Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde:
«Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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LO STATO PARALLELO
Un discorso a parte va fatto riguardo ai tentativi di destabilizzazione, che hanno caratterizzato la storia dell’Italia repubblicana. La riforma urbanistica proposta nel 1962 da Sullo (1) e il clima infuocato che ne era derivato, l’ostilità del Presidente Segni al centro-sinistra e le ipotesi di crisi di governabilità erano stati terreno fertile, nel giugno-luglio 1964, per il piano “Solo”, il progetto di profilassi “antisovversiva”, preparato dal comandante generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo. Questi poteva contare su una moderna brigata meccanizzata, una specie di esercito personale e sulle 160mila schedature approntate quando De Lorenzo era a capo del Sifar.
Tre anni più tardi, quando emergono i fatti del giugno-luglio 1964 che coinvolgono il Sifar, Francesco Cossiga, sottosegretario alla difesa, riceve dal Governo l’incarico di condurre un’inchiesta sul piano “Solo” e di riformare i servizi segreti. Secondo la testimonianza di Cossiga, il piano non fu un tentativo di colpo di Stato, ma soltanto un programma di difesa antisommossa, che prevedeva l’intervento dei carabinieri e l’arresto di personalità dell’opposizione. Il Sifar viene sciolto e al suo posto è creato il Sid (Servizio informazioni Difesa). In quell’occasione Cossiga viene a conoscenza dell’organizzazione Stay behind e diventa un “esperto dei servizi”. La minaccia di colpo di Stato torna in occasione della contestazione giovanile. Il capo della polizia Angelo Vicari, deponendo a Catanzaro al processo per la strage di Piazza Fontana, affermerà, infatti, che, nell’estate 1969, era stato minacciato un colpo di Stato. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, un battaglione di Guardie Forestali e un gruppo di ex paracadutisti guidati da Sandro Saccucci, sotto il comando del principe Junio Valerio Borghese, appoggiato dalla Loggia massonica segreta P2, occupano per poche ore il ministero degli Interni, con un’operazione battezzata “Tora-Tora”. In verità il piano iniziale, come dichiarerà l’ex capitano del Sid Antonio Labruna, prevedeva l’occupazione dei ministeri dell’Interno e della Difesa, della Rai, delle sedi dei grandi servizi pubblici; erano stati predisposti luoghi dove concentrare i “prigionieri politici” e perfino navi nel porto di Civitavecchia, per trasportare su alcune isole i suddetti prigionieri. Il golpe non ci sarà: un misterioso contrordine rimanda tutti a casa. Gran parte delle interpretazioni sul fallito colpo di Stato parlano di tentativo maldestro, ma il magistrato Guido Salvini è di tutt’altro parere: «Quello del principe Borghese non fu un tentativo da operetta, come qualcuno vorrebbe far credere. Fu qualcosa di abbastanza serio. Negli atti si parla, da parte di testimoni degni di fede, di aree di concentramento un po’ in tutta Italia, di un meccanismo scattato con larghezza di mezzi, di reali possibilità di occupare le centrali di comunicazione, le prefetture, le sedi dei partiti di sinistra. Poi ci fu il famoso contrordine che bloccò migliaia di persone già pronte in tutta Italia. Mi creda non c’era solo la Forestale. Quel che non si riesce ancora a sapere è chi diede il contrordine» (Zavoli, 1999). Nel 1974, dopo molti rinvii, quattro generali – e tra questi Vito Miceli, il capo dei servizi segreti – sono accusati di complicità nel tentativo di colpo di Stato, ma nel processo che ne segue vengono tutti assolti. Probabilmente il golpe Borghese fu un avvertimento indirizzato alla classe politica, orchestrato dai “soliti ignoti” nel contesto della strategia della tensione.
