La ragione è condannata a porsi degli interrogativi ai quali sa di non poter rispondere.
Immanuel Kant
I mesi autunno 2012/primavera 2013 sono stati particolarmente piovosi in tutto il nord Italia; è forse prematuro e avventuroso nell'addossare pioggia e freddo di queste stagioni al riscaldamento globale, riprendo, comunque, con interesse questa pubblicazione di Ecoscienza sul fenomeno.
In totale controtendenza rispetto ai precedenti due anni (2011 e 2012) molto siccitosi, l’autunno, l’inverno e la primavera hanno visto il ritorno di precipitazioni molto abbondanti e
persistenti sull’Emilia-Romagna. Se l’aumento delle precipitazioni autunnali è una tendenza oramai consolidata a partire dagli anni 2000, il forte surplus di precipitazioni invernali/primaverili rappresenta forse l’anomalia più sorprendente nel panorama di questi ultimi anni. Da notare anche le abbondanti e frequenti nevicate che hanno caratterizzato il periodo invernale, come quella per esempio del 22-23 febbraio, con oltre 50 cm di neve fresca in collina, a cui si sono associati frequenti episodi di disgelo. La continua alimentazione meteorica e i ripetuti cicli di fusione e rigelo del manto nevoso hanno determinato la totale imbibizione dei terreni, anche in profondità generando fenomeni di dissesto diffusi e piene fluviali anche a fronte di eventi di pioggia non particolarmente intensi.
Piogge invernali stile anni 30
Dopo le abbondanti precipitazioni autunnali e invernali, le precipitazioni sono continuate a cadere anche in primavera, determinando un brusco aggravamento dei fenomeni di dissesto idrogeologico sull’appennino centrale. Dal bolognese al reggiano, l’Agenzia regionale di Protezione civile ha registrato più di 500 segnalazioni di frana nel solo mese di marzo. Nei 40 giorni compresi fra il primo marzo e il sette aprile, quando il terreno era ormai già saturo, sono caduti dal doppio al quadruplo dei quantitativi di pioggia attesi dalla climatologia per lo stesso periodo. Nel periodo si sono notate mediamente precipitazioni superiori ai 150 mm su tutta la regione, con punte oltre i 250 mm sulle colline emiliane e valori oltre i 600 mm sul crinale appenninico tosco-emiliano. Si ricorda che mediamente sulle zone di pianura e prime colline i valori climatologici per questo periodo dovrebbero attestarsi intorno ai 70-80 mm. La distribuzione spaziale dell’anomalia di precipitazione mostra una marcata anomalia positiva di precipitazione su tutto il territorio, che diventa molto forte sul settore emiliano, dove arriva a oltre il 300%, rispetto al periodo 1991-2010, su ampie zone di territorio. Se andiamo a valutare l’eccezionalità delle piogge di marzo sulle stazioni climatologiche caratterizzate da lunghe serie storiche, che mediamente si estendono dai primi anni 20 fino a oggi, si vede che la cumulata di marzo 2013 si posiziona, in molte stazioni, su valori molto anomali compresi fra il 95° e 99° percentile (i percentili dividono la distribuzione in cento parti uguali. Dato un campione, il percentile ennesimo è il valore che separa il numero percentuale dei dati dal resto. Esempio il 50° percentile è la mediana). I percentili sono stati calcolati sul periodo di riferimento comune a tutte le stazioni 1951-2010. Per quanto riguarda la zona pedecollinare emiliana, fra Parma e Bologna, bisogna risalire al 1964 per ritrovare valori simili che comunque in alcune zone, come quella del parmense e del bolognese, sono stati superati. Per quanto riguarda gli apporti in montagna, più elevati, bisogna iornare ancora più indietro nel tempo per trovare valori confrontabili, agli anni 30 quando si ebbero una serie di primavere molto piovose. In particolare si segnalano quelle del 1927, 1928, 1934 e del 1937 che risultano un poco più piovose, anche se comparabili come valori di pioggia caduta sulle zone appenniniche. Da notare però che le abbondanti piogge di marzo sono seguite a una stagione autunnale e invernale già caratterizzata da piogge molto abbondanti, portando anche le cumulate semestrali (da ottobre a marzo) su valori molto anomali, generalmente superiori al 90° percentile.
