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Seneca, dall'etica alla satira.


Per coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente e hanno paura del futuro la vita è un inganno di breve durata.
Seneca, De brevitate vitae

Come ben sanno amici, collaboratori e frequentatori del portale ho una spiccata predilezione per Seneca e la sua filosofia stoica che, a mio avviso, ha fissato le pietre miliari dell'etica necessaria sia all'impresa che alla società di oggi. E' noto che gli stoici sostenevano le virtù dell'autocontrollo e del distacco dalle cose materiali come mezzi per raggiungere l'integrità morale e intellettuale. Nell'ideale stoico è il dominio sulle passioni che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza. Riuscire è un compito individuale, e scaturisce dalla capacità del saggio di disfarsi delle idee e dei condizionamenti che la società in cui vive gli ha impresso. Lo stoico tuttavia non disprezza la compagnia degli altri uomini e l'aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata. L'affiliazione allo stoicismo dell'intellighènzia facilitò, indubbiamente, l'assimilazione del cristianesimo nella civiltà romana.
Ciò non toglie che gli stoici sapevano anche prendersi delle belle soddisfazioni. Lo dimostra Seneca: l'imperatore Claudio, infatti, istigato dalla moglie Messalina, lo aveva condannato all'esilio in Corsica (esilio durato otto anni) con l'accusa di adulterio con la giovane Giulia Livilla, sorella di Caligola. Alla morte di Claudio, Seneca scrisse una sorta di instant book, una durissima e divertentissima satira contro Claudio: L’Apokolokyntosis.
Giova notare che Seneca aveva gia avuto la sua vendetta; infatti l’elogio pronunciato da Nerone per Claudio era stato scritto da Seneca stesso. L’orazione funebre non ci è pervenuta ma, stando a quanto ci ha tramandato Tacito, vi fu un momento durante la lettura dell'orazione, in cui le lodi sperticate al defunto che, secondo i suoi contemporanei, non brillava per intelligenza, oltre ad essere goffo, affetto da balbuzie e da una forma di zoppia, furono così smaccate e fuori luogo da indurre tutto l'uditorio alla risata.
Il titolo dell'operetta è composto dai termini greci kolokynte, “zucca”, e apothéosis, “deificazione”, che uniti consentono di tradurre il titolo in “zucchificazione”, cioè la trasformazione in zucca di Claudio. L’opera di Seneca capovolge in burla la pratica della divinizzazione post-mortem dell’imperatore, sottolineando, in particolare, l’inadeguatezza di Claudio.
Nella realtà, malgrado la mancanza di esperienza politica, Claudio dimostrò notevoli qualità: fu un abile amministratore, un grande patrono dell'edilizia pubblica, espansionista in politica estera (sotto il suo comando si ebbe la conquista della Britannia) e un instancabile legislatore, che presiedeva personalmente i tribunali e che giunse a promulgare venti editti in un giorno. Pertanto. l'operetta di Seneca fu ispirata da rancore e desiderio di ingraziarsi il nuovo imperatore! Anche i grandi filosofi alla fine sono uomini. Giova, inoltre, fare un po' di satira anche su Seneca; voglio ricordare che il saggio Consolatio ad Polybium, indirizzato al potente liberto di Claudio, afflitto per la morte di un fratello, è in realtà un pretesto per tessere un elogio sperticato all'imperatore Claudio allo scopo di ottenere il ritorno dall'esilio. Inoltre l'estimatore e fautore della vita modesta, lontana dai lussi e dall'opulenza era, in realtà, uno degli uomini più ricchi dell'impero che viveva nel lusso più sfrenato, come si confaceva, d'altra parte alla sua posizione sociale.

