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Considerazioni sul TFR


Tu vorresti insegnarmi come conservare i miei beni e la mia condizione: ma io desidererei piuttosto imparare come essere ugualmente felice se dovessi perderli.
Seneca, Letterte a Lucilio


Chissà cosa penserebbero oggi John Locke e John Stuart Mill, tra i più illustri padri fondatori della dottrina liberale, nello scoprire che esiste un Paese dove vige il trattamento di fine rapporto (TFR). Un istituto giuridico in virtù del quale una parte della retribuzione del lavoratore, una sua proprietà cioè, gli viene regolarmente sottratta per essere corrisposta solo alla cessazione del rapporto di lavoro in ragione della presunzione che il medesimo lavoratore non sia capace di farne un uso adeguato alle sue necessità e che è meglio che la custodisca qualcun altro in vista di esigenze di vita che il proprietario non può, a causa evidentemente di minorità psichica, opportunamente considerare. Chissà cosa penserebbero Locke e Mill nello scoprire che le organizzazioni dei lavoratori concordano sulla bontà di questo strumento di retribuzione “differita” e si oppongono a che il lavoratore percepisca subito tutto il corrispettivo del proprio sudore per utilizzarlo come meglio crede. E chissà che faccia farebbero nel sapere che il sindacato tace da diversi decenni sul fatto che la retribuzione “ differita” del lavoratore viene messa a frutto senza il suo consenso dalle imprese che la utilizzano per i loro investimenti e persino dallo Stato professionista della dissipazione. Locke andrebbe su tutte le furie di sicuro nell’ascoltare i rappresentanti dei datori di lavoro affermare che la retribuzione dei lavoratori rappresenta una fonte di “ autofinanziamento” che non può essere sottratta alla imprese e si chiederebbe, di certo basito, come ci si possa “ autofinanziare” con l’utilizzo di una proprietà altrui. Lui, filosofo britannico fra i primi a riconoscere che il diritto di proprietà è un diritto assoluto al pari del diritto alla vita ed alla libertà. Mill imprecherebbe come un ossesso nel leggere che milioni di individui adulti e responsabili non sono liberi di scegliere autonomamente come utilizzare la propria retribuzione perché giudicati dallo Stato, dal governo dei sapienti, incapaci di badare a se stessi, bisognosi di un tutore che sappia quando e per quali ragioni “ concedergli” l’utilizzo dei propri denari. Lui, che del paternalismo di Stato fece un bersaglio su cui martellare ininterrottamente in difesa della libertà individuale. Entrambi i Nostri filosofi si aggirerebbero oggi smarriti fra i numerosi “ liberali all’amatriciana de noatri” che non hanno ancora capito che l’efficienza economica non può essere perseguita a scapito della libertà e della responsabilità individuale. Poi, con un pizzico d’orgoglio misto a tanta costernazione ci ricorderebbero, l’uno che “ …il potere supremo non può togliere a un uomo una parte della sua proprietà senza il suo consenso…Non ho infatti alcuna proprietà di ciò che un altro può a buon diritto togliermi quando vuole contro il mio consenso.” ( J.Locke, Trattato sul governo), l’altro che “ Ma nessuna persona, né alcun gruppo di persone, ha titolo per dire a un altro uomo di età matura che per il suo bene non dovrebbe fare della sua vita quello che decide di farne. E’ costui la persona più interessata al proprio benessere: l’interesse che chiunque altro può avere in ciò, se non in casi di forte attaccamento personale, è trascurabile in confronto a quello che egli stesso ha; l’interesse che la società ha nei suoi confronti in quanto individuo è minimo e del tutto indiretto: mentre, per ciò che riguarda i propri sentimenti e le proprie condizioni particolari, l’uomo e la donna più comuni hanno strumenti di conoscenza incommensurabilmente superiori a quelli di chiunque altro.” ( J.S.Mill. Sulla libertà).

Rocco Todero

www.brunoleoni.it

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8 ottobre 2014


Tratto da www.brunileoni.it

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