i servizi ai cittadini, oggi è la volta delle Regioni. «La legge di stabilità non è sostenibile, è necessario modificarla. Diversamente, iniziative forti riguarderanno non solo i Comuni ma anche le Regioni», ha spiegato il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, al termine della seduta della Camera. In particolare, per le Regioni, la legge di Stabilità è insostenibile su tre punti: la sanità, il trasporto pubblico locale e il welfare. «È la prima volta - spiega Errani - che si riduce il Fondo sanitario nazionale complessivamente di ben 2 miliardi. Solo a poche settimane dalla fine dell'anno la riduzione del Fondo è stata di ben 900 milioni. E parliamo ancora dei soldi per il 2012: tutto questo fa comprendere ai cittadini come le difficoltà in cui si dibattono le Regioni pesano sui cittadini». Problemi di bilancio anche per quanto riguarda il trasporto pubblico locale: «Viene fatto un passo indietro di 20 anni, ritornando al Fondo nazionale», spiega Errani. Per questo i governatori, oltre a decidere di indire, giovedì prossimo, una Conferenza straordinaria delle Regioni, incontreranno i gruppi parlamentari del Senato e le commissioni «per chiedere indispensabili modifiche al testo della legge di stabilità». In tal senso sono già stati preparati alcuni emendamenti. «Se le Regioni finiranno per trovarsi con bilanci non in pareggio - conclude Errani - i problemi ricadranno sui bilanci dello Stato e questo produrrà danni ancora più gravi. I cittadini devono sapere di chi sono le responsabilità di tutto questo». Molte le misure contenute nel ddl: dal blocco dell'aumento dell'aliquota Iva al 10% (che sarebbe dovuto salire all'11% da luglio 2013), all'incremento delle detrazioni per i figli a carico. Il ddl stanzia anche fondi per il credito d'imposta a favore delle pmi e amplia la platea degli esodati, arrivando a tutelare un totale di oltre 130mila lavoratori, grazie all'eliminazione del taglio dell'Irpef, che determina un risparmio di 16,6 miliardi di euro.
La troika: dimezzare il debito greco (26 novembre 2012).
La Bce ed il Fmi avrebbero chiesto un drastico taglio del debito della Grecia, pari alla metà, per salvare Atene ancora in attesa del prossimo miliardo di aiuti. Lo rivela "Spiegel" on line riferendo che i Paesi dell'Eurozona,la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale (la cosiddetta Troika) avrebbero chiesto ai Paesi creditori di rinunciare alla loro metà di credito, così da portare il debito pubblico di Atene dal 144% al 70% entro il 2020. Il settimanale tedesco sottolinea comunque le difficoltà di arrivare a un accordo sul taglio del debito della Grecia nell'incontro dell'Eurogruppo, che si riunisce oggi, anche se per Bce e Fmi la misura sembra inevitabile. La Germania, sottolinea ancora il settimanale tedesco, continua ad essere contraria al taglio del debito greco e continua a voler puntare sulla riduzione degli interessi della Grecia rispetto agli aiuti. Ma secondo Joerg Asmussen, componente del board della Bce, il taglio del debito della Grecia non rientra nelle trattative sul prossimo budget di aiuti. Asmussen ha quindi auspicato che domani i ministri delle Finanze dell'Eurozona trovino un'intesa al vertice di Bruxelles in vista del prossimo via libera a una nuova tranche di aiuti alla Grecia di almeno 31,2 mld di euro. I debiti greci dovrebbero essere condonati il più presto possibile, altrimenti gli investimenti nel Paese rimarranno a livelli molto bassi, l'economia continuerà ad indebolirsi e la possibilità di essere ripagati si allontanerà sempre di più. L'invito arriva dall'agenzia di analisi e previsioni economiche del governo olandese CPB. Secondo il presidente dell'agenzia, Coen Teulings, riporta l'agenzia Bloomberg dopo un'intervista televisiva, i creditori di Atene non saranno ripagati tanto facilmente. Per questo i debiti del Paese dovrebbero essere condonati, lasciando all'economia lo spazio per ripartire. Teulings ritiene inoltre che il limite europeo del 3% nel rapporto deficit/pil dovrebbe essere sospeso nell'attuale fase di crisi economica in favore di piani per il rilancio dell'economia. Secondo Norbert Barthle, portavoce della Cdu della cancelliera tedesca Angela Merkel, ci sarà un'intesa sul debito greco nell'Eurogruppo in programma domani tra i ministri delle Finanze dell'area euro. L'eventuale accordo verrà poi discusso dal Parlamento tedesco il prossimo 30 novembre.
Accordo sulla Grecia (27 novembre 2012).
I ministri delle Finanze dell'Eurozona e l'Fmi hanno trovato un accordo sul debito di Atene. L'intesa prevede una serie di misure per aiutare la Grecia a riportare il debito verso livelli più sostenibili e riformula le tappe secondo cui dovrà avvenire l'abbattimento: il debito pubblico dovrà essere al 124% del prodotto interno lordo per il 2020, per poi scendere, entro il 2022, al 110%. Un risultato fortemente inseguito, con il vertice che è durato oltre 13 ore: il negoziato - di cui l'accordo sul debito è la prima parte - dovrebbe portare, previa approvazione da parte di alcuni Parlamenti nazionali a cominciare da quello tedesco, all'esborso dei 31,5 miliardi che la Grecia attende dalla scorsa estate, che aumentano a 43,7 se si considerano gli altri finanziamenti previsti entro la fine dell'anno. La decisione formale arriverà il 13 dicembre, dopo la pronuncia dei parlamenti nazionali e dopo che "ci sarà stata una valutazione di una possibile operazione di 'buyback' che la Grecia deve avviare". Ma "le condizioni per il versamento dei 43,7 miliardi - si legge nel comunicato conclusivo dell'Eurogruppo - ci sono tutte". Il mix di misure che ha dato il via libera all'intesa tra eurogruppo ed Fmi prevede "sforzi da parte di tutti", ovvero Stati, Grecia e Fmi, ha detto il presidente dell'eurogruppo Jean Claude Juncker al termine della riunione. Oltre alle nuove tappe per il rientro (124% nel 2020, 110% nel 2022), l'Eurogruppo ha deciso anche il taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali; una riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga al fondo salva-stati Efsf; una moratoria di 10 anni sui tassi dei prestiti concessi dal fondo salva-Stati Efsf; un'estensione di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi. Inoltre, gli Stati rinunciano ai loro profitti sui bond greci e li verseranno direttamente ad Atene in un conto bloccato. Quello che manca è l'haircut per cui spingeva l'Fmi, ovvero una ristrutturazione del debito nei confronti degli Stati, come come quello a cui furono costrette le banche che per aiutare Atene persero fino al 90% di profitti sui bond. La Germania, invece, di 'haircut' non voleva nemmeno sentir parlare: "Un nuovo taglio del debito della Grecia non è un tema. E non lo è per molti Paesi dell'eurozona", aveva detto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert. L'accordo è stato accolto con soddisfazione dal presidente del Consiglio greco Antonis Samaras: "Tutto è andato bene. Tutti i greci insieme hanno lottato per questa decisione, e domani comincia un nuovo giorno per tutti noi". Secondo il presidente della Bce Mario Draghi, questo compromesso "rafforzerà la fiducia nella Grecia e nell'euro". Positiva anche la reazione del Fondo monetario internazionale (Fmi): "Le misure contribuiscono in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco - dice il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde - aiuteranno a portare il rapporto debito-pil della Grecia su una traiettoria sostenibile e a facilitarne il graduale ritorno sul mercato".
Serrata dell'Ilva (28 novembre 2012).
Monta la tensione a Taranto dopo la decisione dell'Ilva di chiudere gli stabilimenti e lasciare a casa cinquemila dipendenti, al momento con lo strumento delle ferie forzate. Questo in risposta all'attività della magistratura che ieri ha disposto sette arresti, sequestrando i prodotti finiti e i semilavorati, in pratica toglindo all'impresa un potenziale di liquidità. Gli uffici della direzione sono stati occupati da alcune centinaia di operai questa mattina dopo la proclamazione dello sciopero. Decisa, invece, è la risposta del governo che ha annunciato un incontro sul caso Ilva. «Quello di giovedì - ha detto Corrado Clini, ministro dell'Ambiente - non sarà un incontro interlocutorio. Contiamo di uscire con un provvedimento, lavoriamo a un decreto per l'applicazione dell'Aia. Stiamo lavorando con Monti e i ministri ad una soluzione per l'applicazione dell'Aia, unica strada per il risanamento». Clini ha aggiunto che «le normative nazionali ed europee stabiliscono che per l'esercizio di questo tipo di impianti è necessaria l'Aia che è l'unico documento legale che ne regola l'attività. Il problema, oggi, è creare le condizioni di agibilità per cui l'impresa possa rispettarla rigorosamente. Siamo di fronte ad una situazione paradossale: c'è un rischio di convergenza di interessi per cui fra l'iniziativa della magistratura e l'interesse dell'azienda a non investire, avremmo il risultato pratico di un'area inquinata e pericolosa e la perdita di lavoro per migliaia di persone. Questa convergenza negativa va spezzata» ha concluso Clini. «Il governo - ha aggiunto Renato Balduzzi, ministro della Salute - ha sempre detto che ambiente, salute e sviluppo devono stare insieme e questo è l'impegno di tutti. Siamo di fronte ad una situazione assolutamente nuova, per certi versi inedita, e cercheremo di dare come governo il nostro apporto». L'Ilva ha avviato al Tribunale del Riesame il ricorso contro l'ultimo intervento della magistratura: fino al suo pronunciamento gli impianti di Taranto rimarranno chiusi. Lo ha deciso il Cda della società. «Spero in un pronunciamento rapido, entro pochi giorni», spiega il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante. Non mi aspettavo un intervento» della magistratura «di questo tipo: che vi fosse una produzione era risaputo a tutti. «Il Governo ha avuto grande attenzione e dall'incontro di giovedì spero vengano passi avanti», aggiunge Ferrante. Gli operai dell'Ilva, dopo aver organizzato un corteo interno al quale hanno partecipato sia quelli impiegati nell'area a caldo sia quelli dell'area a freddo, hanno occupato di fatto tutta la palazzina che ospita la direzione dello stabilimento e ora stanno decidendo come proseguire la protesta. «Non hanno voluto trovare una soluzione, governo e impresa continuano ad usarci - dicono alcuni di loro - e a rimetterci siamo soltanto noi e questa città. Così non può continuare.» Negli uffici della direzione sono entrati anche alcuni componenti del movimento dei Liberi Pensanti. Al momento gli operai non sembrerebbero intenzionati a mettere in atto blocchi stradali, anche se attendono l'esito dell'incontro con i vertici dell'impresa. «Cosa accadrà? Non lo sa nessuno - dicono - qui si naviga a vista». Alle 7 è iniziato lo sciopero proclamato da Fim, Fiom e Uilm. La mobilitazione durerà almeno 24 ore. Dinanzi alle portinerie sono in atto sit-in di lavoratori, mentre qualche momento di tensione si è registrato tra chi voleva entrare e chi invece invitava a scioperare. Ieri l'impresa ha anche comunicato la chiusura dell'area a freddo, facendo rimanere a casa anche i lavoratori di quell'area. Domani si terrà il consiglio di amministrazione dell'Ilva ed è confermato, sempre per domani, l'incontro tra impresa e sindacati, già programmato per discutere della cassa integrazione annunciata per 1.942 dipendenti, prima della nuova bufera giudiziaria. Alcune centinaia di operai hanno tentato stamane di accedere al loro posto di lavoro, nonostante l'annuncio della fermata dell'area a freddo, ma non è stato loro possibile, giacché i badge per gli ingressi sono disattivati da ieri sera. Il ministro degli Interni ritiene che ci sia «un rischio notevole» di problemi per l'ordine pubblico in seguito alla chiusura dell'impianto a freddo da parte dell'Ilva e la messa in libertà di 5000 lavoratori. «Il rischio c'è - ha detto a margine di un convegno - ed è anche notevole. La situazione è molto preoccupante - ha detto Cancellieri - perché i posti di lavoro messi in discussione sono tantissimi, non sono solo quelli di Taranto ma riguarda anche l'indotto». Cancellieri ha sottolineato, a proposito dell'incontro di giovedì annunciato dal governo, che la «competenza è dei colleghi. Ho fiducia - ha detto - e spero che vada tutto bene. Teniamo i nervi saldi». In mattinata un gruppo di lavoratori dello stabilimento Ilva di Cornigliano ha bloccato la sopraelevata, la principale arteria stradale cittadina, mandando in tilt il traffico in tutta la città. In precedenza il corteo dei lavoratori Ilva di Genova, che da stamani manifestano contro l'ipotesi di chiusura dello stabilimento, aveva bloccato il casello di Genova Ovest. Il blocco è stato rimosso poco dopo le 13.30 e il corteo si è trasferito in azienda. «Le decisioni dei pm hanno costretto l'Ilva a chiudere da subito gli impianti a freddo dello stabilimento di Taranto - ha chiarito Giovanni Calvini, presidente di Confindustria Genova - fatto che ha determinato la messa in ferie di 5.000 dipendenti, ai quali, per motivi di sicurezza, sono stati disattivati i badge di ingresso. Inevitabilmente - ha sottolineato Calvini - la decisione di bloccare vendita e produzione causerà non solo il fermo dello stabilimento di Genova, ma di innumerevoli altre aziende che senza le forniture dell'Ilva non possono produrre. Dispiace che mentre l'impresa stava cercando di dare attuazione all'Aia chiedendo il dissequestro degli impianti, necessario per poter implementare il piano industriale, la magistratura abbia preso una decisione così drastica». Così circa 1.500 metalmeccanici dello stabilimento Ilva di Genova, dopo una breve assemblea, hanno dato vita al corteo. Con loro anche i cassa integrati dello stabilimento metallurgico. Il corteo, aperto da un caterpillar da 140 quintali e seguito da un grosso camion e da un autospurgo, si è diretto verso il casello di Genova ovest dove confluiscono la A7 e la A10. «Quello dell'Ilva è un caso estremamente difficile e complesso, bisogna coniugare diritto al lavoro e diritto alla salute» ma in Italia «l'adeguamento alle normative ambientali è assolutamente da fare» ha detto Paola Severino a margine di un convegno. «La magistratura - ha spiegato il ministro - si è assunta la sua parte che è quella di applicare le leggi, e il governo si è assunto i suoi compiti e domani c'è una riunione importante per cercare una soluzione che contemperi i due valori». Parlando più in generale del nostro paese e di altre situazioni simili a quelle dell'Ilva, il ministro ha sottolineato che «nel nostro paese l'attenzione alla tutela ambientale è forte, ma è cresciuta nel tempo. L'adeguamento alle normative necessita tempo ma è assolutamente da fare».
