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L'estinzione dei dinosauri di stato. Politiche economiche negli anni sessanta


Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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LE POLITICHE ECONOMICHE NEGLI ANNI SESSANTA
Appena varato il Governo di centro-sinistra, i socialisti chiedono una politica di investimenti e di maggiori interventi dello Stato nelle grandi imprese. Quando il ministro socialista del Bilancio Antonio Giolitti (uscito dal Pci dopo i fatti d’Ungheria) mette mano a un progetto impostato su questi orientamenti, si apre lo scontro con il ministro del Tesoro Emilio Colombo. Ques’ultimo, infatti, vagliate le proiezioni economiche dello Stato, informa il Governo che non è possibile dare il via alle riforme di struttura e in contemporanea al risanamento dei conti. A fianco di Colombo si schiera Guido Carli, governatore della Banca d’Italia.
Lo scontro tra DC e Psi si fa duro, la riforma urbanistica per la promozione dell’edilizia popolare finisce sulle secche della battaglia per l’espropriazione dei suoli e i socialisti ricambiano la DC bloccando la legge sul finanziamento della scuola privata.
Negli anni Sessanta-Settanta l’impresa pubblica conosce il massimo sviluppo in termini quantitativi e di legittimazione. L’Iri – che già svolgeva un ruolo da protagonista nella siderurgia, nei trasporti (linee aeree e autostrade), nella telefonia e nel settore bancario – espande la propria attività nei settori minerario, della metallurgia primaria, del cemento, dell’elettronica. L’Eni, superata la crisi che era seguita alla morte di Mattei, impone al Paese un modello di sviluppo basato sugli idrocarburi. Nel biennio 1953-1954 avviene un episodio che dà il via a una nuova missione all’Eni. La Snia Viscosa mette in licenziamento un migliaio di lavoratori del Pignone; ne nasce un caso nazionale, si muove il Governo, si muove il sindacato e si muove il sindaco di Firenze, La Pira, che convince Mattei a comprare il Pignone. Da quel momento, inizia l’era degli interventi dell’Eni nel salvataggio di aziende private in crisi, compito che, eventualmente, sarebbe spettato all’Iri. Nel 1962 toccherà alla Lanerossi, poi al Mineralmetallurgico, al Meccanotessile, alla Savio, alla Samin. L’Efim si lancia in progetti industriali sempre più rischiosi, mentre viene istituito l’Egam (Ente Autonomo di Gestione per le Aziende Minerarie), che si rivelerà un pozzo di perdite senza fondo, per non parlare degli enti per la gestione delle acque termali e per il cinema. Nel 1971 viene costituita la Gepi (Gestione Esercizio Partecipazioni Industriali), allo scopo di razionalizzare le azioni di salvataggio di aziende destinate al fallimento; l’ente interviene con fondi provenienti dal bilancio dello Stato, ma, formalmente, è solo un altro carrozzone, la cui proprietà è in mano a Iri, Eni e Imi.
Nella gestione delle imprese pubbliche la logica imprenditoriale viene accantonata per privilegiare la logica spartitoria. Gli enti di Stato sono vere e proprie sinecure dei partiti che vi traggono i finanziamenti necessari per mantenere strutture ridondanti e costose. Le imprese pubbliche si trovano a essere gravate da “oneri impropri” e a dover dipendere in maniera consistente dai trasferimenti pubblici. Le politiche economiche condotte negli anni Settanta innescano, per di più, una vertiginosa spirale inflazionistica; il deficit pubblico, di fatto, finanzia i consumi, mantenendo artificiosamente alta la domanda interna, cosicché l’inflazione passa dal minimo storico dell’1,8% del 1968 al massimo storico del 21,1% del 1980.
Se negli anni Cinquanta l’impresa pubblica aveva conseguito buoni risultati, il quadro cambia negli anni Sessanta. Priva di strategie, nel decennio 1963-1972 l’impresa pubblica perde di fatto la capacità di produrre profitti: i bilanci dell’Iri iniziano a segnare rosso nel 1963, quelli dell’Eni nel 1969. La siderurgia dell’Iri è fonte di perdite vertiginose; in un periodo in cui altri Paesi industrializzati giudicano prudente contrarre le attività siderurgiche da lasciare ai Paesi in via di sviluppo, l’Italia diventa uno dei maggiori produttori d’acciaio (con le relative perdite). Partendo dalla falsa supposizione che esso sarebbe stato il punto di cristallizzazione della crescita economica del Sud-Est del Paese, negli anni Sessanta viene costruito a Taranto un gigantesco stabilimento. Dieci anni dopo, un altro imponente complesso siderurgico viene progettato per lo sviluppo del Sud-Ovest, a Gioia Tauro. Viene costruito il porto che frutta immensi profitti alle famiglie mafiose della zona e ad alcuni uomini politici calabresi, e che porta alla devastazione di una ricca e splendida area agricola (Bocca, 1992). Fortunatamente il progetto dello stabilimento siderurgico non verrà mai attuato, sostituito da un progetto di centrale termoelettrica, anch’esso in seguito abbandonato.
Di converso, gli anni Sessanta vedono un forte incremento della ricchezza prodotta dal settore privato, specie dalla piccola e media impresa, che, grazie agli elevati profitti e alla ridotta tassazione, dispone di mezzi propri per l’autofinanziamento; ne conseguono sensibili aumenti dei redditi e dell'occupazione. Alla fine degli anni Sessanta l’economia ha compiuto numerosi e duraturi progressi, nonostante permangano alcune isole di povertà. In vent’anni il reddito è cresciuto più che in tutti i precedenti cento, a Milano c’è la stessa densità di telefoni che a Londra, la lira è una delle monete più forti del mondo, la bilancia commerciale registra un consistente avanzo, il numero di lavoratori agricoli è sceso a meno di quattro milioni. Zanussi, Ignis e Indesit primeggiano, in Europa, nel settore degli elettrodomestici; Olivetti è leader europeo per la fornitura di macchine d’ufficio; il settore turistico ha un giro d’affari che è primo al mondo; l’industria automobilistica produce, nel 1967, un milione e mezzo di autovetture, e nel 1966 l’Urss affida a Fiat la costruzione della prima fabbrica di automobili per una produzione di massa in territorio sovietico; la Montedison è una delle maggiori imprese chimiche d’Europa e, nel 1969, l’Italia dispone della maggior industria di raffinazione a livello europeo ed è uno dei maggiori produttori di energia elettrica da fonte nucleare.
Anche nel Mezzogiorno le condizioni di vita sono migliorate sensibilmente, anche se il divario con il Nord rimane immutato. Nel Sud si concentra l’offerta di lavoro pubblico e questa situazione crea fenomeni paradossali: la posta imbucata a Milano e indirizzata a Milano viene mandata in aereo a Palermo, dove una pletora di impiegati la suddivide in tanti pacchetti che ritornano a Milano in aereo (Amato, 2000).

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24 settembre 2013

Eugenio Caruso


Tratto da

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www.impresaoggi.com