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I passi della crisi economica 2008 - 2015. Parte XXV.

Nessuno può dirsi felice se sta fuori dalla verità.
Seneca, De Vita beata


L’articolo è  il seguito di
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I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVI
I passi della crisi 2008 - 2012 - Parte XVII
I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XVIII
I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XIX
I passi della crisi 2008 - 2013 - Parte XX
I passi della crisi 2008 - 2014 - Parte XXI
I passi della crisi 2008 - 2014. Parte XXII.
I passi della crisi 2008 - 2014. Parte XXIII.
I passi della crisi 2008 - 2014. Parte XXIV.

Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il primo quadrimestre del 2015, l'analisi delle performance economico-finanziarie degli stati sovrani e delle più importanti imprese del pianeta, dall'inizio della crisi economica che ha colpito il pianeta nel 2008. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, presi in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali, nonché gli andamenti delle economie di vari paesi.

Un altro marchio se ne va (13 gennaio 2015).
La società americana di private equity Marquee Brands (gruppo Neuberger Berman) ha annunciato l’acquisto del marchio italiano delle calzature di lusso Bruno Magli. La sede sociale dell’azienda italiana sarà trasferita a New York presso Marquee Brands, mentre le scarpe e i prodotti in cuoio «continueranno ad essere confezionati a Bologna e fabbricati in Italia» ha precisato l'acquirente. La transazione dovrebbe essere conclusa a inizio 2015. Fondata nel 1936 e con sede a Bologna, Bruno Magli era in amministrazione controllata dopo diversi cambi di proprietà e prima di essere messa all'asta dal Tribunale di Bologna. Marquee Bramds, in competizione con il fondo Carlyle e Blue Star, l'ha rilevata per 28,5 milioni di euro.
La base d’asta per la cessione della Bruno Magli era fissata a 22,5 milioni di euro, considerata sufficiente per coprire il debito dell’azienda bolognese. La società che produce calzature di alta gamma, era passata dagli eredi Morris e Rita Magli al fondo Opera, poi agli inglesi di Fortelus Capital e, infine a Da Vinci Invest nel 2013. Il surplus ottenuto dall'asta 6 milioni di euro circa), come dichiarato dal presidente del Cda dell'azienda Giuseppe Pirola, sarà investito nel rilancio del marchio in Italia e nel potenziamento della presenza in Giappone. Con gli americani ci sarebbe già un accordo di massima che prevede la continuità della produzione in Italia, con design, stile e controllo qualità centralizzati nella sede di Bologna e condizioni che possano assicurare la massima salvaguardia occupazionale, tutelare l'indotto e preservare il collegamento del marchio con la tradizione, il gusto e la cultura del made in Italy.

La Svizzera sgancia il franco dall'euro (15 gennaio 2015).
La Banca centrale svizzera (BCS) ha deciso di cancellare il tetto fissato al cambio del franco contro l'euro a 1,2. Immediate le reazioni sui mercati internazionali. Con la caduta della Borsa di Zurigo, euro ai minimi. Per frenare un'eccessivo rialzo del franco, la banca centrale svizzera, insieme all'eliminazione del tetto, ha deciso di tagliare i tassi, riducendo di mezzo punto percentuale il tasso di sconto a -0,75% e abbassando allo stesso modo la forchetta del tasso Libor che adesso oscilla tra -1,25% e -0,25%. La la banca centrale svizzera, aveva preso nel 2011 la decisione di introdurre il plafond di 1,20 franchi sull'euro, per proteggere l'export e per fermare la supervalutazione del franco, diventato, nel bel mezzo della crisi finanziaria, un bene rifugio per milioni di investitori. La Svizzera, con l'euro che rischiava di esplodere, era diventata un porto sicuro, ma le autorità elvetiche erano corse ai ripari per evitare che il superfranco soffocasse l'economia. Di qui la decisione di introdurre il plafond, una scelta che gli svizzeri in questi anni hanno sempre confermato, al punto che un mese fa la banca centrale si è detta pronta a difendere con "la massima determinazione" il tetto sui cambi. Oggi però, il cambio di rotta. La banca centrale elvetica ha ricordato che la misura del 2011 era stata presa in circostanze "eccezionali" e che ora la situazione è cambiata. L'economia svizzera si è rafforzata e il deprezzamento dell'euro sul dollaro avrebbe rischiato di indebolire troppo il franco. Per cui si è preferito sganciarlo dall'euro, eliminando il tetto. La decisione della Banca centrale svizzera risponderebbe - secondo gli analisti - alla necessità di evitare un eventuale fallimento della difesa del floor, ossia della soglia a 1,20 nel cambio tra euro e franco svizzero, in occasione delle mosse della Banca Centrale Europea la settimana prossima. Dalla Bce si attende il lancio del cosiddetto quantitative easing, ossia l'acquisto di titoli pubblici. Per gli analisti di Ig Forex. "Il sentore che la BCS non sarebbe stata in grado più di difendere il floor era emerso già la scorsa settimana - si legge - quando si era diffusa la notizia del nuovo record in valuta estera raggiunto dalla Banca centrale (quasi 500 miliardi di dollari). Le vendite di franchi svizzeri sul mercato da parte della Banca centralegli ultimi mesi hanno incrementato il livello delle riserve in dollari ed euro, a scapito della valuta nazionale. "Il mercato, però, non si aspettava una simile decisione, almeno questa settimana. Crediamo, infatti, che la BCS abbia deciso di anticipare un eventuale fallimento nella difesa del floor che sarebbe potuto accadere il 22 gennaio, quando la Bce avrebbe annunciato il nuovo piano. Difatti, proprio la mossa di oggi della BCS potrebbe avvalorare la tesi di un intervento della Banca centrale europea la prossima settimana. Si è trattato, quindi, solo di una questione di tempo". In borsa crollano i grandi esportatori come Swatch (-16,5%), Richemont (che produce i gioielli Cartier) del 15,7%, Credit Suisse del 13%, il farmaceutico Roche del 12%, Ubs dell'11,6%, il cementiero Holcim del 13,2%. La decisione di rimuovere il tetto al cambio tra franco ed euro da parte della banca centrale Svizzera avrà un "grande" impatto negativo sull'economia del Paese. Lo ha affermato, secondo quanto riporta Bloomberg, il Global Chief Investment di Ubs, Mark Haefele, secondo cui la decisione è arrivata "completamente a sorpresa" e i mercati resteranno "estremamente volatili" nel breve periodo. Tonfo di Swatch sulla Borsa di Zurigo, dove cede il 15%. Non ho parole. Questo il commento rilasciato dall'amministratore delegato del produttore di orologi svizzero, Nick Hayek, in merito alla decisione della Banca centrale svizzera di abbandonare il tetto del cambio tra franco e euro, come riportato da Bloomberg. Hayek parla di uno tsunami per l'industria dell'export, per il turismo e per l'intero Paese. Dopo aver virato in negativo, le Borse europee stanno allungando il passo, anche se la volatilità regna sovrana. Decolla Piazza Affari a metà seduta, con il Ftse Mib che guadagna il 2,4%, spinto dalle attese per il quantitative easing della Bce ma anche dal recupero del petrolio, tornato sopra i 50 dollari al barile. Eni balza del 3,85%, Tenaris del 5,96% mentre Intesa, che guadagna il 3%, guida i rialzi tra le banche. La mossa della banca svizzera ha provocato una violenta svalutazione dell’euro sul franco svizzero, il cambio euro/franco si attesta a 1,04 rispetto a 1,20 di prima della decisione delle autorità monetarie elvetiche. Il cross tra franco svizzero e dollaro è sceso sotto la parità. L' euro ha sfondato i minimi da oltre undici anni nel cross con il dollaro. La moneta unica è piombata fino a 1,1575 dollari, un livello che non si vedeva da novembre 2003 per poi risalire attorno a 1,1680 dollari. Gli investitori si rifugiano nei titoli di Stato, come i Bund tedeschi il cui rendimento registra una marcata flessione. Anche il decennale svizzero vede crollare il rendimento.

Lacerazioni nel PD (18-01-2015).
La riforma elettorale, il Quirinale e l’addio di Sergio Cofferati. Matteo Renzi incontra i senatori del Pd aprendo una settimana chiave: quella in cui l’Italicum approda in Aula e quella in cui inizierà il dialogo tra i partiti sul dopo Napolitano. «La seconda lettura della legge elettorale in Senato dovrebbe essere quella definitiva», avverte il premier all’assemblea dei senatori dem. Noi possiamo discutere ancora della legge elettorale ma non accettiamo ricatti da parte di nessuno. Così il premier durante l’incontro. Il presidente del Consiglio - riferisce chi ha partecipato all’incontro - ha giudicato ingiuste e ingenerose alcune critiche arrivate dalla minoranza Pd sull’Italicum e ha ribadito che è arrivato il momento di chiudere. O si vota o ci teniamo il Consultellum, ha ripetuto. In particolare, rispondendo all’intervento di Migel Gotor, che aveva definito Renzi «il mio nemico preferito», ha incalzato: «Caro Gotor, le tue parole di oggi contro di me sono ingiuste e ingenerose. Non si può usare un gruppo minoritario come un partito nel partito».
In casa Pd la tensione resta alta. L’atteggiamento del premier sulla vicenda, assieme alla norma «salva Berlusconi» nel decreto fiscale e alla chiusura sulle riforme, peseranno «notevolmente sulla scelta del nuovo presidente della Repubblica», avvisava ieri Stefano Fassina. Un avvertimento che i renziani definiscono puramente strumentale da parte di chi agita continuamente il tema della fedeltà alla «ditta» e invece non mostra «nessuna responsabilità» in un momento cruciale per il Pd.
La minoranza dem alza la voce e sfida Renzi sulla votazione sulla riforma elettorale, da martedì al Senato. «Ora siamo a un passaggio chiave», avrebbe detto il premier in apertura di riunione. La fronda dem terrà oggi una conferenza stampa dedicata proprio alla legge elettorale.
C’è poi il nodo Quirinale. In settimana la delegazione dem che Renzi si è affiancato nella ricerca di un’ampia convergenza sul Colle, dovrebbe iniziare gli incontri con gli altri partiti. Ma prima di sedersi al tavolo, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si vedranno per provare a riannodare, all’ombra del voto del prossimo capo dello Stato, i fili di un’unità del centrodestra che favorisca l’investitura di una personalità appartenente non alla sinistra di stampo comunista ma al campo dei «moderati». Un nome quanto più possibile giovane, aggiunge il leader di Ncd. E comunque «il meno distante possibile», auspica Maurizio Gasparri, dai moderati. Un identikit che secondo alcuni farebbe pensare al centrista Pier Ferdinando Casini.
La partita vera, spiegano dalla maggioranza Pd, deve ancora iniziare. Renzi ha annunciato che darà il nome del suo candidato non prima del 28 gennaio. Dunque, se restano più alte le chance di alcuni candidati rispetto ad altri (Giuliano Amato, Sergio Mattarella e Pier Carlo Padoan, i più quotati), nessuno è fuori dalla partita: da Piero Fassino a Walter Veltroni, da Anna Finocchiaro a Graziano Delrio. E anche l’appello a «collaborare» sulla legge elettorale rivolto ieri da Debora Serracchiani ai 5 Stelle, viene letto dalla minoranza dem come un buon viatico se si cercherà di riportare in partita un candidato come Romano Prodi, ufficialmente bocciato da Grillo.
Come al solito dal 1921 la sinistra riformista è contestata e messa in difficoltà dalla sinistra casinara e dogmatica; per gli stupidi non arriva mai insegnamento dalla storia.

Bocciato dalla Consulta il referendum contro la legge Fornero (19 gennaio 2015).
Dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale sul referendum della Lega che chiedeva la cancellazione della riforma pensioni Fornero e il ritorno alle vecchie regole pensionistiche, si torna a discutere delle possibili ipotesi di uscita anticipata per tutti tra prestito pensionistico o mini pensioni, sistema contributivo, o uscita a quota 100 o a 62 anni di età e 35 anni di contributi e penalizzazioni come proposto da Cesare Damiano. Accanto a queste proposte e all’idea di uscita a 41 anni di contributi per tutti indipendentemente dall’età anagrafica, qualche giorno fa il ministro Madia ha avanzato l’ennesima proposta che di fatto, però, riprende l’ipotesi di estensione del sistema contributivo a tutti. Ha infatti pensato a un meccanismo che permetterebbe di andare in pensione a 57 anni con 35 anni di contributi e accettando il calcolo della propria pensione finale con metodo contributivo, e dunque ricevendo un assegno ridotto rispetto a quello che si avrebbe con il vantaggioso calcolo retributivo. Uguale la sua proposta al contenuto di ipotesi di uscita anticipata per tutti con sistema contributivo che permetterebbe a lavoratori e lavoratrici, dipendenti pubblici o autonomi, di andare in pensione a 57 o a 58 anni con 35 anni di contributi e con assegno ridotto. Passando al prestito pensionistico, questo meccanismo permetterebbe al lavoratore di lasciare il lavoro due o tre anni prima rispetto alla soglia dei 66 anni, ricevendo un anticipo sulla pensione finale da restituire una volta maturati i requisiti pensionistici normali. Per quanto riguarda la proposta di uscita a quota 100, come avanzato da Cesare Damiano, il lavoratore potrebbe andare in pensione a 60 anni di età e 40 di contributi, o 61 anni di età e 39 di contributi, o 62 anni di età e 38 di contributi e così via, purchè la somma tra età anagrafica e anzianità contributiva darà risultato 100; mentre per l’uscita anticipata a 62 anni con 35 anni di contributi sono previste penalizzazioni che verranno calcolate in base all’anno di anticipo in cui si va in pensione prima rispetto ai 66 anni richiesti dai requisiti Fornero.

