Socrate: "I felici lo sono per il possesso della giustizia e della temperanza, gli infelici lo sono per la loro cattiveria".
Platone, Gorgia
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il pool "mani pulite".
Il dopo elezioni è caratterizzato da un’intensa attività della magistratura. Il 16 aprile si chiude, infatti, il processo per il crack del Banco Ambrosiano, con dure condanne di personaggi importanti. Ma, più significativamente, si scopre che dal filone Mario Chiesa il pm Antonio Di Pietro sta srotolando la matassa della corruzione a Milano. In maggio vengono richieste le autorizzazioni a procedere nei confronti dei due ex sindaci Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri (genero di Craxi); imprenditori e manager di piccole e grandi aziende vengono arrestati o indagati e inizia a chiarirsi il legame esistente tra affari e politica. L’inchiesta esce dai confini lombardi con un’accelerazione degli arresti e degli avvisi di garanzia che coinvolge, in tutt’Italia, uomini di primo piano della politica.
«La vita dell’undicesima legislatura parlamentare sarà scandita, durante tutto l’arco della sua durata, dalle discussioni sulle molte autorizzazioni a procedere nei riguardi di parlamentari accusati di reati di corruzione (Sgarbi, 1994)». Viene portato a conoscenza dell’opinione pubblica un sistema efficiente e generalizzato di riscossione di tangenti su ogni transazione o concessione nella quale il “pubblico” fosse parte in causa, meccanismo ben noto a chi doveva trattare con la Pubblica Amministrazione, ai media, a tutti i politici. Nel passato alcune documentate denunce erano state respinte “in nome della democrazia”, e ci fu anche «un lungo sonno, o almeno un pigro sonnecchiare, della magistratura. Nessuno che avesse occhi per vedere poteva non essersi accorto di quanta sproporzione vi fosse tra le somme che i partiti raccoglievano con il finanziamento pubblico o con il tesseramento e le somme che venivano profuse per campagne elettorali, sedi, funzionari; e chiunque avesse occhi per vedere si rendeva conto di quanto il tenore di vita dei boiardi contrastasse con le loro dichiarazioni dei redditi, e con i loro introiti palesi» (Montanelli, 1993).
Nell’atmosfera creata dall’inchiesta dei magistrati milanesi iniziano le manovre sotterranee per la nomina del nuovo Presidente della Repubblica. È prevista un’ampia gamma di ipotesi. Forlani è il candidato ideale dei dorotei e dei socialisti, poiché al Quirinale farebbe da sponda a Craxi per la presidenza del Consiglio e aprirebbe la segreteria della DC a Gava. Ma al Quirinale potrebbe andare anche Andreotti, fortemente voluto da Paolo Cirino Pomicino, con Craxi al Governo e Mino Martinazzoli alla segreteria; contrario all’ipotesi di Andreotti è però uno schieramento che attraversa quasi tutti i partiti. Martelli sponsorizza la candidatura di Craxi contando sul fatto che il leader Psi potrebbe ottenere i voti del Pds, dal momento che è presidente della Commissione che deve valutare l’ingresso del Pds nell’internazionale socialista, ma Craxi punta alla presidenza del Governo e Occhetto annuncia che i comunisti non daranno il proprio voto a nessun componente del “caf”.
Un terremoto politico (1991-1993)
Mentre si prospetta una candidatura Spadolini, il 23 maggio, in un sanguinoso attacco mafioso, perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini di scorta. I giochi proseguono ancora per due giorni ma, infine, sotto la pressione di un’opinione pubblica scandalizzata e sotto shock per la strage, il 25 maggio prevale la scelta della “continuità istituzionale” e al sedicesimo scrutinio viene eletto Presidente Oscar Luigi Scalfaro, con i voti di Dc, Psi, Psdi, Pli, e Pds. Di quest’uomo «bigotto, collerico, moralista e pomposo» osserverà Montanelli: «più che dai suoi quasi settecento elettori, Scalfaro è stato issato al Quirinale dai settecento chili di tritolo su cui era saltato Falcone».
Tra i media scatta la regola del branco e la parola d’ordine è una sola: «Al Quirinale un galantuomo». Scalfaro apre subito le consultazioni per il Governo; la candidatura Craxi cade dopo feroci giochi di corridoio e lo stesso leader socialista, al quale viene riconosciuto un diritto di scelta a compensazione della mancata nomina, indica Giuliano Amato – uomo onesto, dal linguaggio facile, il fare sommesso di stile anglosassone – al quale viene affidato il compito di varare misure tanto urgenti, quanto impopolari.
Il governo Amato
Nel giugno 1992 nasce il Governo Amato, che restaura il quadripartito (28 giugno 1992-28 aprile 1993), ma che si caratterizza per una serie di novità: il numero dei ministri scende da 32 a 24, vengono esclusi gli uomini più compromessi (come Gianni Prandini, Cirino Pomicino, De Michelis) e la DC impone ai propri ministri l’incompatibilità con il mandato parlamentare. Il Governo Amato parte anche con la benedizione di Mediobanca, che attraverso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Maccanico, ottiene alcune assicurazioni sulla privatizzazione delle aziende pubbliche (Galli, 1996).
