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La ricerca energetica in Italia


La cosa essenziale per la felicità è ciò che uno ha in se stesso.

A. Shopenhauer. Parerga e paralipomena


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Quando poco più di un anno fa il Ministero per lo Sviluppo Economico ha pubblicato e sottoposto a una consultazione allargata un documento sulla Strategia Energetica Nazionale (SEN), nella maggior parte delle osservazioni fatte dagli “addetti ai lavori” è prevalso un giudizio positivo sia sul contenuto della proposta sia sull’ampiezza e la serietà del processo di formazione di questa strategia. Un aspetto ha però sollevato una critica abbastanza diffusa: la limitatezza dell’orizzonte temporale. Infatti, con poche eccezioni (per le quali si fa riferimento soprattutto al documento comunitario della Roadmap dell’Energia al 2050) l’orizzonte temporale si limita al 2020: il che, in termini di sistema energetico nazionale, è domani o quasi, tanto da farci chiedere paradossalmente se si trattava veramente di SEN o non piuttosto di TEN (Tattica Energetica Nazionale). Manca insomma una visione di lungo termine del sistema energetico italiano. Vi sono motivi seri a sostegno di questa limitazione temporale. Nel passato abbiamo assistito a troppe elaborazioni prive di sostanza e di strumenti attuativi, troppi libri dei sogni. Prima di tutto, le strategie energetiche sono determinate dai mercati piuttosto che dai governi; e la limitazione dell’orizzonte può essere vista come un segno di concretezza, il concentrarsi su quello che è possibile fare oggi senza fughe in avanti. In secondo luogo, i sistemi energetici a livello mondiale non sono più determinati dai protagonisti di un tempo: i grandi Paesi industriali, l’OPEC, l’Europa e gli Stati Uniti; in misura crescente i protagonisti sono i Paesi emergenti, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e a ridosso di questi i MIST (Messico, Indonesia, Sud-Corea e Turchia, più altri 7 che complessivamente hanno già superato l’Europa come PIL); non siamo ancora abituati a dare più importanza alle decisioni prese dalla Cina piuttosto che a quelle europee; e forse ci manca ancora la capacità di interpretare, e ancor più di prevedere, le loro strategie e i loro processi decisionali.
L’importanza della ricerca energetica
Ma quando si tratta di ricerca il discorso cambia. Dobbiamo avere qualche idea di che cosa cerchiamo, cioè di dove vogliamo arrivare. I tempi in gioco per la ricerca energetica sono molto lunghi, e gli impianti che producono o consumano energia sono progettati per durare molti decenni. Noi vorremmo che questi sistemi energetici fossero “amichevoli”, adatti all’uomo, cioè sostenibili. I sistemi energetici attuali certamente non sono sostenibili, e dovranno essere sostituiti entro 30 o 50 anni. Ciò richiede di avere una visione di riferimento di lungo termine; ed è a questa visione che faranno riferimento i programmi di ricerca sia dei principali Paesi sia delle imprese energetiche. In pratica, l’evoluzione complessiva di questo sistema è quella che determinerà l’ambito ristretto in cui si potrà muovere la “politica energetica” italiana. Non è più il tempo (e forse non lo è mai stato) in cui si poteva immaginare una via originale diversa da tutte le altre; ma rimane la possibilità, anche la necessità di ricavare un ruolo specifico per il nostro Paese, adatto alle condizioni geoclimatiche, alle risorse naturali (o alla loro scarsità), al nostro sistema produttivo, alle nostre esperienze.
Gli obiettivi delle politiche energetiche sono comuni a quasi tutti i Paesi, con sottolineature e priorità diverse, e sono:
• la sicurezza degli approvvigionamenti, cioè la possibilità di disporre dell’energia necessaria al soddisfacimento delle necessità di tutti a prezzi accessibili;
• la protezione dell’ambiente e del clima, in particolare alla limitazione del riscaldamento globale del pianeta, anche nell’ambito dei più vasti accordi internazionali;
• un costo sufficientemente basso dell’energia per il sistema produttivo, tale da non portare a posizioni di svantaggio competitivo delle produzioni nazionali sul mercato internazionale.
Innovazione energetica insufficiente in Italia
