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Longevità dell'impresa eccellente


Più volte è stato sottolineato che alla base del successo di un'impresa e della sua leadership c'è una forte propensione al cambiamento del core business, particolarmente nel momento in cui i segnali premonitori, analizzati nel precedente paragrafo, possano indicare una potenziale crisi, anche non imminente. A questo punto è interessante citare come alcune Pmi, note all'autore, abbiano interpretato, in modo esemplare, il modello del cambiamento.

Un'azienda operava da una decina di anni nel campo della carpenteria su disegni costruttivi realizzati dal cliente, il fatturato era soddisfacente, i clienti fidelizzati, i dipendenti integrati. L'imprenditore (6) aveva però compreso che era necessario un cambiamento culturale perché la forte competizione sui prodotti finali avrebbe condotto i clienti a scaricare economie di spesa su fornitori e terzisti. In pochi anni l'azienda ha cambiato il proprio core business diventando un'impresa di progettazione di componenti di carpenteria, con la realizzazione relegata ad una fase secondaria ed, eventualmente, esternalizzabile nel caso di picchi negli ordinativi. La conoscenza accumulata nella lavorazione della lamiera di ferro aveva consentito di proporre al cliente soluzioni progettuali mirate alla riduzione dei costi, alle quali il cliente non sarebbe mai arrivato. Grazie a questo cambiamento il fatturato è più che raddoppiato.

Un'azienda ha una posizione di leadership nella produzione di motori elettrici, settore nel quale la concorrenza in tutta Europa e fortissima. L'imprenditore aveva analizzato per anni soluzioni che potessero proteggere l'azienda da possibili crisi ed era arrivato alla conclusione che sarebbe stato opportuno entrare in qualche settore nel quale l'uso dei propri motori elettrici avrebbe consentito di operare in una sorta di captive market. L'imprenditore ha individuato nel motoscooter elettrico un prodotto con ottime prospettive e ha creato una joint venture con un fabbricante di motoscooter convenzionali. Le prospettive economiche sono molto interessanti, anche per gli incentivi del governo a favore dell'uso di mezzi a trazione elettrica.

Un'azienda nasce quarant'anni fa per la produzione di resistori di precisione a filo avvolto; questa produzione di nicchia consente all'imprenditore di entrare in contatto con società multinazionali che, lavorando con elevati standard di qualità, hanno bisogno di componenti che rispondano a quegli standard.  A questo punto avviene il primo cambiamento del core business, l'impresa avvia la produzione di schede elettroniche ad elevatissimo standard qualitativo. Questo tipo di produzione consente all'azienda di acquisire, come clienti, multinazionali operanti nel settore elettromedicale, in particolare la società leader mondiale nella produzione di macchine per anestesia. L'incontro con questa grande società fa compiere all'imprenditore il secondo cambiamento del core business, la progettazione e realizzazione, per conto della multinazionale, di apparecchiature per anestesia. Da piccola impresa artigiana, l'azienda citata è diventata un'impresa moderna, fortemente knowledge based, e con un fatturato di tutto rispetto.

Due imprenditori operanti nel settore delle macchine utensili e della saldatura hanno sentore di una crisi della propria impresa per i continui attriti, con un terzo socio, nella definizione delle strategie aziendali. Operando nel settore della lavorazione meccanica si rendono conto che in Italia non ci sono molte aziende che lavorano nel campo delle applicazioni laser per i trattamenti superficiali e per la marcatura e fondano una seconda azienda per entrare in questo core business. Una volta acquisite le competenze sui laser e approfondite le potenzialità del mezzo si rendono conto che gli impianti acquisiti per lavorazioni per conto terzi possono essere utilizzati per la realizzazione di prodotti artistici in cristallo, prodotti che consentono margini più elevati delle lavorazioni per conto terzi, lavorazioni d'altra parte insidiate da tecniche a minor costo. Avviene quindi una seconda trasformazione del core business e gli imprenditori sono in una fase di forte espansione della produzione.