La mafia – forse non trovando più, come nel passato, garanti della sua impunità – manda un altro sanguinoso messaggio allo Stato: il 19 luglio 1992 un’autobomba fa saltare in aria a Palermo il giudice Paolo Borsellino e cinque uomini della sua scorta. Il Governo risponde inviando 7mila uomini dell’esercito nelle zone controllate dalla mafia, i capi mafiosi in carcere vengono trasferiti in località isolate, sono eliminati i benefici carcerari, viene sostituito il procuratore generale di Palermo, Pietro Giammanco, con Giancarlo Caselli, distintosi nella lotta alle Brigate Rosse.
Il Governo Amato avvia anche una politica di risanamento economico per tamponare la voragine lasciata dal Governo Andreotti. Vittorio Sbardella, un uomo della sua corrente, descrive così la situazione: « […] non lascia niente. Solo rottami, un Paese sull’orlo della bancarotta». Amato è aiutato dall’accordo tra Confindustria e sindacato, che manda in pensione il meccanismo una volta intoccabile della scala mobile. Viene attuata una manovra che colpisce, tra l’altro, case e depositi bancari, viene istituita una patrimoniale per le aziende, viene fissata una minimum tax per i lavoratori autonomi, viene avviato il processo di privatizzazione delle aziende dello Stato. Ricordo ancora, vivamente, il disorientamento che pervase il sistema industriale italiano, quando, quel 7 agosto 1992, si apprese che il governo aveva azzerato i consigli di amministrazione di Enel, Eni, Iri e Ina; i grandi boiardi di stato erano stati mandati tutti a casa.
I provvedimenti del Governo Amato sono accompagnati da una decisione ignobile, un prelievo obbligatorio dello 0,6 per mille su tutti i depositi bancari, una rapina che non ha precedenti nella storia del Paese. Le agenzie di rating declassano l’Italia e il Presidente Scalfaro, che si distingue per un comportamento di rara arroganza, afferma che «l’Italia non accetta pagelle».
Un’altra iniziativa del Governo Amato che si rivelerà completamente errata sarà quella di affidare il controllo delle banche di Stato a fondazioni da crearsi ad hoc. Le fondazioni saranno il paravento dietro al quale si scateneranno lotte per il controllo delle banche stesse o, meglio, per il mantenimento dello status quo, nella migliore tradizione del cambiare perché nulla cambi. Il 3 luglio si manifesta sui mercati internazionali una dura speculazione sulla lira, moneta che è sensibilmente sopravvalutata. Nonostante ciò il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, oppone una resistenza che dissangua l’istituto centrale, bruciando riserve per 50mila miliardi di lire e facendo la fortuna di molti bene informati. Il 17 settembre 1992 la lira deve essere svalutata del 7% e successivamente uscire dal Sistema monetario europeo, perdendo così fino al 30% del suo valore.
Era stato lo stesso Ciampi, alla fine del 1990, a volere l’ingresso della lira nella banda di oscillazione stretta dello Sme (dal 6,5% al 2,5%). Quella scelta, nel giro di due anni, ha provocato danni a non finire: la lira deve essere difesa dalla speculazione al ribasso giorno per giorno, la sopravvalutazione ostacola le esportazioni, gli alti tassi indeboliscono il sistema produttivo e costano migliaia di miliardi allo Stato, costretto a pagare interessi sempre più alti sul debito pubblico. Ancora una volta i fautori della stabilità forzata dei tassi di cambio tra le monete sono stati sconfitti da una regola più forte, quella del mercato.
Il Parlamento approva una legge elettorale per le Amministrazioni comunali; la nuova legge consente ai cittadini di scegliere direttamente i propri sindaci, con un’elezione a doppio turno. Il 5 novembre 1992 il ministro del Tesoro Piero Barucci illustra il piano di privatizzazioni del Governo Amato, piano che prevede, entro tre-quattro anni, l’uscita dello Stato da gran parte delle aziende sotto il suo controllo (Enel, Ina, banche, aziende dell’Iri e dell’Eni ecc.). Si annuncia una rivoluzione nell’economia del Paese e l’estinzione di una generazione di boiardi che hanno costituito il centro di potere più forte nella storia industriale del Paese.
Il consiglio nazionale della DC, il 12 ottobre, nomina segretario Mino Martinazzoli, che si impegna ad avviare un processo di rinnovamento del partito pur nella consapevolezza di «essere stato eletto per disperazione», che il suo partito «è un cimitero» e che la sua missione dovrà essere quella di «trasformare la paura in coraggio». Alla presidenza viene portata Rosa Russo Jervolino, perché la DC, alla ricerca del tempo perduto, vuole recuperare la componente femminile del proprio elettorato. Mario Segni lascia il partito e fonda il movimento “Popolari per la riforma”, seguendo l’esempio dell’altro eretico democristiano, Leoluca Orlando, fondatore della Rete.