All’inizio del compromesso storico, nell’ottobre 1973, un medico ligure, Giampaolo Porta Casucci, consegna alla polizia un piano per la conquista del potere da parte di un’organizzazione segreta, la “Rosa dei venti”. La storia più o meno palese del nostro Paese s’intreccia indissolubilmente con una corrente sotterranea e occulta, che in alcune occasioni emerge in superficie portando con sé un carico di misteri. Molti hanno tentato di scandagliare questo fiume sotterraneo ma, ancora oggi, poche sono le certezze acquisite. Tra i vari lavori, merita interesse quello di Giuseppe De Lutiis, che ha studiato l’attività di Gladio, organizzazione che è un po’ come “la madre di tutte le associazioni militari segrete”. Nei primi anni Cinquanta, gli Esecutivi democristiani cercano di far passare in Parlamento leggi che offrano al Governo poteri straordinari in caso di guerra o di calamità, ma nessuna giunge al termine dell’iter parlamentare. Fallita la strada della legalità, viene percorsa quindi quella del sommerso. Nell’autunno 1956 – con Antonio Segni presidente del Consiglio, Gaetano Martino agli Esteri e Taviani alla Difesa, vero responsabile dell’iniziativa – viene stipulato, tra Sifar, Cia e Intelligence service, l’accordo segreto Stay behind, che prevede la costituzione di una struttura segreta anti-invasione, chiamata prima Stella alpina e poi Gladio, costituita da ex partigiani non comunisti addestrati a compiere azioni di sabotaggio atti a rallentare un’eventuale invasione proveniente dall’Est e a contrastare la presenza della cosiddetta “quinta colonna comunista” in Italia. In un verbale di una riunione tra ufficiali italiani e statunitensi, del dicembre 1958 si ribadisce che compiti di Stella alpina sono: in tempo di pace, controllo e neutralizzazione delle attività comuniste; in caso di conflitto o di insurrezione interna, azioni di antiguerriglia e antisabotaggio; in caso di invasione del Paese, lotta partigiana e servizio informazioni. Secondo la lista resa pubblica da Andreotti nel 1990, in un arco di circa quarant’anni, il numero dei “gladiatori” sarebbe stato complessivamente di circa 622 unità, numero ridicolo per i compiti affidati a Gladio. La Commissione stragi arriverà a stabilire due ipotesi: o esisteva un livello rimasto occulto, oppure ciascun gladiatore poteva attivare una propria struttura operativa. Anche questa domanda è rimasta senza risposta. Secondo Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi dal 1994, «mentre gli ex partigiani bianchi tendevano a istituzionalizzarsi confluendo nelle strutture di Stay-behind, gli ex partigiani rossi tendevano a riorganizzarsi in una struttura interna al Pci, la cosiddetta Gladio rossa, in cui continuava ad agire una sorta di inerzia rivoluzionaria» (Fasanella, 2000). L’inizio degli anni Sessanta sono caratterizzati dalla presenza sullo scenario internazionale di tre grandi personalità: Giovanni XXIII, Kennedy e Chrušcëv; queste presenze fanno presagire un allentamento della guerra fredda e quindi una possibile convivenza tra comunismo e capitalismo. La nuova situazione genera preoccupazione negli ambienti favorevoli al permanere di uno stato di “guerra non guerreggiata”; in questi ambienti la distensione viene interpretata come il cavallo di Troia del comunismo per sconfiggere l’Occidente, cosicché gradualmente si crea una convergenza di interessi tra le organizzazioni neofasciste e gli apparati segreti, contrari al processo di distensione. Infatti, parallelamente alle organizzazioni segrete già citate, dall’inizio degli anni Cinquanta erano nate diverse formazioni eversive di destra. Ordine Nuovo, per esempio, viene fondato nel 1950 da Pino Rauti nell’ambito dell’Msi, e raggiunge la punta massima di diecimila aderenti. Negli anni Sessanta le iniziative paramilitari sono spesso appoggiate dall’ambiente militare. A tal proposito afferma De Lutiis: «Negli anni ’65-’66 si era creata una circolarità tra il settore delle forze armate che gravitava attorno al generale Aloja (capo di Stato maggiore dell’esercito), e ambienti neofascisti, nel comune progetto di introdurre i postulati della guerra non ortodossa, nelle forze armate». Il punto di svolta viene indicato da Giovanni Pellegrino nel convegno organizzato, a Roma, nel maggio 1965, dall’Istituto Pollio, diretta emanazione dello stato maggiore delle forze armate, con a capo il generale Giuseppe Aloja. “La guerra rivoluzionaria”, questo era il titolo del convegno, assumeva il principio che la guerra mossa dall’Est non era più di tipo convenzionale, ma più subdola e pericolosa poiché prevedeva la penetrazione nei gangli vitali della società – televisione, cultura, università – e che a questo attacco si poteva rispondere solo con azioni controrivoluzionarie. Secondo Pellegrino, «proprio nel momento in cui si affermava la politica della distensione, e di conseguenza la nostra frontiera interna ed esterna diveniva meno aspra, quelle forze, a disagio nel nuovo clima, rilanciavano la loro strategia offensiva. Secondo me, quel convegno è effettivamente il punto di partenza della futura strategia della tensione» (Fasanella 2000, Pellegrino, 2000).