USA, la crisi è alle sue spalle (20 gennaio 2015).
«Le ombre della crisi sono alle nostre spalle, l’America è in salute. E’ tempo di pensare all’equità: vogliamo lasciare che siano in pochi ad arricchirsi in modo spettacolare o cerchiamo di costruire un’economia capace di premiare tutti quelli che si impegnano?». E’ un Barack Obama di nuovo ottimista e anche spavaldo quello che si è presentato al Congresso e al Paese per pronunciare l’annuale discorso sullo Stato dell’Unione. All’improvviso sembra essere svanito il presidente cupo e un po’ rancoroso dei mesi scorsi, segnati da un continuo calo di popolarità e dalla sconfitta elettorale di proporzioni storiche del voto di “mid term” dello scorso novembre. Questo di “State of the Union” avrebbe dovuto essere il momento più difficile per il leader democratico, per la prima volta di fronte a un Parlamento dominato dai suoi avversari. E invece nella notte politica di Washington le parti sembrano rovesciate: rincuorato dai positivi dati economici e dal suo recupero nei sondaggi demoscopici, Obama si prende il merito della ripresa dell’occupazione (più 11 milioni di posti di lavoro), dell’aumento dei diplomati e dei laureati, dei 10 milioni di americani in più che oggi sono assicurati contro le malattie grazie alla sua riforma sanitaria, del dimezzamento del deficit pubblico e del raddoppio dei valori di Borsa. E dichiara l’intenzione di annientare l’Isis. Obama promette che gli Usa combatteranno il terrorismo anche agendo «unilateralmente» e chiede al Congresso di autorizzare l’uso della forza contro le organizzazioni criminali, affermando l’impegno della sua amministrazione: «Continueremo a dare la caccia ai terroristi e a smantellare le loro reti: ci riserviamo il diritto di agire unilateralmente nel caso di minacce dirette contro di noi o i nostri alleati». «Annienteremo Isis», assicura Obama, «e oggi chiedo al Congresso di mostrare al mondo che siamo uniti approvando una risoluzione per l’uso della forza». E, già che c’è, si attribuisce anche qualche merito nel boom petrolifero (in realtà frutto dell’attività di gruppi privati che hanno usato una tecnologia, il fracking, sviluppata al di fuori di ogni programma pubblico) che ha fatto scendere il prezzo della benzina fino a mezzo dollaro al litro. Più ancora della riduzione della percentuale di disoccupati, è questo calo, che fa risparmiare mediamente 750 dollari l’anno a ogni famiglia, ad aver fatto cambiare umore agli americani. Un quadro che consente a Obama di ritrovare la sicurezza smarrita nei mesi scorsi e di lanciare con forza un’offensiva a sostegno del ceto medio fatta di sgravi fiscali alle famiglie, contributi per i figli, “community college” gratuito per tutti. Blanda, per ora, la reazione dei repubblicani: sapevano da tempo che il presidente avrebbe seguito questa linea, hanno respinto il suo piano, ma non hanno usato toni troppo duri, consapevoli che quelle della lotta contro la povertà e della riduzione delle forti disparità nella distribuzione della ricchezza sono esigenze sentite dalla grande maggioranza degli americani, repubblicani compresi. Il tradizionale discorso di replica al presidente, la destra l’ha affidato a una recluta: la neosenatrice dell’Iowa Joni Ernst. Un personaggio giovane, simpatico, fresco. Che ha parlato molto delle sue umili origini contadine e del suo servizio militare in zone di guerra, mentre sui temi della serata si è limitata a rinfacciare a Obama il suo “no” al gasdotto Keystone e a promettere di demolire la sua riforma sanitaria. Per il resto si è limitata a promettere che i repubblicani saranno costruttivi cercando accordi sulla revisione del sistema fiscale, a patto che non comportino aumenti delle tasse. Ieri sera, insomma, Obama ha incassato i dividendi di una ripresa economica che fin qui non aveva cambiato lo stato d’animo degli americani nei suoi confronti. I repubblicani pagano gli affrettati giudizi liquidatori degli anni scorsi sulla sua politica economica (Obama si è potuto permettere anche di fare l’occhietto dal palco, mentre ricordava di quando i conservatori gli dicevano che la sua ricetta era troppo ambiziosa e che avrebbe prodotto risultati disastrosi). Ma scontano anche l’assenza di leader di un peso politico comparabile a quello del presidente e dotati di una dialettica altrettanto convincente. Perse le elezioni a novembre, Obama ha deciso che l’unico modo per non restare sepolto sotto la valanga repubblicana era quello di andare all’attacco: l’offensiva delle scorse settimane l’ha premiato sul piano dei sondaggi e, quindi, lui ha deciso di insistere. E ha letteralmente stravinto quando, contestando il rifiuto dei repubblicani di approvare l’aumento del salario minimo, gli ha detto: “Provate voi a mandare avanti una famiglia con 15 mila dollari l’anno. E, se non ci riuscite, votate questa legge”. Ma Obama deve stare attento a non far irritare troppo i repubblicani, se vuole la loro collaborazione sugli accordi commerciali con l’Asia e l’Europa e, forse, sui correttivi al sistema fiscale. E’ difficile, ma i conservatori non l’hanno escluso. La finestra a disposizione della Casa Bianca, però è stretta: per una vera attività di governo restano poco più di sei mesi, Dopo l’estate la politica penserà solo alla stagione elettorale che inizierà tra meno di un anno, quando si metterà in movimento il circo delle primarie.

RENZI: l'italicum va avanti (21 gennaio 2015).
Sull'Italicum «non si molla di un centimetro». Così il premier Matteo Renzi, interpellato sulla legge elettorale all’esame dell’aula del Senato, da Davos dove si trova per partecipare ai lavori del World Economic Forum. «Il percorso di cambiamento che l'Italia ha iniziato sta continuando - ha detto il presidente del Consiglio - è giusto e doveroso che sia così e noi non ci fermiamo, malgrado le polemiche». Oggi l’aula è tornata a riunirsi alle 9.30 per iniziare a votare gli emendamenti. La convulsa giornata di ieri a palazzo Madama, segnata dalle spaccature nel Pd e in Forza Italia, si è chiusa infatti neanche un voto sulle oltre 44mila proposte di modifica della nuova legge elettorale, targate soprattutto Lega. Forse già oggi potrebbe essere approvato l’emendamento presentato da Stefano Esposito (Pd) che riprende gli accordi Renzi-Berlusconi sull'Italicum (i due si sono visti ieri per un vertice a palazzo Chigi sulla legge elettorale, in vista anche del voto per il nuovo capo dello Stato): premio di maggioranza alla lista che supera il 40% dei voti, soglia unica di sbarramento del 3 per cento, 100 capilista bloccati, clausola di entrata in vigore della nuova legge il 1° luglio 2016. L’emendamento è scritto in modo tale da essere votato tra i primi (è il 17mo). E il via libera a questo emendamento ribattezzato “super-canguro” farebbe decadere il 90% degli altri emendamenti. Tanto che, secondo Renzi, in 72 ore si potrebbe arrivare all'approvazione della legge da parte del Senato. Con voto finale sul nuovo Italicum già la prossima settimana. Oggi prima dell’emendamento esposito dovrebbe essere votato l'emendamento Gotor (Pd) che abolisce i capilista bloccati. C’è tensione sul merito della riforma, con una spaccatura nel Pd, nel quale i bersaniani annunciano che non voteranno la legge. Un “niet” che però sarà compensato dai senatori di Fi fedeli a Berlusconi, il quale ha anche lui dei “frondisti” pronti a mettere in discussione il Patto del Nazareno. Ieri, prima dell'inizio dei lavori in Aula, si sono riuniti prima i senatori del Pd e poi quelli di Fi. Nella prima Assemblea i 29 bersaniani che, guidati da Miguel Gotor, avevano presentato un emendamento contro i capilista bloccati, hanno confermato il loro “no” al nuovo Italicum se non sarà approvato il loro emendamento (tre senatrici dei 29 hanno tuttavia confermato il sì alla riforma). Ma alla fine l'Assemblea ha votato e ben 71 dei 90 senatori presenti, si sono espressi sulla linea del premier Matteo Renzi. Gli altri hanno invocato la libertà di coscienza sulla legge elettorale, per la quale non varrebbe la disciplina di gruppo. Come sì tradurrà in Aula questa contrarietà non è stato chiarito: lo stesso Gotor non ha rivelato se i 29 voteranno “no”, e quindi contro il proprio gruppo, o preferiranno uscire. In ogni caso ci sarebbero i numeri in Aula per il via libera all’Italicum. Il patto del Nazareno, infatti, ha tenuto dopo l'Assemblea dei senatori “azzurri”, riuniti con Berlusconi: con lui 45 parlamentari e solo 10 contrari, che in Aula forse saliranno al massimo a 20. Insomma l'Italicum 2.0, non dovrebbe rischiare benché i voti di Fi sarebbero a questo punto determinanti. E un sì da Fi è arrivato anche al cosiddetto “super canguro” dell’emendamento Esposito, lo stratagemma che ha fatto infuriare non solo i 29 bersaniani, ma anche M5s, Sel e Lega, che aveva presentato 44.000 emendamenti e pensava di inchiodare governo e maggioranza fino a dopo l'elezione del Presidente della Repubblica.

La BCE approva il QE (22 gennaio 2015).
Il Quantitative Easing c’è. Il «bazooka» di Mario Draghi, presidente della Bce, prevede 60 miliardi di euro al mese di nuova moneta per rilanciare l’economia, con acquisti condotti fino a settembre 2016. Da marzo la Bce inizierà a comprare titoli sulla base della quota dei vari Paesi nel suo capitale. Il nuovo programma di acquisti include abs e covered bond, oltre che titoli pubblici. L’acquisto di titoli di Stato operato dalla Bce avverrà secondo un criterio di condivisione del rischio con le banche nazionali dei Paesi interessati, dunque solo una parte delle eventuali perdite sarà ripartita: in particolare solo il 20% del rischio sarà a carico della Bce, il resto a carico delle banche centrali. Le operazioni di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario operate dalla Bce avranno «un doppio limite» pari al 33% per il debito di ciascun emittente e al 25% per ciascuna emissione. La scadenza dei titoli da comprare varierà dai 2 ai 30 anni, dunque bond a breve, a medio e a lungo termine. La Borsa ha reagito subito con una fiammata, mentre lo spread è in deciso calo. A spingere la Bce alla decisione è stato anche l’andamento deludente dei prezzi, con attese di inflazione in calo. «Le misure aiuteranno contro i rischi per le aspettative d’inflazione, vista molto bassa o negativa nei prossimi mesi». L’inflazione crescerà «gradualmente» nel 2015 e nel 2016. «Guardando al futuro, la crescente diminuzione del prezzo del petrolio dovrebbe portare a un miglioramento della situazione dei bilanci di famiglie e imprese». Per questo motivo la misura di Qe durerà fino a settembre 2016 e «sarà comunque condotta finché non vedremo una significativa ripresa dell’inflazione verso l’obiettivo, sotto ma vicino il 2%» (a dicembre, i prezzi nell’Eurozona hanno fatto segnare un -0,2%). Il Qe potrà eventualmente spingere in maniera più forte i prezzi in alcune situazioni locali e specifiche ma «non vediamo bolle», ha detto Draghi. Piuttosto la misura potrà aiutare le banche a procedere al «riequilibrio nei portafogli, cambiando bond con cash» e questo porterà gli istituti a concedere più credito e mutui alle famiglie e alle imprese. Draghi ha anche spiegato come si è svolto il dibattito dentro il consiglio della Bce: «Il meeting è stato unanime nel dichiarare che l’acquisto è un vero strumento di politica monetaria, in senso legale. È stato stabilito il principio che è uno strumento monetario che può essere usato a certe condizioni ma è comunque un nostro strumento. C’è stata una larga maggioranza favorevole a farlo partire ora, ed è stata così larga che non è servito un voto. C’è stata una buona discussione sul bisogno di agire adesso. E c’è stato anche consenso sulla distribuzione del rischio al 20%». In ogni caso «il programma non prevede alcuna regola speciale per la Grecia», ha risposto Draghi a una domanda su Atene, che qualcuno pensava potesse essere esclusa dall’acquisto dei bond. E ha aggiunto che è contemplato anche l’acquisto di titoli con rendimenti scesi in territorio negativo. C’è una deroga, che consente di comprare titoli con rating speculativo ma solo in presenza di un programma di assistenza (la Troika, ndr). Che la misura «non convenzionale» fosse in arrivo - dopo le indicazioni arrivate nelle ultime settimane dagli stessi membri del board della Banca centrale europea - era stata in qualche modo anticipata dalla nota della Bce che informava che sarebbero arrivate «ulteriori misure di politica monetaria» dopo l’annuncio dei tassi rimasti invariati allo 0,05%, e che sarebbero state comunicate nel corso della tradizionale conferenza stampa alle 14.30, in realtà cominciata con qualche minuto di ritardo: «Scusate molto, erano gli ascensori che non funzionavano», ha scherzato Draghi arrivando nella sala affollata di giornalisti. «Il Qe è una cosa buona per l’Europa e l’Italia», ha commentato alla Cnn il ministro il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, prima dell’annuncio da parte della Banca centrale. In particolare, l’Italia «ha bisogno del Qe per allontanare il rischio di deflazione», ma allo stesso modo «ha bisogno di consolidamento di bilancio e di riforme strutturali. Tutt’e tre queste cose sono necessarie». Alla domanda, se il Qe, possa rappresentare un disincentivo per l’Italia a continuare sulla strada delle riforme, il ministro ha risposto che: «Tre anni di recessione sono un incentivo abbastanza forte» per andare avanti. «Noi stiamo facendo una serie di riforme strutturali il più rapidamente possibile, ma quello che penso io è che le riforme strutturali funzionano meglio, quando funziona meglio l’economia». La Cancelliera Angela Merkel, poco prima dell’annuncio di Draghi, era tornata ad avvertire i partner europei: «Qualunque sia la decisione della Bce i politici non devono distrarsi dal prendere i passi necessari per assicurare la ripresa», ha detto da Davos, precisando comunque di «rispettare l’autonomia» della Bce. Anche Draghi ha chiesto che le riforme strutturali siano implementate in maniera rapida ed efficiente. La politica monetaria «contribuisce a sostenere l’attività economica», ma «è cruciale che le riforme strutturali siano attuate rapidamente, in modo credibile ed efficace: questo non solo aumenterà il futuro una crescita sostenibile» della zona euro, «servirà anche ad aumentare gli investimenti», ha detto. «La velocità è essenziale». Secondo il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, per uscire dalla crisi è necessario "condividere i rischi" e "il piano della Bce da 60 miliardi al mese mostra determinazione" e "sarà efficace per entità e durata". Visco ha sottolineato però che l'Unione Europa è "molto lontana" dagli obiettivi di inflazione. "Bisogna quindi lavorare per essere più uniti dal punto di vista fiscale e politico, non basta la politica monetaria", ha aggiunto. In una intervista rilasciata a Davos a "Bloomberg Tv", il governatore di Bankitalia ha spiegato che il Quantitative Easing deciso dalla Bce ha una "conclusione aperta". Nel sottolineare come gli obiettivi di inflazione siano ancora lontani, Visco ha ricordato che la Bce "opera con il compito di realizzare la stabilità dei prezzi". Nel commentare invece le norme sulla trasformazione in Spa delle Banche Popolari, varate dal governo, il governatore ha spiegato come queste abbiano l'obiettivo di "migliorare la governance e la trasparenza" e "l'operatività di grandi banche a livello locale. Finora tutto bene. Vedremo in ogni caso quanto consolidamento queste norme porteranno".

Euro sotto 1,12 dollari (23 gennaio 2015).
L’euro scende ai minimi da 11 anni sul dollaro biglietto verde sotto 1,12 dollari e ai minimi da 14 mesi sulla moneta giapponese sotto quota 132. La moneta europea si è deprezzata fino a 1,1115 dollaro, aggiornando i minimi da settembre del 2003, per poi assestarsi su 1,1170 dollari. Nel frattempo, dopo le mosse della Bce annunciate giovedì dal governatore Mario Draghi, le Borse europee restano positive, specie Atene, Francoforte e Parigi. I mercati apprezzano il fatto che la sua entità è superiore al previsto. Londra cresce dello 0,18%. A Milano l’indice Ftse Mib segna -0,01%, per le prese di beneficio degli investitori dopo il rally di giovedì sulle popolari. Francoforte sale dell’1,4% e Parigi dell’1,6%. Madrid avanza dello 0,94% e Atene del 5,3%. Anche sul mercato obbligazionario italiano, e sull’intero comparto della zona euro, prosegue l’effetto positivo dell’annuncio del piano di «quantitative easing» della Bce, che spinge a nuovi minimi storici i rendimenti lungo l’intero spettro della curva. «La Bce è stata convincente, le dimensioni hanno superato le aspettative, e questo sta alimentando un rally generalizzato», dice un operatore. A partire da marzo Francoforte acquisterà titoli pubblici e privati per 60 miliardi di euro al mese fino alla fine di settembre 2016, garantendo in ogni caso che gli acquisti proseguiranno «fino a che non si osservi un sostenibile aggiustamento del sentiero d’inflazione». Secondo i calcoli di alcuni quotidiani sulla base dei criteri esplicitati dalla Bce, ovvero la quota di partecipazione al capitale dell’istituto centrale europeo e il divieto di acquistare oltre il 33% delle emissioni del singolo paese, per l’Italia gli acquisti potrebbero arrivare a 120-125 miliardi. Intorno a metà giornata il tasso del Btp decennale si attesta in area 1,45% dopo aver toccato in mattinata il minimo storico di 1,416% da 1,562% di giovedì in chiusura. Si è stretto fino a 110 punti base, il nuovo livello più basso dal 19 maggio 2010, il premio di rendimento nei confronti dell’analoga scadenza del Bund. Nuovi minimi anche per il tasso del biennale, giù fino a 0,295% e per quello del trentennale, sceso fino a 2,53%. Il rapporto euro/dollaro sta avvicinandosi alla parità, valore che Impresa Oggi ha sempre ritenuto ottimale per una ripresa dell'economia europea.

