In un precedente commento sull'Ucraina ebbi modo do osservare che gli avvenimenti di quel paese vanno seguiti facendo attenzione alla posizione degli oligarchi ucraini. Mentre Putin in Russia è riuscito a depotenziare gli oligarchi locali, lo stesso non è avvenuto in Ucraina. Questo articolo pubblicato sul Corriere conferma la validità della mia affermazione.
EC
Il capitano della guardia di frontiera è gentile. Ma gli ordini sono ordini. Una ruspa gialla riposa di fianco a quattro giganteschi coni di cemento anticarro. Un militare impugna la mitragliatrice protetto dai sacchetti di sabbia. Un funzionario dei servizi, in borghese, passeggia e fuma. Uspenka, 29 aprile 2014, ore 15.00, confine sud-orientale tra Ucraina e Russia. La dogana è deserta. Non si vedono le truppe di Putin all’orizzonte, ma anche i camion e i commerci sono spariti. È il punto mediano della trincea che il governatore di Donetsk, l’oligarca Sergei Taruta, ha ordinato di scavare in tutta fretta. Il terrapieno è ancora fresco; la buca è profonda circa tre metri e larga quattro. Corre per 50 chilometri da nord a sud, da Dmytrivka a Precardonna. Questa caricatura della linea Maginot è un monumento all’inadeguatezza e, va detto, alla solitudine dell’esercito ucraino. Come può un fossato fermare una delle armate meglio organizzate del mondo? Quando finalmente arriva l’autorizzazione dal comando e si può passare, il capitano lancia un’occhiata di rassegnata ironia alla terra smossa. Nel Donbass, il bacino industriale dell’Ucraina, il movimento filorusso sta sviluppando con sempre maggiore chiarezza la strategia della tensione, occupando i palazzi pubblici, (ieri è toccato a Horlivka), sequestrando gli osservatori Osce (ancora prigionieri a Sloviansk), picchiando con metodi da squadristi i militanti pro-Kiev (lunedì 28 aprile a Donetsk). In macchina allora per verificare direttamente le posizioni sul campo: un itinerario di 700 chilometri, divisi in due giorni, 28 e 29 aprile.
Dal capoluogo si dipanano due strade per raggiungere Sloviansk, il fortino dei separatisti. I filorussi controllano quasi tutte le cittadine lungo l’ovale formato dalle due arterie. Sul tracciato che attraversa Konstantinova e Kramatorsk si incontrano cinque barricate di pneumatici su cui svettano le bandiere russe e quella della «Repubblica del Donbass». Di guardia ci sono miliziani locali con qualche bastone, ma senza armi da fuoco. La polizia ufficiale si manifesta solo al 17esimo chilometro uscendo da Donetsk, con due posti di blocco veramente blandi. Più o meno stesso scenario sull’altro ramo stradale. Polizia subito dopo l’uscita dalla città e poi due sbarramenti dei filo russi, fino ad Horlivka. Ma chi copre le spese dei due-tre mila miliziani che spesso hanno lasciato casa e lavoro? Le ciminiere degli impianti chimici, nate sulle rovine dei vecchi kombinat sovietici, offrono una prima risposta: i fertilizzanti e i prodotti farmaceutici dell’Ucraina arrivano quasi tutti da qui. Il proprietario si chiama Dmitri Firtash ed è stato uno dei principali partner d’affari del presidente deposto Viktor Yanukovich. Qualcuno ipotizza che Firtash, 49 anni, muova la piazza per compiacere il vecchio sodale. Può darsi. Oppure lo fa semplicemente perché le sue industrie fallirebbero in pochi giorni senza il gas russo. Guarda caso Firtash possiede un grande impianto anche nella regione di Lugansk, altra roccaforte della rivolta anti-Kiev. Facile capire da che parte stiano i suoi soldi. E non solo i suoi, naturalmente.
Ma dove sono i soldati dell’operazione anti-terrorismo annunciata dal governo? Occorre guidare ancora fino al ponte sul Severskij Donec, il fiume che solca l’Est del Paese. Quattro blindati e quaranta militari in assetto di guerra, truppe speciali probabilmente, controllano le auto: Sloviansk dista solo 20 chilometri. Tutto qui? Il grosso dell’esercito, dicono, sarebbe stanziato a Izium, dall’altra parte del fortino dei filo russi. Si riparte. Ecco il cavalcavia di Sloviansk, sbarrato dai sacchetti di sabbia e dagli uomini verdi che mostrano i kalashnikov solo in questa città. La puntata fino a Izium si risolve rapidamente: due postazioni dell’esercito sulla strada a 16 chilometri. Tre carri armati da una parte, due dall’altra. In totale 150-200 militari, cucine da campo comprese. Non li vedete, perché si nascondono, assicurano fiduciosi i sostenitori di Kiev. Sarà. In realtà il nuovo corso ucraino sembra avere forza sufficiente per spazzare via i copertoni dalla strada, ma non per reggere la temuta reazione russa.
La controprova va cercata di nuovo nel corridoio sul confine, dalla dogana di Precardonna a quella di Uspenka. Lì, dietro quei filari di alberi sulla collina, comincia la Russia. Di qua, si procede a fatica su viottoli dissestati, tra crateri assassini. I villaggi poveri dell’Est, dove una cotoletta e un’insalata costano quanto due caffè in un bar della capitale. Luoghi della memoria: statue di Lenin; monumenti ai caduti dell’Armata rossa. Nikolaevska, il villaggio in cui gli alpini della Tridentina spezzarono l’assedio (Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi). Paesaggi lontani dalle strategie di politica internazionale: gli stagni con i fenicotteri, capre, vitelli, galline e babushke sedute su una panca che danno da mangiare ai pulcini. Solo un cartello ricorrente ricorda che siamo in Ucraina: «Harv-east», la compagnia agricola controllata dall’uomo più ricco del Paese, Rinat Akhmetov, 48 anni. Non ettari, ma chilometri di distese di grano, di prato per il bestiame, di campi a maggese. La «roba» di Akhmetov non finisce mai: industrie, alberghi, finanza, calcio. Anche lui era in affari con il presidente Yanukovich, ma si è subito «dissociato», se non altro perché la sua ricchezza, valutata in 13 miliardi di dollari, è custodita nelle banche del Principato di Monaco e di Londra. D’accordo. Ma l’esercito? Non c’è traccia di divise quaggiù. Di ritorno verso Donetsk ecco qualcosa che si muove nella boscaglia, non lontano da un grande alce in pietra, ad Amvrosevka. Compare un ufficiale che intima di fermarsi. Si vede qualche carro armato mimetizzato e sentinelle posizionate nelle due direzioni: 13 chilometri a sud c’è la Russia, ma 6 chilometri a nord il primo presidio dei separatisti. I nemici del Risiko si tengono d’occhio, si inseguono, ma non si toccano: quanto può durare?
Giuseppe Sarcina
tratto da corriere.it - 2 maggio 2014
Tratto da corriere.it