Seneca è qui molto lontano dalle massime filosofiche sull’equilibrio dell'uomo saggio che troviamo, ad esempio, nel De tranquillitate animi, nel De brevitate vitae, nel De otio, nel De constantia sapientis, nel De ira, nella Consolatio ad Helviam Matrem, nella Consolatio ad Marciam, nella Consolatio ad Polybium, nel De Vita Beata , nel De Providentia o nelle Lettere morali a Lucilio. Dal punto di vista stilistico, in accordo con il genere della satira di allora, spicca l’alternanza di prosa e versi, mentre la lingua passa da toni solenni a espressioni colorite e volgari. Per quanto riguarda il contenuto, invece, l’opera è per lo più composta di brevi scenette salaci e sarcastiche, spesso intessute di particolari reali che, agli occhi dei contemporanei, dovevano ricordare in maniera caricaturale tutti i difetti dell’imperatore Claudio (come la sua passione smodata per le citazioni dall’Iliade o dall’Odissea). Non è errato pensare che questa struttura, che alterna narrazione, recitazione e dialoghi diretti, fosse funzionale alla rappresentazione dell’Apokolokyntosis durante ricevimenti e banchetti di corte.
La trama della satira senecana è molto semplice. Claudio, dopo la morte, sale all’Olimpo dove suscita la curiosità e lo sconcerto delle divinità per tutti i suoi difetti, tanto da essere definito “quasi uomo ”. Egli è, infatti, balbuziente (tanto che nemmeno da morto riesce a pronunciare correttamente il proprio nome e a farsi identificare), zoppo e stupido, come dimostra la testa ciondoloni. È Ercole che ha l'incarico di istruire la "pratica" per la trasformazione di Claudio in dio. Davanti all’eroe greco, Claudio cita un verso dell’Odissea per vantare le proprie origini troiane attraverso la gens Claudia, ma commette il goffo errore di citare le parole di Ulisse, causa principale della sventura della città troiana. Il confronto con il grande eroe del mito riduce insomma Claudio a una nullità: di lui vengono anzi messe in luce l’origine provinciale e la subdola politica di eliminazione fisica dei nemici attraverso l’uso politico della giustizia. Segue quindi la proposta dell’imperatore Augusto, che già siede tra le divinità, di mandare Claudio agli Inferi poiché in vita si è macchiato di numerosi omicidi, che egli enumera nel dettaglio. Il dio Mercurio lo scorta dunque nell’Ade; durante il tragitto, Claudio può assistere “in diretta” al proprio funerale e ascoltare le voci di chi si lamenta per la fine dei giochi pubblici frequentemente indetti dal defunto. Arrivato agli Inferi, Claudio incontra le anime di coloro che ha fatto uccidere ed è poi messo a giudizio di fronte ad Eaco, ritenuto un giudice profondamente giusto ed equilibrato. Il processo diventa però una sorta di contrappasso per l’imperatore, che in vita emetteva le proprie condanne senza lasciar spazio alla difesa: così avviene negli Inferi per lui. Claudio viene condannato a giocare a dadi con un barattolino forato. A strapparlo dalla pena è l’imperaotre Caligola, anch’egli condannato laggiù, che reclama Claudio come proprio schiavo. Come umiliazione finale, l’imperatore è affidato al suo ex liberto Menandro .