GRECIA: trionfo di Tsipras (26 gennaio 2015).
Trionfo di Syriza in Grecia. Il partito di sinistra di Alexis Tsipras, che ha basato la sua campagna elettorale sul no all'austerity e sulla richiesta di rinegoziare il debito greco con i creditori internazionali, ha vinto le elezioni politiche. «Il partito Greci Indipendenti sosterrà il governo che sarà formato dal presidente incaricato Tsipras. Da questo momento il Paese ha dunzue un nuovo governo». È quanto ha dichiarato Panos Kammenos, il leader del partito Greci Indipendenti (Anel, di destra) uscendo dall'incontro di un'ora avuto con Alexis Tsipras. Con il 99,81% dei voti scrutinati, il partito di sinistra radicale Syriza ha ottenuto il 36,34% e 149 seggi, mentre Nea Dimokratia (ND, centro-destra) il 27,81% e 76 seggi. Al terzo posto si è piazzato il partito di estrema destra Chrysi Avghì (Alba Dorata) con il 6,28% e 17 seggi. Seguono nell'ordine To Potàmi (Il Fiume, centro-sinistra) con il 6,05% con 17 seggi, il Partito Comunista di Grecia con il 5,47% e 15 seggi, Greci Indipendenti (Anel) con il 4,75% e 13 seggi e il Pasok (socialista) con il 4,68% e 13 seggi. Tsipras oggi sarà ricevuto dal presidente della Repubblica Karolos Papoulias che gli conferirà l'incarico di formare il governo. Prima dell'incontro con il capo dello Stato, Kammenos dovrà fare una dichiarazione pubblica di sostegno al governo che sarà formato da Tsipras per dargli la cosiddetta «maggioranza dichiarata» prevista dalla Costituzione greca. Il giuramento del nuovo governo potrebbe avvenire martedì pomeriggio o mercoledì mattina. Secondo i media non è prevista una collaborazione di Theodorakis con il governo Syriza-Anel, ma non si esclude che voti la fiducia al governo. In questo caso il nuovo esecutivo disporrebbe in Parlamento di una maggioranza di 178 deputati. L'esultanza di Alexis Tsipras. «Oggi il popolo greco ha fatto la storia». Sono state le prime parole di Tsipras dopo i risultati del voto. «Chiudiamo il circolo vizioso dell'austerità», ha aggiunto. «I greci hanno mostrato la strada del cambiamento all'Europa», ha detto ancora Tsipras, parlando di «nuova Europa basata sulla solidarietà» e definendo la troika «una cosa del passato. Il voto contro l'austerità è stato forte e chiaro». «Voglio rassicurarvi che il nuovo governo greco sarà pronto a collaborare con tutti gli amici europei» per far «ritornare l'Europa nella stabilità e nella crescita», ha poi sottolineato il leader di Siryza. «Cittadini di Atene, la Grecia oggi ha voltato pagina», ha insistito il premier greco in pectore davanti all'Università di Atene, tra le urla di migliaia di persone che lo aspettavano. «È tornata la speranza, la dignità, l'ottimismo». Tsipras ha ringraziato le delegazioni di tutta Europa venite a sostenere i greci: «È una cosa senza precedenti». Il trionfo di Siryza potrebbe avere un effetto sismico sulle politiche economiche dell'Ue e persino sull'intero percorso europeo nei prossimi anni. «La Speranza ha vinto», ha scritto Syriza sull'account Twitter del partito, cambiando il vincente slogan pre-elettorale «La Speranza arriva». Il voto respinge seccamente le politiche del rigore, che dall'inizio della crisi e soprattutto dalla firma del Memorandum tra Grecia e troika hanno fallito nel loro obiettivo di creare sviluppo e occupazione, volute dal governo del premier Samaras, con il sostegno del Pasok di Evangelos Venizelos. Che ora vedono ombre nere sul proprio futuro politico. «È una vittoria storica. È la vittoria del popolo che si è mobilitato contro l'austerità». È questo uno dei primo commenti dei responsabili di Syriza raccolto dalla stampa presente al quartier generale di Tsipras. Il premier greco uscente Samaras ha chiamato Tsipras per riconoscere la sua sconfitta e congratularsi per la vittoria. Matteo Renzi, secondo quanto riferito all'emittente privata Mega Tv da un parlamentare di Syriza, è stato il primo rappresentante di un governo straniero a congratularsi con Tsipras, subito dopo la pubblicazione degli exit poll. Ma fonti di Palazzo Chigi hanno smentito. «Siamo convinti che Tsipras saprà sfruttare al meglio il risultato elettorale raggiunto, per il bene della Grecia e per consolidare in Europa il percorso per la crescita cui ha lavorato il governo Renzi in questi mesi», afferma la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani. Alba Dorata, il partito xenofobo di aperte simpatie naziste, nonostante abbia tutta la sua leadership in carcere (dove ha votato) e sia stato sconquassato da inchieste penali per aver costituito un'organizzazione criminale, conquista abbastanza voti da diventare la terza forza del Paese. Se si dovesse arrivare alla necessità di creare una coalizione, e fallissero i tentativi di Syriza e Nea Demokratia, la palla passerebbe a Nikos Michaloliakos (tuttora detenuto). Il presidente Karolos Papoulias, fanno sapere fonti informate, in quel caso gli darebbe l'incarico per telefono. Resta fuori dal parlamento il Movimento dei socialisti democratici (Kinima) dell'ex premier Giorgos Papandreou (che a caldo dice che «nessun partito, anche se ha la maggioranza assoluta, può affrontare questa crisi da solo»), mentre emerge tra i possibili partner di Syriza anche il partito Potami, che con il suo leader Stavros Theodorakis condivide il rigetto del Memorandum, ma poco altro. Prima del voto anche i socialisti del Pasok (poco sotto il 5%) avevano segnalato disponibilità condizionata a entrare in una coalizione. Alleandosi con Syriza, il partito di centro sinistra To Potàmi (il Fiume), marcatamente europeista, potrebbe rappresentare l'ago della bilancia per la costituzione di un governo di coalizione in questo cruciale momento della politica greca. To Potàmi non ha neanche un anno di vita ma ha già bruciato importanti tappe: fondato il 26 febbraio del 2014 da Stavros Theodorakis, 52 anni, noto giornalista investigativo (divenuto popolarissimo con la trasmissione "Protagonisti" condotta prima sulla Tv statale greca e poi sull'emittente privata Mega), alle europee ha ricevuto a sorpresa il 6,61% delle preferenze e ottenuto due eurodeputati aderendo poi al gruppo dell'Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. «Il popolo greco ha deciso chiaramente di dire basta all'austerità e ai diktat della Troika, chiedendo un nuovo governo capace di portare avanti politiche miranti alla crescita e a una maggiore giustizia sociale. A questo punto, la rinegoziazione del debito Greco, e in particolare l'estensione dei termini del programma di rientro, non deve essere più considerata come un tabu». Lo afferma Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti europei al Parlamento europeo. Il voto dei quasi dieci milioni di greci chiamati è destinato a avere forti riflessi su tutta l'Unione euroea. Tsipras, l'uomo che nel 2004 ha unito la frammentata sinistra greca in un partito, ha convinto gran parte dei greci, schiacciati dalla crisi economica, che il tempo dell'austerità debba finire. Uno stop ai sacrifici che però contiene anche e soprattutto il rigetto degli accordi stretti tra il suo predecessore, il conservatore Samaras, e i creditori internazionali. E che per questo genera preoccupazione tra i fautori europei del rigore, favorevoli a una continuazione dell'attuale fase politica. Una vittoria della sinistra, dicono, potrebbe mandare la Grecia al fallimento e farla uscire dall'Eurozona. Un'ipotesi però smentita seccamente dallo stesso Tsipras, che pensa che si possa arrivare a un accordo ragionevole. Tsipras, 40 anni, ingegnere civile ed ex esponente del partito comunista Kke, diventato noto in Grecia quando si è candidato senza successo come sindaco di Atene nel 2006. Inizialmente seguito soprattutto dall'elettorato giovanile, è riuscito poi ad allargare i consensi ai ceti più colpiti dalla crisi. Sulle elezioni greche c'è anche un occhio italiano particolarmente interessato: quello della "Brigata Kalimera", un nutrito gruppo di oltre 250 persone composto da varie anime della sinistra italiana, giunta ad Atene per sostenere Syriza. Ma anche per imparare ed eventualmente usare anche in Italia la 'ricetta Tsipras' per una sinistra di massa e vincente. «Elezioni in Grecia, un bello schiaffone all'Unione Sovietica Europea dell'Euro, della disoccupazione e delle banche. Adesso tocca a noi! Purtroppo, per colpa di Monti, Letta e Renzi, se Tsipras non pagherà una parte del debito, a rimetterci saranno gli italiani». Così il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini sulle elezioni in Grecia.

Tsipras e il problema del debito (27 gennaio 2015)
DOPO L'ORGIA DI BANDIERE ROSSE, ARCOBALENO E BIANCAZZURRE, E L'ESALTAZIONE DELLE SINISTRE E DESTRE EUROPEE SORGE SPONTANEA UNA DOMANDA. I 322 MILIARDI DEL DEBITO GRECO CHE FINE FARANNO? DI QUESTI BEN 40 SONO IN PANCIA DELLE BANCHE ITALIANE. SARANNO I CONTRIBUENTI EUROPEI A PAGARE PER LE FOLLIE GRECHE? TIMEO DANAOS ET DONA FERENTES (Virgilio).
Angela Merkel si dice contraria e sorpresa per la possibile richiesta di taglio del debito da parte di Tsipras: fino al 2020 Atene non deve restituire gli aiuti e sono stati accordati interessi bassi. Lo riferiscono partecipanti a una riunione di parlamentari Cdu/Csu. Ma Merkel vuole attendere che Tsipras, com'è suo diritto, avanzi proposte. In mattinata era stato il ministro dell'economia tedesco Wolfgang Schaeuble al Parlamento Ue in audizione a pronunciarsi. L'uomo che con più vigore ha bacchettato la Grecia negli ultimi giorni di vigilia elettorale aveva aperto invece uno spiraglio. "La flessibilità non è negativa in sé ma non deve portare a una situazione in cui le regole convenute non vengono rispettate. Allora sarebbe sbagliata e distruggerebbe la fiducia", ha detto Schaeuble. Nello stesso momento, l'economista Yanis Varoufakis confermava in un'intervista alla radio irlandese che oggi giurerà come ministro delle Finanze del nuovo governo greco . Insomma, torna il mantra del rispetto degli impegni presi, arrivato già ieri dalle istituzioni europee, ma il "falco" dell'economia tedesca apre una porta alle trattative, non senza aggiungere una stilettata: "I greci soffrono non per le decisioni di Berlino e Bruxelles ma per il fallimento della loro élite politica degli ultimi decenni", precisando di aver dato "molto aiuto al ministro delle finanze greco che ha sfruttato poco questo aiuto, bisogna dirlo". A Tsipras lo dirà sicuramente il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem che venerdì sarà ad Atene per incontrare il nuovo premier. Nel frattempo arrivando all'Ecofin il ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, ha difeso i parametri italiani. L'Italia "non sta violando le regole" europee sul deficit, "attualmente si trova sotto il 'braccio' preventivo della goverance economica e non sotto quello correttivo. Leggete i numeri", ha detto rispondendo alla domanda di un eurodeputato che aveva parlato di violazioni da parte dell'Italia delle regole del Patto di Stabilità. "Rispettiamo le regole meglio di altri Paesi - ha continuato- nonostante il debito elevato, ma stiamo lavorando per alleggerire il peso del debito e perché si mantenga in un percorso di riduzione". Sul caso Grecia, "Tutti vogliamo trovare una soluzione condivisa".

Ripresa nella produzione di macchine per automazione (28 gennaio 2015).
Mai così bene dal 2010. Lo scatto degli ordini di macchine utensili sul mercato italiano realizzato nel quarto trimestre (+18,8%), sigilla un anno di ripresa per il comparto, creando le premesse per ricavi aggiuntivi nei prossimi mesi. «La raccolta ordini si concretizzerà in produzione nei prossimi 6-8 mesi – spiega il presidente di Ucimu-Sistemi per produrre Luigi Galdabini – e questi numeri fanno ben sperare per il prossimo futuro». Numeri confortanti oltre confine, con commesse del quarto trimestre in crescita del 19,3%, ma positivi soprattutto sul fronte interno, con ordini nazionali balzati a doppia cifra per la quarta volta consecutiva, portando l’indice trimestrale su livelli che non si vedevano dalla metà del 2008, quello annuale ben 28 punti al di sopra della media dell’anno precedente. Nel complesso, gli ordini 2014 crescono di quasi 15 punti, il top dal 2010. I segnali positivi della domanda nazionale sono estremamente importanti perché vanno a irrobustire i dati confortanti sui ricavi dello scorso anno, che dopo due anni consecutivi in frenata avevano visto infine le consegne interne crescere di oltre il 21%, aggiungendo più di 200 milioni di euro al fatturato dei nostri produttori. Vendite che alla luce delle commesse acquisite alla fine dello scorso anno potranno presumibilmente continuare a lievitare anche nei prossimi mesi. «Il risveglio della domanda italiana di macchine utensili – aggiunge Galdabini – dimostra che l’industria manifatturiera del paese si sta rimettendo in moto: l’auspicio è che questa nuova fase possa trovare conferma anche nel lungo periodo, a beneficio di tutto il nostro sistema paese». Gli investimenti, in effetti, rappresentano forse la voce più penalizzata dalla lunga crisi, elemento che ha portato il governo a rifinanziare la cosiddetta “Sabatini-bis” per consentire alle imprese di ottenere finanziamenti agevolati nell’acquisto di macchinari. «Il valore della misura – chiarisce Galdabini – è molto più alto rispetto agli oltre 2 miliardi di investimenti finanziati fino a oggi e corrisponde all’iniezione di fiducia portata nel mercato. Per questo l’associazione si è battuta affinché la misura fosse nuovamente compresa nella Legge di Stabilità e accoglie con favore la decisione di consentire che il contributo statale in conto interessi sia riconosciuto anche utilizzando provvista autonoma su finanziamenti concessi dalle banche e dalle società di leasing, senza ricorrere ai fondi messi a disposizione dalla Cassa Depositi e Prestiti». Misura che tuttavia non è ritenuta sufficiente per incentivare in modo stabile l’ammodernamento dell’assetto produttivo italiano, «tema che non interessa solo i costruttori di macchine utensili ma deve essere posto tra le priorità del paese, la cui industria manifatturiera opera con tecnologie di produzione sempre più datate e meno performanti». Il rilancio della competitività italiana passa per Galdabini attraverso un sistema che incentivi dunque la sostituzione dei macchinari obsoleti, prevedendo ad esempio, misura che Ucimu sollecita da tempo, la liberalizzazione degli ammortamenti dei beni strumentali e la revisione dei coefficienti di calcolo degli stessi, fermi ormai dal 1988.

Leggera salita del mercato immobiliare (29 gennaio 2015)
Nel terzo trimestre del 2014 il mercato immobiliare ha ripreso a crescere, segnando un incremento tendenziale del 3,7% e lasciandosi alle spalle il dato negativo tendenziale del secondo semestre. Il dato riguarda le convenzioni stipulate dal notaio per compravendite immobiliari (a uso abitazione e uso economico) e arriva dall'Istat. Il dato del terzo trimestre trascina in territorio positivo il dato tendenziale dei primi mesi dell'anno, facendo segnare un incremento dello 0,4% (rispetto allo stesso periodo del 2013). Tornando al periodo luglio-settembre 2014, il miglioramento rispetto allo stesso periodo dell'anno prima riguarda tutti i comparti e segmenti monitorati. Gli aumenti si registrano sia nel comparto immobiliare a uso abitazione ed accessori (+3,7%), sia nel comparto economico (+4,8%). In crescita tutte le ripartizioni geografiche, con valori sopra la media nazionale al Centro (+5,2%), al Nord-Est (+4,5%) e nelle Isole (+3,9%). I maggiori incrementi sono stati registrati nelle città metropolitane. In crescita nel terzo trimestre del 2014 anche l'andamento di mutui, finanziamenti e le altre obbligazioni con costituzione di ipoteca, che hanno messo a segno un incremento tendenziale del 13,9%, per un totale di 66.350 mutui stipulati. Complessivamente, nei primi 9 mesi dell'anno l'andamento ha visto una crescita del 7,8%, par 201.079 convenzioni rogate in totale. La crescita è stata molto netta in particolare nelle regioni del Sud (+22,6%) e nelle Isole (+21,8%). Nelle grandi città si è inoltre registrata una maggiore vivacità del mercato (+16,1% tendenziale), meno dinamici i piccoli centri, comunque in netta crescita (+12,4%).

