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L'estinzione dei dinosauri di stato. Anni '80: un laico al governo.


Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il governo a un laico
Pertini, che si è sobbarcato il compito di restituire alle istituzioni il rispetto dei cittadini, affida l’incarico, per la prima volta dopo il 1945, a un non democristiano, il repubblicano Giovanni Spadolini, che, nel giugno 1981, forma un pentapartito (DC, Psi, Psdi, Pri, Pli; 28 giugno 1981-23 agosto 1982), con due impegni solenni: risanare l’economia e incoraggiare la reazione popolare contro il terrorismo e la mafia; gli stessi comunisti non mostrano verso Spadolini l’ostilità che avevano nei riguardi di Cossiga e Forlani. L’azione dei Governi Spadolini uno e Spadolini due (23 agosto-1° dicembre 1982) è minata, in campo economico, dal contrasto tra i fautori delle manovre espansive e quelli del rigore (il patto tra i partiti del polo laico viene messo a dura prova) e quindi è destinata all’immobilismo.
Per combattere la mafia Spadolini riesce a far nominare prefetto di Palermo il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. “Investiture verbali” ne fanno una sorta di successore del prefetto Mori. Alcuni politici locali protestano contro quello che definiscono un tentativo di criminalizzare la Sicilia e, ancora una volta, cercano di dipingere la mafia come un’invenzione del Nord per screditare il Sud. Dalla Chiesa, consapevole che questi comportamenti altro non sono che una messinscena per creare un polverone attorno al vero problema, e cioè i legami tra criminalità e politica, chiede maggiori poteri e l’incondizionato appoggio delle istituzioni. Ma mentre a Roma si discute sulle richieste di Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982 il generale viene assassinato con la moglie.
La mafia di quegli anni si era molto rafforzata, legata a reti internazionali per il traffico della droga, collegata alla politica e all’Amministrazione Pubblica nella speculazione edilizia e nell’assegnazione degli appalti, pronta a negoziare il “voto di scambio”, ma pronta anche a uccidere. Questa azione criminosa si rivela però, per la mafia stessa, un coltello a doppio taglio, perché attira l’attenzione degli organi d’informazione stranieri. Il Governo è costretto a prendere decisioni importanti, come la nomina di un alto commissario per le attività mafiose, l’introduzione del reato di associazione mafiosa e l’apertura al potere investigativo dei conti bancari dei sospetti.
Cambiano i buoi ma non il carro
Al XV congresso della DC, nel maggio 1982, Piccoli si presenta dimissionario e viene eletto segretario Ciriaco De Mita della Base, che viene presentato come l’unico democristiano in grado di ridimensionare il potere delle correnti. Il giudizio che di lui dà Cossiga è, come al solito, tagliente: «De Mita è rivoluzionario a una condizione: che la rivoluzione l’abbia pensata lui, l’abbia organizzata, la guidi lui e che sia fatta d’accordo con i comunisti, senza la cui presenza egli, che li detesta, ritiene non poter esserci, in Italia, democrazia» (Cossiga, 2000).
La nomina di De Mita ha un doppio obiettivo: dare un segnale di rinnovamento e contrapporre un uomo forte a Craxi. Il neosegretario DC, che era conosciuto per alcune sferzanti opinioni contro il capitale e gli industriali, deve risalire la china del consenso della borghesia, cosicché la DC si impegna verso il mondo imprenditoriale in un’azione di promozione dell’uomo politico, presentato come portabandiera di un ricambio generazionale. De Mita, che mantiene l’incarico fino al 1989, si sforza di rinnovare il partito, cercando di creare l’immagine di una forza moderna e aperta. Ma anche per lui, figlio politico del correntismo, la lotta per il rinnovamento è un’impresa che si rivela impari, e la sua principale azione politica si ridurrà al tentativo di «collocare quanti più fedeli gli è possibile in posti chiave dell’economia pubblica e dei media» (Galli, 1993). In questo periodo si prepara l’alleanza tra Andreotti e Forlani, che non condividono i continui attacchi di De Mita a Craxi e che vogliono contrastare il potere della sinistra interna. Nel marzo 1983, al XVI congresso del Pci, Berlinguer, pur riaffermando la validità della formula dell’“alternativa democratica”, riconosce elementi di novità nell’atteggiamento di De Mita nei confronti dei comunisti, e lancia una dura critica a Craxi, cui imputa «la finzione» di volere una politica riformista, cercando però l’appoggio delle componenti più conservatrici della DC.
Gli attriti tra democristiani e socialisti, con la punta dell’iceberg dei contrasti tra i ministri economici Beniamino Andreatta e Rino Formica, costringono Spadolini alle dimissioni; si forma quindi, nel dicembre 1982, il Governo “d’attesa” del quinto Fanfani (DC, Psi, Psdi e Pli; 1° dicembre 1982-4 agosto 1983), ma Craxi considera questo Esecutivo come «un prologo in attesa della rappresentazione» e spinge per anticipare il confronto elettorale con la DC. Fanfani trasforma in monocolore la precedente coalizione e Pertini manda gli italiani alle urne. Alle elezioni politiche del 26 giugno 1983 lo sconfitto è De Mita; il suo nuovo corso, infatti, non ha convinto gli italiani. La DC scende, infatti, al 32,9%, con una perdita di oltre 5 punti; il Pci tiene, scendendo solo al 29,9%. Complessivamente i partiti di centro (DC, Psdi, Pri e Pli) raggiungono uno stentato 45%, cosicché il Psi, con il suo 11,4%, dà a Craxi un peso elettorale sufficiente per esercitare il “potere d’interdizione” verso una DC stremata, e per proporre la propria candidatura a presidente del Consiglio. In realtà anche Craxi esce parzialmente sconfitto da una tornata elettorale nella quale si aspettava di raggiungere un 15% dei voti, ma riesce a camuffare la sconfitta in vittoria polarizzando l’attenzione dei media sulla disfatta di De Mita. Lo scivolone della DC è un forte segnale, premonitore del tracollo del partito degli anni Novanta, ma nessuno sembra in grado di comprendere lo stato di insofferenza e di indifferenza degli italiani.

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4 luglio 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.


Tratto da

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www.impresaoggi.com