Un'impresa opera da più di trent'anni nel campo della produzione di matrici per rotocalco; la nuova leadership aziendale si rende conto che gli indicatori del settore mostrano competitor sempre più agguerriti, ritorni sul capitale calanti, crescita zero. Gli imprenditori, convinti che «la molla del progresso consiste nell'accumulazione della conoscenza e che il cambiamento è vita», avviano una nuova stagione creando una società alla quale affidare il compito di sviluppare R&S per l'individuazione di nuovi prodotti, partendo dal capitale iniziale di un know-how trentennale nel settore. Nel giro di tre anni la nuova struttura realizza un nuovo cilindro, scardinando l'antico giudizio secondo il quale "il cilindro di qualità deve essere pesante", l'azienda di produzione registra un incremento di fatturato del 30%; dopo due anni viene inventato un cilindro ancora più rivoluzionario, che consente di ridurre del 50% i costi di produzione, il fatturato registra un altro 30% di incremento. In questo caso si può affermare che il cambiamento di business è consistito nel passare dalla cultura dell'ottimizzazione delle performance attraverso miglioramenti incrementali dei processi di produzione alla cultura dell'innovazione di prodotto.

Tra i molti altri esempi che l'autore potrebbe portare, pur nella limitatezza del suo campo d'osservazione, esiste una trasformazione del core business che è comune a moltissime aziende. Imprese commerciali, agenti di produttori esteri, che, costituendo strutture per l'assistenza tecnica ai clienti, gradualmente acquisiscono le competenze per realizzare in proprio il prodotto commercializzato, eventualmente privo di quei difetti che richiedevano la presenza di un centro di assistenza. In questi casi il cambiamento di core business è la transizione da attività prettamente commerciali ad attività di produzione.

Da questo piccolo gruppo di casi esemplari si comprende come il cambiamento, fonte di longevità delle imprese, nasce, fondamentalmente, da due elementi chiave per l'eccellenza imprenditoriale, la capacità di anticipare una potenziale crisi e la creatività nel modificare completamente il core business dell'impresa.

6. Come un'azienda si avvia verso il proprio declino

All'autore è capitato di assistere al declino e alla scomparsa di una gloriosa Società, una volta fiore all'occhiello di un grande gruppo industriale italiano.
Nel 1992, nulla faceva, apparentemente, presagire l'evoluzione futura. I ricavi industriali erano oltre i 130 miliardi di lire, il margine operativo di 12 miliardi, il risultato operativo di 3 miliardi,  il totale delle immobilizzazioni di poco inferiore a cento miliardi, i dipendenti oltre seicento, secondo un trend di dati positivi che risaliva ad almeno una decina d'anni. La capogruppo non chiedeva alla Società forti utili perché poteva godere della funzione d'immagine che la controllata le arrecava; l'unico aspetto negativo era nella composizione dei ricavi, che per l'87% derivavano da commesse provenienti dall'interno del gruppo, percentuale che da anni la controllante chiedeva di ridurre, a fronte, viceversa, di costanti aumenti.

Il top management non fu in grado di recepire una serie di segnali, anche forti, che avrebbero dovuto imporre, in un periodo di perdurante floridezza, un violento rilancio dell'impresa. Per indicare i segnali che già erano emersi da qualche anno si può far riferimento agli otto indicatori citati precedentemente.