Eurogruppo: ad Atene è muro contro muro (30 gennaio 2015).
Ci sono stati anche i convenevoli, come è giusto fra persone beneducate. Ma di fatto i primi colloqui ufficiali tra il nuovo governo greco e la leadership delle istituzioni europee ha sancito, almeno in questa fase di avvio, che le parti parlano lingue molto diverse. Dopo l'incontro di ieri con il tedesco Martin Schulz (con cui per stessa ammissione di Schulz in una intervista tv non c'è stata intesa praticamente su nulla), oggi è arrivato il primo appuntamento veramente importante per il premier greco Alexis Tsipras, 40 anni, leader del partito di sinistra radicale Syriza. Ad Atene è arrivato il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, un negoziatore con un mandato ben preciso, che non ha nessuna intenzione di cedere alle richieste di Atene sulla riduzione del peso del debito in mano per l’80% a soggetti pubblici (Fmi, Bce, Stati) per quanto riguarda prestiti e bond. Nei colloqui di oggi ad Atene sono state esaminate diverse «possibilità» in campo sul programma di aiuto europeo alla Grecia, ma «non sono state raggiunte conclusioni», ha affermato Dijsselbloem, secondo quanto riportato da Dow Jones. «Abbiamo degli interessi comuni con la Grecia: vogliamo la sua ripresa nell'area euro», ha detto ancora Dijsselbloem, parlando di un «dialogo costruttivo» e del nobile obiettivo di «non vanificare i progressi compiuti in questi anni in Grecia». Fin qui tutto bene. Quando però il numero uno dell’Eurogruppo dice che la Grecia deve rispettare gli accordi con i partner europei evitando «mosse unilaterali, che non sono la strada per andare avanti» e aggiunge che «ignorare gli accordi non è la strada da seguire» il messaggio è chiaro. Se poi dall’altra parte il nuovo governo targato Syriza ribadisce di essere «stato eletto puntando a rimettere in discussione il programma di aiuti» europeo è chiaro che al momento le posizioni restano agli antipodi. Il governo Tsipras, che punta a un taglio del debito, legato a un piano di salvataggio di 240 miliardi di euro, era già stato gelato giovedì nelle sue aspettative dalle prese di posizione di alcuni esponenti politici europei e tedeschi, come Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea e il socialdemocratico Sigmar Gabriel, vicecancelliere tedesco. Solo pretattica? Oggi è tornato alla carica il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Taglio del debito greco? Manco a parlarne. «Siamo difficili da ricattare». Il dibattito su una conferenza internazionale proposta da Atene per dimezzare il fardello che oggi pesa sulle finanze pubbliche segna «un divorzio dalla realtà», ha avvisato da Berlino Martin Jaeger, portavoce del ministro tedesco. «Una richiesta di prolungamento del programma, nel caso in cui venisse presentata, potrebbe valere solo - ha aggiunto - se fosse collegata a una chiara disponibilità della Grecia di realizzare i passi delle riforme concordati». Nell'attesa dell'incontro con Dijsselbloem, il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis aveva detto di sperare che i colloqui potessero «portare a un accordo fattibile ed esauriente per ricostruire la nostra economia sociale». Subito dopo il colloquio l’economista ha spiegato: «Lavoreremo con le istituzioni europee, porteremo avanti riforme che rendano l'economia più competitiva» e mettano i «conti pubblici in equilibrio, ma non ci sarà cooperazione con la missione della Troika». Sarà lo stesso Varoufakis, al suo debutto, ad avviare la settimana prossima un tour per le capitali europee, fra queste Roma, Londra e Parigi, alla ricerca di sostegno per la nuova politica greca. Varoufakis sa che fino ad agosto, pur con alcuni passaggi chiave, non ci sono scadenze definitive e che i sette miliardi di euro dell'ultima tranche dei prestiti europei, ora congelata, non sono indispensabili. Il vero obiettivo, appunto, è ridurre il peso del debito e dare spazio a manovre di sollievo sociale su pensioni, salari, investimenti pubblici. Tra le proposte di Varoufakis c’è anche la riduzione dell’avanzo primario dal previsto 4,5% annuo all'1-1,5%: darebbe spazio di manovra sul fronte interno che chiede segnali immediati sulla riduzione delle politiche di austerità. Intanto, dopo il rimbalzo di ieri (+3,2% ma dopo un filotto negativo per un totale di -16% da lunedì a mercoledì), nuovo evidente calo della Borsa di Atene che ha chiuso con l'indice principale negativo dell'1,59%. Il ribasso complessivo dopo il risultato elettorale è superiore al 13%. Male, oggi, gruppi come Aegean airlines (-6%) ed Eurobank (-5%), ma sono soprattutto i titoli di Stato greci a registrare ancora forti vendite: il quinquennale scambia con rendimenti in rialzo di 131 punti base a un tasso del 14,5%, il decennale in aumento di 71 punti base a quota 10,5%. Triennali al 19%.

Sergio Mattarella Presidente (31 gennaio 2015).
Tutta l'Aula della Camera in piedi tranne M5S e Lega ha applaudito per il raggiungimento del quorum da parte di Sergio Mattarella, nuovo presidente della Repubblica. «Buon lavoro, presidente Mattarella. Viva l'Italia» è stato il tweet del premier Matteo Renzi, che contemporaneamemente, a spoglio in corso, ha mandato un sms ai grandi elettori del Pd: «Grazie per la serietà. Siamo orgogliosi del Pd e di ciascuno di voi». Un messaggio firmato dai componenti della delegazione dem che ha seguito la partita del Colle: Renzi, Orfini, Speranza,Zanda, Serracchiani e Guerini. Acque agitate invece nel centrodestra. Dopo una drammatica, Angelino Alfano ha schierato il partito a favore di Mattarella, ma dentro Ncd la tensione è fortissima. Maurizio Sacconi ha presentato le dimissioni irrevocabili e a effetto immediato da capogruppo a Palazzo Madama di Area popolare (Ncd e Udc). E Barbara Saltamartini, unica a schierarsi apertamente nell’assemblea di stamattina contro l’indicazione pro-Mattarella, si è dimessa da portavoce Ncd. Il leader Ncd, Angelino Alfano, ha ceduto al pressing di Renzi («Angelino, non capisco come faccia un ministro degli Interni a non votare il presidente della Repubblica. E per di più una personalità come Mattarella»), che ieri pomeriggio ha lanciato un appello alla «massima convergenza». Alfano alla fine, ricordandosi anche d'essere siciliano, ha deciso di schierare il partito (fermo fino a ieri sulla linea della scheda bianca anche al quarto scrutinio) per il sì all’ex dirigente democristiano. La linea è stata ufficializzata stamattina dall’assemblea dei grandi elettori di Ap, che ha approvato un documento in tal senso, con quattro astenuti e un contrario. Ma la linea era stata già concordata ieri a telefono da Alfano con Silvio Berlusconi (costretto a Milano per via dei servizi sociali alla casa famiglia di Cesano Boscone). Fi, che aveva creato un asse con Ap sul Colle, ha deciso invece di continuare a votare scheda bianca. «Alla fine, anche grazie alle parole di Renzi di ieri, abbiamo scelto di far prevalere la persona giusta rispetto al metodo sbagliato. La nostra scelta riguarda una persona che ha i requisiti di probità, di capacità, di alto livello istituzionale». Così il leader di Ncd Angelino Alfano alla riunione dei centristi ha “giustificato” il cambio di rotta su Mattarella. Lo ha fatto smentendo di aver «mai avuto minacce» nella trattativa per la scelta del candidato per il Colle. E anche una nota di palazzo Chigi ha sottolineato oggi «il rispetto, l'amicizia e l'impegno comune al governo sul cammino delle riforme che lega il premier e il ministro degli Interni».

COMMENTO DA www.ilsole24ore.com
Al quarto scrutinio, con 665 voti favorevoli - solo 8 voti sotto il quorum dei 2/3 della maggioranza dei 1009 grandi elettori - il giudice costituzionale Sergio Mattarella è stato eletto nuovo presidente della Repubblica italiana. Alle 12,59, un fragoroso applauso scuote l'emiciclo di Montecitorio: deputati, senatori e delegati regionali salutano la conta, da parte della presidente della Camera Laura Boldrini, del voto favorevole n. 505, pari al quorum richiesto per la maggioranza assoluta. È la vittoria del premier e segretario dem Matteo Renzi, che sul nome di Mattarella ha compattato il partito e spaccato il centrodestra. «Buon lavoro, Presidente Mattarella! Viva l'Italia», il suo tweet a risultato acquisito. «Il mio pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini», dice neo il presidente della Repubblica al momento della comunicazione ufficiale dei risultati da parte dei vertici di Camera e Senato. Poche ore dopo, la sua prima visita alle Fosse Ardeatine. Il giuramento e l'insediamento sono in programma martedì prossimo alle 10 con un discorso alle Camere riunite in seduta comune. Poi inizierà il settennato del successore di Giorgio Napolitano sul Colle. Il premier è dunque riuscito a compattare la maggioranza e soprattutto a inviare un segnale a chi - soprattutto a livello internazionale - guardava all'elezione del presidente della Repubblica come un nuovo caso europeo dopo la Grecia. Un colpo di genio, l'idea di candidare Mattarella, come viene riconosciuto a Renzi anche dalla minoranza interna: mossa che in in un colpo solo permette di ricompattare un partito che nelle ultime settimane faceva registrare inquietanti scricchiolii; riaprire il dialogo con le altre - rispetto a Forza Italia - opposizioni parlamentari; disinnescare il Patto del Nazareno, inteso come arma in mano ai suoi detrattori; rafforzare ancora di più le riforme in itinere. Nei 665 voti raccolti da Mattarella per salire al Colle convergono le preferenze annunciate di Pd, Sel e Ncd, Scelta civica Per l'Italia, Centro democratico, Popolari di Mario Mauro e Autonomie. 105 le schede bianche. Il M5S insiste ancora una volta nel voler rimanere fuori dai giochi per l'elezione del Capo dello Stato. Una decisione «imposta da Renzi che non ha voluto condividere un candidato con noi», si lamentano i Cinque Stelle orgogliosi però della loro ritrovata unità. Compatti comunque i loro voti sul candidato di bandiera, Ferdinando Imposimato: 127 sui 128 che compongono il gruppo di grandi elettori M5s. Per il resto gli ex M5S hanno insistito nel votare Rodotà (17 voti), mentre Fratelli d'Italia con la Lega hanno puntato su Vittorio Feltri che ha totalizzato 46 voti. Il risultato del quarto scrutinio scatena le faide interne al centrodestra. In particolare in Forza Italia è guerra aperta tra correnti, tra berlusconiani duri e puri e frondisti “fittiani”, l'ex governatore della Puglia Raffaele Fitto, da sempre critico sulla linea seguita dall'ex Cavaliere sull'elezione del presidente. Alla vigilia del voto l'ordine di scuderia per gli azzurri era di votare scheda bianca ma alla fine, su 148 grandi elettori (143 di Fi, più cinque del gruppo di Gal) solo 105 pare si siano attenuti alla disciplina di partito. A Mattarella sarebbero dunque andati i voti (segreti) di almeno 40 grandi elettori di Forza Italia, ribattezzati «franchi sostenitori» azzurri che, ignorando le direttive del vertice si sono schierati per io candidato Pd. L'ex alleato leghista Roberto Calderoli affonda la lama: «Quelli di Forza Italia si sono fregati da soli». Ripercussioni anche in casa Area popolare (Ncd-Udc). Alfano, dopo l'annuncio della candidatura di Mattarella da parte di Matteo Renzi, prima boccia il metodo seguito dal premier-segretario Pd, contestandogli la unilateralità della decisione sull'ex ministro, presa senza alcuna consultazione con gli alleati di governo. A seguire, la decisione di votare scheda bianca nelle prime votazioni, in sintonia con Forza Italia. Infine, dopo l'appello di Renzi, la convergenza su Mattarella. Una parte dei grandi elettori non capisce ma si adegua e i parlamentari centristi finiscono con il votare abbastanza compatti l'ex Dc. Alfano pur scindendo le questioni Quirinale e governo, annuncia comunque l'avvio di una riflessione, ma il risultato finale dello scrutinio spacca comunque il partito alleato di governo del Pd: il capogruppo Sacconi annuncia le dimissioni dall'incarico, dimissionaria la portavoce Barbara Saltamartini.
Barbara Fiammeri e Lina Palmerini

Per Londra è allarme Grecia (2 febbaio 2015).
La difformità di vedute sul debito greco fra Unione europea e il nuovo governo Tsipras rappresenta «il maggior rischio per l'economia globale». È questo l’allarme lanciato dal ministro delle Finanze britannico, George Osborne, al termine dell'incontro a Londra con il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Osborne ha riferito di aver richiamato Varoufakis ad «agire con senso di responsabilità, ma è anche importante - ha aggiunto - che l'area euro abbia piani migliori per crescita e lavoro. Si tratta di una minaccia crescente per l'economia britannica. E in Gran Bretagna come in Europa, dobbiamo assicurarci di scegliere la competenza invece del caos». In generale il ministro britannico ha parlato di «discussioni costruttive» ma è il linguaggio della diplomazia. Lo stesso si era detto anche dopo il muro contro muro di venerdì scorso fra l’economista greco e il presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem. Entrando a Downing Street verso le 11, mezzogiorno in Italia, Varoufakis ha salutato il collega davanti ai suoi uffici e alla residenza di Cameron in abbigliamento come d’abitudine informale, indossando una camicia blu elettrico, rigorosamente senza cravatta e fuori dai pantaloni, e un giaccone nero Barbour. Non sono mancati i commenti all'insegna del sarcasmo d’Oltremanica. «Ecco George Osborne che chiacchiera con un frequentatore di discoteche al termine di una nottata brava. Anzi no aspettate un attimo: si tratta del ministro delle Finanze greco», ha scritto su Twitter il caporedattore Esteri del Guardian, David Byers. Non è dato sapere se l’abbigliamento di Varoufakis abbia contribuito a rendere più drammatico l’allarme di Osborne. Certo è che i rendimenti sui titoli triennali greci, che si muovono in una direzione specularmente opposta al prezzo, hanno sfondato la soglia del 20 per cento. Atene vuole rinegoziare i termini del piano di aiuti che ha ottenuto negli anni scorsi da Ue e Fmi (si rifiuta di accettare l’ultima tranche da 7 miliardi) e che termina a fine mese dopo un’estensione di due mesi, accordata in concomitanza con le elezioni. Poi, entro l’estate vanno restituiti 11 miliardi al Fmi e 6 alla Bce. Ieri a Parigi, durante l’incontro tra Varoufakis e l’omologo francese Sapin, è emerso l'obiettivo greco di riscrivere un accordo complessivo con i creditori pubblici entro maggio anche se le condizioni sono da corsa contro il tempo: occorre fare presto e bene, infatti, anche per fermare la fuga dei capitali dalle banche (oltre 10 miliardi a gennaio, 4 miliardi a dicembre) e assicurarsi che l’Eurotower dal 1 marzo continui ad acquistare titoli di Stato. Senza il rispetto delle condizioni cui sono legati gli aiuti, il salvagente di Draghi non potrebbe essere usato per evitare il crollo delle banche e il default di Atene.