Giova notare che la chiusura dell'Ilva metterebbe sulla strada più di 50.000 lavoratori tra Ilva e indotto e causerebbe al Paese una crisi economica più grave di quella finanziaria: si parla di una perdita dell'1% circa del Pil, dell'uscita del Paese dal settore dell'acciaio e di un grosso colpo all'industria manufatturiera nel suo complesso. Ancora una volta la magistratura, come i colleghi della Consulta e quelli del Csm, mostrano di vivere al di fuori della realtà industriale e produttiva del Paese. Occorre il più rapidamente possibile coniugare mantenimento dell'Ilva e salvaguardia di salute e sicurezza.
Ad accrescere la "tensione" all'Ilva cisi mette anche il tempo. Veniva dal mare, una micidiale tromba d’aria che stamattina ha colpito Taranto e l’Ilva. Il forte vento di scirocco è diventato improvvisamente tempesta e dal cielo, schiacciato sull’acqua, si è alzata la colonna di vento che si è abbattuta sulla banchina e da lì verso lo stabilimento. Il vortice ha travolto e risucchiato tutto quello che ha trovato sul suo cammino, a cominciare dalle gru poste sulla banchina in concessione all’Ilva. Letteralmente divelta una delle gru che scaricano i materiali ferrosi dalle navi, la cabina del mezzo è stata spazzata via ed era lì dentro che si trovava l’operaio gruista che è disperso.
Ancora stop alla delega fiscale (29 novembre 2012).
Che tirasse una brutta aria era per la delega fiscale era evidente fin dalla settimana scorsa e i tempi strettissimi prima dello scioglimento delle Camere e un clima già da campagna elettorale fanno pensare negativamente. Una denuncia è stata lanciata dal capo dello Stato, che ha invitato le forze parlamentari a non vanificare quanto di buono fatto finora. La risposta del Parlamento è arrivata ieri. E non poteva essere più negativa. Proprio la delega fiscale, forse il provvedimento più importante - con la legge di stabilità - di quelli all'esame delle Camere, è stata riportata in Commissione, mettendo seriamente a rischio la sua approvazione. Uno schiaffo al Paese, prima ancora che al Governo e allo stesso Quirinale. La delega è infatti una riforma che, a costo zero, può aiutare a rendere il fisco meno oppressivo, a semplificare i rapporti tra cittadini e amministrazione tributaria, a dare più certezze alle imprese, favorendo quindi gli investimenti e un po' di crescita economica. Non si possono sostenere nei dibattiti televisivi le giuste ragioni dello sviluppo e della lotta alla persecuzione fiscale e poi, al momento di votare in Parlamento, fare scelte contrarie. Tanto più che appaiono immotivate le ragioni per lo stop al provvedimento. Certamente non c'è accordo tra Governo e senatori sull'accorpamento delle agenzie fiscali, così come sul catasto prevalgono ancora divergenze, ma il possibile affossamento della delega è in realtà l'effetto di un generico sentimento contro il Governo che va prevalendo in una maggioranza già proiettata verso le elezioni. Ed è un vero scempio azzerare la delega fiscale dopo un anno di lavoro. Oggi le imprese e i cittadini sono schiacciati da un fisco che, oltre ad essere troppo oneroso, è anche barocco, poco certo e punitivo. Su questo siamo in fondo a tutte le classifiche internazionali. Nel recente rapporto Paying taxes 2013 di Banca mondiale, IFC e PwC, l'Italia è al sestultimo posto tra i Paesi Ue ed Efta per i tempi necessari agli adempimenti fiscali: 269 ore all'anno, praticamente un'ora per ogni giorno lavorativo, contro le 59 del Lussemburgo, le 63 della Svizzera, le 110 del Regno Unito, le 120 della Francia, le 207 della Germania. Perciò la delega fiscale è importante. Tra le sue norme c'è una forte semplificazione del sistema tributario, dalle operazioni transfrontaliere ai dividendi. C'è la stabilizzazione delle regole del gioco, con la definizione di un quadro di certezza del diritto fondamentale per le imprese, italiane e straniere, chiamate a investire nel nostro Paese. C'è, infine, un primo tentativo di sovvertire il rapporto tra fisco e contribuente, passando da un sistema fondato sulle penalizzazioni a uno basato sulla premialità. Più collaborazione, dunque, tra cittadini e agenzia delle entrate, cooperazione preventiva, e non più controlli tanto opprimenti quanto inefficaci nel contrastare la vera evasione.
Buttare a mare tutto questo, in una resa dei conti da fine legislatura, significa davvero prendersi gioco delle imprese e delle famiglie. Così come sarebbe grave lasciar morire il riordino delle province, il disegno di legge sulle semplificazioni, i decreti sui costi della politica e sullo sviluppo, sui quali il Governo si è impegnato. I tempi per l'approvazione sono certamente stretti, ma proprio per questo serve il massimo della responsabilità da parte delle forze politiche di maggioranza. Le riforme vanno fatte. Servono al Paese e, in fondo, sono anche utili ai partiti stessi per presentarsi agli elettori con le carte in regola.
Grecia: segnali positivi. Italia: spread in calo (3 dicembre 2012).
Segnali di distensione sulla crisi di Atene che dura da tre anni. La Grecia ha lanciato un piano di riacquisto volontario di titoli di stato da 10 miliardi di euro, a prezzo molto scontato. Si tratta di una delle condizioni imposte al Paese per ricevere i fondi dall'Unione Europea e dal Fmi. L'agenzia nazionale del debito ha fatto sapere che i detentori di titoli dovranno presentare le loro obbligazioni entro venerdì per ricevere in cambio un pagamento tra il 32,2 e il 40,1% del valore nominale. Gli investitori devono dichiarare il proprio interesse a vendere tra il 7 e il 17 dicembre. Scende sotto la soglia del 15%, al 14,60%, il tasso sui titoli di Stato ellenici a 10 anni dopo l'annuncio del buyback. Si tratta del livello più basso dalla ristrutturazione del debito greco. Lo spread tra i titoli greci e il bund tedesco ai attesta a 1.324 punti base. La cancelliera tedesca Angela Merkel apre all'ipotesi, contro cui si era finora sempre opposta, della cancellazione del debito della Grecia. In una intervista a Bild am Sonntag, la Merkel ha precisato di non poter escludere che questo avvenga dopo il 2014. «Se la Grecia arriverà un giorno a uscirne con i suoi mezzi senza contrarre nuovi debiti, dovremo rivedere e valutare la sutuazione. Questo non accadrà prima del 2014-2015, se tutto procede come previsto», ha spiegato. «Il programma di aiuti alla Grecia in corso si estende fino al 2014. E noi abbiamo offerto due anni supplementari, fino al 2016, alla Grecia, perché raggiunga alcuni obiettivi di bilancio». Proprio nei giorni scorsi il capogruppo della Spd al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, aveva accusato il Governo di aver nascosto l'«ineludibilità» della cancellazione del debito greco solo per ragioni di politica interna. «Possiamo farla slittare a dopo Natale, dopo le elezioni in Bassa Sassonia, dopo le elezioni in Baviera o dopo le elezioni federali, ma questa cancellazione è ineludibile». Nessun taglio del debito per Atene. Il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert corregge il tiro rispetto ad un'affermazione di Angela Merkel rilasciata alla Bild am Sonntag, generalmente compresa dai media come una sostanziale apertura alla possibilità di un taglio del debito per la Grecia a partire dal 2014. Seibert ha parlato di "interpretazioni" fantasiose. La Merkel ha ribadito che si prenderanno in considerazione nuove misure nel 2014-2015 nel caso di necessità, ma non il taglio del debito. L'annuncio del buyback da parte di Atene ha rincuorato le borse europee e lo spread tra BTp e Bund è sceso sotto quota 300.
Settore edile sempre in crisi (4 novembre 2012).