  1. La soddisfazione dei collaboratori. Tra i dipendenti della fascia "eccellenti", serpeggiava da tempo un forte malumore per una politica del personale che tendeva a privilegiare ex-sindacalisti, persone indicate da lobby esterne, amici del top management, tutti, per lo più, di una fascia "medio-bassa". Il risultato più evidente era stato un elevato numero di dimissioni tra gli elementi con le migliori qualità professionali e manageriali. Il top-management aveva sempre cercato il consenso e la concertazione, ma, sempre, in un rapporto prioritario con il sindacato, limitando il rapporto con dirigenti, quadri e impiegati ad una sterile riunione di fine d'anno. Quei pochi che nell'assemblea di fabbrica prendevano la parola per criticare la direzione si ripromettevano solo ritorni di tipo politico.
  1. L'energia. Non esisteva più nessun ritegno a passare delle buone mezz'ore al bar, a chiacchierare nei corridoi, a leggere il giornale in ufficio o nei gabinetti, a trasformare gli uffici in piccoli mercatini dove si poteva trovare un'ampia varietà di mercanzia, dai gioielli agli orologi, dalla biancheria intima ai preservativi, dalle pentole alle scarpe. Il tutto sotto lo sguardo severo, ma tollerante del management che non rinunciava, di tanto in tanto, a qualche acquisto interessante. Qualche giovane brillante, che sprigionava energia positiva, riusciva a creare isole di imprenditorialità, ma la mancanza di una valida politica di incentivazione basata sui risultati portava il collaboratore alla resa e all'abbandono. La corsa alle macchine della timbratura, a fine giornata, era sintomo di un senso di liberazione da parte dei dipendenti che all'uscita  dall'azienda iniziavano, forse, finalmente, a vivere.
  1. L'identità dell'impresa. Rispetto ad una decina di anni prima si era perso lo spirito di appartenenza e l'orgoglio di essere in quella Società. L'attaccamento al lavoro era rimasto solo apparente e fortemente legato alla promessa della gratifica, dell'aumento o del passaggio di categoria da parte dei capi. Disaffezione, noncuranza, trascuratezza nel lavoro, posizione critica rispetto agli obiettivi aziendali e perdita completa dell'allineamento tra mission aziendale e propria visione dell'impresa erano la norma. L'azienda aveva ancora un notevole potere di attrazione tra i neolaureati, molti dei quali, i migliori, dopo pochi anni lasciavano, però, l'impresa.
  1. L'immagine. Il top management viveva nell'illusione che l'immagine aziendale fosse ancora quella di una decina di anni prima, ma la realtà era diversa. Molti dei clienti del captive market (7) vedevano l'impresa come un inutile carrozzone al quale affidare attività che venivano effettuate a prezzi al di fuori di qualunque logica di mercato. Operare in condizioni di captive market tarpa a chiunque le ali della creatività e dell'efficienza, cosicché i clienti esterni al gruppo pretendevano prestazioni che l'impresa non era più in grado di effettuare. Per soddisfare le loro richieste si scaricavano costi e inefficienze sul captive market offuscando ulteriormente l'immagine dell'impresa nei riguardi di quel key-client, che, comunque, consentiva all'impresa di sopravvivere. Mentre il top-management nelle riunioni con il personale e con i sindacati decantava le sette meraviglie della Società, forte dei risultati di bilancio, il personale era perfettamente conscio che la realtà era, oramai, completamente diversa. Si era creato un assoluto disallineamento tra l'immagine aziendale vista dal top-management, quella della maggior parte di dirigenti e dipendenti e quella dei clienti.
  1. L'innovazione. Nel corso degli anni il top-management aveva sperimentato diverse ristrutturazioni organizzative, ma la molla di questi cambiamenti non era mai stata la volontà di innovazione, quanto la necessità di dimostrare come l'organizzazione proposta fosse più moderna e avanzata del sistema organizzato dal precedente management. La certificazione Iso 9000 fu vissuta dall'azienda come un male contagioso e gli addetti alla qualità, considerati degli appestati da tenere il più possibile lontani da reparti e laboratori. Il gusto del cambiamento per la creazione di valore a favore del complesso degli stakeholder non sfiorò mai la stragrande maggioranza di dirigenti, quadri e impiegati. Il piacere dell'innovazione restava circoscritto ai laboratori di R&S, dove peraltro allignava il virus dell'intoccabilità del ricercatore, con grave pregiudizio della soddisfazione del cliente. Nella R&S la tendenza ad operare era più rivolta al raggiungimento di prestigiosi obiettivi tecnologici, piuttosto che alla realizzazione di nuovi prodotti di facile uso per il cliente e, fondamentalmente, realizzati per risolvere bisogni reali. Piccoli miglioramenti incrementali si ebbero con l'introduzione dell'information technology, ma, anche in questo caso, scelte molto conservative limitarono l'efficacia di questa tecnologia che in quel tipo di azienda avrebbe potuto creare enormi potenzialità di business; la logica della parrocchia, adottata dagli addetti all'informatica aziendale, tarparono le ali a molte proposte e iniziative provenienti da parte delle altre divisioni.