Secondo Pellegrino possono essere individuati tre diversi obiettivi che si ponevano i vari protagonisti della strategia della tensione: la manovalanza, ossia coloro i quali mettevano materialmente le bombe, operava con l’obiettivo di provocare un colpo di Stato; gli istigatori si rendevano conto che un buon risultato poteva essere quello di spostare a destra l’asse della politica italiana; il livello internazionale si poneva l’obiettivo
di mantenere l’Italia in una condizione di perenne instabilità. Dopo il fallito golpe Borghese, i burattinai della strategia stragista capiscono che l’Italia non è la Grecia. «Da quel momento gli apparati iniziano a mettere in atto un’operazione di sganciamento nei confronti della manovalanza. […] Alcuni terroristi sono protetti di fronte alle indagini della magistratura. […] Elementi di qualche peso culturale vengono sistemati a Parigi. Altri, più votati all’azione, sono inviati in Spagna e poi in Sud America. Ad altri ancora, invece, viene in qualche modo consentito di agire in Italia, ma allo scopo di bruciarli e di metterli, di conseguenza, fuori gioco. Gli attentati di Peteano (dove perdono la vita tre carabinieri) e la strage di Brescia possono essere letti in questa chiave». L’attentato al treno Italicus è un episodio che la Commissione stragi non è stata in grado di collegare agli episodi precedenti; sembrerebbe un caso a sé, rimasto comunque insoluto.
Dal 1969 al 1974 gli apparati di sicurezza depistano sistematicamente l’azione della magistratura, per impedire si possano scoprire sia l’esistenza di Gladio, sia le connivenze tra le organizzazioni clandestine, la destra fascista e l’ambiente politico. Secondo il magistrato Libero Mancuso «gerarchie occulte, catene di comando non istituzionali, ordini di tacere e mentire alla magistratura consentivano trame occulte e ostacoli definitivi all’accertamento delle responsabilità penali e politiche di tutti coloro che parteciparono a quell’intreccio di illegalità costituzionali […]» (Fasanella, 2000). Il magistrato Grazia Pradella, che ha dovuto ricostruire l’ordito della strage di Piazza Fontana, ammetterà: «[…] di emblematico nella strage di Piazza Fontana c’è la discrasia tra magistratura e forze dell’ordine, da una parte, e servizi, dall’altra […] Credo che qualsiasi persona con un minimo di conoscenza storica debba ammettere che, dietro, ci fosse una ben precisa volontà politica». Secondo il giudice Rosario Priore, al quale è stata affidata l’inchiesta di Ustica, negli anni Sessanta-Settanta l’Italia doveva assolutamente restare all’interno dell’alleanza e degli interessi occidentali. Il Paese non poteva consentirsi giri di valzer con i comunisti e con alcuni Paesi arabi, giri tanto amati da alcuni politici democristiani e che turbavano gli equilibri voluti dalla Nato.