Può sembrare che il tener conto di queste indicazioni molto generali e insieme delle peculiarità del nostro Paese sia relativamente semplice. Proveremo a mostrare che forse la risposta non è sempre banale. Una prima distinzione corre tra la ricerca relativa alla generazione e alla trasformazione dell’energia, e quella relativa al suo utilizzo; cioè tra offerta di nuova energia e riduzione della domanda di energia. Il cosiddetto “dibattito sul negawatt” degli anni 80 del secolo scorso, specie negli Stati Uniti, ha mostrato che in moltissimi casi è più conveniente usare più efficientemente l’energia piuttosto che investire in nuovi impianti di generazione; oltre all’economia, ne guadagna anche l’ambiente. Una priorità in questo senso degli stanziamenti per la ricerca energetica sembrerebbe quindi giustificata, e corrispondente anche alle caratteristiche del nostro panorama industriale (forte presenza della produzione di elettrodomestici, un comparto molto attivo per la produzione di beni strumentali, una lunga storia di energia a prezzi elevati che ha creato una sensibilità diffusa sull’efficienza energetica). È una priorità che è anche espressa nella SEN ma, almeno per il momento, non confermata dalle statistiche. Anche la tradizionale parsimonia nei consumi per i mezzi di trasporto non ci ha mantenuti ai primi posti in questo campo, rispetto alle emergenti offerte, specie asiatiche. E la perdita di leadership nel campo degli elettrodomestici è un altro elemento per noi non favorevole.
Tra le innovazioni più importanti del lato usi finali vi sono indubbiamente quelle legate al settore dei trasporti, che a differenza degli altri settori sta continuando ad aumentare il proprio peso relativo, senza che appaiano soluzioni risolutive, specie per il trasporto passeggeri. Anche l’industria automobilistica italiana, ricca di idee e di soluzioni innovative a livello di problemi tecnici, non sembra avere particolarmente a cuore l’innovazione di sistema. Uno spunto potrebbe venire dall’osservazione che l’Italia è il Paese con la più alta presenza del metano come carburante per l’autotrazione.
Nel settore delle energie tradizionali – gli idrocarburi – l’Italia ha mantenuto un livello tecnologico di avanguardia, specie per quanto riguarda l’upstream, nonostante la mancanza dell’opportunità di applicare queste tecnologie sul territorio nazionale, e si colloca bene nel settore della prospezione (nuove tecniche di ricostruzione tridimensionale dei giacimenti a partire dai dati sismologici, ai limiti delle capacità dei più recenti supercalcolatori) come in quello dello sfruttamento di giacimenti in condizioni difficili (perforazione di pozzi curvi, orizzontali e ramificati) e ha acquisito una posizione di leadership nella realizzazione e gestione dei gasdotti (in particolare sottomarini). Più problematica l’innovazione nel downstream, dove ci si è trovati di fronte alla crisi del settore della raffineria, con una forte contrazione degli impianti.
Complessivamente, non sta ancora apparendo in Europa (e tanto meno in Italia) la stagione del petrolio e del gas “non convenzionali”, che in pochi anni ha rivoluzionato il mercato degli idrocarburi e in particolare del gas naturale, trasformando gli Stati Uniti da pesanti importatori a potenziali esportatori di idrocarburi. Ma questa situazione potrebbe evolvere abbastanza rapidamente in Europa, e qualcuno ne legge già i primi segnali. L’ovvia domanda che ci si pone è: l’industria nazionale sarebbe pronta a far frutto di un mutamento di prospettiva di questo genere? Qualche noticina a margine: il 29 aprile 1992 venne emanata la “famigerata” CIP-6 (delibera 6 del Comitato Interministeriale Prezzi), destinata alla promozione delle fonti energetiche rinnovabili, ma estesa (in maniera sostanzialmente arbitraria) ad alcune fonti “assimilate” a quelle rinnovabili, in particolare alla valorizzazione energetica dei rifiuti che poi fecero la parte del leone nella ripartizione dei finanziamenti. Partendo da questo assunto arbitrario, tuttavia, furono realizzati in tre raffinerie altrettanti impianti tecnologicamente avanzati per la gassificazione dei residui di raffinazione e la produzione di calore per il processo e di elettricità. Questa importante dote di conoscenza complessivamente guadagnata dall’industria italiana (eccellenza a livello mondiale) non risulta essere stata utilizzata per la realizzazione di impianti analoghi in grandi impianti chimici. Un’opportunità mancata (peccato originale a parte!).