Ultimatum della BCE alla Grecia (05-02-2015).
La doccia fredda è arrivata in serata, dopo una giornata di incontri dei due principali rappresentanti del nuovo corso greco con i vertici europei: Varoufakis da Draghi, Tsipras alla Ue. La Banca centrale europea mette in enorme difficoltà il governo Tipras, togliendo alle banche elleniche l'accesso alle normali aste di liquidità e giudicando il programma di salvataggio greco a rischio. La Bce ha infatti deciso di rimuovere la deroga, introdotta nel 2010, che consentiva alle banche greche di approvvigionarsi di liquidità fornendo a garanzia titoli di Stato. Lo annuncia la stessa Bce in una nota dopo il consiglio direttivo di oggi. "Il consiglio direttivo - si legge in una nota pubblicata sul sito della Bce dopo la riunione di oggi dei governatori - ha deciso di rimuovere la deroga sugli strumenti di debito quotati emessi o garantiti dalla Repubblica ellenica". La stessa Bce spiega che quella deroga permetteva che i titoli pubblici greci fossero usati nelle operazioni di politica monetaria dell'Eurosistema nonostante la Grecia non avesse più un rating al livello d'investimento, ma speculativo. Un'eccezione ovviamente condizionata alla permanenza della Grecia all'interno del programma di risanamento della Ue. Con questa decisione di fatto la Bce chiude - non del tutto, ma chiede regole precise - i rubinetti che permettevano alle banche greche di avere liquidità anche a fronte di una contropartita di titoli di stato senza garanzie. Il che si può riflettere, anche a breve, sulla possibilità di avere denaro per i pagamenti a partire da stipendi e pensioni. Proprio oggi l'agenzia Bloomberg scrive che, se non rinnoverà il suo programma per una nuova linea di credito, la Grecia rischia di non poter far fronte ai suoi pagamenti il 25 marzo: sarebbe l'quivalente di un default. E allo stesso tempo la Bce - il cui presidente Mario Draghi stamani ha incontrato il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis - dà un giudizio sulla nuova linea anti-troika impressa dal governo Tsipras appena insediato: "Attualmente non è più possibile presumere una conclusione positiva della revisione del programma di aiuti alla Grecia". Secondo il ministero delle Finanze greco, la Bce ha deciso di mettere pressione sull'Eurogruppo per raggiungere un accordo che porti benefici sia alla Grecia sia ai suoi partner. E' questa la prima reazione ufficiale di Atene alla decisione di togliere alle banche elleniche l'accesso alle normali aste di liquidità. In un comunicato il ministero diretto da Yanis Varoufakis sostiene che la decisione presa a Francoforte non è la conseguenza di sviluppi negativi per il settore bancario greco ed è stata presa due giorni dopo la sua stabilizzazione. Atene aggiunge che il sistema bancario greco rimane capitalizzato in maniera adeguata ed è totalmente protetto attraverso l'accesso all'ELA, la facility d'emergenza erogata dalla banca centrale greca. Ma le quattro principali banche greche, di fronte alla fuga dai depositi innescata nelle settimane pre-elettorali, sono già appese alla liquidità d'emergenza fornita da Francoforte tramite l'ELA (emergency liquidity assistance), un meccanismo che va approvato a maggioranza di due terzi e rinnovato di volta in volta ogni due settimane. Il suo uso avrebbe già superato i 40 miliardi di euro e proprio ieri, fra i temi in discussione alla Bce, figurava la richiesta di National Bank di aumentare di ulteriori 10 miliardi l'utilizzo della facility d'emergenza. L'ELA, erogata dalla banca nazionale greca, va poi ratificata dai governatori di Francoforte. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, metteva ieri in dubbio l'opportunità di continuare a sostenere le banche greche. Oggi Varoufakis sarà dal collega tedesco Wolfgang Schaeuble. Poi, il dossier Grecia sarà al centro dell'Eurogruppo della prossima settimana a Bruxelles, giusto alla vigilia del Consiglio Ue del 12 febbraio.

ITALIA: sale la produzione industriale (10 febbraio 2015)
Produzione industriale in crescita a dicembre in Italia. Secondo i dati diffusi stamani dall'Istat, l'indice destagionalizzato è aumentato dello 0,4% rispetto a novembre. Dopo la stazionarietà registrata a ottobre, la produzione industriale ha mostrato incrementi sia a novembre sia a dicembre. Nella media del trimestre ottobre-dicembre la produzione è diminuita dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Mentre, corretto per gli effetti di calendario, a dicembre l'indice è aumentato in termini tendenziali dello 0,1% (i giorni lavorativi sono stati 20 come a dicembre 2013) e nella media dell'intero 2014 la produzione è scesa dello 0,8% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Le previsioni degli economisti indicavano una variazione nulla su base mensile e un calo dell'1,3% su anno. Più nel dettaglio, l'Istat ha rilevato che a dicembre l'indice destagionalizzato ha presentato variazioni congiunturali positive nei comparti dei beni strumentali (+3%), dell'energia (+0,4%) e dei beni intermedi (+0,3%); invece sono diminuiti i beni di consumo (-0,9%). In termini tendenziali gli indici corretti per gli effetti di calendario hanno registrato, sempre a dicembre, un solo aumento nel comparto dei beni strumentali (+6,5%); invece sono scesi l'energia (-6%), i beni intermedi (-2,4%) e, in misura più lieve, i beni di consumo (-0,2%). Per quanto riguarda i settori di attività economica, i comparti che hanno mostrato i maggiori aumenti tendenziali sono stati quelli della fabbricazione dei mezzi di trasporto (+14,7%), della fabbricazione di computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+13,9%) e della fabbricazione di macchine e attrezzature n.c.a (+8,6%). Viceversa, le diminuzioni maggiori hanno interessato i comparti della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-10,3%), della fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-7,4%) e della attività estrattiva (-5,8%). La Coldiretti, nel commentare questi dati, ha sottolineato che in controtendenza è aumentata la produzione alimentare e delle bevande: +0,6/ nel 2014 rispetto all'anno precedente. Le spese alimentari rappresentano una componente rilevante delle famiglie in Italia e all'estero dove si registrano risultati positivi per il Made in Italy. La caduta del tasso di cambio dell'euro nei confronti del dollaro spinge le esportazioni italiane fuori dall'Europa ed è dunque un'opportunità per sostenere la ripresa economica nell'attuale fase di stagnazione dei consumi interni. Peraltro dopo la stagnazione registrata lo scorso anno anche per i consumi alimentari nazionali è prevista una crescita dopo molti anni di flessione. Ottimista il Centro Studi Promotor secondo cui il dato di dicembre accredita l'ipotesi che la stima che verrà diffusa il 13 febbraio dall'Istat sull'andamento del pil nel quarto trimestre 2014 possa prevedere una crescita intorno allo 0,1%. Un dato di questo tipo, unitamente ad altri elementi come la crescita dell'occupazione sempre a dicembre e il miglioramento degli indici di fiducia di consumatori e imprese a gennaio, "accrediterebbe l'ipotesi dell'avvio della ripresa dell'economia italiana dopo che il pil per 13 trimestri consecutivi non ha mai fatto registrare alcun segnale di crescita". A questo punto, ha osservato Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo , è probabile che il prodotto interno lordo italiano possa se non altro aver evitato un altro segno negativo a fine 2014. "Il trimestre in corso potrebbe essere per l'industria il più positivo degli ultimi quattro anni. Ciò conferma, come segnaliamo da tempo che, soprattutto per via dell'impatto dei recenti shock esogeni: petrolio, tasso di cambio, QE della Bce, per la prima volta da anni i rischi per lo scenario di crescita dell'economia italiana appaiono decisamente verso l'alto", ha concluso Mameli. Fuori dai confini nazionali ha performato bene la Francia, non la Gran Bretagna. La produzione industriale francese a dicembre ha infatti segnato una crescita dell'1,5% rispetto al mese di novembre, superando le attese degli economisti che convergevano su un incremento dello 0,4%. Ora per gli esperti di Intesa Sanpaolo è più probabile che il pil francese possa registrare un marginale incremento, invece di rimanere stabile. Invece la produzione industriale britannica a dicembre è scesa dello 0,2% rispetto al mese precedente, quando era rimasta invariata. Gli economisti avevano previsto un incremento dello 0,1%. Su base annuale c'è stata un'espansione dello 0,5%, in deciso rallentamento rispetto al +1,1% di novembre. La produzione manifatturiera è però salita dello 0,1% su base mensile, in rialzo rispetto alla stima del consenso a -0,1%, ed è cresciuta del 2,4% a livello annuale (+2% la stima del consenso). La produzione manifatturiera di novembre è stata rivista a +0,8% su base mensile e a +3% su base annuale.

Tregua alla belligeranza in Ucraina (12 febbraio 2015).
«Stop and go» continui. Prima la speranza, poi la pace spinta sul baratro. E ancora una notizia definitiva che risolleva, annunciata da Putin: quella del «cessate il fuoco dal 15 febbraio». In dettaglio: si smette di sparare a partire da domenica (le 22 di sabato ora italiana) e ritiro delle armi pesanti. Il leader del Cremlino ha detto che si è riusciti «a trovare un accordo sull’essenziale». «Chiediamo alle parti in conflitto», ha aggiunto, «di fermare il bagno di sangue e lanciare un vero processo di pace il prima possibile». Peraltro, mentre erano in corso i negoziati, una colonna militare russa formata da 50 carri armati e altri mezzi bellici avrebbe attraversato il confine con l’Ucraina nella notte, mentre erano in corso i negoziati di Minsk. Lo riferisce il portavoce delle forze armate ucraine, Andrii Lisenko, citato dall’agenzia Ukrinform. Hollande: «Chance effettiva, ma non è finita» Parole ribadite dal presidente francese Hollande che ha definito l’accordo raggiunto un «motivo di sollievo» per l’Europa e una «speranza» per Kiev. Il titolare dell’Eliseo, che ha parlato di «soluzione politica globale», ha aggiunto che resta ancora molto da fare, ma che il passo raggiunto a Minsk offre davvero «una chance effettiva» di migliorare la situazione in Ucraina. «Si tratta di una speranza seria anche se non è ancora finita». Merkel non si fa «grandi illusioni» Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, non si fa «grandi illusioni» sull’accordo perché vede ancora «notevoli ostacoli» da superare prima di arrivare a una soluzione del conflitto. «Ora abbiamo un barlume di speranza», ha dichiarato la Merkel al termine dei negoziati. «Ma «non mi faccio illusioni, non ci facciamo alcuna illusione», ha aggiunto. «Vi sono ancora notevoli ostacoli di fronte a noi. Tuttavia vi è una possibilità di fare evolvere le cose verso il meglio». La freddezza del governo tedesco è riflessa anche dalle parole del capo della diplomazia, Frank-Walter Steinmeier, presente anche lui ai colloqui-fiume : «Non è né un accordo complessivo, né una svolta», ha detto Steinmeier, sottolineando di accogliere con favore, ma «senza alcuna esultanza» l’accordo. Poroshenko: «Prigionieri liberati entro 19 giorni» Tutti i prigionieri di guerra del conflitto nel Donbass saranno liberati «entro 19 giorni» secondo una «formula tutti per tutti». Lo ha detto il presidente ucraino Petro Poroshenko. Che ha anche aggiunto di non avere acconsentito alla richiesta di concedere uno statuto federalista, né di autonomia per le regioni nell’est del paese rivendicate dai ribelli separatisti filorussi. Mattinata al cardiopalma Un accordo arrivato verso le 10, dopo che in avvio di mattinata c’era stata una doccia fredda sulle speranze di pace: «da Mosca condizioni inaccettabili». Parole pronunciate dal presidente ucraino Poroshenko mentre era in vista la firma di un documento d’intesa elaborato dopo trattative durate tutta la notte tra Putin, Poroshenko stesso, Merkel e Hollande per mettere fine a un conflitto che ha già causato oltre 5.000 vittime. Appunto: Putin - tra l’altro nervosissimo, tanto da spezzare una matita al tavolo - avrebbe posto «condizioni inaccettabili». Mentre un’agenzia Reuters affermava che i due leader separatisti avevano rifiutato di firmare l’accordo, i cronisti parlanovano di «volti tesissimi». Ma in avvio di mattinata è iniziata la tornata di colloqui bilaterali che ha riacceso la speranza. Una specie di partita a scacchi che ha visto gli incontri brevissimi ripetersi nel giro di minuti: a due, a tre, poi ancora a quattro. Infine l’annuncio del «cessate il fuoco». Anche il rappresentate dell’Osce, Heidi Tagliavini, si è unito ai colloqui del «quartetto Normandia» tornato a discutere a Minsk, dopo una breve pausa nei negoziati che vanno avanti da mercoledì sera. Lo riporta Ria Novosti. L’Osce fa parte del Gruppo di contatto che comprende anche i separatisti dell’Est Ucraina, rappresentanti di Kiev e di Mosca, anche loro tutti nella capitale bielorussa. È arrivata anche una notizia che in qualche modo può essere risultata importante nelle trattative. Il pacchetto totale di aiuti all’Ucraina sarà intorno ai 40 miliardi di dollari. Lo ha reso noto il numero uno del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, la quale precisa che i contributi verranno dall’Unione Europea e dai singoli Paesi. Il programma di aiuti sarà quadriennale. I quattro leader si sono fatti servire la colazione, dopo una lunga notte di tensioni e divisioni. I «quattro grandi» avevano in programma la firma di un documento di una dozzina di punti al termine del loro lungo summit notturno a Minsk, che si protrae dalle 20.30 ora locale (le 18.30 in Italia) di mercoledì. Lo riferisce alla Tass una fonte diplomatica vicina al negoziato per un nuovo piano di pace nel Donbass. «Non importa come sarà chiamato questo documento, ma è previsto che riguarderà particolari misure per risolvere la situazione, ossia 12 o 13 punti» ha aggiunto la fonte. I separatisti filoruss iavevano inizialmente chiesto che le truppe dell’esercito ucraino si ritirassero dalla città orientale di Debaltsevo. Lo hanno riferito alcuni partecipanti ai colloqui di Minsk. Prima l’agenzia di stampa russa Tass aveva riportato, citando fonti anonime, che i separatisti avevano rifiutato di firmare l’accordo proposto durante i negoziati, mirati a trovare una soluzione alla crisi nell’Est dell’Ucraina. Poi anche loro hanno aderito all’accordo.

Si ferma la caduta del Pil (13 febbraio 2015).
Continuano i segnali volti a farci intravedere una fine della crisi. Crescita zero sul terzo trimestre 2014 e -0,3% su base annua per il Prodotto interno lordo italiano. Certo, la variazione congiunturale nulla degli ultimi tre mesi dello scorso anno, in tempi di magra come quelli attuali, non è da buttare via, soprattutto dopo lunghe serie negative. Il calo tendenziale dello 0,3% rispetto al quarto trimestre 2013, è infatti anche il tredicesimo segno “meno” consecutivo per il prodotto interno lordo: praticamente si va indietro fino al quarto trimestre 2011 prima di poter incontrare una crescita del Pil italiano. La partita, per l'Italia, si giocherà nei prossimi mesi. Saranno cruciali per capire se la favorevole congiuntura formata da euro debole, calo del prezzo del greggio, avvio delle prime riforme, ripartenza degli ordini anche sul mercato interno, potranno finalmente materializzare un’inversione di tendenza. Le stime del Fondo monetario accreditano l’Italia di un misero +0,4% nel corso del 2015. Un dato che se sarà confermato non sarà certo sufficiente a tingere di rosa le prospettive dell’economia italiana. Ma, come ha affermato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nei giorni scorsi, potrebbero esseci «sorprese positive», riferendosi a una stima di crescita dello 0,7-0,8%.