Nessuna ripresa nel 2013 per l'edilizia. Lo dice l'osservatorio congiunturale dell'Ance. Quest'anno, dice il rapporto curato dall'ufficio studi dell'associazione, gli investimenti in costruzioni vedranno una flessione del 7,6% rispetto all'anno prima. Un valore che è peggiore delle stime fatte a giugno. Si tratta di una «ricaduta del malato», dopo che il biennio precedente aveva fatto pensare a un miglioramento. La tendenza negativa - stima sempre lo studio - sarà confermata nel 2013, con un -3,8 per cento. Sul dato complessivo, pesano praticamente tutti i comparti, dalle opere pubbliche (-10,6%) all'edilizia non residenziale privata (-8%) all'edilizia residenziale di nuova costruzione (-17%). Solo il sub-comparto della manutenzione abitativa straordinaria fa registrare un timido segno positivo (+0,8%). In sei anni, dal 2008 al 2013, segnala l'Ance, il settore avrà perso circa il 30%: questo significa tornare ai livelli produttivi di 40 anni fa. L'immobiliare privato è praticamente fermo, scoraggiato dall'inasprimento della tassazioni sulla casa (attuale e in arrivo, grazie alla revisione degli estimi catastali) e dal credit crunch nei confronti di famiglie e imprese. E questo, ribadisce l'Ance, nonostante il fatto che esiste una domanda potenziale di almeno 600mila abitazioni. L'incremento degli sfratti e i numeri, anch'essi in crescita, sulle crisi occupazionali dell'edilizia stanno delineando un problema sociale, denuncia l'Ance. Ad oggi, stima l'ufficio studi si sono persi 360mila posti di lavoro nell'edilizia, che sale a 550mila considerando l'indotto. Il settore inoltre ha crediti per 19 miliardi di lavori eseguiti e non pagati dalle amministrazioni pubbliche. «Questo - ha detto il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti - è un dramma che si consuma in silenzio. Stiamo parlando di un dramma che equivale a 72 Ilva di Taranto, a 450 Alcoa o a 277 Termini Imerese». Il presidente dell'Ance, ha puntato il dito sul Governo. «Se siamo a questo punto non è un caso. Sono state fatte scelte che hanno portato l'edilizia a fermarsi. Non posso credere che sia stato fatto per distrazione. Si è pensato che per raggiungere obiettivi di pareggio di bilancio si potesse fermare l'edilizia; e che l'edilizia non servisse alla ripresa del Paese. Altri Paesi in Europa hanno fatto scelte diverse, anticicliche. Non c'è niente di male a riconoscere di avere fatto degli errori. Ma è urgente farla subito per ripartire».
Enel esce dal nucleare francese (5 dicembre 2012).
Enel ed Edf divorziano sul nucleare di nuova generazione. Il gruppo guidato da Fulvio Conti ha notificato ai francesi l'esercizio del diritto di recesso dal progetto di costruzione del reattore nucleare Epr (European Pressurized Reactor) di Flamanville, in Normandia, e degli altri cinque impianti da realizzare in Francia utilizzando la stessa tecnologia. Edf dovrà versare all'Enel 613 milioni di euro come rimborso delle spese anticipate in relazione alla sua quota del 12,5% nel progetto. La scelta del colosso italiano si legge in un comunicato dettato alle agenzie a mercati chiusi per evitare ripercussioni sul titolo di Edf quotato alla Borsa di Parigi. La realizzazione di Flamanville, scrive Enel, ha subito ritardi e incrementi nei costi. Ieri i francesi avevano annunciato l'ennesimo ritocco all'insù dei costi per la costruzione del reattore in Normandia, fissandoli a 8,5 miliardi di euro: 2 miliardi in più rispetto all'ultima stima (6 miliardi) e molto al di sopra del costo inizialmente previsto (3,3 miliardi nel 2005). Senza contare, appunto, gli slittamenti subiti dal progetto: in ritardo di quattro anni rispetto alla tabella di marcia originale. Edf ha confermato la data di entrata in esercizio per il 2016, ma le incertezze, il mutato quadro politico e la crisi economica hanno convinto Enel ad uscire dal progetto. «Questa situazione - si legge ancora nel comunicato dell'Enel - è aggravata dalla significativa flessione nella domanda di energia elettrica e dall'incerta tempistica per ulteriori investimenti nel nucleare in Francia». Per non dire del colpo mortale inflitto al nucleare italiano dal referendum del giugno 2011 che ha «ridotto la rilevanza strategica dell'intero accordo di collaborazione con Edf». L'intesa firmata nel 2007 a Nizza, in occasione del summit italo-francese, dall'allora premier Romano Prodi e dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dai vertici delle due società prevedeva infatti la possibilità per Enel di prender parte al primo impianto di nuova generazione Epr in terra transalpina con una opzione per i successivi cinque. L'accordo stabiliva poi l'accesso immediato per Enel alla capacità virtuale di base: quale anticipo della capacità che sarebbe stata prodotta dall'impianto di Flamanville, Enel avrebbe beneficiato di 600 Mw a partire dal 2008, con volumi progressivamente crescenti fino a raggiungere 1200 Mw nel 2012. Ora, la risoluzione dell'accordo, che entrerà in vigore dal 19 dicembre 2012, ha inoltre determinato la cessazione dei contratti di anticipo di capacità da parte di Edf. L'ammontare complessivo dell'energia fornita da Edf a Enel come anticipo di capacità sarà quindi gradualmente ridotto a 800 MW nel primo anno, 400 MW nel secondo anno, per azzerarsi nel terzo anno dalla data di conclusione dell'accordo di collaborazione. «Enel - rileva la società - ha costruito in Francia una piattaforma commerciale solida nella fornitura di energia che sarà ulteriormente potenziata con il ricorso a fonti alternative. Il mercato francese rimane strategico per il gruppo Enel che continuerà a operare attraverso la sua presenza diversificata in questo Paese nelle rinnovabili e nelle attività di trading di gas ed energia elettrica». Il rapporto con Edf, conclude la nota, «proseguirà sulla base dello spirito di reciproca e positiva collaborazione, che da sempre ha caratterizzato le relazioni tra i due gruppi, con potenziali future opportunità da esplorare». Giova notare che il reattore nucleare EPR appartiene alla terza generazione avanzata della filiera dei PWR (Pressurized Water Reactor).
Nel mondo sono attualmente in costruzione quattro impianti:
- Flamanville-3 in Francia,
- Olkilhuoto-3 in Finlandia,
- Taishan-1 e 2 nella provincia cinese di Guangdong.
Noi riteniamo estremamente negativa questa decisione; l'accordo con Edf ci permetteva di mantenere un presidio nel settore dell'energia nucleare senza costringerci a violare la volontà espressa dagli italiani con il referendum di giugno; inoltre la partecipazione al progetto Epr comportava anche commesse alla nostra industria manufatturiera che non ha certo bisogno di decisioni che la penalizzano e un alleggerimento della bolletta energetica nazionale. La perdita di competenze nell'ambito dell'energia nucleare si rivelerà una grave decisione che contribuirà a sprofondare l'Italia sempre più nella crisi alla quale lo stato italiano non sa dare altre risposte che l'aumento delle tasse.
Le dimissioni di Monti (8 dicembre 2012).
Berlusconi irrompe a piedi uniti nella vita politica del Paese, manda Alfano a emettere una serie di giudizi negativi sul governo Monti, irride allo spread causa della sua caduta un anno prima e si autocandida a premier del centro destra. Le primarie del Pdl, previste per il 16 dicembre, saltano e con esse la possibilità di instauratre un livelo di accettabile democrazia all'interno del partito. La gestione del Pdl si sta rivelando un problema senza soluzioni. Alfano si è rivelato un leader inadeguato, insignificante e succubo ai voleri del padrone Il partito si sta disintegrando, il sostegno di Cl si indebolisce, gli ex An pensano a un proprio raggruppamento, l'allenza con la Lega liquefacendo. Berlusconi lascia sulla sua strada un cumulo di macerie. La risposta di Monti sono le dmissioni, una volta approvata la legge di stabilità, sempre che non si voglia andare all’esercizio provvisorio. La contromossa di Mario Monti allo `strappo´ di Silvio Berlusconi spiazza Giorgio Napolitano, che apprende direttamente dal presidente del Consiglio le ragioni di una decisione che potrebbe portare a un'accelerazione della data del voto. Le urne potrebbero aprirsi a febbraio, anziché a marzo come auspicato anche dal Quirinale. Un’evoluzione inattesa, anche per alcuni stretti collaboratori di Monti, ma non per chi conosce la sua orgogliosa arroganza. Una mossa dettata dalla volontà del premier di non farsi «impallinare» né «logorare» in Parlamento, da un Pdl che, accusandolo di aver danneggiato l’economia del Paese, lo ha di fatto «sfiduciato». Monti ora sta riflettendo sul suo futuro e sulla possibilità, sempre più concreta, di scendere in campo con una `sua lista´ o, secondo altri, semplicemente appoggiando quelle che a lui si rifanno. Monti sale al Quirinale in serata, di ritorno da Cannes, dove si è tolto parecchi sassolini dalle scarpe nei confronti di Berlusconi. Napolitano gli riferisce dell’esito dei colloqui avuti ieri con le forze politiche e i presidenti di Camera e Senato. Ma il premier non vuol sentire ragioni: considera le parole pronunciate da Angelino Alfano in Aula una «categorica sfiducia» nei confronti del governo e della sua linea di azione. Ragion per cui non se la sente di proseguire: meglio rassegnare le dimissioni. Prima verificherà se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l'esercizio provvisorio - «rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo» - siano pronte ad approvare «in tempi brevi» le leggi «di stabilità e di bilancio». Ma un minuto dopo, ribadisce subito, formalizzerò le mie «irrevocabili dimissioni». Parole che, come si intuisce dalla nota ufficiosa fatta trapelare più tardi dal Colle, spiazzano anche Napolitano. Che tenta di convincerlo, ricorda che la road map faticosamente costruita ieri con i partiti prevedeva l’approvazione di altri testi considerati rilevanti in primis da palazzo Chigi (dal decreto Ilva, al pareggio di bilancio). Ma Monti è irremovibile. Per lui, l’approvazione di quei provvedimenti è certamente auspicabile, ma non indispensabile. Proprio perché nel frattempo non intende farsi impallinare in Aula. Il premier ha fretta. Punta al voto a febbraio. Esattamente come il Pd, come dimostra la repentina nota di Pier Luigi Bersani. Anche l’Udc plaude, mentre il Pdl sale sulle barricate. Ma ormai il dado è tratto. Il capo dello Stato si limita a «prendere atto» della decisione di Monti, dicendogli di «comprendere» le ragioni di tanta amarezza. Il professore, con i suoi, si sfoga: non potevo starmene lì a farmi impallinare e logorare, dice secondo il resoconto di chi gli ha parlato. Il dito è puntato contro le accuse del Pdl, ma è chiaro che la decisione porta ad altro. Ora il premier deve decidere cosa fare: varcare il Rubicone della politica o restare un tecnico super partes, spendibile per il Colle o, in caso di pareggio, ancora a palazzo Chigi. Al momento, almeno dall’impressione di chi gli ha parlato, la bilancia pende in favore della prima ipotesi.
Le dimissioni di Monti e la reazione dei mercati (10 dicembre 2012).
