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L'estinzione dei dinosauri di stato. Il crollo dell'impero sovietico


Animo non costante ingiuste cose opra e mal fido è per gli amici
Euripide, Ifigenia in Aulide


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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I contraccolpi in Italia
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1989 il mondo assiste in diretta, alla “caduta del muro di Berlino”. Questo evento si lascia alle spalle il fallimento delle ideologie del XX secolo: nazismo, fascismo e comunismo. La strategia di Reagan, quella di costringere l’Urss a una costosissima corsa agli armamenti, ha rivitalizzato l’economia Usa, mentre ha messo in ginocchio quella sovietica. Il colosso dai piedi d’argilla si è sgretolato sotto il suo stesso peso. Nel volgere di pochi mesi, tra il 1989 e il 1990, le strutture ideologiche, politiche, territoriali e militari dell’impero comunista vengono polverizzate. È interessante osservare che, se il tracollo del comunismo ha ragioni complesse, che vanno dalla progressiva sclerosi dell’economia, alla disarticolazione del tessuto sociale e all’esaurimento dell’ideologia, è anche vero che l’informazione ha funzionato da detonatore di quell’esplosione: un lento ma inesorabile flusso sotterraneo di informazioni dal mondo occidentale verso i Paesi dell’Est, il cui impatto su popolazioni che avevano maturato un distacco emotivo e culturale dalla realtà offerta dalla quotidianità comunista è stato l’elemento di accelerazione di un processo disgregativo in atto (Manca, 1992). A Bologna, nel marzo del 1990, al XIX congresso del Pci, ultimo della sua storia, scompare il Partito Comunista e l’8 febbraio 1991, a Rimini, viene fondato il Partito Democratico della Sinistra (Pds): il partito rinuncia agli aggettivi comunista e socialista e assume per simbolo una quercia che poggia su falce e martello. Il Pci approva con il 67% dei voti la proposta di Occhetto di cambiare nome, avviare una fase politica nuova e costituente e rompere l’isolamento politico. Massimo D’Alema, direttore dell’Unità, è uno dei più tenaci sostenitori della svolta.
I comunisti di vecchia data, i sostenitori più convinti, accolgono la notizia in lacrime. Si percepisce la sensazione di un collasso psicologico di persone che erano state ingannate e che, pertanto, non capiscono. Un ideologismo sordo e cieco davanti ai danni e al disfacimento sociale, morale, culturale ed economico in atto nei Paesi comunisti aveva perseverato nelle promesse di obiettivi irraggiungibili, di false libertà, di falsi paradisi. La responsabilità della dirigenza comunista è aggravata dalla consapevolezza che nel Pci era comunque in atto un lento, ma costante processo di superamento del comunismo stesso; era solo necessario ammetterlo e farne partecipe la cosiddetta “base”.
La volontà dei popoli magiaro, polacco, cecoslovacco, che avevano cercato di liberarsi dal giogo del comunismo, non aveva avuto una funzione maieutica per una crescita culturale del popolo comunista italiano. È stato necessario che il fallimento del comunismo diventasse un fatto mediatico perché la dirigenza del Pci lo riconoscesse pubblicamente. Esso diventa reale, cioè, nel momento della sua rappresentazione sugli schermi televisivi di tutto il mondo e non come risultato di un’analisi critica di una dirigenza che – da Togliatti a Longo, da Berlinguer a Natta, fino a Occhetto – sapeva e che, colpevolmente, aveva sempre taciuto e negato.
Il Pci scompare ma l’ideologia marxista resta nel Dna di quei magistrati, di quei giornalisti, di quei professori che conoscevano la realtà del “paradiso comunista” ma che non possono ammettere di aver abbracciato un’ideologia perdente e disumana. L’odio che essi manifestano nei confronti di Berlusconi rappresenta sia l’incapacità di ammettere le proprie colpe, sia la necessità di individuare un capro espiatorio. Al congresso di Rimini l’ala della sinistra libertaria e quella ortodossa non accettano la trasformazione nel Pds e fondano il movimento della Rifondazione Comunista che, due mesi dopo, si trasforma in partito, con Sergio Garavini primo segretario. Affermerà Fausto Bertinotti: «Noi ritenevamo che il crollo dei regimi dell’Est, il fallimento di quell’esperienza, non trascinasse automaticamente con sé la cancellazione delle straordinarie ragioni che avevano mosso quella scalata al cielo che fu la Rivoluzione d’ottobre, perché le ragioni dell’uguaglianza e della liberazione del lavoro salariato continuano anche in questa fase dello sviluppo capitalistico» (Zavoli, 1999).
La sofferenza, la violenza, le umiliazioni inferte dal comunismo a decine di milioni di lavoratori non lasciano traccia sull’ideologismo narcisistico di Bertinotti e di tutti coloro che ancora per decenni porteranno avanti i principi della Rivoluzione d’ottobre. Tra le parole più concrete sulla fine del comunismo vanno ricordate quelle di Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Laborem exercens afferma: «Il comunismo come sistema è in un certo senso caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi. Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all’atto pratico, più dannosa della malattia».
