In perenne perdita si trovano le Ferrovie dello stato, che dovranno fare anche i conti con l'avvio della liberalizzazione. Infatti la proprietà della rete delle Fs è stata scorporata dal servizio di trasporto passeggeri e merci e sono state già concesse le prime concessioni. Nel 2000, le perdite sono 2.650 miliardi; d'altra parte, la politica corporativa, portata avanti per anni, fa sì che un ferroviere guadagni il 68% in più di un edile, il 62% in più di un addetto al commercio, il 45% in più di un dipendente dell'industria; negli ultimi sette anni lo stato ha destinato alle Fs quasi centomila miliardi per offrire agli italiani un servizio che è ben lontano dallo standard europeo (8).
Alle Poste sono stati concessi, per quindici anni, i monopoli di tutta la corrispondenza il cui prezzo è inferiore alle seimilalire e ai trecentocinquanta grammi di peso, del recapito della corrispondenza nelle città, delle fatture commerciali, delle stampe indirizzate fino a diecimila indirizzi e soprattutto del servizio postel. Una così ricca riserva in cambio dell'effettuazione del servizio postale anche in zone poco remunerative. La ciliegina finale è la possibilità delle Poste di proporsi alla clientela come una vera e propria banca. Grazie alla ricca dote monopolistica e alla ferrea gestione Passera, Poste Spa passa dai 1.284 miliardi di perdita del 1999, ai 143 miliardi del 2001 (9), ad un utile netto consolidato di 22 milioni di euro nel 2002.
L'Alitalia continua a dominare il trasporto aereo nel Paese, con una quota di mercato superiore al 70%; nessuna delle grandi compagnie estere è riuscita a sfidarla sui voli interni; comunque, se l'Europa non abbandonerà la logica delle "compagnie di bandiera" i governi (non solo quello italiano) saranno costantemente costretti ad iniettare danaro per mantenerle in vita; il bilancio Alitalia 2001 chiude ancora con una perdita di 907 milioni di euro. Nella stessa disastrosa situazione dell'Alitalia si trovano Swiss Air e Sabena. La situazione non è diversa nel settore del trasporto marittimo, dove il volume dei sussidi concessi dallo stato ostacola l'ingresso di qualunque nuovo concorrente.
Non va dimenticata l'industria delle scommesse, che con trentacinquemila miliardi di fatturato, figura al quinto posto dopo Eni, Telecom, Fiat e Montedison; qualcuno afferma che se venisse data in gestione ai privati lo stato potrebbe guadagnare molto di più. L'Ente tabacchi continua la sua vita grama, portando nelle casse dello stato, nel 1999, 7 miliardi di utili su un fatturato di 1.778 miliardi (10), il Poligrafico dello stato perde, nel 1999, 15 miliardi.
Sulla Rai un colosso con ricavi per 4.911 miliardi, che, nonostante il canone, produce utili per soli 142,7 miliardi, è meglio non infierire, considerando che, con la scomparsa dell'Iri, non si sa nemmeno da chi essa debba dipendere.
Di converso, con la Telecom Italia, completamente libera dall'abbraccio pubblico, abbiamo assistito alla definitiva caduta del monopolio telefonico. L'acceso confronto sul mercato ha procurato sensibili benefici ai consumatori; Cheli, presidente dell'autorità delle comunicazioni, ha stimato in 4.000 miliardi i risparmi ottenuti nel 1999 e ne ha previsti altri 6.500 miliardi entro il 2002. La spirale virtuosa della concorrenza ha dato i suoi frutti sul piano della riduzione dei prezzi, sul miglioramento della qualità dei servizi, sull'occupazione.