Il dopo Monti affonda Piazza Affari, dove il Ftse Mib arriva a cedere oltre il 3,8% per poi risalire dai minimi. Male anche Madrid, mentre gli altri listini europei sono poco sotto la parità. Dopo un'apertura negativa, condizionata dai timori per il 'fiscal cliff' e per l'instabilità dell'Italia, gli indici di Wall Street invertono la rotta ed entrano in territorio positivo. Nel paniere del Ftse Mib in caduta libera soprattutto il comparto dei bancari, dove a metà seduta svettano le perdite di Banco Popolare, Mps, Banca Popolare di Milano, Mediolanum, Intesa Sanpaolo e Unicredit. In mattinata, sospese le contrattazioni per quasi tutti i titoli bancari che sono tornati agli scambi con forti perdite. Tra gli energetici, cedono Enel e Eni. Nel corso della mattinata, sospese le contrattazioni anche per Fiat, A2a e Telecom Italia; Finmeccanica. In asta di volatilità il titolo di Generali, che registra un calo teorico del 2,23%. Un analista di Cmc Market da Sidney definisce lo scenario «destabilizzante per i mercati azionari e obbligazionari». Riprende a salire lo spread tra il BTp e il Bund tedesco: il differenziale tra i due titoli tocca un nuovo massimo di seduta a 360 punti base col tasso sul decennale italiano in crescita al 4,87%. Aumenta anche il rischio debito dell'Italia misurato dai credit default swaps (cds): sugli schermi Bloomberg, i cds sono saliti di 31 punti base a quota 284 punti. La crisi italiana contagia anche altri Paesi europei che accusano il colpo sui mercati obbligazionari: la forbice Madrid-Berlino si allarga a 434 punti base col rendimento dei Bonos al 5,61%. I dubbi sull'instabilità politica di paesi come l'Italia hanno «un contagio immediato» sulla Spagna. Così il ministro dell'Economia Luis de Guindos alla Radio Rne commenta l'annuncio di dimissioni di Monti. «Quando sorgono dubbi sulla stabilità di un paese vicino come l'Italia, a sua volta percepito come vulnerabile, ci contagiano subito». Inizio di settimana in leggero rialzo alla Borsa di Tokyo, sufficiente comunque a spingerla ai nuovi massimi da oltre sette mesi. Al termine delle contrattazioni l'indice Nikkei dei 225 titoli principali si é issato infatti a quota 9.533,75 dopo aver guadagnato 6,36 punti pari allo 0,07%. In controtendenza oggi il Topix relativo all'intero listino, che ha invece ceduto 1,76 punti pari allo 0,22% per attestarsi in chiusura a quota 788,48. Il petrolio è in rialzo dopo i dati positivi della vigilia sull'economia cinese. Il barile Wti guadagna 29 cent a 86,22 dollari il Brent si apprezza di 39 cent a 107,41 dollari. Giova notare che gli andamenti del mercato, al momento, sono l'effetto della speculazione e delle prese di beneficio. Gli investitori attenderano probabilmente l'esito delle prossime elezioni per stabilire se l'Italia sia affidabile io no. D'altra parte, due anni fa il debito italiano era per oltre il 55% in mano straniera, oggi è per il 65% in mano italiana, pertanto, il rischio di attacco allo stato sovrano sono trascurabili.
Salta il decreto sulle provincie (11 dicembre 2012).
Il decreto che riorganizzava le province italiane non sarà convertito in legge. E' quanto è emerso dalla seduta della commissione Affari costituzionali dopo una riunione ristretta tra il presidente di commissione Carlo Vizzini, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda, il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi e il sottosegretario Antonio Maraschini.
Commissione e governo hanno preso atto della quantità di emendamenti e subemendamenti presentati al provvedimento e hanno ritenuto che non fosse possibile approdare in aula domani pomeriggio come stabilito dal calendario del Senato. "Il destino di questi mesi è di perdere occasioni importanti - ha commentato Vizzini - è stato fatto uno sforzo per trovare le condizioni complessive per approvare questo provvedimento atteso ma non è andato a buon fine". "Il governo - ha commentato Patroni Griffi - ha fatto quello che poteva. Oggi ha preso atto della situazione". A questo punto sarà necessario probabilmente escogitare una norma che coordini le disposizioni sulle province previste dal decreto salva Italia e dalla spending review. Ma sulla possibilità che questa norma sia inserita nella legge di stabilità Patroni Griffi non risponde: "Probabilmente ci sarà qualche intervento del governo ma ora non so rispondere".
Per il senatore dell'Idv Pancho Pardi non c'è possibilità di convertire il decreto soprattutto "per l'enorme quantità di emendamenti presentati dal centrodestra" ma il capogruppo del Pdl in commissione Gabriele Boscetto si difende: "C'erano tutta una serie di situazioni che andavano messe a posto e i nostri emendamenti tendevano a metterle a posto, non erano gratuiti". Tuttavia nel corso della seduta di questa sera sia Boscetto che il senatore della Lega Roberto Calderoli hanno convenuto che il tempo da qui alla fine anticipata della legislatura non fosse sufficiente per convertire in legge il decreto. "Abbiamo fatto un giro di opinioni - ha raccontato il senatore del Pd Enzo Bianco - alla luce del mutato scenario politico. Nonostante lo sforzo di governo e relatori si è deciso di non continuare e di attendere le valutazioni dei capigruppo domani. Noi non siamo in grado di andare avanti, abbiamo perso una grande opportunità". Più che le forze politiche sono gli italiani che hanno perso una grande opportunità. Ancora una volta i giochi di palazzo sono stati anteposti agli interessi del Paese.
Il Pil ancora in discesa (11 dicembre 2012).
La ripresa arriverà solo alla fine del 2013 e sarà molto lenta. Negli ultimi scenari economici il Centro Studi Confindustria (Csc) ha rivisto al ribasso le previsioni del Pil 2013: -1,1% contro il -0,6% della stima precedente. L'indebolimento dell'economia mondiale è continuato dopo l'estate e continuano a soffiare venti contrari alla ripresa, evidenziati nell'analisi del direttore del Csc, Luca Paolazzi: la riduzione della leva finanziaria che nelle banche si traduce in credit crunch; l'eccesso di capacità produttiva in molti settori; le difficoltà dell'edilizia residenziale; l'alta disoccupazione; il risanamento concentrato dei conti pubblici. «L'uscita dalla crisi è spostata più in là nel tempo - ha spiegato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi - rivedremo un segnale positivo del Pil soltanto verso gli ultimi mesi dell'anno prossimo, per andare ad una ripresa nel 2014 abbastanza lenta». Squinzi ha sottolineato il dato «abbastanza sorprendente in positivo per quest'anno» (contrazione del Pil da -2,4% a -2,1%), «però questo ha un effetto di trascinamento sull'anno prossimo», quando si stima un -1,1% dal -0,6%. A margine di un'audizione in commissione Finanze alla Camera il ministro dell'Economia Vittorio Grilli ha confermato che la ripresa arriverà nel 2013. «Anche in base al confronto che abbiamo avuto a livello internazionale - ha spiegato - gli elementi che abbiamo oggi non ci fanno ritenere che ci sarà un ritardo. Non ho elementi per cambiare le nostre previsioni». Ma la recessione attuale – la seconda in cinque anni – è caratterizzata soprattutto dal crollo della domanda interna. I consumi delle famiglie, evidenzia il Csc, calano a picco nel 2012, ai minimi dal dopoguerra: la riduzione quest'anno è del 3,2% (il 3,6% procapite), il peggior risultato dal dopoguerra. È allarme pressione fiscale: «Rimarrà prossima ai massimi storici e insostenibilmente elevata, specie quella effettiva, al 53,9% del Pil nel 2014 tolto il sommerso dal denominatore». Il Csc stima un prelievo al 44,7% nel 2012, al 45,1% nel 2013 e al 44,8% nel 2014. Quella reale però sarà al 53,8% quest'anno e al 54,3% il prossimo. Situazione negativa anche sul fronte del credit crunch. Il credito erogato alle imprese «è in netto calo» e «sempre più aziende faticano ad ottenere prestiti bancari», mentre altre «hanno smesso di chiederli a fronte di tassi d'interesse troppo alti». Il credito «scarso e costoso - rileva il Csc - frena gli ivestimenti e l'operatività delle imprese». Confermato l'obiettivo del pareggio di bilancio strutturale nel 2013 (-0,2% al netto del ciclo) nonostante il ritardo della ripresa.
Raggiunto l'accordo sull'unione bancaria (13 dicembre 2012).
Questa notte, dopo 14 ore di negoziati, i ministri delle Finanze dell'Ue hanno raggiunto un accordo politico sui due regolamenti sul meccanismo unico di sorveglianza bancaria europea (Ssm), che verrà affidato alla Banca centrale europea, ma gestito da un nuovo Supervisory board in modo indipendente dalla politica monetaria del consiglio dei Governatori. L'accordo dell'Ecofin, reso più difficile dall'insistenza con cui i paesi non appartenenti all'euro, ma che potranno partecipare volontariamente al sistema di sorveglianza centralizzato, hanno rivendicato il proprio diritti di essere adeguatamente rappresentati nelle istanze decisionali del nuovo meccanismo, è stato approvato all'unanimità dai ministri dei 27. Si salva il vertice dei capi di Stato e di governo dell'Ue (Consiglio europeo) che si riunisce questo pomeriggio e domani a Bruxelles, che altrimenti avrebbe rischiato di essere convocato a vuoto. I leader dell'Ue potranno ora celebrare il successo di un'impresa in cui si erano impegnati il 28 giugno scorso, e che avevano confermato a ottobre di voler portare a termine entro la fine dell'anno. All'accordo politico fra i governi e la Commissione dovrà adesso seguire un accordo con il Parlamento europeo, che in questa materia è co-legislatore, e che ha già approvato in prima lettura una sua versione dei due regolamenti. Sembra difficile, comunque, che gli eurodeputati aggiungano nuovi ostacoli dopo un negoziato così difficile e complesso, ed è prevedibile che l'intesa e l'adozione definitiva arrivino già nei prossimi giorni. Per essere pienamente operativo, il nuovo meccanismo necessiterà di almeno un anno; ma in realtà l'accordo di questa notte fissa un termine ultimo, il primo marzo 2014, che allunga di tre mesi la scadenza che era stata prevista dal vertice Ue di ottobre. In particolare la Bce dovrà approvare i regolamenti interni, predisporre gli strumenti necessari e articolare gli snodi del sistema con le autorità di sorveglianza bancaria nazionale, e con l'Eba (Autorità bancaria europea). Le autorità nazionali dell'Eurozona resteranno direttamente responsabili di quasi tutte le banche banche non sistemiche con attivi inferiori a 30 miliardi di euro o al 20% del Pil del paese in cui risiedono, mentre l'Eba continuerà a occuparsi delle questioni transnazionali fra le banche degli Stati membri non partecipanti all'Ssm, dei rapporti fra queste banche e quelle sottoposte alla sorveglianza unica e rappresentate dalla Bce. Oltre alle banche che superano le due soglie relative al valore degli attivi, saranno prese a carico direttamente del sistema centralizzato anche gli istituti creditizi che hanno richiesto o ricevuto gli aiuti dei Fondi di salvataggio europei (Efsf o Esm), quelli con attività transfrontaliere significative e le tre maggiori banche di ogni Stato membro.
Inoltre, la Bce, agendo come supervisore unico potrà decidere "in qualunque momento" di esercitare direttamente i propri poteri nei riguardi di qualunque altra banca, di qualunque dimensione (e quindi anche le casse di risparmio, le 'Landesbanken' o gli istituti di credito cooperativi tedeschi), se lo reputerà "necessario per assicurare una coerente applicazione di alti standard di sorveglianza" bancaria. Nonostante l'opposizione iniziale tedesca, è salvo insomma il principio secondo cui la Bce - pur non gestendo direttamente la supervisione delle 6mila banche dell'Eurozona, ma delegando in gran parte questo compito alle autorità nazionali - resta comunque l'ultima istanza a decidere se occuparsi o no direttamente di un particolare istituto di credito, se lo considera necessario. Giova sottolineare che con la creazione dell'euro le banche dei singoli paesi avevano perso due prerogative, la gestione della moneta nazionale e dei tassi di interesse, ora, con l'unione bancaria, i singoli stati perdono il compito della vigilanza (controllo della solidità delle 6.000 banche europee): sono ridotte le possibilità di fallimento di banche e i rischi legati ai debiti sovrani. L'eurozona vede, inoltre, il rafforzamento dell'euro.
Il debito sfonda la soglia dei 2 mila miliardi (14 dicembre 2012).