Guido Salvini, un altro magistrato cui si devono altre inchieste sullo stragismo, ha affermato: «Quel che è avvenuto (negli anni Sessanta) è il frutto di una grande operazione nata dall’acutizzarsi delle tensioni internazionali di quegli anni, quando era netta la sensazione che lo scontro con il blocco orientale fosse arrivato al suo culmine e che il nostro Paese fosse uno dei punti chiave della battaglia per il predominio dell’intera Europa». Quello che emerge dagli atti di tutti i processi sulle stragi è il coinvolgimento di strutture adibite alla difesa nazionale nell’occultamento di prove, nel depistaggio, nell’aiuto alla fuga di testimoni, nella protezione di personaggi inquisiti. Afferma il magistrato veneziano Carlo Mastelloni: «Le indagini venivano spesso contrastate, persino bloccate: con informazioni non di carattere oggettivo, deturpate, travisate. Poi, il sorgere di impedimenti quali il segreto di Stato, le intimidazioni, gli spostamenti di competenza territoriale, le avocazioni inusitate a Roma o a Milano». L’ordinovista Vincenzo Vinciguerra dichiarerà a Zavoli che già nel 1984 aveva parlato dell’esistenza di strutture illegali parallele, trovandosi davanti un muro di incredulità: «La responsabilità dell’Ufficio affari riservati e quella dei servizi segreti militari, nella formazione di gruppi terroristici attraverso cui coltivare la sovversione dello Stato oggi appaiono una realtà sempre più concreta. Io dico che lo Stato ha svolto un doppio ruolo: da un lato ha fomentato la sovversione contro se stesso, dall’altro ha utilizzato i corpi territoriali per la repressione. Ma la mano destra non sapeva quello che faceva la sinistra» (Zavoli, 1999).
I dati ufficiali affermano che tra il 1° gennaio 1969 e il 31 dicembre 1987 si sono verificati in Italia 14.591 atti di violenza caratterizzati da matrice politica, atti che hanno lasciato sul terreno 491 morti e 1.181 feriti; cifre da guerra che non hanno eguali in nessun altro Paese europeo. Secondo Giovanni Pellegrino, la linea di confine tra le due grandi ideologie uscite vincenti dalla Seconda guerra mondiale, tagliava trasversalmente il nostro Paese. Cossiga ha rivelato che i verbali delle riunioni interne del Pci arrivavano al Viminale quasi in tempo reale e che i comunisti, a loro volta, avevano spie all’interno del ministero. I dirigenti di DC e Pci sapevano tutto del partito avversario, ne conoscevano i punti di forza e di debolezza, sapevano entrambi che dovevano prendere atto della necessità della convivenza, ma con il dito sul grilletto, pronti a sparare.
(1) Sullo fu uno dei padri della Democrazia Cristiana non solo in Irpinia, ma anche sul piano nazionale. Contribuì all'affermazione del partito in anni assai difficili. Nell'immediato dopoguerra, il peso delle destre riusciva spesso a frenare le aperture alla società civile di cui Sullo si rendeva promotore. Considerato uno dei capi storici della sinistra democristiana, fu sottosegretario alla Difesa nel governo Scelba (1954 - 1955) e all'Industria nel I governo Segni (1955 - 1957) e nel governo Zoli (1957 - 1958). Sottosegretario alle Partecipazioni Statali nel II governo Fanfani (1958 - 1959) e nel II governo Segni (1959 - 1960). Nell'arco di questo lungo impegno parlamentare ottenne diversi ulteriori incarichi di Governo: Il 25 marzo 1960 fu nominato ministro dei Trasporti nel governo Tambroni, ma l'11 aprile decise di dimettersi insieme ad altri due ministri (i colleghi Pastore e Bo), dal momento che il governo aveva ottenuto la fiducia solo grazie all'apporto determinante dei voti del Movimento Sociale Italiano. Guidò il Ministero del Lavoro nel III governo Fanfani (1960 - 1962) e il Lavori Pubblici nel IV governo Fanfani (1962 - 1963) e nel I Governo Leone (1963). L'impegno che gli diede maggiore visibilità fu proprio la titolarità del dicastero dei Lavori pubblici. Fu infatti promotore di una proposta di riforma urbanistica molto avanzata. Quella proposta fu però sconfessata, nel 1963, dalla Segreteria nazionale della Dc e fu travolta dalla crisi di governo del giugno di quell'anno (caratterizzata dal piano Solo). Il copione si ripeté nel '68, quando il suo partito non ne sostenne l'azione da ministro della Pubblica istruzione. Ancora una volta Sullo rassegnò le dimissioni, e prese il via anche il rapporto conflittuale con il suo "delfino" Ciriaco De Mita che, figlio della sua segretaria.
26 agosto 2013
Eugenio Caruso
Tratto da