Approvato il ddl sulle riforme costituzionali (14 febbraio 2015).
Dopo una lunga maratona notturna e l’abbandono dell’Aula da parte delle opposizioni, l’assemblea della Camera ha concluso l’esame degli emendamenti al ddl sulle riforme. Il via libera finale al testo da parte di Montecitorio (il secondo dei quattro passaggi necessari, dopo i quali ci sarà il referendum) è atteso entro i primi giorni di marzo. Il premier Matteo Renzi era in Aula. Gli ultimi quattro articoli (dal 38 al 41) sono stati approvati quasi all’alba in un’Aula semivuota: l’ultimo disco verde è stato salutato con un applauso dai deputati del Pd, che si sono alzati in piedi. Mentre Renzi su twitter scriveva: «Grazie alla tenacia dei deputati terminati i voti sulla seconda lettura della riforma costituzionale. Un abbraccio a gufi e sorci verdi». Poi, stamattina, altri tweet. Il primo: «Via il bicameralismo paritario, chiarezza Stato-Regioni, leggi più chiare e più veloci, meno politici e più Politica la volta buona». Il secondo: « Prossimo Consiglio dei ministri (venerdì). Decreti legislativi su partite Iva, fatturazione elettronica, cococo, maternità #lavoltabuona». E infine uno sguardo all’Europa: «Dopo QE, piano investimenti, com su flessibilità, dollaro-euro, grazie a riforme strutturali #italiariparte Non ci fermiamo è #lavoltabuona». «Noi abbiamo un grande rammarico per il fatto che l’Aula non sia piena - ha detto Ettore Rosato (Pd) dopo il voto sugli articoli del ddl -, è per noi una ferita istituzionale compensata dal lungo lavoro di ascolto e di merito che abbiamo fatto. Ringraziamo tutti, il percorso è ancora lungo e siamo convinti che riusciremo a fare in modo che tutti sentano questa riforma propria». Tra gli emendamenti approvati nella notte, uno (all’articolo 17 del ddl), presentato dal Pd e identico dal M5S, prevede che la Camera dei deputati delibera lo stato di guerra a maggioranza assoluta. Il governo e il relatore avevano dato parere positivo alle proposte di modifica. La scelta, ha commentato la ministra Maria Elena Boschi, «può essere un punto di equilibrio fra i vari punti di vista». Il ministro dell’Interno Angelino Alfano rivendica il ruolo riformatore di Ap (Ncd e Udc) e, rotto l’asse Pd-Fi, cerca di accreditarsi nell’elettorato di centrodestra: «Noi abbiamo votato le riforme costituzionali e siamo protagonisti di un nuovo patto costituente che renderà le nostre istituzioni più moderne ed efficienti. Siamo pronti a fare presto per consentire agli italiani di pronunciarsi il prossimo anno. Siamo certi che la nostra posizione sia condivisa dalla gran parte dei moderati italiani che non si sentono rappresentati dal Partito democratico e che trovano in noi il partito della stabilità e delle riforme». I gruppi M5S, Fi, Sel, Lega e Fdi da martedì saliranno al Quirinale a protestare dal presidente Sergio Mattarella. Nonostante l’Aventino, il presidente azzurro della commissione Affari costituzionali, Francesco Paolo Sisto (che fino alla rottura del patto del Nazareno era relatore del ddl), ha voluto lasciare agli atti la sua riflessione intervenendo in assemblea. «Voglio che rimanga nei miei occhi questo spettacolo», ha detto Sisto. «Mai potevo pensare che la vista potesse essere così utile per capire cosa può non essere la democrazia, cosa può significare un’Aula che trovo vuota in modo desolante. Lo dico con serenità e con molto garbo: ritengo che un’Aula orba, un’Aula che abbia un solo occhio, una mancanza di stereofonia parlamentare, sia un fatto non positivo. Non è positivo che su un tema così ci sia una cavalcata solitaria». Il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta, su twitter ha avvertito: «Matteo Renzi buuuuuuu...Ride bene chi ride ultimo, in Etruria e dintorni». Chiara l’allusione al fascicolo aperto dalla Procura di Roma su presunte operazioni anomale intorno alle banche popolari prima della riforma e al commissariamento da parte di Bankitalia della Banca popolare dell’Etruria, il cui vicepresidente è il padre della ministra Boschi. «Alla fine una delle pagine più buia per la democrazia italiana è stata scritta», ha commentato su facebook il deputato del M5S Carlo Sibilia, membro del direttorio 5 Stelle. «Le dittature non vengono subito in camicia nera o con i carri armati. Le dittature arrivano e non ti avvisano. Le dittature arrivano di notte».

Tsipras alla resa dei conti (16 febbraio 2015).
Si avvicina la resa dei conti sul debito greco, il vero punto nodale dell'Eurogruppo convocato a Bruxelles per trovare un'intesa che si annuncia tutta in salita. La volontà espressa da tutte le parti in causa è quella di arrivare a un accordo, ma sono i contenuti a dividere le diverse fazioni. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble si è detto «molto scettico» sulla possibilità di raggiungere un accordo sul debito della Grecia e ha accusato il governo ellenico di agire da «irresponsabile». «Dopo le discussioni tecniche del fine settimane, sono scettico» sulla possibilità di un'intesa sulla Grecia, ha detto Schaeuble intervistato dalla radio pubblica Deutschlandfunk. «L'obiettivo è quello di raggiungere un accordo», ha detto il ministro delle Finanze francese Sapin, a poche ore dalla riunione dell'Eurogruppo sulla Grecia. Atene, ha aggiunto Sapin parlando a France 2 secondo quanto riferisce l'agenzia Bloomberg, deve comunque rispettare gli impegni con gli altri paesi dell'area euro: un svalutazione del debito greco, quindi, sarebbe «il messaggio peggiore» e la Grecia creerebbe un «enorme pericolo» per se stessa in caso di uscita dall'euro. Atene tenterà oggi di raggiungere un accordo su un nuovo programma di finanziamento che permetterebbe al paese di voltare pagina sull'asterità, ma le discussioni con le altre 18 nazioni dell'Eurozona sembrano estremamente difficili. «Mi sembra una grande partita a poker del nuovo Governo» di Alexis Tsipras, ha sottolineato Schaeuble, che ha accusato Atene di agire da «irresponsabile» perché cerca di negare gli impegni presi con i partner europei. Alla domanda sulla possibilità di un'uscita della Grecia dall'Euro, Scaeuble ha risposto: «Dovreste domandarlo ai miei colleghi greci. Non è quello che noi vogliamo», ma per restare membro dell'Unione monetaria, la Grecia «deve fare il minimo». Il ministro tedesco, recentemente bersaglio di pesanti caricature sulla stampa greca che lo ha rappresentato come un nazista, si è irritato per gli «insulti». «Contrariamente agli insulti ricevuti, noi non vogliamo danneggiare la Grecia», ha detto citando la «scorrettezza» del suo collega greco Yanis Varoufakis, che ha avuto parole molto dure sugli altri europei. «Non vogliamo nuovi prestiti», ha ribadito intanto il premier greco Alexis Tsipras in una intervista al settimanale Stern, perché «ci serve tempo, non denaro, per fare le riforme». La sua idea è quella di «una soluzione in cui tutti possano solo vincere», una «soluzione win-win», spiega al settimanale tedesco, in cui spende parole dolci per la sua attuale maggiore antagonista: la cancelliera Angela Merkel è «una donna molto gentile», nient'affatto «severa come uno si aspetterebbe da come viene descritta sulla stampa». Tsipras ha poi teso la mano alla Germania anche prendendo le distanze dalla vignetta che ritraeva Schaeuble in divisa da nazista, definendola «infelice». Ciò non toglie, aggiunge, che le trattative di domani saranno «molto difficili», anche se resta la fiducia di fondo. Le trattative, anche se tutti preferiscono parlare di scambio di vedute o di riunioni a livello tecnico, sono proseguite per tutto il week-end sulla base dei diversi testi presentati dalle singole parti, ma le posizioni restano distanti. La Grecia non ha intenzione di proseguire sulla strada dell'attuale programma di aiuti, perché reputa, come ha spiegato il portavoce del governo, «non realistiche» le attese di un surplus di bilancio del 3% nel 2015 e del 4,5% nel 2016. Ma il fronte degli altri paesi europei sembra stringersi attorno alla Germania. Il Financial Times riporta che l'Irlanda avrebbe anch'essa scelto la linea dura, mentre la Francia, per bocca del suo ministro degli Esteri, Laurent Fabius, si dice disposta a trattare sulla scadenza del debito, «ma la sua cancellazione è fuori questione». Intanto il presidente della Bce, Mario Draghi, ricordando che la politica della banca centrale non punisce i tedeschi e non premia i paesi più deboli, preferisce non parlare nel dettaglio della situazione di Atene, limitandosi a sottolineare che «non ha senso speculare su una possibile uscita dalla moneta unica». Dopo lo scontro consumatosi nella notte dell'ultimo Eurogruppo (fra la necessità di estendere o emendare l'attuale programma della Troika), i ministri delle Finanze europei si siederanno dunque di nuovo attorno a un tavolo per vedere come far coincidere le esigenze del governo greco di porre fine all'Austerity che sta piegando il Paese con quelle dei creditori che vogliono certezze sulla restituzione del debito. Atene, che intende aprire la caccia agli evasori ponendo il faro sul flusso di 30 miliardi di euro che si è spostato dalle banche elleniche a quelle svizzere, mette sul piatto la riduzione del surplus di bilancio per questo e il prossimo anno a fronte di riforme strutturali: «vogliamo ridurre le posizioni di privilegio» nel mondo del lavoro e delle pensioni, «ma non vogliamo scontrarci con il popolo», ha aggiunto il portavoce del governo, che ha accolto positivamente la nuova discesa in piazza di 15.000 persone al centro di Atene. Una manifestazione definita «spontanea» contro l'Austerity imposta dalla Troika.

RENZI ALLA FIAT E ALLA OPEL (18 febbraio 2015).
"L'industria della lagna, al contrario di quella dell'innovazione e della curiosità, non è vincente". Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi al termine della visita alla General Motors di Torino. "Il nostro Paese - ha detto - è da sempre la terra in cui il domani arriva prima. Non ci arrendiamo all'idea di una Italia pigra e rassegnata". "Siamo uno Stato manifatturiero, secondo alla Germania, ma li riprenderemo", ha aggiunto. Prima della visita alla General Motors, Renzi ha visitato, con l'a.d. Sergio Marchionne e il presidente John Elkann, il centro stile Fca dello stabilimento Mirafiori, dove ha potuto vedere in anteprima i modelli che saranno lanciati prossimamente sul mercato, in particolare la Maserati Levanti, primo suv del marchio del Tridente. "Sono gasatissimo dai progetti di Marchionne", ha detto al termine della visita. "Con riforme cambio regole gioco fondamentale" - "Finirà il noioso ping pong dei talk show per il quale siamo solo un paese con cervelli in fuga ma emergerà che siamo il paese che più di ogni altro può trarre vantaggio dalla globalizzazione. Questo è l'obiettivo di riforme strutturale che sono un cambio delle regole del gioco fondamentale e imprescindibile". "C'è bisogno di un cambio radicale che permetta a ciascuno di noi di pensare all'Italia come luogo in cui tutto è ancora possibile", ha spiegato Renzi nel suo intervento al Politecnico di Torino. "Trovo ci sia un racconto del nostro Paese noioso, patetico talvolta, che non nasce da cattiveria, malafede, ma dalla pigrizia. L'Italia viene descritta come un Paese il cui tempo è già trascorso, con nostalgia, con cliché e luoghi comuni che impediscono di immaginare la globalizzazione come grande alleato". "Bisogna smontare il principio culturale che troviamo contro in Parlamento tutti i giorni, per cui si punta a far fare le cose ma a bloccare gli altri". "La democrazia non è il sistema dove non vince mai nessuno ma dove se hai perso, domani puoi vincere: tuo compito è trovare idee che siano più convincenti di quelle degli altri". "Ci serve un passo in più affinché le grandi università non siano stritolate dai confini amministrativi. Lo dico a Sergio Chiamparino: non si può gestire il Politecnico come gestisci un comune di 5mila persone. Una grande università ha il compito di stare non sul mercato ma nello scenario internazionale". "Negare che vi siano diverse qualità nell'università è ridicolo. Ci sono università di serie A e B nei fatti e rifiutare la logica del merito e la valutazione dentro l'università e pensare che tutte possano essere uguali è antidemocratico, non solo antimeritocratico" Studente contesta Renzi, per lui cappello da giullare - "Contro questo capolavoro di retorica mi prendo la responsabilità di consegnare questo cappello dal giullare". Con queste parole il rappresentante degli studenti Livio Sera si è rivolto al presidente del Consiglio al termine del suo intervento. Si è trasformato in corteo il presidio davanti al Politecnico di Torino. Un gruppo di manifestanti, tra cui numerosi antagonisti, hanno bloccato il traffico all'incrocio tra corso Duca degli Abruzzi e corso Einaudi, nell'elegante quartiere Crocetta del centro di Torino. La manifestazione è stata seguita a distanza ravvicinata da un nutrito dispiegamento di forze dell'ordine.Seguo con sempre magiore nausea questo dipanarsi di antagonismo verbale, di no perchè no, di sinistrismo pronto ad anteporre l'ideologia al fare; lo studente che ha dato a Renzi il cappello da giullare non si rende conto che quel cappello avrebbe dovuto calzarlo lui stesso.

GRECIA: chiesta proroga dei prestiti (19 febbraio 2015)
Il governo greco ha ufficialmente inviato a Bruxelles la richiesta di estensione del programma di aiuti. Il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha confermato in un messaggio su Twitter di aver ricevuto questa mattina la richiesta del governo greco: «Ricevuta richiesta greca per estensione 6 mesi», recita il messaggio di Dijsselbloem sul social network. Una riunione dei ministri delle finanze dell'Eurogruppo è stata convocata per domani alle 15 a Bruxelles per prendere una decisione sulla domanda di estensione del prestito della Grecia. Un portavoce del presidente Jean Claude Juncker ritiene che questo sia «un segno positivo che spiana la strada ad un compromesso ragionevole nell'interesse di tutta l'Eurozona», ma il governo di Berlino sembra frenare subito l’entusiasmo: «La lettera di Atene non presenta alcuna proposta di soluzione sostanziale», dice Martin Jaeger, portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. La richiesta di Atene - prosegue il portavoce - «non corrisponde ai criteri concordati lunedì dall'Eurogruppo» ed è «un finanziamento- ponte che non adempie pienamente alle condizioni del programma di aiuti». Fonti di Bruxelles rivelano che la Germania si aspetta che la Grecia si impegni sulle riforme che ha già concordato. Come aveva anticipato il giornale greco Ekathimerini, funzionari del governo di Atene avevano lavorato fino a tarda notte ieri per preparare il documento di richiesta che lega il pagamento degli aiuti comunitari al fatto che la Grecia onori i termini del cosiddetto memorandum, che contiene le riforme economiche promesse in passato dai governi precedenti e che Syriza aveva aspramente contestato durante la campagna elettorale. Nella sua richiesta a Bruxelles, Atene si impegna a mantenere l'equilibrio di bilancio» nei sei mesi di estensione del programma di assistenza finanziaria. «Il governo - spiegano fonti ufficiali - non ha chiesto un'estensione del piano di salvataggio». «Abbiamo inviato una proposta - aggiungono le fonti - nel rispetto del mandato popolare, che difende la nostra dignità sociale e che, nello stesso tempo, sia accettabile dai nostri partner». Inoltre il governo Tsipras chiede una riduzione del debito, che si richiama esplicitamente all'impegno del 2012 dei ministri delle Finanze europei. E include gli impegni della Grecia a far fronte all'evasione fiscale e alla corruzione per combattere la «crisi umanitaria» e far ripartire l'economia.

