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Epicuro
La formazione di rimanenze
alimentari nell’arco della filiera è
in primo luogo un problema etico,
ma rappresenta anche una questione
economica, in quanto, se non recuperate
come cibo attraverso donazioni a enti
benefici, esse vengono destinate a rifiuto
e quindi considerate come un costo per
il sistema. Ogni attività volta a ridurle
ha quindi un doppio effetto positivo:
introduce un concetto di maggiore
sostenibilità ed eticità nella produzione e
commercializzazione dei beni alimentari
e comporta una riduzione dei costi per
la collettività, che dovrà gestire minori
quantità di rifiuti.
Per tali motivi la Grande distribuzione
organizzata (Gdo) affronta questa
tematica con logiche industriali, cercando
ogni strada possibile per ridurre le
rimanenze alimentari: vengono incentivati
i rifornimenti su piazza, riducendo
così i tempi di viaggio delle merci per
ottenere una maggiore vita residua dei
prodotti nel momento in cui arrivano
sugli scaffali e nei banchi frigo (utile
soprattutto per i prodotti freschi); si punta
a rendere sempre più efficiente la logistica,
velocizzando la movimentazione delle
merci e la loro permanenza nei depositi,
anche attraverso l’applicazione più
intensa di nuove metodologie di gestione,
come la radiofrequenza; si applica più
tecnologia nei rapporti con i fornitori per
rendere sempre più veloce il processo di
riordino; vengono utilizzati più sofisticati
strumenti di analisi degli acquisti e
delle abitudini di consumo dei clienti,
per valutare le rotazioni dei prodotti,
per studiare le stagionalità, per capire le
dinamiche promozionali al fine di riuscire
a organizzare l’esposizione dell’offerta
nei giusti termini quantitativi in ogni
momento della giornata e della settimana.
Ma, pur implementando tutto ciò, la
formazione di rimanenze alimentari nella
Gdo è un fatto insito nella stessa attività
delle imprese, che vogliono garantire
a tutti i propri clienti le medesime
opportunità d’acquisto, al mattino come
alla sera e in qualsiasi giorno della
settimana, in coerenza con i nuovi stili
di vita e le abitudini che cambiano e
spostano il momento della spesa nelle ore
serali e nei fine settimana.
Per queste ragioni, oltre a una intensa
attività volta a ridurre le rimanenze
alimentari, la Gdo è impegnata anche
nell’intento di dare loro una “seconda
vita”, donandole in quantità sempre
maggiore a enti benefici e Onlus. Secondo
una stima elaborata dai dati riportati
nel libro “Dar da mangiare agli affamati”
realizzato a cura del Politecnico di
Milano, la Gdo dona in un anno 60.000
tonnellate di cibo, pari a 75 milioni di
pasti, oltre 200.000 pasti al giorno.
Un impegno significativo, che ha un
impatto sull’organizzazione e sui costi
dei singoli punti vendita che si attivano
in questo senso. Nonostante l’indubbio
effetto positivo che l’azione di promozione
del riutilizzo delle derrate alimentari
ancora perfettamente commestibili ha sull’
economia locale, per una singola unità
commerciale non vi è alcun vantaggio
nel destinare le rimanenze alimentari
agli enti benefici per un loro reimpiego
rispetto al mandarli a rifiuto. Vi è anzi un
aggravio di costi per l’implementazione
di un sistema organizzativo dedicato. Per
questo riteniamo importante e abbiamo
più volte proposto che, a fronte di azioni
concrete da parte delle aziende distributive
che portino a una riduzione complessiva
dei rifiuti e quindi dei costi di sistema per
la loro gestione, i Comuni riconoscano alle
imprese un ritorno economico, come ad
esempio una riduzione della stessa tassa
sui rifiuti
Giovanni Cobolli Gigli (1) - da Ecoscienza 5/2014
25 dicembre 2014
1. Presidente di Federdistribuzione.
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Tratto da ecoscienza 5/2014