Il debito pubblico sfonda quota 2.000 miliardi e a ottobre si attesta a 2.014 miliardi, in valore assoluto il livello più alto di sempre: a fine settembre era arrivato a quota 1.995 miliardi. E' quanto emerge dal supplemento "Finanza pubblica" al bollettino statistico della Banca d'Italia secondo cui, inoltre, il debito pubblico italiano è aumentato da inizio anno di 71,238 miliardi (+3,7%). Con il livello raggiunto a ottobre, il debito pubblico italiano pesa per circa 33.081mila euro a testa, neonati compresi: secondo le ultime stime Istat, infatti, i residenti in Italia a gennaio erano 60,9 milioni. A essere sempre più indebitate sono le Amministrazioni centrali, mentre cala il passivo degli Enti locali. Il debito non consolidato delle Amministrazioni centrali raggiunge a ottobre i 1.907,242 miliardi dai 1.887,071 miliardi di settembre. Quello delle amministrazioni locali scende a 134,205 miliardi (da 134,551 miliardi). In particolare, quello delle Regioni e Province autonome cala a 40.523 milioni (da 40.680 milioni), quello dei Comuni a 50.051 milioni (da 50.251 milioni), mentre quello delle Province sale a 9.115 milioni (da 9.095 milioni). A livello geografico il debito cala in tutta la penisola ad eccezione del Nord Est, dove a ottobre cresce a 17.126 milioni, dai 17.098 milioni di settembre. Nel Nord ovest invece scende a 32.469 milioni (da 32.529 milioni), nel Centro a 31.652 milioni (da 31.924 milioni), nel Sud cala a 25.391 milioni (da 25.411 milioni) e nelle Isole a 9.986 milioni (da 10.012 milioni). A questo si aggiunge l'allarme rosso per la sanità pubblica. Il Servizio sanitario nazionale "affoga" nei debiti: circa 40 miliardi di euro verso i fornitori. Nel documento della Corte dei conti preso in considerazione dal Cnel, i debiti verso fornitori costituiscono la parte preponderante dei debiti sanitari: quasi il 69% nel 2009 e oltre il 67% nel 2010, con incrementi nel 2011 (ad eccezione della Liguria). "Nel complesso - riferisce la relazione del Cnel - il debito ammonta a 35,5 miliardi nel 2010 di cui quasi il 50% (oltre 16 miliardi) fa capo alle Regioni commissariate o sottoposte a piani di rientro dal deficit. Nello specifico, il Lazio ha debiti per 7,5 miliardi, la Campania per 6,5 e la Sicilia per 2". In aumento anche le entrate tributarie erariali salite a 29,6 miliardi a ottobre scorso contro i 22,7 miliardi del mese precedente. Nei primi dieci mesi del 2012 le entrate si sono attestate a 309,3 miliardi di euro con un aumento del 2,9% sul corrispondente periodo del 2011. I dati di Bankitalia, tuttavia, non corrispondono all'ammontare dei tributi erariali effettivamente versati. I flussi mensili sono infatti rilevati al momento della contabilizzazione in bilancio che, dal maggio '98, non avviene più contestualmente al versamento.
FIAT, immatricolazioni a picco in Italia (15 dicembre 2012).
In Europa a novembre, dopo un mese di pausa, torna il calo a due cifre. Il mercato dell'auto il mese scorso nei 27 Paesi Ue più quelli Efta è sceso del 10,1% a 965.918 vetture, contro 1.074.591 di un anno fa.Lo comunica l'Acea, l'Associazione che riunisce i costruttori di auto presenti in Europa. Ad ottobre le nuove immatricolazioni erano scese del 4,6%. Nei primi 11 mesi del 2012 il calo del mercato europeo è stato del 7,2% a 11.690.109 unità. Nel mese di novembre Fiat Group Automobiles ha immatricolato in Europa (27 Paesi Ue più quelli Efta) 59.152 nuovi veicoli, in calo del 12,8% rispetto alle 67.801 unità immatricolate un anno fa. Ad ottobre il calo del gruppo torinese era stato del 5,8%. Nei primi 11 mesi del 2012 Fiat Group Automobiles ha venduto in Europa 747.956 unità, in calo del 15,6% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. La quota di mercato di Fiat Group Automobiles si è attestata al 6,1%, in lieve calo rispetto al 6,3% di un anno fa ed al 6,5% segnato ad ottobre. Nei primi 11 mesi del 2012 il gruppo torinese ha segnato una quota di mercato del 6,4%, contro il 7% registrato nello stesso periodo del 2011. Intanto il titolo Fiat in Borsa, sulla scia dei dati, è stato sospeso per eccesso di ribasso, per poi essere riammesso. Le perdite si attestano attorno al 6%. A novembre il gruppo Fiat in Europa «ha continuato ad essere pesantemente penalizzato dal risultato negativo del mercato italiano (-20,1%)». Lo sottolinea il Lingotto in una nota, precisando però che «il brand Fiat è migliorato in Germania, Regno Unito, Spagna, Belgio e Svizzera. Mentre Jeep è cresciuta in Germania, Francia, Regno Unito e Spagna». Inoltre, «Panda è ancora una volta nettamente la vettura più venduta del segmento A, con una quota di quasi il 17%», che insieme a 500 arriva al 28%. La nota mette in evidenza i risultati ottenuti dal Lingotto «nel Regno Unito, in Svezia e in Germania. Nella prima nazione i volumi sono cresciuti del 4,4% e la quota si è attestata al 2,5%, in Svezia le vendite sono salite del 76,9% (quota in crescita all'1,9%) e in Germania dello 0,5% (quota è salita al 2,6%). Il marchio Fiat a novembre ha registrato quasi 44 mila 500 mila immatricolazioni, migliorando la propria quota (+0,1 punti percentuali rispetto all'anno scorso) che si è attestata al 4,6%. Con quasi 545 mila vetture registrate nel progressivo annuo, Fiat ha una quota del 4,7%. Risultati positivi per il brand in Germania, dove il mercato cala dello 3,5% ma Fiat ha aumentato i volumi di vendita del 6,4% e la quota di 0,2 punti percentuali. Nel Regno Unito i volumi del marchio sono cresciuti del 24,6% (+11,3% il mercato) e la quota si è attestata al 2%, 0,2 punti percentuali in più rispetto al novembre 2011. In Spagna, in un mercato in forte contrazione (-20,3%), Fiat ha ottenuto un risultato in netta controtendenza crescendo del 3% nei volumi e migliorando la propria quota di 0,5 punti percentuali (da 1,7 a 2,2%).
Aumenta il rischio di povertà (18 dicembre 2012).
L'incubo dell'indigenza fa sempre più paura. Aumentano infatti gli italiani a rischio povertà o esclusione sociale: il relativo indicatore sintetico del rischio di povertà "Europa 2020" è cresciuto dal 26,3% del 2010 al 29,9% del 2011. La variazione negativa di 3,3 punti percentuali è la più elevata registrata nei Paesi Ue. È quanto emerge dal rapporto sulla coesione sociale Istat, Inps, ministero del Lavoro. Nel 2011, ricorda il rapporto, in Italia le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 782 mila (l'11,1% delle famiglie residenti) corrispondenti a 8 milioni 173 mila individui, il 13,6% dell'intera popolazione. (La povertà relativa fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale). Nel corso degli anni, la condizione di povertà è «peggiorata» per le famiglie numerose, con figli, soprattutto se minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie in cui convivono più generazioni.
Nel 2011, l'incidenza della povertà relativa è pari al 27,8% fra i minorenni se questi vivono con i genitori e almeno due fratelli (10,1% se si fa riferimento alla povertà assoluta), mentre è pari al 32% (18,2% nel caso della povertà assoluta) se vivono in famiglie con membri aggregati.(La povertà assoluta è "l'incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza"). La povertà relativa mostra «alcuni segnali di miglioramento» fra gli anziani; tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove risulta relativamente povero il 24,9% degli anziani (7,4% quelli assolutamente poveri). Le persone senza dimora corrispondono a circa lo 0,2% della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati dall'indagine. L'Istat precisa che in questo gruppo sono inserite persone non iscritte in anagrafe o residenti in comuni diversi da quelli dove si trovano a gravitare. Sono senza dimora per lo più uomini (86,9%); la maggioranza di queste persone ha meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno conseguito al massimo la licenza media inferiore mentre il 72,9% dichiara di vivere solo. In quasi sei casi su dieci si tratta di stranieri (59,4%). Più della metà delle persone senza dimora che usano servizi (58,5%) vive nel Nord, il 22,8% nel Centro e il 18,8% nel Mezzogiorno. La distribuzione delle persone senza dimora sul territorio della Penisola dipende essenzialmente dalla loro concentrazione nei grandi centri: infatti Milano e Roma accolgono il 71% delle persone stimate dalla rilevazione campionaria.
Accenni di schiarita nell'Eurozona (19 dicembre 2012).
Monti aveva detto che lo spread sarebbe potuto arrivare a 287 punti, ovvero a dimezzarsi rispetto ai 575 punti ereditati al momento di assumere la guida del governo. Sarà stata una battuta, quella del premier dimissionario, oppure un messaggio ai mercati sulla potenziata sostenibilità del debito pubblico? Sta di fatto che i mercati ci hanno impiegato 12 giorni di contrattazioni finanziarie a testare la "soglia Monti". Nel pomeriggio di ieri lo spread tra BTp e Bund, sulla scadenza a 10 anni, è scivolato fino a 289 punti. Portandosi sotto i 300 punti.
Così come accaduto a febbraio-marzo, la discesa sotto quota 300 dello spread è però dovuta principalmente all'azione dell'altro Mario, Draghi, il governatore della Banca centrale europea. Nove mesi fa lo spread si è mosso violentemente al ribasso non a caso dopo l'annuncio, da parte di Draghi, del secondo piano Ltro in 90 giorni (al maxi-prestito agevolato alle banche all'1% a 3 anni per oltre 400 miliardi del dicembre 2011 ne ha aggiunto un secondo a fine febbraio 2012 portando il monte prestiti a oltre 1.000 miliardi). Questa estate Draghi si è ripetuto lanciando lo scudo anti-spread (formalizzato il 6 settembre). Ci riferiamo al programma Omt (Outright monetary transaction) che prevede che la Bce acquisti titoli di Stato sul mercato secondario per quantità illimitate con durate fino a 3 anni per frenare un eventuale improvviso rialzo dei tassi dei titoli di Stato. A condizione che il Paese sovrano faccia però esplicita richiesta di aiuto all'Ue, subordinata al perseguimento di nuove dure riforme e nuova austerity. L'Omt - a cui si aggiunge la novità del fondo salva-Stati Esm pronto per lo stesso Paese che chiede aiuto ad acquistare titoli sul mercato primario - è proprio piaciuto ai mercati. Tanto che ieri l'agenzia Fitch - che poco prima aveva confermato il rating italiano ad A- confermandosi l'unica delle tre sorelle a non far scivolare l'Italia sul gradino delle lettere B - ha detto che l'Eurozona è entrata in una fase di «calma relativa» sopratutto grazie al recente annuncio del nuovo piano anti-spread che «ha risolto i rischi di liquidità di breve termine per il debito sovrano dei Paesi più in difficoltà dell'Eurozona, guadagnando tempo per gli aggiustamenti, dolorosi ma necessari, richiesti per assicurare la solvibilità». Sia chiaro, prima dello scudo anti-spread la Bce è comunque intervenuta più volte sul mercato secondario acquistando titoli di Stato facendo leva sulla possibilità di effettuare misure non convenzionali. Adesso lo potrà fare solo se un Paese chiede il sostegno europeo (sostegno che sottende però l'idea di amministrazione controllata). Ciò vuol dire che in caso di nuovo attacco speculativo ai Paesi oggi usciti dal pericolo (Spagna e Italia in particolare) non ci saranno più alternative alle dolorose richieste di aiuti. E questa, probabilmente, non è una bella notizia.