VIA LIBERA AL JOBS ACT (20 febbraio 2015).
«Oggi è il giorno atteso da anni. Il #JobsAct rottama i cococo vari e scrosta le rendite di posizione dei soliti noti #lavoltabuona», lo ha scritto venerdì mattina il premier Matteo Renzi su twitter nel giorno che ha visto, dopo cinque ore di consiglio dei ministri, il varo dei decreti attuativi della riforma del lavoro. Il decreto prevede la possibilità di demansionare il lavoratore e include nelle regole sui licenziamenti anche i licenziamenti collettivi (non tenendo conto quindi di quanto chiesto dalle Commissioni lavoro di Camera e Senato). Nella conferenza stampa successiva al consiglio dei ministri, il premier parlando di «giornata storica» ha sottolineato: «Una generazione vede finalmente riconosciuto il proprio diritto ad avere tutele maggiori. Parole come mutuo, ferie, buonuscita, diritti entrano nel vocabolario di una generazione fino ad ora esclusa». Inoltre, adesso il governo ha «tolto gli alibi» a chi dice che assumere in Italia non è conveniente: «È la volta buona, ora o mai più», sottolineando come 200.000 lavoratori parasubordinati passeranno ora a tempo indeterminato». E una certezza: «Nessuno resta più solo quando perde il lavoro o viene licenziato». A preoccupare molti è la norma che riguarda allontanamenti dal lavoro collettivi, ma Renzi ribadisce: «Questi provvedimenti si occupano di assunzioni collettive. Questo è un Paese che guarda al futuro, che sta ripartendo. I decreti approvati dal Cdm servono a fare assunzioni collettive, non licenziamenti collettivi». Non c'è dubbio che per il governo il via libera ai primi decreti del Jobs act, quelli sul nuovo contratto a tutele crescenti e sugli ammortizzatori, sia una tappa importante di questo inizio del secondo anno della squadra di Renzi (« Dopo un anno di governo non avremmo pensato di essere a questo punto», ha sottolineato il primo ministro). In Consiglio si è proceduto anche con il Ddl concorrenza, con le nuove liberalizzazioni che interesseranno librai e notai (mentre sulla vendita dei farmaci salta la norma che prevede la vendita dei farmaci di fascia C in luoghi diversi dalle farmacie). Ancora un rinvio, invece, per il pacchetto di misure fiscali che il ministero dell’Economia aveva già preparato: saltano le norme, importantissime, sul nuovo catasto, ma anche quelle che fissavano il calendario per arrivare alle fatture elettroniche che pongono le basi per il superamento dello scontrino fiscale come lo conosciamo oggi. Ma l'attenzione, venerdì, era tutta sulla riforma del lavoro: il nuovo contratto «a tutele crescenti» scatterà dal primo marzo. Che cosa prevede? Per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato si limita la possibilità del reintegro del lavoratore, prevedendo invece indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio. Il reintegro sarà possibile solo in caso di licenziamento discriminatorio o per licenziamento disciplinare per il quale venga provata l’insussistenza del fatto materiale contestato.

UN ALTRO MARCHIO VA OLTRE OCEANO [21 febbraio 2015]
Il colosso Usa delle spezie McCormick si compra a sorpresa l’italiana Drogheria e Alimentari spa da SICI sgr (24%), Hat Holding (16%) e dalla famiglia Carapelli-Barbagli, già proprietaria della Carapelli, leader nella commercializzazione di olio extra vergine di oliva. L’annuncio è stato dato oggi dalla stessa McCormick con una nota. L’operazione non era per nulla attesa, visto che solo lo scorso settembre i due fondi erano subentrati ad Alto Partners, che nel marzo 2010 aveva comprato una quota del 40% nel gruppo alimentare tramite in fondo Alto Capital. Più nel dettaglio, in uno primo tempo la famiglia Carapelli-Barbagli condurrà lo spin-off del brand Nuova Terra (cereali, legumi e zuppe) che resterà in capo alla famiglia, così come la controllata Le Bontà, alla quale fa capo il brand I Toscanacci (sughi di cacciagione). Il resto di Drogheria e Alimentari, invece, compreso il brand Maribù (decorazioni per dolci), verrà ceduto agli americani. Oltre ai fondi, anche la famiglia uscirà completamente dal capitale della società, ma, grazie al solido e pluriennale rapporto di fiducia personale sviluppato con il top management di McCormick, ne rimarrà alla guida ancora almeno per i prossimi tre anni. Drogheria e Alimentari (con il perimetro ridotto come spiegato più sopra) è stata valutata 85 milioni di euro, pari a oltre 9 volte l’ebitda del 2014. La valutazione comprende un earn out che verrà pagato nel 2018 per un valore sino a 35 milioni di euro legato ai risultati della società a fine 2017. Drogheria e Alimentari ha chiuso il 2014 con un fatturato consolidato di circa 60 milioni di euro (dai 55 milioni del 2013), di cui circa il 20% dall’export in oltre 60 Paesi del mondo, e con un ebitda di oltre 8 milioni (da 6,6 milioni). Il fatturato della società così come ceduta a Mc Cormick, invece, è stato di oltre 50 milioni di euro l’anno scorso con un ebitda del 12%. Drogheria e Alimentari è leader nel mercato italiano delle spezie. Il 60% del business della società è rappresentato da prodotti a marchio Drogheria e Alimentari, mentre il rimanente 40% è generato nel private label, in cui Drogheria fornisce tutte le catene distributive italiane e anche alcune estere. Negli ultimi 10 anni, Drogheria ha registrato una crescita del giro d’affari a doppia cifra sia nel mercato retail sia in quello delle private label, dove l’azienda toscana ha oltre il 95% di quota di mercato in Italia. Nel 2014, il business di Drogheria è cresciuto di oltre il 12%. Il mercato estero nel 2014 è cresciuto di oltre il 25%. McCormick fattura circa 4,5 miliardi di dollari e capitalizza circa 9 miliardi di dollari alla Borsa di New York. Il gruppo americano è presente nel mercato retail, foodservice e industria. Nel retail e nel foodservice, McCormick opera con un portafglio di brand che sono leader di mercato in ogni specifica area geografica, come McCormick, Old By, Lawry’s (USA), Cub House (Canada), Ducros (Francia), Schwartz (UK), Kamis (Polonia e Russia), Silvo (Olanda), Simply Asia e Thai Kitchen nel segmento etnico. Nel segmento industria, McCormick è il principale produttore di salse e insaporitori per clienti come McDonald, Frito Lay (Pepsi) e KFC, i quali sono seguiti a livello globale. Con questa operazione McCormick punta a sviluppare il business internazionale di Drogheria e Alimentari, mantenendo comunque la produzione in Italia e anzi raddoppiando la capacità produttiva con l’ampliamento del modernissimo stabilimento di San Piero a Sieve, che sarà completato entro la fine del 2015, con un notevole impatto positivo sul territorio e sull’occupazione locale. Sul mercato italiano Drogheria, inoltre, opererà come piattaforma di consolidamento del mercato, poiché sono già previste alcune acquisizioni che saranno integrate nella piattaforma produttiva e distributiva di Drogheria. A livello internazionale, Drogheria si aspetta di accelerare ulteriormente la propria crescita in mercati importanti come Stati Uniti, Canada, Russia ed Estremo Oriente, dove McCormick dispone di importanti piattaforme distributive e di strategie di posizionamento complementari e altamente sinergiche con quelle di Drogheria.

La lettera di Tsipras alla UE [24 febbraio 2015].
Il ministro delle Finanze greco ha inviato alle autorità europee e al Fondo monetario la lista di riforme collegate al prolungamento degli aiuti finanziari intorno alla mezzanotte di lunedì. Lo riferiscono fonti comunitarie, spiegando che la Commissione Ue ritiene la lista sufficientemente completa da essere un punto di partenza valido. «Per la Commissione la lista è sufficientemente completa per essere un valido punto di partenza per la conclusione positiva della verifica», ha detto la fonte. «Siamo notevolmente confortati dal forte impegno a combattere l’evasione fiscale e la corruzione», ha aggiunto. La consegna della lista entro i tempi stabiliti è stata poi confermata via twitter dalla Commissione Europea. Fino ad ora, solo indiscrezioni sul contenuto del piano che la Grecia di Alexis Tsipras e dell’economista marxista Yanis Varoufakis hanno sottoscritto per garantirsi i preziosi fondi della Ue, necessari a far rientrare la Grecia dal peso del debito eccessivo e a evitare la bancarotta di Atene. In lista, secondo l’Ansa che ha potuto vedere il documento, dovrebbero esserci solo due misure sociali per affrontare la crisi umanitaria: la possibile estensione del salario minimo e buoni pasto-energia e sanità per i poveri. Il Governo specifica che «la lotta alla crisi umanitaria non avrà effetti negativi per il bilancio». Il piano dovrebbe contenere «riforme per combattere la corruzione e l’evasione fiscale» e «misure per riformare la pubblica amministrazione e ridurre la burocrazia». Verranno inoltre introdotte nuove norme sulle esenzioni fiscali e sui prestiti in sofferenza. Per il neo premier non sarà facile mantenere il difficile equilibrio tra le casse vuote di Atene e la coerenza politica, ma se pure ad Atene oggi c’è ottimismo sul via libera ai quattro ulteriori mesi di sostegno economico, il premier greco deve affrontare un disagio contagioso che si diffonde sull’ala sinistra del suo partito. Secondo fonti governative greche, la lista sarà ispirata in parte al «primo pilastro» del «programma di Salonicco» (le promesse di Alexis Tsipras annunciate nel settembre scorso) e conterrà dunque le rateizzazioni delle tasse e il blocco dei sequestri delle prime case per chi non riesce a pagare il mutuo. Ci saranno poi le misure per lottare contro l’evasione fiscale, la riforma per un fisco più equo, lotta al contrabbando, riforma e ricostruzione della pubblica amministrazione, tagli alla burocrazia. Nel pomeriggio di martedì le misure verranno discusse in teleconferenza. Nell’attesa del piano greco, Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha ribadito in un’intervista che «l’uscita della Grecia dall’eurozona non è in discussione». «L’accordo siglato venerdì scorso (per l’estensione di quattro mesi dei finanziamenti Ue) è stato un punto che ha fatto innescare una volontà collettiva di ascoltare, costruire fiducia e fare quanto possibile per stare insieme». La fuga di capitali dalle banche e la paura di restare con le casse vuote, hanno costretto Tsipras e Varoufakis ad archiviare i propositi di «rivoluzionare» i rapporti con la Ue — come aveva garantito il leader di Syriza la sera del 25 gennaio, dopo la vittoria alle elezioni. Con l’Eurogruppo il premier greco ha dovuto trovare la via di un compromesso, altrimenti il default e il caos finanziario e sociale, sarebbe stato dietro l’angolo. E ora, per tenere la Grecia in Europa, Ue, Bce e Fmi — ovvero la troika che Atene aveva giurato di voler combattere come il peggior nemico — attendono di esaminare nel dettaglio il piano di riforme del governo. Nei rapporti con la Grecia, dopo i recenti tour del nuovo governo greco, Bruxelles si sente sufficientemente al sicuro, tanto che il commissario agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici, può anche dettare il tenore dei provvedimenti che Atene si appresta a comunicare: il programma di riforme che il governo greco deve presentare «deve essere ambizioso, ma anche finanziariamente realista» e tenere conto degli impegni assunti dal Paese non solo dall’esecutivo attuale, ha detto il Commissario in un’intervista all’emittente francese France 2. Se il programma include misure contro l’evasione fiscale, per il rafforzamento dello Stato di diritto e per il controllo dei grandi patrimoni in modo che paghino più imposte, il programma «può andare nella giusta direzione», ha aggiunto. Anche il governo tedesco ha insisto che il piano di riforme debba essere «convincente» e soddisfare i criteri dell’Eurogruppo. Lo ha detto Martin Jaeger, portavoce del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. La Grecia, secondo quanto anticipato dal tabloid tedesco Bild, sarebbe pronta a recuperare in tutto 7,3 miliardi di euro da un piano fiscale che si concentra sulla lotta al contrabbando e su nuove e robuste tasse agli oligarchi. Il piano del governo greco, prevede di ricavare 2,5 miliardi di euro da una patrimoniale sui greci più ricchi, in particolare su armatori e oligarchi; lo stesso importo dovrebbe arrivare dal recupero di tasse arretrate, mentre 2,3 miliardi dovrebbero arrivare dalla lotta al contrabbando di benzina e sigarette. Il giornale tedesco cita fonti vicine al governo. Il lunedì di Borsa ha confermato le attese. Dopo l’intesa raggiunta venerdì tra Atene e Bruxelles e in attesa dei dettagli della lista di riforme che il Governo Tsipras presenterà entro martedì alla Commissione, i listini europei sono tutti positivi, ma senza euforia. Lo spread Btp-Bund chiude a 113 punti base, sui minimi da fine gennaio, con un rendimento del decennale italiano sotto l’1,5% all’ 1,49% sui minimi storici. Per la Grecia, spread a 855 e tasso decennale a 8,92%.

Due gioielli italiani passano alla Hitachi (24 febbraio 2015)
Finmeccanica ha raggiunto l’accordo per vendere AnsaldoBreda e il 40% di Ansaldo STS al gruppo giapponese Hitachi, la cui offerta e stata preferita a quella di una cordata cinese. Hitachi pagherà 9,65 euro per ogni azione di Ansaldo STs posseduta da Finmeccanica e lancerà una Opa sul resto del capitale. Inoltre Hitachi verserà 36 milioni di euro per AnsaldoBreda. Finmeccanica realizzerà un capital gain di 250 milioni di euro. Si tratta della maggiore acquisizione estera per Hitachi e il maggior investimento nipponico in Italia. Gli accordi prevedono la chiusura delle operazioni entro l'anno. Se oggi anche il quotidiano Nikkei anticipava la conquista di Ansaldo Sts e AnsaldoBreda da parte di Hitachi in una operazione del valore di oltre 250 miliardi di yen, l'ultima operazione è stata annunciata da Asahi Kasei, che ha raggiunto l'accordo per rilevare le attività di stoccaggio di energia della americana Polypore International per 2,2 miliardi di dollari. La società giapponese ha offerto un premio di quasi il 20% sui corsi di Borsa dell'azienda acquisita, in un deal complesso che prevede anche la cessione a 3M della divisione Separated Media. Asahi Kasei non è nuova a grandi operazione all'estero: tre anni fa aveva acquisito per la stessa cifra (2,2 miliardi di dollari) l'americana Zoll per crescere nel settore dei prodotti medicali per gli ospedali. Nonostante lo yen più debole, la voglia di investire all'estero e di mobilitare ingenti risorse liquide dormienti sta generando una corsa oltreconfine delle imprese nipponiche, private e anche pubbliche. La settimana scorsa Japan Post, prossima a sbarcare in Borsa, ha offerto un premio di circa i 50% per acquisire l'australiana Toll al prezzo di 5,1 miliardi di dollari, al dichiarato scopo di diventare un player globale della logistica. Quasi in contemporanea, Kintetsu World ha rivelato il ramo logistica della Neptune Orient Lines di Singapore per 1,2miliardi di dollari. Canon ha invece deciso di acquisire la svedese Axis Communications per 2,8 miliardi di dollari. L'operazione annunciata più ardita, comunque, appare quella con cui la casa di trading Itochu si è messa in joint con la thailandese CPG per rilevare una partecipazione del 20% nel colosso cinese, Citic. Dal punto di vista degli investitori, la scommessa è individuare quali società possano diventare potenziali prede dei generosi acquirenti nipponici, generalmente disposti a versare ampi premi per assicurarsi una via rapida per l'espansione strategica delle attività estere, resa necessaria dalle limitate prospettive del mercato domestico.