Gli effetti delle intense precipitazioni
L’impressionante sequenza delle precipitazioni ha determinato effetti pesantissimi sul territorio regionale con centinaia di smottamenti di terreno e la riattivazione di grosse frane appenniniche a scorrimento lento, come quella di Capriglio nel parmense e quella nel comune di San Benedetto val di Sambro nel bolognese, entrambe con estensioni prossime o superiori al chilometro. Le incessanti precipitazioni del mese di marzo hanno determinato inoltre una successione di fenomeni di piena ravvicinati che hanno interessato tutti i corsi d’acqua regionali con particolare insistenza sul settore centro-occidentale. I bacini maggiormente sollecitati sono stati quelli dei fiumi Enza, Crostolo, Secchia, Panaro, Reno, affluenti compresi. Mediamente sono stati osservati almeno 5/6 eventi per corso d’acqua, con il superamento del secondo livello di attenzione e talvolta del terzo livello. A titolo esemplificativo, facendo riferimento al Reno a Casalecchio, è stato calcolato che, nel solo mese di marzo 2013, è defluito un volume di 328 milioni di m3, pari a circa il 50% del volume che defluisce mediamente dalla stessa sezione in un anno e più del triplo del volume che defluisce nello stesso mese con una media di lungo periodo (1921-2012) di 105 milioni di m3. Il dato di marzo 2013 rappresenta, in termini di deflusso, anche il massimo storico per Casalecchio superando anche i precedenti record del 1934 (325 milioni di m3) e del 1937 (327 milioni di m3). Anche l’agricoltura è stata sottoposta alla grande mutevolezza dell’andamento meteorologico. Sono passati solo pochi mesi da quando il settore lottava contro una siccità fra le più gravi di sempre, e ora lo stesso settore si deve confrontare con un fenomeno diametralmente opposto. Se nell’estate 2012 era la carenza d’acqua a produrre danni eccezionali – sia nelle rese, sia nella qualità dei prodotti agricoli (ricordiamo solo come esempio la grave contaminazione di micotossine nel mais) – ora sono le elevate precipitazioni a impedire il regolare inizio della campagna agraria. L’agricoltura “moderna” non ha mai affrontato una simile situazione. Forse il 1937 ha visto, nei primi tre mesi dell’anno, un simile andamento meteorologico, ma l’agricoltura di allora era completamente diversa da quella attuale nelle tecniche e nell’organizzazione produttiva. Oltre alle anomalie pluviometriche già ricordate, si sottolineano altri due aspetti del fenomeno che hanno particolare importanza agrometeorologica: il numero dei giorni di pioggia (pioggia >2 mm) e il contenuto idrico dei terreni. Nei tre mesi, limitando l’analisi alla pianura, rispetto a 10-15 giorni piovosi attesi secondo il clima 1991-2010, si sono verificati tra 25 e 40 giorni di pioggia, mentre il contenuto idrico, in costante aumento dall’autunno dopo i valori minimi raggiunti nell’estate 2012, ha raggiunto a iniziare da febbraio la saturazione, attestandosi quasi costantemente intorno al 100° percentile con riferimento al periodo 1950-2000. L’eccessiva pioggia, e la conseguente elevata umidità nel terreno prossima alla saturazione, ha prodotto due generi di problemi:
- effetti negativi diretti sulle colture, quali asfissia radicale e aumento delle malattie fungine
- ritardo della semina delle colture precoci, a causa dell’inagibilità dei campi che ha compromesso l’esecuzione di qualsiasi attività.