Sì del Senato alla legge di stabilità (20 dicembre 2012).
Stop di un anno alla possibilità per i governatori di alleggerire l'Irpef regionale con una rimodulazione per i redditi più bassi e i nuclei familiari. Opzione alternativa in caso di mancata attuazione dell'accordo sulla detassazione della produttività per l'utilizzazione di una fetta delle risorse previste: rifinanziamento del fondo di garanzia per le Pmi, ovvero i Confidi. Finanziamento di 2,25 miliardi per la Tav in 15 anni, circa 150 in più di quelli ipotizzati fino a martedì, e di 8,4 miliardi nei prossimi 16 anni per le industrie del settore aeronautico, a cominciare da Finmeccanica. Per l'internazionalizzazione delle imprese arrivano 10 milioni all'Ice. Con questi ultimi pesanti vagoni, ai quali si sono accodati anche un mini-milleproroghe e un variegato correttivo omnibus, il treno della legge di stabilità, l'ultimo della legislatura, ha ricevuto ieri pomeriggio l'ok della commissione Bilancio del Senato e, dopo un fitta sequenza di rinvii, è finalmente approdato in Aula. Un percorso lungo, all'insegna degli stop and go e dei "saldi" di fine legislatura, condizionato dalla partita sulla data delle prossime elezioni. Soprattutto il Pdl ha cercato di sfruttare ogni intoppo tecnico per dilatare i tempi dei lavori. Anche se ieri il presidente del Senato, Renato Schifani, ha negato che qualcuno volesse fare "melina". Ma fino a ieri pomeriggio il Pdl anche alla Camera puntava a prolungare l'esame del provvedimento per far slittare il voto finale, come ha lasciato intendere Fabrizio Cicchitto, al 28 dicembre. Dopo la parole arrivate dal Capo dello Stato e l'annuncio da parte del ministro Anna Maria Cancellieri della nuova data delle elezioni (24 febbraio) resta da vedere se il partito di Silvio Berlusconi confermerà questa strategia o se lascerà approvare la "stabilità" prima di Natale, magari sabato 22 dicembre se non addirittura domani. Intanto ieri in commissione il governo è stato battuto su un emendamento che prevedeva la restituzione dello "sconto" fiscale concesso dall'erario alle vittime delle calamità naturali. Nel lungo elenco delle modifiche dell'ultima ora compaiono le nuove risorse per le assunzioni nel comparto sicurezza (70 milioni) e per l'università: 100 milioni ai quali si aggiungono i 52,5 milioni per i policlinici universitari non statali, 12,5 milioni per il Bambin Gesù di Roma e 5 milioni per la fondazione Gaslini di Genova. Arrivano anche altri 115 milioni per i malati di Sla (70 quelli certi) e lo stop alla tassazione sulle pensioni di guerra. Proroga di un anno per lo stop all'incrocio tra stampa e Tv. Nel capitolo fiscale viene aggiunta anche la riduzione di 60 milioni del fondo Brunetta per finanziare dal 2014 l'esenzione Irap per i professionisti. Quanto al federalismo fiscale, l'emendamento dei relatori prevede lo slittamento dal 2013 al 2014 della possibilità concessa alle Regioni di alleggerire il carico dell'addizionale Irpef sui contribuenti con redditi ridotti, così come di prevedere una rimodulazione del prelievo aggiuntivo in base al nucleo familiare. Non solo. Slitta al 2014 anche l'applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale previsto dalla Costituzione, che avrebbe consentito alle regioni, muovendosi nell'ambito della addizionale Irpef, di disporre detrazioni per l'erogazione di sussidi, voucher e altri sostegni sociali. Una decisione, spiega il relatore Giovanni Legnini (Pd), attesa dalle Regioni che «ci hanno chiesto di tenere le bocce ferme per un anno su Irpef e Irap, poiché la sommatoria dei tagli previsti dalla spending review e dalla stessa legge di stabilità mette a rischio i conti della sanità». Novità anche per le Regioni in dissesto che hanno avviato piani di risanamento (Campania): viene istituito un fondo di rotazione da 50 milioni per concedere anticipazioni, pari a 150 euro per abitante e restituibili in 10 anni, con cui ammortizzare i disavanzi.
Il programma politico di Monti (23 dicembre 2012).
«La libertà di informazione è un elemento essenziale della vita civile e politica di un Paese». Comincia così la conferenza stampa di fine anno del premier Mario Monti. «Mi ero presentato qui con diversi miei colleghi il 4 dicembre 2011 a pochi giorni dell’insediamento avevamo illustrato provvedimenti presi dal cdm e avevamo rappresentato il quadro periglioso nel quale si trovava il paese. Dopo un anno di lavoro posso dire che l’emergenza finanziaria è superata, gli italiani possono di nuovo essere cittadini d’Europa a testa alta. Non abbiamo usato la strettoia degli aiuti dell’Ue e del Fondo Monetario. A nome del governo e mio personale, al termine di quest’anno di lavoro intenso, devo ringraziare Napolitano. È stata una sua intuizione all’origine di questo governo, e in tutti i passaggi difficili è sempre stato prodigo di discreti ed illuminanti consigli. Con Alfano, Bersani, Casini, con ciascuno dei tre ho avuto un rapporto personale franco, schietto, basato sulla cordialità ed è stato nostro comune intento lavorare per il bene del paese. Sempre un governo, ed in particolare uno come il nostro, è tenuto a grande rispetto verso le forze politiche e il Parlamento». Monti ha così «respinto in modo netto» le espressioni del leader del Pdl, Angelino Alfano secondo cui il governo sarebbe stato «cedevole verso una delle parti, il Pd». Un’affermazione che Monti ha giudicato «grave». «Il nostro governo dal primo all’ultimo giorno - ha spiegato - si è ispirato doverosamente all’imparzialità. Ho espresso il desiderio nostro di lavorare non solo per mettere in sicurezza l’economia ma per instaurare un clima di fiducia reciproca tra politica e cittadini. Questo atteggiamento di rispetto verso il Parlamento e le forze politiche ha sempre caratterizzato il nostro comportamento. Nessuno deve essere quindi sorpreso se il 7 dicembre, avendo visto l’intervento del segretario del Pdl Angelino Alfano, ne abbiamo tratto le conseguenze. Per noi le parole pesano, nella vita umana, civile, e credo che le parole del Parlamento debbano pesare ancora di più. Di questo devono essere coscienti coloro che pronunciano le parole e coloro che le ascoltano. Faccio fatica a seguire la linearità del pensierodi Berlusconi. Verso di lui esprimo una parola di gratitudine e di sbigottimento. Togliere l’Imu? Una proposta bellissima e piena di attrattiva popolare. È bellissimo e allora io direi anche ridurre le tasse o reintrodure il concetto che le tasse significa mettere le mani nelle tasche degli italiani. Ma se si farà senza altre grandissime operazioni di politica economica, chi verrà al governo un anno dopo - e non dico dopo cinque anni - dovrà mettere l’Imu doppia. Non bisogna svendere il futuro del Paese solo per farsi rieleggere. Compiacere i gruppi di interesse per acquisire consensi elettorali è la peggiore forma di voto di scambio». Parlando di quanto fatto dall’esecutivo in questo anno in materia di giustizia, Monti ha spiegato che il governo ha fatto «tanta fatica» con la legge anti-corruzione «per la presenza di forti resistenze» in Parlamento. E ancora una stoccata al Cavaliere: «Credo siano meglio leggi ad nationem e non ad personam».
Monti critica poi apertamente il sindacato di Susanna Camusso: «Per rilanciare la crescita servono riforme, alcune tutele previste dal mercato del lavoro erano giustificatissime in passato, ma oggi penalizzano i lavoratori e la Cgil svolge un’azione di freno perché fatica ad evolvere. Per la crescita contano le condizioni macro, ma conta moltissimo ciò che avviene nel mercato del lavoro, nella produttività. Serve un gioco sinergico di imprenditori, sindacati, pubblici poteri, accomunati da un solo filo che prepara il futuro: la volontà di riforme». Nel finale il passaggio più atteso. Il premier ha parlato della necessità di superamento dell’asse sinistra-destra. «Finora è stato chiesto ai cittadini di schierarsi per qualcuno per schierarsi contro qualcun altro. Io non mi schiero con nessuno, vorrei che partiti e forze sociali si schierassero sulle idee», ha spiegato Monti sottolineando di «augurarsi» che «le idee, quelle che trovate nell’agenda possano essere condivise da una maggioranza». «Non parlerei mai di una discesa in politica semmai di una salita in politica, abbiamo bisogno di politica più elevata», ha poi aggiunto. «Alle forze che manifesteranno adesione convinta e credibile all’Agenda Monti, sono pronto a dare il mio apprezzamento, incoraggiamento e, se richiesto, la mia guida, e sono pronto ad assumere un giorno, se le circostanze lo volessero, responsabilità che mi venissero affidate dal Parlamento». Tra le forze che sosterranno l’agenda Monti non ci sarà Sel. «La risposta l’ha data lo stesso Vendola ieri. E’ diritto di Vendola chiedere a Bersani di prendere le distanze dall’Agenda Monti, è diritto di Bersani riflettere se aderire”, ha detto lo stesso Mario Monti. Che ha aggiunto: «Sui temi del lavoro è Vendola il conservatore». Alla domanda su quali possano essere i confini dello schieramento a sostegno dell’Agenda Monti, in particolare tra Vendola e Bersani, il premier ha dunque risposto: «Il presidente Vendola è sempre una persona che si ascolta e si legge con interesse, ha detto di me che sono un liberale conservatore. Liberale sì, conservatore credo sia lui sotto molto profili: non nell’aspetto che lo connota e positivamente per la cura dei temi ambientali, ma credo che per quanto riguarda i temi del lavoro le forze conservatrici siano altre». Insomma, «La risposta l’ha data Vendola ieri, quando ha chiesto, e non è la prima volta, a Bersani di prendere le distanze dall’agenda Monti. E’ diritto di Vendola chiederlo, è diritto di Bersani riflettere se aderire». Monti ha infine premesso che comunque «non sarà candidato a un particolare collegio» essendo già senatore a vita. Ma «se una o più forze politiche , con una credibile adesione a questa agenda, manifestassero il proposito di candidarmi alla presidenza del Consiglio, allora valuterei la cosa. A nessuno - ha aggiunto - si può impedire di fare questo».
Un'agenda che serva a «fare chiarezza» a «unire sforzi», non indirizzata al centro, alla sinistra o alla destra, ma un'agenda erga omnes. La classica suddivisione sinistra-destra non è più «il più proficuo asse di riferimento. Ci sono cespugli riformisti sia a destra sia a sinistra». Secondo Mario Monti l'asse portante dell'azione del prossimo governo dovrà essere «la volontà di cambiamento e l'Europa».
Contenuti e metodo di governo, credibilità di intenti: l'agenda Monti che lo stesso presidente del Consiglio ha illustrato nel corso della conferenza stampa al centro polifunzionale di Palazzo Chigi, si configura come una «riflessione aperta».