  1. Il capitale intellettuale. Gli asset intellettuali avrebbero dovuto costituire un elemento di osservazione fondamentale per una società che operava nel settore delle tecnologie avanzate; società che era stata, almeno fino ad un decennio prima, una fucina di talenti, alcuni migrati per altre sponde in Italia e all'estero e molti rimasti per la crescita e lo sviluppo di altro capitale intellettuale. Eppure nulla fu tentato per arrestare la fuga di cervelli che andava verificandosi da qualche anno, ad ogni accenno di ripresa dell'economia nazionale. L'azienda era diventata un'area di addestramento di giovani dotati, pronti ad intraprendere l'attività lavorativa in un'altra impresa. L'incapacità di creare una corsia preferenziale, formativa e remunerativa, per le risorse intellettuali e l'impossibilità dell'opzione dirigenziale in un ambito saturato da scelte di convenienza politica, allontanava i giovani di talento da un'azienda che non era in grado che di formulare vaghe promesse; l'impoverimento culturale era evidentissimo. Il monitoraggio sulle esigenze delle risorse intellettuali era fiacco, estemporaneo e lasciato a persone più adatte alla mediazione che alla proposta o a consiglieri di comodo.
  1. La customer satisfaction. Il monitoraggio della soddisfazione del cliente non era stata mai presa in considerazione, perché il top-management partiva dalla convinzione (o fingeva di essere convinto) che tra i responsabili delle divisioni produttive e il key-client esistessero dei rapporti improntati alla normale pratica imprenditoriale «Io acquisto questo prodotto perché ritengo che mi serva e che abbia un prezzo giusto». Nella realtà il ragionamento del cliente era diverso «Io acquisto questo prodotto pur sapendo che è ancora in fase sperimentale, che non è stato ingegnerizzato, che forse non funzionerà e del quale non sento un bisogno reale, ma che mi consente di giustificare la tua e la mia presenza nel gruppo». Al top-management, di tanto in tanto, arrivavano voci dall'interno dell'azienda o da parte del key-client che la situazione richiedeva forti interventi di rinnovamento, ma la filosofia del management era «Raglio d'asino non sale in cielo».  Se fosse stato fatto qualche tentativo di valutazione concreta della customer satisfaction con il cliente stesso si sarebbero potuti prendere provvedimenti drastici, prevalentemente nella direzione di trasformare la filosofia del conseguimento di traguardi tecnologici, con quella più pratica della realizzazione di prodotti rispondenti a reali bisogni. Questa strategia avrebbe aperto, maggiormente, all'azienda la strada della committenza esterna al gruppo, alleggerendo il peso nei riguardi della controllante. In vista di un possibile tracollo il top-management creò una struttura di marketing senza, però, darle il potere di incidere, né sulla tipologia dei prodotti, né sui rapporti con il key-client. La nuova struttura trovò un forte ostracismo all'interno dell'azienda, impreparata ad un cambiamento culturale; ognuno si ritenne investito del potere di avviare una propria politica di marketing, creando competizione tra le varie divisioni e quindi sconcerto e  definitiva sfiducia tra i clienti.
  1. La competenza emotiva. Questo aspetto era stato sicuramente quello più pregnante all'epoca della nascita e dello sviluppo della società. L'entusiasmo, la passione, il gusto della sfida, le idee più pazze avevano reso possibile la nascita dell'azienda attraverso infinite difficoltà, specialmente dovute ad un'incredulità sulla possibilità di costituire in Italia un'impresa orientata sulle tecnologie avanzate. La competenza emotiva fu senz'altro la chiave che aprì molte porte e convinse una serie di finanziatori a credere in quell'idea. L'entusiasmo durò ancora parecchio, ma iniziò a scemare. Questo fu sicuramente il segnale più forte, un urlo che l'impresa  lanciò al proprio management, in una sorta di visione profetica della propria fine. La competenza emotiva scomparve del tutto, stritolata dal tran tran quotidiano e dal morbido atterraggio tra le braccia di un importante gruppo industriale che somministrò all'azienda un'adeguata dose di sonnifero per portarla, lentamente, ad una "dorata" fine indolore.

Il top management di fronte a tanti segnali che coerentemente reclamavano un drastico cambiamento culturale si facevano scudo di bilanci in ordine e ritenuti soddisfacenti dalla controllante, ma, dal 1992, l'anno del massimo splendore in termine di bilanci, nel giro di sei anni l'impresa fu portata, come era corretto e fisiologico, alla definitiva scomparsa.

Eugenio Caruso

Tratto da L'eccellenza nelle imprese


6) In tutto il testo si cita imprenditore intendendo imprenditore uomo o donna.

(7) Si intende per captive market quel mercato acquisito all'interno di un gruppo in modo quasi automatico, senza concorrenza e quindi senza un serio controllo dei prezzi.


Tratto da Eugenio Caruso, L'eccellenza nelle imprese, Franco Angeli, 2000

http://www.francoangeli.it

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