La pazienza è una vera, segreta ricchezza.
Publilio Sirio – Sententiae
Facebook ha un problema: per i teenager non è più di moda. Gli utenti più giovani si stanno spostando verso servizi alternativi come Instagram o SnapChat. E per un social network che è stato creato proprio da un teenager (quando ne scrisse le prime linee di codice, Mark Zuckerberg non aveva ancora compiuto vent’anni) e che alle origini era addirittura riservato solo agli studenti, la novità suona come un campanello d’allarme. A maggior ragione se a farlo suonare è un’ammissione ufficiale dell’azienda, un piccolo paragrafo all’interno del report annuale per gli investitori. Lo si trova a pagina 15, alla voce “fattori di rischio”: “Crediamo che alcuni dei nostri utenti, in particolare i più giovani, conoscano e stiano usando attivamente altri prodotti e servizi, simili a Facebook o come sostituti. Per esempio, riteniamo che alcuni utenti abbiano ridotto la loro attività su Facebook in favore di prodotti o servizi come Instagram”. Poche righe che confermano ipotesi che già da tempo circolavano sui media e che, soprattutto negli Usa, hanno innescato analisi, riflessioni, previsioni. E’ un dato di fatto che Facebook rimane il leader dei social media, con una massa globale di utenti posizionata ben oltre il miliardo. Ma lo è anche che la sua percezione tra il pubblico sta cambiando. In particolare tra quello più giovane, che inizia a patire diversi aspetti del social network: la crescente complessità, l’aumento dello spazio riservato alla pubblicità e soprattutto l’invecchiamento dell’utenza media, con un inevitabile intreccio tra generazioni diverse. Per un quindicenne, presumibilmente, non è il massimo far parte dello stesso network prediletto dai genitori. Così, per quanto ancora difficilmente quantificabile, l’osmosi sembra essere iniziata. Verso dove? Uno dei primi indiziati è Instagram. Forte di un’integrazione quasi naturale con gli smartphone (strumento sempre più diffuso proprio tra le fasce più giovani) e nato come servizio di scambio di fotografie, Instagram ha da poco superato i cento milioni di utenti e conserva quella semplicità di funzioni che era tipica del Facebook originario. Poi ci sono le new entry: siti più giovani, freschi, in grado di rispondere a quelle esigenze di segretezza e privacy che – un po’ paradossalmente – sembrano stare più a cuore ai teenager che alla generazione di trentenni/quarantenni. Per esempio Snapchat, altro servizio di messaggeria incentrato sulle foto, che oggi viaggia intorno ai 60 milioni di messaggi quotidiani e tra le prerogative più innovative presenta la possibilità di fissare la durata dei propri contenuti: rimangono visibili agli amici solo per un tempo fissato, poi scompaiono. Come sta reagendo Facebook al problema? Al momento, con un po’ di confusione, tradita dai ripetuti e un po’ ondivaghi aggiornamenti dell’interfaccia. Dal 18 maggio 2012, giorno della sua quotazione al Nasdaq, sono inevitabilmente cambiati anche i suoi obiettivi. Di fronte agli azionisti, oggi il social network non deve solo essere il più appetibile, ma anche generare la maggior quantità di profitti possibile. Da qui, l’incessante tentativo di inventarsi sempre nuove posizioni per gli annunci pubblicitari, cercando di ottimizzarne i guadagni senza infastidire troppo gli utenti. Se Snapchat può essere considerato un concorrente a tutti gli effetti (anche con un pizzico di campanilismo accademico e geografico: è stato creato da quattro studenti di Stanford, università della West Coast californiana in quota Silicon Valley, mentre Facebook nasce nell’elegante Harvard sulla East Coast), con Instagram il discorso è più complesso. Nel 2012, il servizio fotografico è stato acquisito proprio da Facebook, per una cifra – tra contanti e azioni – non troppo lontana dal miliardo di dollari. Quando il social network confessa agli investitori la migrazione di alcuni dei suoi utenti verso Instagram, dunque, è come se dicesse: “Ok, vanno via da Facebook ma rimangono in casa”. Con una distinzione però importante, e non proprio confortante per le esigenze finanziarie dell’impresa. “La realtà è che Facebook sta cedendo l’attenzione di parte del suo pubblico a un’applicazione che non ha modelli di business pubblicitario”, scrive Jennifer Van Grove su CNet News . “E Facebook non è nemmeno perfettamente a conoscenza del modo in cui Instagram è in relazione con le sue stesse applicazioni”. E qui si torna al nocciolo del problema: molti teenager (e non solo teenager) si spostano verso Instagram perché è più semplice, immediata e non ancora intasata dalla pubblicità o da altre applicazioni commerciali, che invece proliferano su Facebook. Ma se Facebook sopravvive economicamente – mantenendo l’accesso gratuito ai suoi utenti – è proprio grazie a queste inserzioni e a queste partnership. Prima o poi, può darsi che dovrà aggiungerle anche su Instagram e allora il circolo vizioso e centrifugo potrebbe diventare inarrestabile. Il miliardo di utenti attirati in meno di un decennio sembra costituire un valido scudo di fronte alle piccole crisi. Tanto reale quanto psicologico. Quali rischi può correre un social network di tali dimensioni? Adesso che inizia a sedurre anche fasce inedite, come quelle dei cinquantenni e dei sessantenni – numericamente importanti e assai interessanti anche per gli inserzionisti – non sarà mica l’abbandono di qualche ragazzino in cerca di privacy con i suoi amichetti a metterlo a rischio, no? In realtà, nell’ancora breve stagione dei social media, si è già assistito a clamorose e repentine scomparse di civiltà virtuali. Non immense quanto Facebook, ma già piuttosto popolose. E’ successo a MySpace, che ad agosto 2006 vantava cento milioni di utenti e un proprietario non troppo avvezzo ai fallimenti (Rupert Murdoch), e a Friendster, che in Italia non sono in molti a ricordare, ma fu forse il primo esempio di social network generalista globale e la cui rapida scomparsa è stata di recente analizzata in uno studio pubblicato dal Politecnico Federale di Zurigo e intitolato, un po’ macabramente, L’autopsia di Friendster . “I cambiamenti interni ai social network possono spingere alcuni utenti ad abbandonarli”, scrivono gli autori della ricerca. “E’ un processo che può innescare ulteriori abbandoni, man mano che gli utenti si rendono conto di aver perso le connessioni con i loro amici. Il risultato potenziale sono cascate di abbandoni. La resistenza del social network dipende dalla capacità di limitare le dimensioni di queste cascate”. Proprio quello che non sono riusciti a fare Friendster e MySpace, rapidamente spazzate via quando i loro utenti hanno iniziato ad andarsene in massa (spesso per passare proprio a Facebook). Riusciranno Zuckerberg e i suoi collaboratori a evitare la stessa sorte, limitando gli effetti di questa prima cascata di teenager?
..... Impresa Oggi
12 marzo 2013
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