Seat Pagine Gialle viene privatizzata, nel 1997, per 3200 miliardi; nel 2000, Seat Pg dispone del motore di ricerca Virgilio, acquista la Thompson Directories, le pagine gialle al secondo posto in Gran Bretagna, Consolidata, società francese di marketing su Internet, i 1.200 punti di vendita Buffetti, e, infine, la fusione tra Seat Pg e Tin.It crea un'azienda da 100mila miliardi. Sempre nel 2000, Seat Pg compra, da Cecchi Gori, Telemontecarlo; la strategia di Colaninno non è far concorrenza a Rai e Mediaset, con due reti che fanno solo il 2,2% dello share, ma aggiudicarsi la possibilità di creare una Tv per Internet e sfruttare il potenziale di raccolta pubblicitaria tra i 640.000 inserzionisti di Seat Pg.
Alla fine del 2000 Telecom figura al primo posto per capitalizzazione di borsa con 138.000 miliardi, al secondo posto troviamo Tim, con 120.000 miliardi (al terzo Eni, con 108.000 miliardi, poi Enel con 102.000 miliardi e Generali con 100.000 miliardi).
Una cordata capitanata dalla Edizione Holding, la finanziaria della famiglia Benetton, nell'ottobre '99, ottiene dall'Iri, per 5.000 miliardi, il 30% della società Autostrade, con 3.120 chilometri di rete autostradale, società che è stata completamente privatizzata attraverso un'offerta pubblica di vendita delle rimanenti azioni (per un incasso di 8.500 miliardi); Autostrade detiene anche il controllo di Blu, il quarto gestore dei telefonini. Autostrade e Autogrill vengono vendute separatamente, ma il gruppo Benetton, alla guida delle cordate che hanno acquistate entrambe, comprende la straordinaria sinergia che può nascere dall'integrazione delle due società; nessuno dei grandi manager pubblici aveva pensato al maggior valore che lo stato avrebbe potuto ricavare dalla vendita delle due società già integrate. Il gruppo Benetton entra anche nel business delle Grandi stazioni.
Nel giugno del 2000, il 51,18% della società Aeroporti di Roma (AdR) è stato aggiudicato dall'Iri alla cordata Leonardo, guidata da Gemina di Cesare Romiti; i vincitori sono stati vincolati a promuovere un'opa sul flottante di azioni diffuse sul mercato. La privatizzazione dell'Adr dovrebbe dar luogo ad una razionalizzazione alle attività aeroportuali del Paese.
Per giustificare gli errori e le omissioni commessi dai grandi esperti economici dei governi, professori universitari, consulenti, manager di stato, si adduce la giustificazione che essendo la privatizzazione guidata dal tesoro, questi abbia anteposto gli interessi della finanza pubblica ad un progetto di natura industriale volto a conseguire migliori guadagni dalla vendita delle imprese pubbliche.
In parte, questo è vero, ma, anche in questo caso esiste una motivazione ben più forte; all'interno del mondo politico della sinistra, ma anche della destra non tutti sono d'accordo sulla privatizzazione delle imprese pubbliche e sulla trasformazione dello stato da imprenditore a regolatore. Per di più, il management delle partecipazioni statali, secondo il più classico dei comportamenti corporativi, fa di tutto per bloccare il processo. Inoltre si accusa il capitale privato di essere una casta chiusa che ostacola l'emergere di figure imprenditoriali nuove; questa accusa va respinta. Come sarebbero nati infatti i vari Colaninno, Benetton, Soru, Della Valle, Natuzzi, Del Vecchio, Caltagirone, Beggio, Gnutti, per citare i più famosi.
La grande paura, che delle privatizzazioni approfittassero i più grandi gruppi industriali del Paese è anche questa un'enorme sciocchezza. Se si analizzano le capitalizzazioni delle prime cinquecento società del mondo, quotate in borsa, la prima impresa italiana è al sessantacinquesimo posto; tra le prime cinquecento imprese mondiali, per fatturato, ne figurano solo cinque italiane, contro le cinquantuno inglesi, ad esempio. E allora, se con le privatizzazioni fosse stato elaborato un serio progetto industriale, e qualche gruppo avesse acquisito maggiore forza, i numeri citati sopra, forse, sarebbero un po' più favorevoli al sistema Italia.