Le anomalie invernali, il ghiaccio artico e il cambiamento climatico
L’abbondanza di precipitazioni cadute sul nostro territorio è imputabile a una alterazione del posizionamento medio delle correnti atlantiche che quest’anno sono scese molto più a sud del normale, venendo a interessare in maniera più diretta l’Europa occidentale e il bacino del Mediterraneo. Tale configurazione mostra le anomalie meteorologiche in quota e le anomalie di pressione al livello del mare. Dalle mappe si vede che sulla zona artica, nei mesi gennaio, febbraio e marzo, è prevalso un campo di pressione significativamente più alto della media (fino a 3 deviazione standard rispetto alla climatologia recente 1981-2010), mentre in una fascia estesa dall’Atlantico al Mediterraneo la pressione è stata più bassa del normale con condizioni di tempo perturbato. Questa anomala configurazione sembra poter essere legata a cambiamenti dei regimi invernali indotti dalla progressiva diminuzione del ghiaccio artico. Il riscaldamento climatico può far aumentare la variabilità intrannuale e interannuale, inducendo non solo estati più calde, ma anche inverni freddi e nevosi sull’Europa e sull’Italia. L’analisi delle osservazioni e delle simulazioni modellistiche mostra che la diminuzione del ghiaccio artico, gioca un ruolo determinante nell’alterazione dei regimi meteorologici invernali dell’emisfero nord. In particolare a partire dalla forte diminuzione dell’estensione dei ghiacci registrata nel 2007 e tuttora in corso – ricordiamo che il 2012 ha fatto segnare un nuovo minimo –, si sono registrate forti anomalie nella circolazione invernale, consistenti nell’aumento del campo di pressione sull’artico e uno spostamento verso sud e intensificazione delle correnti atlantiche perturbate, che così possono entrare in maniera più diretta sul Mediterraneo, proprio come è successo quest’inverno. Questo spostamento verso sud della corrente a getto (cioè dei flussi perturbati) provoca anche onde più ampie nelle correnti principali, che possono portare a frequenti e durature situazioni di blocco con forti scambi meridiani e afflussi di aria molto fredda da nord o, viceversa, avvezione di aria calda da sud. Quanto descritto è stato ribadito in un recente studio di Liu et al. 2012 pubblicato sull’autorevole PNAS, la rivista della National Academy of Science americana. Gli autori, sulla base delle osservazioni e di simulazioni modellistiche con diversi scenari di estensione del ghiaccio artico, hanno dimostrato che una buona percentuale delle anomalie registrate nella circolazione invernale di questi ultimi anni potrebbe essere imputabile alla riduzione dei ghiacci artici e quindi al conseguente spostamento verso sud della corrente a getto. Le anomalie dell’inverno 2013, che riproducono sostanzialmente il pattern descritto nell’articolo, sembrano rappresentare un’ulteriore conferma a quanto anticipato dalle simulazioni. Tuttavia
la variabilità climatica naturale continuerà comunque a giocare un ruolo importante nel determinare le caratteristiche di una data stagione, ma la diminuzione del ghiaccio artico potrebbe indurre il sistema caotico “atmosfera” verso una maggiore probabilità di inverni nevosi e a un’intensificazione del ciclo idrologico. Un po’ come se nel gioco dei dadi si usassero dadi truccati con una delle facce più pesante delle altre: possono comunque uscire tutte le combinazioni, ma la probabilità che esca il numero corrispondente alla faccia truccata aumenta. Anche se al momento, per i motivi sopra esposti, non possiamo dire con certezza che queste anomalie si ripresenteranno nella prossima stagione invernale, possiamo invece sicuramente affermare che nel prossimo futuro avremo a che fare con una crescente variabilità e quindi con un aumento degli eventi o annate estreme. L’adattamento del nostro territorio e della società all’aumentata variabilità climatica, in una situazione economica sfavorevole a investimenti, è la vera sfida che dovremo affrontare, non nel remoto futuro, ma già da adesso e con una certa urgenza.
Federico Grazzini, William Pratizzoli, Valentina Pavan, Michele di Lorenzo, Rosanna Foraci
Servizio IdroMeteoClima - Arpa Emilia-Romagna
... Tratto da Ecoscienza 2/2013
9 luglio 2013
Tratto da