Prosegue intanto il lavoro della magistratura; nel dicembre 1992 il segretario del Psi riceve un avviso di garanzia, che il ministro dell’Interno Nicola Mancino definisce «un attacco al sistema». Nel marzo 1993 viene arrestato l’ex funzionario del Pci Primo Greganti che, dopo aver ammesso di aver intascato tangenti, ma non a favore del Pci/Pds, si chiude in un silenzio che nessuna minaccia scalfisce. Nel 1995 Giuliano Peruzzi, consulente delle cooperative, ammetterà: «Greganti era notoriamente il cassiere del Pci/Pds incaricato di raccogliere i finanziamenti illeciti provenienti dalle fonti più svariate. Essenzialmente fondi neri costituiti dalle cooperative o mazzette provenienti dagli imprenditori […] Pagato Greganti, tutti sapevano che il consenso del Pci era un fatto acquisito e pertanto sia gli appalti nazionali sia le esportazioni verso l’Est avevano il beneplacito di questa forza politica» (Vespa, 1999). Craxi viene interrogato in tribunale e raggiunge il ragguardevole numero di 170 capi d’imputazione. Anche Andreotti, Forlani e Goria vengono informati che sono state aperte inchieste a loro carico; alti magistrati sono sospesi o arrestati, ambasciatori vengono accusati di malversazioni nell’impiego degli aiuti al Terzo mondo; viene arrestato un ex presidente dell’Iri; si scopre che un funzionario del ministero della Sanità, Duilio Poggiolini, con la connivenza del ministro Francesco De Lorenzo, ha accumulato una fortuna di centinaia di miliardi grazie al controllo delle autorizzazioni alla vendita dei farmaci. All’assemblea nazionale del febbraio 1993, nel tentativo di salvare il salvabile, il Psi nomina segretario il sindacalista della Uil, Giorgio Benvenuto, ben presto sostituito da un altro sindacalista, Ottaviano Del Turco, che aveva guidato la componente socialista della Cgil.
Craxi per sfuggire alla giustizia italiana si rifugerà, in volontario esilio, nella sua villa di Hammamet, protetto dal Governo tunisino, con il quale ha stabilito un legame “affettivo”. Prima della morte, in un incontro con Francesco Cossiga, affermerà che i soldi presi durante gli anni d’oro del Psi erano stati utilizzati per scopi di partito e per sovvenzionare movimenti di liberazione nazionale sotto regimi comunisti o fascisti. Lo stesso Gerardo D’Ambrosio ammetterà che non si poteva dimostrare, attraverso gli atti processuali, alcun arricchimento personale dell’onorevole Craxi.
Le inchieste giudiziarie, nel 1993, sconvolgono anche i partiti minori. La Malfa lascia la segreteria dopo l’avviso di garanzia di febbraio (ha luogo una reggenza di Giorgio Bogi); si dimettono il segretario del Psdi, Carlo Vizzini, sostituito da Enrico Ferri, e del Pli, Renato Altissimo, cui succede temporaneamente Raffaele Costa.
Nel mese di marzo 1993, il ministro della Giustizia Giovanni Conso presenta un decreto che depenalizza il finanziamento illecito ai partiti; Scalfaro, che era stato informato nei minimi dettagli del contenuto del provvedimento (Vespa, 1998), sotto la pressione dell’opinione pubblica non firma e il decreto viene ritirato. In aprile Gianni Agnelli ammette la possibilità di illeciti anche da parte della Fiat e Cesare Romiti si presenta a Di Pietro. Da più parti si alzano, però, moniti perché queste inchieste potrebbero danneggiare l’economia, alcuni teorizzano la corruzione come necessità per lo sviluppo di un Paese come l’Italia, lo stesso ministro Conso mette in guardia perché l’avventura non finisca «in un cimitero di fabbriche ferme e di gente affamata».
Il 18 aprile 1993 gli italiani sono chiamati a pronunciarsi su otto referendum promossi da Segni che riguardano: la riforma elettorale del Senato, la non punibilità penale dell’uso della droga, il finanziamento pubblico dei partiti, l’abolizione dei ministeri dell’Agricoltura, del Turismo e delle Partecipazioni statali, l’interferenza dei partiti nelle Casse di risparmio, sull’estromissione delle Usl dai controlli ambientali. L’affluenza alle urne è strepitosa e il sistema dei partiti è sommerso da una valanga di sì, che significano altrettanti no alla classe politica. Quando, qualche giorno dopo, Amato è costretto a dimettersi per l’affare del decreto Conso, Segni è convinto di guadagnare un posto a Palazzo Chigi; non sa che Martinazzoli sta dicendo in giro: «Non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di un condominio».
16 dicembre 2014
Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.
Tratto da L'estinzione dei dinosauri di stato