Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi quelli che esercitano la mente.
Seneca, Lettere a Lucilio
Ebbe il sapore della dinamite il day after della trasformazione di Enel, Eni, Ina e Iri in spa. Nei grandi palazzi dei quattro istituti regnava un silenzio cupo. I telefoni squillavano a vuoto. Noi dirigenti del sistema industriale privato eravamo, da una parte soddisfatti, dall'altra preoccupati per avere perso i nostri punti di riferimento all'interno delle imprese di stato.
Tutti al mare. Chi felice e chi, come i boiardi estromessi, infuriati: chi con l'angoscia per il proprio futuro chi se la prendeva con i giornalisti per lo sprezzante "boiardi" con il quale erano citati.
Passata la concitazione della battaglia politica per la trasformazione in società per azioni, c'era da capire che cosa sarebbe successo con il cambiamento di abito giuridico, che conseguenze avrebbe avuto, quali sarebbero stati i prossimi passi. Tre erano le osservazioni più immediate che emergevano dalla lettura degli statuti delle nuove Spa:
1) Il ridimensionamento del ruolo dei presidenti
2) La vittoria delle tecnostrutture degli enti che in parte si manifestava con la nascita della figura dell'amministratore delegato
3) La centralità delle assemblee e, quindi, dell'azionista di stato. Con il Tesoro che diventava il nuovo punto di riferimento delle holding.
Statuti a parte, la figura del presidente si indebolisce perchè perde quella funzione di mediazione tra le varie forze politiche presenti negli organi collegiali. Non solo: se prima aveva a che fare con un direttore generale (ma all' Eni, ad esempio, Gabriele Cagliari di direttori ne aveva sette), che era la semplice espressione del potere esecutivo, adesso ha accanto un amministratore delegato che ha insieme potere di decisione e di esecuzione. Il presidente si troverà dunque schiacciato tra un'assemblea con larghi poteri, un amministratore delegato e il rappresentante, potentissimo, di uno dei ministeri, Tesoro, Industria e Bilancio, incaricati di mettere a punto il piano di riassetto dell'industria pubblica. E' una figura nuova per le imprese pubbliche, che subentra a quella del direttore generale, che era semplicemente il capo della struttura, destinato a una funzione solo esecutiva, con voto solo consultivo nel Consiglio di amministrazione. Questo cambiamento viene letto come una vittoria delle strutture, che aumentano il loro peso rispetto a una gestione finora in mano al potere politico. E questo discorso vale anche per i ministeri, i cui massimi vertici, ovvero i direttori generali, diventano il terzo membro di Consigli di amministrazione che sono stati ridotti a sole tre persone. Le assemblee sono il centro decisionale. Oltre che sugli aspetti che gli competono per legge, gli statuti affidano a questo organo poteri sull'acquisto o vendita di partecipazioni, nonchè sull'acquisizione, alienazione o dismissione di aziende o "rami di aziende", su operazioni di fusione, scissione o trasformazione di società controllate o collegate. Tenuto conto che l'azionista è unico, cioè il Tesoro, se ne deduce che il vero centro di comando dei tre ex enti e dell'Ina sarà proprio in via XX Settembre, sede del ministero. La trasformazione avviata pone interrogativi e apre nuovi orizzonti. Secondo una norma del Codice Civile, ad esempio, l'azionista unico risponde solidalmente per le obbligazioni della società. Ora, quindi, lo Stato, attraverso il Tesoro, risponde delle obbligazioni di Enel, Eni, Ina e Iri. Ma basterebbe l'ingresso di un altro azionista, perchè questo vincolo venga meno. In questo caso, gli enti non sarebbero più garantiti dallo Stato ma risponderebbero solo con i propri beni, rivoluzionando l'ormai consolidato rapporto con i creditori, abituati a trattare questi grandi istituti come parti dello Stato.
Un problema già risolto è il futuro delle decine di boiardi che sono stati mandati a casa. La battaglia politica che ha preceduto la svolta lascia presagire che i partiti, battuti sulla struttura decisionale più alta, torneranno alla carica sui livelli minori, finanziarie, capogruppo, società, per recuperare almeno alcuni degli uomini "sacrificati".
Tra i "boiardi" che escono di scena, tutti i consiglieri delle quattro holding, il vicepresidente dell'Eni Alberto Grotti (dc) e il "plenipotenziario" socialista dell'Iri, Massimo Pini. Confermati, ma solo fino alle assemblee della prossima primavera, i quattro presidenti (rispettivamente Franco Nobili, Gabriele Cagliari, Lorenzo Pallesi e Franco Viezzoli), che però subiscono un travaso di poteri a favore dei loro direttori generali (Michele Tedeschi all'Iri, Mario Fornari all'Ina e Alfonso Limbruno all'Enel), che ora diventano amministratori delegati. All'Eni, dove non c'era direttore generale, è stato promosso il direttore per la Pianificazione, Franco Bernabè. Soddisfatto il presidente del Consiglio Giuliano Amato, che era arrivato a un passo dalle dimissioni, quando i partiti avevano esercitato la massima pressione per la conferma di tutti gli amministratori. Duro lo scontro col segretario Dc Forlani e forse anche con Craxi. Il presidente della Repubblica Scalfaro ha alla fine convinto Amato a soprassedere; ed è passata la soluzione messa a punto dai ministri economici. Quell'agosto '92 feci solo pochi giorni di ferie.
16 dicembre 2014
Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.
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