Bernabè, cui va dato atto del risanamento dell'Eni, affermerà, ancora nel 2000 «Lo stato non deve aver alcun tipo di ruolo nella gestione dell'economia, deve limitarsi a fissare le regole e a farle rispettare. Lo stato, va poi aggiunto, deve anche sanzionare i comportamenti devianti. Purtroppo oggi, soprattutto su questi due ultimi aspetti, si registra una grande carenza. Nel senso che il sanzionamento dei comportamenti scorretti è lento e inefficace per colpa della crisi della giustizia… ma al contempo lo stato continua a incaricarsi di molte cose delle quali non dovrebbe occuparsi punto». Da queste parole non si può non ricavare la certezza che chi ha conosciuto l'impresa pubblica dall'interno, non ha dubbi sulla necessità della sua estinzione.
Dopo l'incipit del 1992, si perde tempo nella discussione sui massimi sistemi, mentre da parte dei commissari alla concorrenza, da Bruxelles arrivano rimproveri sempre più aspri per i ritardi; si perde tempo, ma le privatizzazione vanno fatte e, quindi, vengono gestite male, perché viziate dalla fretta.
Intanto, giova riaffermare che l'unica vera privatizzazione, quella della telefonia, ha permesso di rompere il monopolio; in quella fissa si è passati da un solo operatore a quasi ottanta, in quella mobile da due a quattro, gli occupati nel settore sono aumentati del 10% e le tariffe telefoniche scendono di circa il 5% all'anno. La liberalizzazione dell'ultimo miglio, decisa a Bruxelles nell'ottobre del 2000, offrirà ad ogni utente la possibilità di scegliere la compagnia telefonica preferita senza dover cambiare apparecchio o digitare altri prefissi al numero chiamato.
Un effetto positivo delle privatizzazioni e mezze privatizzazioni si è riscontrato alla borsa di Milano; le azioni delle aziende ex-pubbliche messe sul mercato costituiscono il 40% della capitalizzazione di borsa. Gli investitori, che una volta investivano in titoli di credito dello stato, sono andati a investire all'estero oppure si sono convertiti alla borsa italiana. Qui hanno trovato azioni di grandi banche, dell'Enel, dell'Eni, di Finmeccanica, di aziende, ancora controllate dallo stato e che quindi dànno fiducia, poche soddisfazioni ma anche pochi rischi.
La transizione dai bot alle azioni delle imprese semi-pubbliche non è stata traumatica per l'investitore e ha portato la borsa a livelli di capitalizzazione mai visti prima. D'altra parte gran parte degli investimenti vengono fatti agli sportelli bancari di quelle cinque o sei banche che detengono il potere finanziario, ma che non si sono modernizzate nell'offerta di servizi finanziari alla clientela. Lo sportellista che fino a qualche anno fa suggeriva l'acquisto dei bot, oggi suggerisce l'investimento sicuro verso qualche soggetto ancora garantito dallo stato, pertanto gli orfani dei bot, lentamente, stanno uscendo dalla logica del credito per approdare a quello del capitale di rischio.
Eugenio Caruso
25-04-2004
Per approndire l'argomento vai al successo editoriale L'estinzione dei dinosauri di stato di Eugenio Caruso.
(8) La "cura da cavallo" imposta dalla gestione Cimoli porta, nel 2001, ad un leggero attivo di bilancio.
(9) Il Financial Times, notoriamente poco prodigo di elogi, parla di un miracolo che «grazie a Passera mette fine a un imbarazzo nazionale».
(10) Nel luglio 2003, con un'offerta di 2,32 miliardi di euro, la cordata formata da British american tobacco, Axiter (Confcommercio), ed FB Group di Bernabè si assicura l'asta per l'Ente, dando un po' di ossigeno al governo Berlusconi bersagliato dalla grave crisi, che ha colpito l'economia mondiale.
Il portale IMPRESA OGGI vi offre un servizio?
Dateci una mano a sostenerne i costi!
Un click sulla striscia pubblicitaria in alto. Grazie!!