Marginali rispetto alle linee di ricerca energetica condotte in Italia sono le tecnologie “pulite” del carbone. Non essendo per il momento (e presumibilmente ancora per un lungo periodo) previste nuove centrali a carbone in Italia, queste tecnologie sono di eventuale interesse per la realizzazione di centrali avanzate a carbone in altri Paesi (soprattutto emergenti) da parte di industrie italiane. Si tratta quindi di una seconda priorità almeno per quanto riguarda la politica energetica, anche se può essere un obiettivo di interesse per la politica industriale. Un discorso a parte riguarda la considerazione della CCS (Carbon Capture and Storage) – separazione e stoccaggio dell’anidride carbonica. La maggior parte degli scenari di lungo termine che tendono a limitare a due gradi centigradi l’innalzamento della temperatura media della Terra contano sull’applicazione di questa tecnologia almeno per un consistente periodo di tempo. La CCS dovrebbe applicarsi a tutti gli impianti di una certa dimensione che utilizzano combustibili contenenti carbonio – carbone, gas, petrolio e anche biomasse. Tuttavia essa è molto più importante per gli impianti a carbone, che emettono oltre il doppio di anidride carbonica rispetto agli impianti a gas naturale. L’Italia ha una presenza di impianti a carbone molto inferiore rispetto ad altri Paesi, essendo la produzione termoelettrica soprattutto basata sul gas. Pertanto, l’Italia potrebbe considerare meno urgente l’utilizzo di questa tecnologia (che comporta una perdita sensibile di rendimento energetico nella produzione termoelettrica o in altri impianti industriali). Tuttavia l’Italia partecipa attivamente ad alcuni dei più impegnativi progetti internazionali di CCS.
Sulle fonti rinnovabili di energia vi è un notevole interesse dell’industria
Complessivamente ci sono quindi segnali complessivamente non negativi dal mondo industriale e accademico per quanto riguarda la ricerca in campo energetico, ma molto di più e di meglio si potrebbe fare sfruttando le competenze esistenti e sfruttate oggi complessivamente a livello assai inferiore alle loro potenzialità. Si richiede però (ed è particolarmente importante in un periodo di crisi come questo) un ripensamento e un rilancio degli operatori del settore e una rinnovata distribuzione dei ruoli. Questo richiede in particolare un ritorno alla piena operatività dell’ENEA, che non deve essere limitato al pur benemerito supporto di Agenzia in appoggio all’attività del governo, ma di cui è importante rilanciare (e forse siamo ancora in tempo) il duplice ruolo di produttore di risultati di ricerca scientifi ca e tecnologica ad alto livello, e di tramite/interprete tra il mondo della ricerca e quello della produzione. conclusioni FIGURA 3 Impianto pilota di Steam Explosion (presso il Centro Ricerche ENEA Trisaia) per il trattamento della biomassa al fi ne di migliorare il recupero delle frazioni di cellulosa, emicellulosa e lignina e poter procedere alla loro valorizzazione per la produzione di biocarburanti, materiali plastici e chemicals italiana, almeno a giudicare dalle risposte al bando “Industria 2015” del Ministero dello Sviluppo Economico. Tuttavia la nostra industria ha beneficiato in misura modesta degli incentivi, da molti giudicati eccessivi, almeno per quanto riguarda il solare fotovoltaico e l’eolico, lasciando il grosso della produzione hardware a concorrenti stranieri: un risultato deludente, specie nel solare, dove l’industria e i laboratori italiani, specie dell’ENEA, avevano raggiunto risultati importanti di ricerca. Altro settore in cui forse si sarebbe potuto ottenere risultati migliori è quello della geotermia. L’Italia è stata per quasi un secolo leader mondiale in questo campo (fin da quando nel 1905 si produsse la prima elettricità geotermica a Larderello), e l’industria italiana aveva svolto un ruolo essenziale per la nascente industria geotermica di altri Paesi come la Grecia e la Cina. Al momento della realizzazione di impianti su vasta scala, però, sono subentrati i concorrenti, a partire dal Giappone. Meglio sta andando viceversa il settore delle biomasse, dove sono attive alcune industrie e laboratori nazionali, universitari e dell’ENEA nello sviluppo di nuovi processi per ottenere biocarburanti (in particolare dalla idrolisi della cellulosa) in uno sforzo che ben figura a livello internazionale.

Ugo Farinelli Tratto da www.enea.it - 25 luglio 2014


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