Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde:
«Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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IL COMPROMESSO STORICO (1977-80)
«Il fulcro del compromesso storico è il tentativo di fondere la morale comunista (anticapitalista) con quella cattolica (antimaterialista), con il superamento del consumismo, dell’egoismo individualista, insomma, il sacrificio di sé che sta alla base del cristianesimo» (Guerri, 1997).
Berlinguer rompe con la politica imperialista dell’Urss e il 15 giugno 1976, in un’intervista al Corriere della Sera, dichiara di accettare per l’Italia la protezione della Nato: si inizia a parlare di compromesso tra il marxismo e il cattolicesimo. Francesco Cossiga, cugino di Berlinguer, dirà di lui, parecchi anni dopo: «Enrico, discendente di una famiglia aristocratica della Sardegna, sceglie il comunismo come scelta ideologica e culturale, non per necessità, come può esserlo stato per l’operaio della Breda». Berlinguer resta e resterà sempre un marxista-leninista; nemmeno le storture e le deviazioni dei Paesi socialisti intaccheranno la sua fede. La proposta di Berlinguer è tardiva e inefficace se si pensa che i socialdemocratici tedeschi hanno abiurato il marxismo nel 1959, al congresso di Bad Godesberg, trent’anni prima della caduta del muro di Berlino.
La DC respinge, in linea di principio, il compromesso storico, ma lo asseconda, di fatto, non sapendo come uscire da una crisi morale devastante, ritrovandosi impotente davanti alle difficoltà economiche e all’inflazione a due cifre. Come già visto, nel luglio 1975 i democristiani hanno eletto segretario Zaccagnini, rafforzando la posizione di Moro e di quell’area del partito favorevole al Pci. I socialisti si avvedono del pericolo di scavalcamento e il segretario, Francesco De Martino, protesta per il «palese disprezzo che la DC usa nei confronti del suo partito».
Il voto premia Berlinguer
Il progetto politico di Berlinguer premia il Pci che, alle elezioni del 20 giugno 1976, arriva al 34,4% dei voti, raccogliendo i frutti delle spinte libertarie (nate con il referendum sul divorzio del 1974), del voto ai diciottenni, della sconfitta americana in Vietnam, delle esigenze di rigore morale. In questo periodo la politica del Pci sembra sensibile alle istanze dei giovani. È una scelta che paga, se perfino un’organizzazione come Lotta Continua decide di votare Pci. Presto, però, gli interessi “elettorali” del Pci e gli atteggiamenti fortemente individualistici dei “gruppettari” entrano in rotta di collisione, tanto che il 17 febbraio 1977 si arriva alla “cacciata di Luciano Lama”, segretario della Cgil, dall’ateneo romano.
Nonostante il successo del Pci del giugno 1976, “l’armata rossa” non sfonda, restando sotto il 50% dei voti; il binomio Fanfani-Cefis (Baget Bozzo, 1974) è riuscito a controllare la stampa “borghese”, il cui atteggiamento è esemplificato da Indro Montanelli, che, dalle pagine del Giornale nuovo, incoraggia i suoi lettori a «turarsi il naso, ma votare DC». La DC, con l’accoppiata Moro-Zaccagnini, ottiene un ottimo 38,9%; il 73,1% degli italiani ha votato DC o Pci. I socialisti, con un modesto 9,6%, sono penalizzati dalla loro politica evanescente e incerta nelle scelte.
14 novembre 2013
Eugenio Caruso
Tratto da