Dopo la svolta della Bolognina, Bettino Craxi vede una possibile alternativa di sinistra all’accordo con la DC e, mentre il Pci è alla ricerca di una nuova identità, sollecita Occhetto a inserire nel nuovo nome del partito un riferimento al socialismo; ma, come ammetterà lo stesso Occhetto (Zavoli, 1999), la maggior parte della dirigenza comunista (o ex comunista) guarda alla DC più che al Psi. Il Pds diventa quindi un pericolo per Craxi, che sferra una serie di colpi volti a delegittimare Occhetto e ridicolizzarne l’azione.
Nel frattempo inizia a verificarsi un cedimento della coesione interna della DC. Leoluca Orlando, a Palermo, rompe la disciplina di partito e costituisce una giunta con la sinistra, fondando successivamente la forza politica chiamata Rete. Un secondo dissidente della linea politica della DC è Mario Segni, che si prepara ad abbattere il vecchio sistema elettorale. Nel Nord la Lega di Bossi acquista sempre maggiori consensi. Afferma Mack Smith: «Questi quattro uomini politici – Bossi, Segni, Orlando e Occhetto – rispecchiavano, benché in forme tra loro diversissime, l’insofferenza del Paese nei confronti di un sistema politico corrotto e obsoleto» (Mack Smith, 1997).
Questa esigenza di rinnovamento nello sclerotizzato mondo della politica toglie il bavaglio alla magistratura: nell’estate 1990, ad esempio, viene a galla l’esistenza di Gladio. Racconta Cossiga: «Andreotti, allora presidente del Consiglio, venne da me, un giorno, al Quirinale. Aveva deciso di aprire gli archivi del Sisde al sostituto procuratore generale Felice Casson. Gli dissi che il magistrato sarebbe automaticamente venuto ad apprendere dell’esistenza di Gladio e il capo del Governo mi spiegò che aveva deciso di renderla nota lui stesso». Perché Andreotti decide di rendere pubblica Gladio? I motivi possono essere diversi; l’uomo politico non era mai stato un convinto sostenitore del Patto Atlantico, ma un tenace fiancheggiatore della Ostpolitik del Vaticano e un fautore della politica filo-araba, per questo motivo non aveva mai creduto nelle strutture segrete in funzione anticomunista. Inoltre iniziava a far maturare crediti a sinistra, in funzione di una possibile candidatura a Presidente della Repubblica.
Cossiga viene lasciato solo a difendersi dagli attacchi di partiti e dei media, cosicché l’uomo politico, dopo cinque anni di “altissimo notariato”, si toglie l’abito istituzionale e avvia una campagna di diffamazione contro il proprio partito e i magistrati, parla con linguaggio aggressivo nei confronti del capo di Governo Andreotti, accusa alcuni parlamentari di essere “cretini” e “zombi”, chiede maggiori poteri per il Presidente della Repubblica «per poter riformare le istituzioni da cima a fondo», difende la P2. Da un giorno con l’altro, da “fedele servitore delle istituzioni” Cossiga diventa un tribuno del popolo il cui obiettivo è regolare i conti con tutta la classe politica.
Contro Cossiga si alza la voce di Scalfaro, che accusa il Presidente della Repubblica di aver instaurato un canale diretto con il popolo, passando sopra la testa del Parlamento, e di essere entrato nella dialettica politica esorbitando dalle sue funzioni. Per questa serie di esternazioni, i media, sempre alla ricerca dello scoop e bravissimi nell’inventare soprannomi per i vari personaggi e slogan di facile presa (l’Avvocato, l’Ingegnere, il Cavaliere, il Senatur, il Professore, la Signora, il Cinese, il Dottor Sottile, Dalemoni, inciucio, bipartisan) lo definiscono “il picconatore”. Nel frattempo, nonostante l’accordo con Forlani, Craxi è convinto di logorare la DC, lo stesso pensa di fare Andreotti con il Psi.
L’inerzia dei Governi non ostacola, anzi favorisce il dissesto della finanza pubblica e l’espansione della criminalità, e la classe politica non si accorge che oramai sta raschiando il fondo del barile. Un segno dell’insofferenza degli italiani si manifesta alle regionali del 6 maggio 1990, che segnano il primo significativo successo delle Leghe, con il 5,4% su scala nazionale; la DC rimane attestata sul 33,4%, il Pci scende al 24%, il Psi raggiunge il massimo storico del 15,3%, tutti gli altri partiti tradizionali vedono calare i loro suffragi. Il mese successivo viene indetto un referendum sulla disciplina della caccia, sull’accesso dei cacciatori ai fondi privati e sull’abrogazione dei pesticidi. Quel 3 giugno 1990 va ricordato perché per la prima volta in Italia un referendum non raggiunge il quorum e viene pertanto invalidato. Inizia a manifestarsi un’insofferenza anche nei riguardi dei radicali e del loro attivismo referendario. Ciò non toglie che gli italiani andranno in massa alle urne, il 9 giugno 1991, per votare a favore della “preferenza unica”, con il referendum promosso da Mario Segni.

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29 settembre 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.


Tratto da

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www.impresaoggi.com