Al primo punto dell'agenda, che reca il titolo "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa, agenda per un impegno comune", compare l'indicazione a «non distruggere quel che si è fatto nel 2012 con il sacrificio di tutti gli italiani», in linea con l'invito rivolto dal presidente della Repubblica nel discorso alle massime cariche dello Stato («non dissipare gli sforzi compiuti dal paese»). Nell'agenda si fa esplicito riferimento a quel che sicuramente non andrebbe fatto: sottrarsi alle linee-guida dettate dall'Europa. «Consiglierei a un futuro governo - ha osservato Monti – di lavorare con pazienza in Europa facendo valere la capacità di negoziato e non la durezza dei pugni». E certamente nell'agenda delle cose da non rientra l'abolizione dell'Imu, che compare negli slogan elettorali di Silvio Berlusconi. «Se si facesse un provvedimento come questo, chi verrà solo un anno dopo dovrà mettere l'Imu doppia». Giova notare che se si clicca su Google Agenda di Monti si trovano un centinaio di definizioni diverse. Ripercorrendo alcune affermazioni del Monti pensiero possiamo affermare che l'agenda Monti si propone di evitare «pericolosissimi ed illusionistici passi indietro. La crescita e l'occupazione sono le due emergenze cui non si potrà sottrarre alcun governo». Meno tasse su lavoro e imprese: è la strada giusta, certo con parità di vincoli di bilancio, quindi occorre immaginare forme compensative. La via maestra è la riduzione della spesa pubblica e su questa strada occorre spingere il pedale in modo più risoluto rispetto a quanto fatto finora. L'equazione è ridurre la spesa per tagliare la pressione fiscale in primo luogo a beneficio delle imprese e del lavoro. Europa in primo piano per dare più sostanza alle politiche per la crescita, alla liberalizzazione nel settore dei commerci e dei servizi. «È naturale che da noi la crescita non vi sia. Come si fa a pensare che avendo dovuto varare provvedimenti durissimi si potesse avviare contemporaneamente la crescita?». La crescita deriva dalle riforme, da una politica «degna e forte» che non si ispiri alla necessità di inseguire gli interessi elettorali. Per la crescita e l'occupazione l'agenda Monti propone un «gioco sinergico, un'unione dei riformatori accumunati da una comune volontà di cambiamento e non dal rifiuto del cambiamento». Da questo punto di vista, l'agenda prevede la modernizzazione del quadro del mercato del lavoro, la drastica semplificazione della normativa senza recedere dalla tutela dei diritti, il superamento del dualismo tra lavoratori dipendenti sostanzialmente protetti e i non protetti. E ancora ridurre a un anno il lasso di tempo per il passaggio da un lavoro a un altro, spostare verso i luoghi di lavoro il baricentro della contrattazione collettiva, favorendo la defiscalizzazione in direzione della contrattazione aziendale. Il gioco sinergico dovrà investire imprese, lavoratori, sindacati, pubblici poteri ciascuno nel suo ruolo. Tutti dovrebbero "operare in armonia", uscendo da una logica di arroccamento e di tutela degli interessi dei lavoratori che finisce per avere l'effetto opposto e penalizzare i lavoratori.
È soprattutto al lavoro che il nuovo governo dovrà guardare. Sul fronte della giustizia, l'impegno è a non fare leggi ad personam ma leggi ad nationem, e dunque nell'agenda compare l'intento di rafforzare la disciplina del falso di bilancio, ampliare la disciplina del voto di scambio, intervenire sulle intercettazioni e varare norme di prevenzione del conflitto di interessi. Quanto ai costi della politica, nell'ammissione che quel che il governo ha portato a casa sia «molto di meno di quel che avrebbe voluto», la proposta vede in primo piano la riduzione delle Province («vi sono stati fortissimi arroccamenti»). Per Monti «il più grande costo della politica è quello delle decisioni non prese». E sul fronte della crescita, lotta alle rendite e più concorrenza sono la ricetta per una politica economica ispirata a criteri di equità. Per la crescita e l'equità, l'agenda Monti pone in primo piano il tema di una «nuova visione» della donna. Nell'agenda «c'è molto pink e molto green». La nostra sensazione è che questa agenda contenga più luoghi comuni rimasticati e molto stato, non contenga numeri e ... l'abolizione delle provincie che fine ha fatto?
Monti ... sale in politica (26 dicembre 2012).
«Insieme abbiamo salvato l'Italia dal disastro. Ora va rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi sì. Saliamo in politica». Lo ha scritto ieri sera alle 23,31 il presidente del Consiglio dimissionario sull'account Twitter @SenatoreMonti annunciando la sua discesa in campo. Qualche minuto dopo, dall'account aperto poco dopo la conferenza stampa di fine anno ha ribadito: «Insieme ..."Saliamo" in politica! #AgendaMonti agenda-monti.it». Nel suo staff confermano che è stato Monti in persona a scrivere i due tweet, dalla sua casa di Milano, al termine di una serata passata con figli e nipoti. «Aspettiamo di vedere come si collocherà», è stato il commento del segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Il leader del Pdl Silvio Berlusconi ha ribadito che «l'agenda Monti è una cura sbagliata. Se il Pdl dovesse avere la maggioranza questa dovrà essere usata per cambiare l'architettura istituzionale dello Stato, per dare più poteri al Governo, per dimezzare il numero dei parlamentari, per cambiare la composizione della Corte Costituzionale». Summit domani fra Mario Monti e i big impegnati a sostegno della sua agenda politica per una decisione «entro la fine dell'anno» se presentarsi alle elezioni con una lista unica nel nome del premier o con più liste di riferimento al nome del Premier. «Deciderà lui con incontri e nuovi contatti ai massimi livelli già domani - ha preannunciato a Sky Tg24 il parlamentare Udc Roberto Rao, fra i principali collaboratori di Pier Ferdinando Casini - perchè ci sono vantaggi e svantaggi in entrambe le soluzioni. In ogni caso entro la fine dell'anno agli elettori sarà presentata una scelta chiara». Già domenica scorsa, dopo l'annuncio della sua "salita in politica", Monti aveva avuto un primo incontro collegiale con il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, il promotore di "ItaliaFutura" e "Verso la Terza Repubblica" Luca Cordero di Montezemolo e il ministro Andrea Riccardi che, insieme a Corrado Passera e Enzo Moavero Milanesi, è considerato fra i ministri più vicini a compiere il passo dell'ingresso full time diretto in politica al fianco di Monti. Sarà Monti a decidere se fare una lista o diverse. Ma le parole del premier sembrano confermare la tentazione - confermata da tempo dai suoi più stretti collaboratori - di fare una sua lista elettorale. L'ipotesi appare rafforzata dalle parole pronunciate dallo stesso Monti durante l'intervista con Lucia Annunziata di domenica: la mia agenda - aveva detto - ha bisogno di un "mandato elettorale" e "politico", in particolare dalla "società civile" e da quelle persone che «mi dicono: "mi hai tartassato, ma mi fido perchè sei una persona seria"».
ILVA: scontro magistratura governo (28 dicembre 2012).
Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato: la Procura di Taranto lancia l'offensiva contro le norme che consentono all'Ilva la continuità produttiva nonostante il sequestro disposto dall'autorità giudiziaria a luglio a causa del reato di disastro ambientale. È stato infatti presentato l'annunciato ricorso alla Corte Costituzionale contro il decreto legge numero 207 del 3 dicembre scorso che riguarda l'Ilva di Taranto ma si applica anche a tutti gli stabilimenti industriali ritenuti di interesse strategico nazionale e con occupazione superiore ai 200 addetti. Poiché il decreto é stato nel frattempo convertito in legge - l'approvazione da parte di Camera e Senato é avvenuta proprio la scorsa settimana - la Procura attenderà ora la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» per inoltrare alla Consulta un secondo ricorso, basato stavolta sulla legge ma con le stesse motivazioni del primo. La possibilità che la Procura facesse ricorso alla Consulta era già emersa all'indomani della presentazione del decreto e già nei giorni scorsi in ambienti giudiziari si affermava che il lavoro era ormai a buon punto. Il conflitto di attribuzione da parte della Procura non esclude la possibilità che da parte della Magistratura di Taranto si sollevi anche l'eccezione di incostituzionalità della legge, procedimento, questo, che ha però bisogno di una sede tecnica per essere attivato. La possibile sede potrebbe essere il 3 gennaio quando si discuterà di un nuovo ricorso dell'Ilva contro il dissequestro degli impianti o l'8 gennaio quando é invece calendarizzata l'udienza sul ricorso Ilva per ottenere il dissequestro di prodotti finiti e semilavorati bloccati dallo scorso 26 novembre nell'ambito dei nuovi sviluppi dell'inchiesta giudiziaria sull'Ilva. Ancora una volta si dimostra che nel nostro paese convivono mondi paralleli che non comunicano; il mondo delle PA che vive nella sicurezza dei propri stipendi e posti di lavoro e il mercato con le sue "leggi naturali".
Quale 2013? (31 dicembre 2012).
Come sarà l'economia mondiale nel 2013? Il peggio della crisi sarà alle spalle o dovremo aspettarci ancora un altro anno di sofferenza? E che anno sarà, quello che sta per entrare, dal punto di vista geopolitico per l'area più calda del mondo – quella medio orientale – alle prese con la guerra civile siriana, l'atomica iraniana, lo scontro infinito fra palestinesi e israeliani? È impossibile da prevedere a tavolino. Quel che è certo è che cominciano mesi di grandi scelte e svolte decisive. Che lasceranno sicuramente il segno. L'Fmi ritiene che il 2013 possa rappresentare un vero momento di svolta e che nell'ultimo trimestre la crescita globale si dovrebbe attestare al 3,5%, anche se solo nel 2014 l'economia mondiale tornerà a crescere ad un tasso accettabile e sostenibile. Per l'Europa, tuttavia, sarà un anno interlocutorio. Dopo un 2012 di ricaduta in recessione, il 2013 sarà infatti caratterizzato da una crescita quasi al palo. Secondo le ultime previsioni del Fondo, nell'anno che sta per aprirsi eurolandia farà segnare un aumento del Pil di appena lo 0,2%. Una crescita anemica confermata anche dalla Bce: l'Eurotower pronostica una "ripresa molto graduale" nella seconda metà dell'anno, grazie soprattutto al recupero della domanda mondiale e al miglioramento del quadro dei mercati. Quanto agli Stati Uniti c'è chi prevede che - superato lo scoglio del fiscal cliff - la locomotiva riprenderà a sbuffare. E chi tende ad essere meno ottimista sottolineando che il prossimo anno sarà caratterizzato da grandi sfide non solo sul fronte economico - con le tante questioni irrisolte, a cominciare da deficit e debito pubblico - ma anche su quello politico e sociale. Oltre a dover affrontare il problema dei problemi, ovvero lo spaventoso deficit pubblico, Obama dovrà anche proseguire nell'opera di reindustrializzazione del Paese per evitare una massiccia delocalizzazione. In agenda c'è inoltre la difficile riforma della finanza e delle banche, che ha provocato tanti guai e non solo all'America. Non avendo il problema del consenso, il presidente potrà in ogni caso condurre - finalmente con più decisione - una politica che contribuisca a ridurre le diseguaglianze sociali. Relativamente all'altro grande protagonista dell'economia mondiale – ovvero la Cina – il mondo si interroga su quanto sia credibile la promessa di Pechino di un 2013 ricco di riforme e di una maggiore apertura del sistema economico. Resta poi anche da vedere se la nuova leadership - il nuovo parlamento si insedierà a marzo - avvierà un'ulteriore liberalizzazione della moneta. La Banca mondiale ha intanto rivisto leggermente al rialzo la previsione del Pil cinese 2013, dall'8,1 all'8,4 per cento. Un tasso di crescita importante, anche se lontano da quelli a doppia cifra del recente passato (e anche dal +9,3% messo a segno nel 2011). A lungo termine, secondo la Banca mondiale, la crescita cinese dovrebbe comunque rallentare a causa del cambiamento strutturale dell'economia (che dovrebbe allontanarsi da una crescita basata su investimenti ed esportazioni). Prevista una girandola di grandi vertici internazionali. Si parte già a gennaio con la sesta conferenza internazionale sulle prospettive delle risorse idriche e l'ambiente (a Izmir, in Turchia, dal 7 al 9) e il World economic forum (a Davos, dal 23 al 27), uno dei summit ancora in grado di dettare l'agenda mondiale. A febbraio, poi, il primo Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo del 2013 (in programma il 7 e l'8) sarà chiamato a trovare un accordo sul nuovo bilancio 2014-2020 da circa mille miliardi di euro. A marzo sarà quindi la volta del quinto summit dei Brics, ovvero dei Paesi sempre più protagonisti della crescita mondiale. A fine aprile sono poi in programma i meeting di primavera di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Fra gli appuntamenti in calendario a maggio spiccano l'Economic outlook dell'Ocse e il World competitiveness yearbook (punto di riferimento mondiale per valutare la competitività delle nazioni), mentre a fine agosto si tiene a Jackson Hole - sulle montagne del Wyoming - l'annuale meeting dei governatori della Federal Reserve: un'occasione tra le più significative per capire lo stato di salute e l'evoluzione dell'economia non solo statunitense. Il 5 settembre, i riflettori si accenderanno sui lavori del G20 - organizzati per la prima volta dalla Russia - a cui prendono parte le principali economie mondiali (più la Ue), ovvero i paesi che producono il 90% del Pil globale. Dopo l'estate, l'attività internazionale riprenderà sulle rive del lago di Como: a settembre Cernobbio ospiterà il forum dello Studio Ambrosetti, evento inserito ormai stabilmente nel calendario dei summit di caratura mondiale. Fra i grandi incontri internazionali che si terranno nell'ultimo trimestre, attenzione anche al summit dell'Apec - l'associazione per la cooperazione economica dell'area Asia-Pacifico che raggruppa 20 paesi costieri del Pacifico più Hong Kong - e al vertice annuale della Cumbre Iberoamericana dei leader politici di Spagna, Portogallo e Paesi del Sud America. Ai consueti vertici tra capi di stato e di governo si aggiungeranno poi le riunioni delle banche centrali, a cominciare da quelle di Bce (il 10 gennaio il primo consiglio dei governatori) e Federal Reserve (la prima riunione del Fmoc è in calendario il 29 e 30 gennaio). Il 13 aprile, inoltre, si insedia il nuovo governatore della Banca centrale nipponica: il successore di Masaaki Shirakawa dovrà vedersela con il premier Shinzo Abe che punta sulla limitazione dell'indipendenza della BoJ e la fissazione di un target inflation al 2% per battere la deflazione.