Quando non compone trattati filosofici, Seneca sembra provare gusto nel mettere alla berlina la religione ufficiale, di cui sovverte – spesso in modo tragico, qui in senso comico – le prerogative che si vorrebbero alte. E se nel suo Tieste possiamo assistere all'“apoteosi” di un eroe malvagio e blasfemo (Atreo) su cui i valori positivi della religione non hanno alcun ascendente e potere, nella satira contro Claudio, invece, ci troviamo di fronte all'innocua parodia di un consesso di dei olimpici che olimpici proprio non sembrano. Ad esempio, è il caso di Ercole, eroe stoico per eccellenza e modello, nelle tragedie di Seneca, di eroe patiens che riesce a superare le avversità della sorte (Hercules furens, Hercules Oetaeus); ebbene, questa figura paradigmatica della filosofia morale senecana diventa, nell'Apokolokyntosis, un bestione poco sveglio, violento e pronto all’intrallazzo. Ma tutto il concilio appare poco divino: la procedura è la stessa delle sedute del senato romano. Gli dei, però, non rispettano le regole né l’ordine di intervento, e ciò provoca l’irritazione di Giove preoccupato dell’idea che Claudio possa farsi dell’Olimpo.
Il meccanismo della parodia è da manuale: Seneca prende un soggetto che dovrebbe essere sublime e, operando un salto stilistico dal punto di vista sia lessicale che concettuale, lo rende grottesco e ridicolo. Apokolokyntosis fu concepita per essere declamata, in un clima di allegria, a una ristretta élite di persone senza dubbio istruite.
Un altro meccanismo che Seneca utilizza per muovere al riso l'uditorio è quello della citazione colta – perlopiù poetica – sistemata in un differente contesto. Gli autori presi a modello sono celeberrimi (Omero, Euripide, Catullo, Virgilio, Orazio…) e i rimandi sono davvero tanti; qui mi limito a ricordarne alcuni.
C’è un testimone che potrebbe giurare di aver visto il defunto imperatore ascendere al cielo non passibus aequis; la preposizione, è virgiliana e descrive i passetti affannati del piccolo Iulo che tenta di restare a fianco del padre nella drammatica fuga da Troia. L'uso di un’immagine così tenera riferita a una figura goffa come quella dello zoppo Claudio non poteva non generare la risata.
La parodia del concilium deorum è un concetto di cui troviamo tracce nei poemi omerici. In Apokolokyntosis quando gli si presenta davanti quella cosa deforme che pare lontanamente un uomo, Ercole gli si rivolge parafrasando una frequente formula omerica che recita: “Chi sei, da quale popolo provieni? Qual è la tua città, chi sono i tuoi genitori?”. Claudio, di cui l’amore per Omero era noto, risponde con un verso pronunciato da Odisseo ben poco opportuno, in verità: “Spingendomi lontano da Ilio, il vento mi portò presso i Ciconi”. Ercole, che è un po' sciocco sta per essere imbrogliato quando interviene la dea Febbre che rivela l’identità dell’imperatore. Ma, Ercole, unico fra gli dei a perorare la causa della divinizzazione di Claudio, corre qua e là a chieder voti agli immortali, promettendo di ricambiare in seguito il favore (manus manum lavat). Un verso del carme III di Catullo è citato a proposito di Ercole che saltella leggero modo huc modo illuc a chiedere la compiacenza degli dei; modo huc modo illuc, esattamente come il celebre passero di Lesbia che le saltella in grembo. È l’immagine dell’enorme Ercole che si muove come un leggiadro passerotto a suscitare ilarità in coloro che colgono il riferimento.
Un altro esempio di riuso virgiliano è la descrizione della discesa di Claudio agli Inferi, per la quale Seneca fa ricorso anche a Orazio: omnia proclivia sunt, facile descenditur. Itaque quamvis podagricus esset, momento temporis pervenit ad ianuam Ditis, ubi iacebat Cerberus vel, ut ait Horatius, “belua centiceps”. ( “Laggiù tutto è in pendio: la discesa è agevole. E così, per quanto soffrisse di gotta, in un battibaleno arriva alla porta di Dite, dove giaceva Cerbero, o, per dirla con Orazio, “la fiera dalle cento teste”” I modelli sono Eneide VI 126-27 (… facilis descensus Averno: / noctes atque dies patet atri ianua Ditis) e Orazio..
Ho illustrato una piccola parte degli elementi che rendono ricca un’opera come l'Apokolokyntosis, in cui talora l’accumulo di citazioni, motti di spirito e giochi verbali lascia l’impressione di una certa sovrabbondanza. Tuttavia l'Apokolokyntosis costituisce un brillante e divertente esempio di testo satirico-parodico, oltre che un documento essenziale per delineare in modo completo la multiforme personalità di un pensatore fondamentale per la cultura mondiale.


Eugenio Caruso - 15 gennaio 2015

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www.impresaoggi.com