Usa: accordo sul fiscal cliff (1 gennaio 2013).
La Casa Bianca ha raggiunto ieri notte un accordo d'emergenza con i leader repubblicani al Senato per evitare le conseguenze del Fiscal cliff. E i senatori, verso le due di notte ora locale, hanno approvato il compromesso con 89 voti a favore e 8 contrari. Ma un voto alla Camera, a maggioranza repubblicana, arriverà forse solanto oggi pomeriggio e sul suo esito permangono tensioni e incertezze. L'intesa, inoltre, lascia irrisolte dure polemiche e battaglie che avranno luogo nelle prossime settimane: rastrella solo 600 miliardi di dollari in dieci anni, poco per risanare il debito americano. Ne' alza il tetto sull'indebitamento federale, ormai raggiunto. Il Fiscal cliff farebbe scattare nel 2013 aumenti generalizzati delle tasse e riduzioni di spesa per oltre 500 miliardi, minacciando di spedire nuovamente l'economia in recessione. L'intesa, negoziata anzitutto dal vicepresidente Joe Biden e dal leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, prevede invece che le imposte aumentino dal 35 al 39,6% sui redditi individuali sopra i 400.000 dollari e familiari sopra i 450.000 dolllari. Sopra queste soglie saliranno anche le aliquote sui guadagni di capitale e i dividendi, dal 15% al 20 per cento. Una serie di detrazioni svaniranno a partire da redditi oltre i 250.000 dolari. L'imposta di successione aumenterà a sua volta dal 35% al 40% per le eredità superiori ai 5 milioni. Oltre ai rialzi delle tasse sui redditi più alti, scatterà tuttavia anche un aumento dei prelievi sui salari volti a finanziare il sisema pensionistico federale, pari a due punti percentuali. Sul fronte delle spese tagli automatici per 110 miliardi verranno rinviati di due mesi. Mentre saranno rinnovati per un anno i sussidi di dispoccupazione in scadenza per quasi tre milioni di americani e crediti d'imposta per i più poveri. Le prossime settimane dovranno così, in ogni caso, vedere una riapertura del negoziato con più ampi obiettivi. Il tetto sul debito federale è stato formalmente toccato ieri a 16.400 miliardi e il Tesoro solo con una serie di manovre straordinarie, quali il rinvio di stanziamenti per i piani pensionistici dei dipendenti pubblici, ha creato un margine di circa 200 miliardi che verrà però esaurito entro marzo. Riforme dei grandi programmi di spesa, sanità e pensioni, restano inoltre in discussione, voluti anziautto dai repubblicani. E il presidente Barack Obama ha indicato che chiederà ulteriori incrementi delle tasse sugli americani più ricchi per ridurre il debito. Le premesse non sono facili. Tutti gli osservatori hanno gudicato il compromesso di fine anno un risultato modesto rispetto alle necessità. Le trattative finora hanno scontentato molti dei protagonisti: i democratici liberal ritengono che la Casa Bianca stia concedendo troppo; i repubblicani più conservatori continuano a mantenere la loro preclusione a aumenti delle tasse.
Gli otto punti del governo Monti (1 gennaio 2013).
Sul sito di Palazzo Chigi è stato pubblicato un documento, intitolato "Analisi di un anno di governo". Un bilancio di quel che è stato fatto e di ciò che rimane ancora da fare in futuro, eventualmente con un Monti bis. A partire dalla riduzione di un punto del carico fiscale, obiettivo mancato nell'anno che si è appena concluso. La nota parte da un disamina dei dati economici dell'Italia prima che il Professore prendesse le redini del governo con un'attenzione particolare al dato del differenziale del tasso di interesse dei titoli di stato italiani con i bund tedeschi. Dopo il breve capitolo sullo "spread", il documento affronta la questione "Europa", rivendicando la crescita di credibilità del Paese grazie alle riforme. Tocca poi al "miglioramento dell'economia". Nella nota di sottolinea che "le prospettive per il futuro sono migliorate in modo significativo", che "gli investitori internazionali stanno tornando a comprare i titoli pubblici italiani, rendendo possibile una diminuzione del costo del denaro, non solo per lo Stato, ma anche per le imprese e le famiglie". I capitoli successivi sono "fisco", "spending review", "competitività del Paese" (il punto più lungo del documento composto da nove cartelle), "corruzione e legalità", "costi della politica e spesa pubblica degli enti locali". Nel capitolo sul fisco, in particolare, si legge che "l'obiettivo è di ridurre di un punto e progressivamente la pressione fiscale, iniziando dalle aliquote più basse per dare respiro alle fasce più deboli". Bisogna completare infatti la delega fiscale: la mancata approvazione "lascia una lacuna da colmare al più presto". Sulla spending review "non bisogna fare passi indietro e soprattutto non bisogna cedere alle sirene delle lobby e di chi non vuole rinunciare ai propri privilegi". L'azione è appena iniziata, si chiarisce nel documento: "Non è ragionevole un cambiamento epocale in un tempo così ristretto". Quanto ai servizi pubblici locali "si avverte la necessità di aprire alla concorrenza", in quanto gestiti in gran parte in modo diretto con il risultato di "un servizio spesso scadente che pagano i cittadini e le stesse amministrazioni". E i settori in cui ci sarebbero i maggiori spazi di apertura sono "i trasporti pubblici e i rifiuti". Nel capitolo liberalizzazioni, il documento chiede interventi sulla distribuzione dei carburanti, fermata dal Parlamento, e propone la separazione tra Banco-Posta e Poste italiane. Nella parte dedicata al miglioramento dell'economia, si legge che "la stabilizzazione dei conti pubblici ed il calo dei tassi di interesse riducono fortemente il rischio di ulteriori manovre nel futuro". Il testo pubblicato sul sito di Palazzo Chigi indica questo come uno degli effetti concreti del fatto che "a poco più di un anno dal momento più drammatico della crisi, si può dire che le prospettive per il futuro sono migliorate in modo significativo". Su lavoro e giovani, l'analisi mette in risalto che "purtroppo le pressioni opposte e contrarie al tentativo di aprire ai giovani e rendere il mercato dei professionisti più aperto, meritocratico e competitivo sono state poderose". Manca all'appello anche "una riforma completa dell'accesso alla professione forense e soprattutto le società tra professionisti".
Chiusura dell'anno finanziario 2012 (2 gennaio 2012).
L'anno appena archiviato è stato avaro con molti, ma non con chi ha avuto il sangue freddo di puntare su quei titoli di Stato europei che a lungo hanno tenuto con il fiato sospeso politici, banchieri e investitori. I bond del Vecchio continente hanno chiuso il 2012 con la migliore prestazione di sempre, con Portogallo, Italia e Irlanda, a guidare il gruppo. «Il principale supporto al mercato è venuto dalla Banca centrale europea che ha evitato il rischio di vendite a pioggia e di una frantumazione della zona euro», spiega Mohit Kumar, responsabile delle strategie di fixed income per Deutsche Bank in Europa. Uno dei momenti cruciali risale a luglio, quando il presidente della Bce Mario Draghi si è detto pronto «a fare qualunque cosa necessaria per salvare l'unione monetaria». Tra i fattori cruciali ci sono stati anche i passi in avanti fatti dalla politica con i piani per una più forte supervisione bancaria e la marcia verso un maggiore coordinamento tra gli Stati sul fronte dei bilanci. I titoli sovrani italiani hanno chiuso il 2012 a +21%, il primo incremento dal 2009. I titoli sovrani irlandesi hanno fatto +29%, mentre per quelli portoghesi, in base ai dati compilati da Bloomberg, i ritorni per gli investitori sono stati addirittura del 57%, il record dal 1994. Un indice che tiene conto dei bond di tutti i Governi dell'Eurozona ha registrato un aumento del 12%, il dato più alto da quando nel 1999 Bloomberg ha iniziato a tenere la sua serie storica. Dietro queste buone prestazioni ci sono stati in buona parte i grandi investitori stranieri come Pacific Investment Management (che gestisce il più grande fondo di titoli sovrani al mondo) e Blackrock (numero uno mondiale della gestione con asset per 3.700 miliardi di dollari) tornati entrambi a comprare titoli italiani e spagnoli. A spingere le obbligazioni dei due Paesi hanno contribuito nella prima parte del 2012 anche i mille miliardi di euro messi a disposizione dalla Bce attraverso le due cosiddette Long-term refinancing operations (Ltro). Il venir meno delle tensioni che hanno caratterizzato la fine del 2011 non sembra però destinato a regalare a investitori e analisti un 2013 privo di stimoli. Innanzitutto perché l'anno appena cominciato, secondo Lloyds banking Group, vedrà il ritorno sul mercato di Irlanda e Portogallo, i due Paesi che insieme alla Grecia stanno ricevendo aiuti internazionali. Poi perché a questo terzetto si aggiungerà la Spagna con la sua richiesta ufficiale di bail out. E poi perché il 2013 sarà un anno elettorale per Germania e Italia.
..........Ottobre - dicembre 2012
Eugenio Caruso
Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.
Tratto da