La Grecia non riceverà un euro se non mantiene i patti (25 febbaio 2015).
La Grecia non vedrà «nemmeno un euro» fin quando non avrà ottemperato a tutti gli impegni presi, ha avvertito il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. «Se li attuano, allora potranno ricevere i versamenti rimanenti - ha detto in una intervista radiofonica - e se non li attuano non ci sarà nessun versamento». In un'intervista alla stazione radio Swr2, Schaeuble ha detto che se la Grecia «rispetterà gli impegni presi allora potranno ricevere i versamenti ancora in sospeso. Se non lo faranno, non ci saranno nuovi trasferimenti». Per il “mister no” tedesco, la questione principale al momento è capire «se si può credere o meno alle assicurazioni del Governo greco». Il Ministro ha detto anche di «capire i numerosi dubbi espressi al riguardo in Germania». «I Paesi dell'Eurozona - ha assicurato ancora Schaeuble - non hanno in nessun caso concordato nuovi versamenti ma hanno dato più tempo alla Grecia perché attui le riforme sulle quali si è impegnata». «La decisione di estendere di quattro mesi il programma di aiuti alla Grecia - ha detto Schaeuble - non è stata affatto facile né per noi né lo è stata per il governo greco, che aveva detto al suo popolo cose completamente diverse in campagna elettorale e anche dopo». Secondo il ministro delle Finanze tedesco, «la questione adesso è se credere o meno alle rassicurazioni» ricevute da Atene in merito all'impegno per le riforme, «in Germania ci sono molti dubbi, è comprensibile». «Anche se siamo un Governo di sinistra radicale, andiamo a trattare con una mentalità di avvocati di diritto fallimentare della City di Londra che dicono semplicemente che, se c'è un problema con il debito, va ristrutturato. Proporremo una serie di swap per massimizzare il valore attuale per i nostri creditori e rendere possibile al tempo stesso il rimborso dei debiti da parte nostra». Così il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, che in un'intervista a 'Cnbc' ha indicato, quanto al ritorno della Grecia sui mercati finanziari, che tutto dipende dal risolvere «un sistema di tre equazioni e tre incognite», vale a dire «il livello di indebitamento, gli investimenti e il surplus primario di bilancio. Non ho alcun dubbio che l'Europa alla fine riuscira' a risolvere questo sistema di equazioni e incognite». Varoufakis ha anche rilevato che il recente accordo tra Grecia ed Eurolandia per estendere il piano di aiuti ad Atene non significa che il nuovo Governo greco abbia ceduto a pressioni. «Non siamo stati eletti per fare la guerra ai nostri partner, ma per rinegoziare gli accordi della Grecia con i suoi partner. Negoziare vuol dire trovare un compromesso, l'averlo trovato non significa un'inversione di tendenza» della politica del nuovo Governo greco, ha indicato il ministro. Nella realtà o ci sarà un'inversione rispetto alle promesse elettorali o saranno guai per la Grecia.

IL PIL TORNA POSITIVO (28 febbraio 2015).
Due segnali positivi: dopo tre anni e mezzo il Pil italiano torna a crescere mentre dopo quasi 5 anni lo spread scende di nuovo sotto quota 100 punti. Nel primo trimestre, stima l'Istat nella Nota mensile sull'andamento dell'economia italiana, il Pil tornera' a crescere. Questo perchè "i segnali positivi si rafforzano". L'ultimo aumento risaliva al secondo trimestre del 2011. Nel dettaglio, "la variazione congiunturale reale del Pil prevista per il primo trimestre è pari a +0,1%. Tale risultato è la sintesi del contributo ancora negativo della domanda interna (al lordo delle scorte) e dell'apporto favorevole della domanda estera netta". "Al miglioramento delle opinioni di consumatori e imprese registrate a febbraio si affianca l'aumento della produzione industriale a dicembre e quello del fatturato dei servizi nel quarto trimestre del 2014. Permangono tuttavia difficoltà nel mercato del lavoro e si conferma la fase deflazionistica, seppure in attenuazione. L'indicatore composito anticipatore dell'economia registra una variazione positiva per il secondo mese consecutivo", segnala l'Istat. Discorso a parte per il mercato del lavoro che "non mostra chiari segnali di un'inversione di tendenza rispetto a quanto osservato negli scorsi mesi. Il tasso dei posti vacanti nei settori dell'industria e dei servizi è rimasto ancora stabile nel IV trimestre attorno allo 0,5%. La stazionarieta' dell'indicatore, che perdura dall'ultimo trimestre del 2013, riflette la fase di stagnazione che si osserva dal lato della domanda di lavoro. In febbraio, le attese di occupazione formulate dagli imprenditori per i successivi tre mesi continuano a essere differenziate tra i principali comparti produttivi, risultando in crescita nella manifattura, stabili nei servizi e in peggioramento nel settore delle costruzioni.". Per quanto riguarda la Grecia c'e' da registrare il fatto che il Bundestag ha approvato l'estensione dei finanziamenti alla Grecia. Nonostante cio' la borsa ateniese e' l'unica in rosso in una seduta senza particolari slanci. A incidere negativamente il calo superiore alle previsioni nel IV trimestre del Pil greco a -0,4%.

LA NUOVA LEGA (3 marzo 2015).
Ne resterà soltanto uno. Il duello all’ultimo sangue tra Zaia e Tosi sta calamitando le attenzioni dei media ma oscura – almeno in Veneto, forse solo in Veneto - il dato politico più interessante degli ultimi anni. La Lega ha cambiato pelle. E da piazza del Popolo in poi non sarà più la stessa. Cambiata la stagione, sta cambiando profondamente anche il partito. Il leader dice «tutti a destra» e tutti a destra si va. Se questo porterà i guerrieri di Giussano alla conquista dell’impero o li condannerà alla marginalità è oggi tema da strateghi. Secondo lo stratega Tosi, l’esclusione dei moderati regalerà il Paese a Renzi. Secondo lo stratega Salvini, la nuova linea sarà la leva per conquistare il Sud e acquisire peso sulla scena nazionale.I due parlano da posizioni di forza ben diverse. Il primo lo stanno ascoltando in pochi e viste le decisioni del Consiglio Federale di ieri pomeriggio, dal commissariamento all’aut aut sulla Fondazione (la fondazuione di Tosi "Ricostruiamo il paese"), i suoi spazi di manovra sono destinati a ridursi; al contrario la popolarità del secondo cresce a dismisura, i sondaggi gli danno ragione e gli scandali padani sembrano roba del Paleozoico. La Lega è rinata, ha di nuovo i serbatoi pieni e nessuno può permettersi di tagliare una mano a chi l’ha risollevata a forza. Nessuno può mettersi di sindacare sulle scelte né tantomeno sulla linea politica di Salvini. Eppure giacciono latenti alcune contraddizioni che prima o poi potrebbero creare qualche problema interno. Solo un anno fa lo stesso Salvini – insieme a Zaia, che non vuole la definizione di stratega ma si trova a doverne fronteggiare diversi – aveva lanciato in Veneto la campagna per l’Indipendenza con centinaia e centinaia di gazebo e di volontari impegnati nella raccolta firme. Oggi la battaglia è congelata. E i leghisti veneti si sono ritrovati in piazza a Roma tra centinaia di bandiere tricolori, borbottando fianco a fianco con battaglioni (non è una metafora, scendevano in fila per cinque dalle gradinate come nelle parate militari) di simpatizzanti dell’estrema destra. Salvini indossa la maglia di Stacchio e quella dei Marò. Chiede a tutti di portare a scuola i libri del Vajont ma anche quelli sulle Foibe, chiede il rispetto delle identità e poi parla di Italia unita. Insomma, gioca su due tavoli: su scala nazionale lancia una destra alla francese, Lepenista, per prendere i voti del Sud. E su scala locale, al Nord, lascia liberi i suoi di ribellarsi al centralismo romano e agli sperperi delle regioni meridionali usando alchimie linguistiche per risolvere le ambiguità (non è più colpa di Roma o della Sicilia ma di Renzi e Crocetta, non è più colpa dei meridionali ma delle sinistre che li guidano). Questa battaglia, la scalata di Salvini a Roma, avrà riflessi importanti anche in Veneto. Tanto per cominciare interessa al leader quasi più delle elezioni e questo l’ha compreso anche il governatore. Ma una volta risolto il braccio di ferro interno con Tosi, ormai all’angolo, Zaia dovrà anche pensare ai nuovi messaggi che sta lanciando la nuova Lega. Tutti sanno che la battaglia per l’indipendenza non sarà più tema di campagna elettorale e verrà lasciata ai venetisti, ma anche gli aspetti rivendicativi che hanno sempre contraddistinto il leghismo sono da ritarare. Ora il nemico primo e unico è il governo Renzi, meglio ancora Renzi come persona fisica. Colpevole per i tagli, per le piccole e per le grandi inadempienze. Colpevole per i furti e le rapine del quartiere sotto casa, perché le strade nel Comelico non si possono aggiustare, perché il piano idrogeologico di difesa del territorio non si può completare. Nel mirino c’è lui e per contro si stanno stemperando i distinguo di popolo e di territorio. Salvini sta raccogliendo una truppa composita e sta chiedendo «coraggio» perché solo così si «andrà a vincere». E’ riuscito a convincere persino Bossi. Tutto questo potrebbe avere un prezzo. Chi era a Roma racconta che Pontida era un’altra cosa e in ogni caso tra i militanti del Lombardo-Veneto più di qualcuno è parso (e si è detto) disorientato. I punti di riferimento dei padani stanno cambiando. Potrebbe anche esserci chi si tira indietro, chi di fronte al saluto fascista improvvisato da alcuni gruppi di casa Pound - peraltro atteggiamenti molto lontani dal pensiero dello stesso Zaia, certamente il più applaudito dai suoi anche a Roma - si avvicini all’urna con pensieri diversi.

Barile in picchiata (16 marzo 2015)
Il ribasso del petrolio ha fatto il miracolo di risvegliare la domanda europea, ma non quello di arginare lo shale oil americano. La produzione Usa - responsabile numero uno dell’eccesso di offerta che grava sul mercato - continua a crescere al punto che presto non si saprà più dove metterla, avverte l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie): le scorte Usa, già a livelli da primato, tra poco potrebbero superare la capacità dei serbatoi di stoccaggio e «questo condurrebbe inevitabilmente a una rinnovata debolezza dei prezzi». Solo dopo un’ulteriore discesa «scatterebbero quei tagli di produzione che finora sono rimasti elusivi». La recente stabilità del mercato è solo una «facciata», secondo l’agenzia dell’Ocse: «Il riequilibrio indotto dal crollo dei prezzi deve ancora realizzarsi e sarebbe troppo ottimista aspettarsi che il processo avvenga senza scossoni». Le quotazioni del barile - dopo una netta ripresa seguita da una fase di prezzi stabili - in realtà sono già tornate da qualche giorno sotto pressione. Il monito dell’Aie non ha fatto che accelerarne la discesa: il Wti è crollato del 4,7% a 44,84 dollari al barile, il Brent del 4,2% a 54,67 $, ai minimi da oltre un mese. Non sono riusciti a interrompere la caduta nemmeno le statistiche di Backer Hughes, che hanno mostrato un’ulteriore frenata delle attività estrattive, per la quattordicesima settimana consecutiva: negli Usa si sono fermate altre 56 trivelle per la ricerca di greggio, portando a 866 il numero di impianti attivi, il minimo da marzo 2011. In Canada, anche per motivi climatici, le trivelle si sono ridotte addirittura del 27% in una settimana e sono ormai quasi dimezzate rispetto a un anno fa: appena 220, tra petrolio e gas. Giovedì il North Dakota, patria di gran parte dello shale oil americano, aveva comunicato un calo del 3,3% della produzione in gennaio (a 1,2 milioni di barili al giorno) e annunciato «mesi di produzione calante». Segno che qualche reazione al ribasso dei prezzi si sta cominciando ad osservare. Nel complesso tuttavia l’output negli Stati Uniti continua ad aumentare. L’Aie, già oggetto di critiche per i frequenti (e talvolta macroscopici) errori previsionali, anche stavolta ha dovuto correggere il tiro: un paio di mesi fa evidenziava «crescenti segnali di un’inversione di tendenza» per lo shale oil, mentre oggi riconosce che «l’offerta Usa ha finora mostrato pochissimi segnali di rallentamento, anzi continua a sfidare le aspettative». Il risultato è che la produzione petrolifera non Opec è aumentata solo in febbraio di 270mila barili al giorno (quasi tutti «made in Usa»), arrivando a 57,3 milioni di bg. Conteggiando anche i barili dell’Opec si è arrivati a 94 mbg: 1,3 mbg in più rispetto a un anno fa. Anche la domanda sta migliorando, persino nel Vecchio continente. E si tratta addirittura di consumi finali: «La domanda di prodotti raffinati ha mostrato segni di vita - afferma l’Aie - Addirittura la domanda europea è emersa dal suo lungo declino per mostrare una robusta crescita del 3,2% in dicembre, seguita da un +0,9% in gennaio». L’Aie ne è stata incoraggiata al punto da alzare le stime sulla domanda 2015: ora la vede crescere di 1 mbg (+75mila), a 93,5 mbg. Ma a trainare sono soprattutto gli acquisti opportunistici delle raffinerie, che vedono finalmente margini migliori, o degli speculatori che accumulano scorte. Entrambi i fattori rischiano di venire meno.

DRAGHI: sfruttare la ripresa dell'eurozona (17 marzo 2015).
Il presidente della Bce invita i governi a continuare sulla strada delle rigorme “Per mettere fine a tutti i dubbi sul futuro”. Sull’euro: “Non è stato creato per avere creditori e debitori permanenti”. La politica monetaria condotta dalla Bce con il quantitative easing sta favorendo la ripresa dell’Unione europea, ma non è la panacea a tutti i mali: i governi devono proseguire sulla strada delle riforme per scongiurare tutti i dubbi sul futuro dell’Eurozona. E’ questo il senso dell’intervento del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che da Francoforte sottolinea l’importanza di cambiamento: “Bisogna rimuovere tutti i dubbi che riemergono ogni volta che c'è uno shock”. E per farlo, spiega Draghi, “dobbiamo accelerare il nostro processo di convergenza economica e istituzionale”. Come riportato dall’Ansa, il presidente della Bce si toglie un sassolino dalle scarpe spiegando che “una politica monetaria ultra-espansiva non è un disincentivo per i Paesi dell'Eurozona a portare avanti le riforme”, ma, anzi, “crea un incentivo” a farle. Dunque esattamente l'opposto rispetto alla linea di pensiero ribadita pochi giorni fa dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Draghi sottolinea poi che “l'euro non è stato creato per avere creditori e debitori permanenti”, ma “con l'aspettativa che ogni Paese sarebbe stato capace di stare in piedi da solo, senza l'aiuto perenne degli altri”. E spiega che “occorre una convergenza affinchè l'Unione possa essere sostenibile: ogni economia deve essere capace di soddisfare gli standard più alti in termini di competitività, occupazione e crescita”. Infine rassicura che nell'Eurozona la situazione economica si sta “stabilmente riprendendo”, che “possiamo essere ottimisti sulle prospettive”, però conclude ribadendo: “Dobbiamo continuare a spingere sulle riforme, non possiamo cullarci sugli allori”.

La crisi di CL (18 marzo 2015).
Ogni volta che il marchio Cl viene associato a un'inchiesta o a un giro di appalti, dal quartier generale parte la richiesta di rettifica con la precisazione che Comunione e liberazione è solo un movimento ecclesiale cattolico, fondato dal sacerdote e teologo don Luigi Giussani. Bizantinismi, soprattutto in quell'operosa Lombardia dove i discepoli del Gius hanno con più crudezza visto il compiersi di quel farsi vita mondana maneggiando assessorati, Comuni e gare pubbliche. Ma anche cemento e piani regolatori, tanto che fin tropo scontata è l'ironia su Comunione e speculazione o Comunione e fatturazione. Tanti affari perché la famiglia è numerosa e soprattutto una macchina da guerra a ogni campagna elettorale. Montagne di preferenze che arrivano fino all'ultima al candidato griffato Cl, dal consigliere dell'ultimo comunello fino al governatore. E non è un caso che proprio qui siano nati e diventati grandi (molto grandi) politici come Roberto Formigoni, diventato il «Celeste» proprio in Lombardia dove ha regnato per un ventennio e gestito con mano ferma quel lucroso mondo della sanità che alla fine lo ha trascinato nelle aule di tribunale a rispondere di vacanze esotiche che i pm ritengono essergli state regalate in cambio di favori a imprenditori senza scrupoli. Gettando un'ombra su quel grattacielo da 161 metri e 39 piani con eliporto che Formigoni aveva voluto per marchiare quello skyline su cui per secoli aveva regnato solo la Madonnina dorata del Duomo. Due decenni di leggi e delibere che hanno probabilmente fatto della Lombardia la Regione meglio governata d'Italia e quella con la sanità migliore, ma anche allevato una corte di imprenditori e politici a cui periodicamente attingono le inchieste. Come quest'ultima della procura di Firenze nella quale è finito (seppur non indagato) un altro big ciellino made in Lombardia come Maurizio Lupi. Il salto dalla periferia di Baggio all'alta società quando giovanissimo diventa assessore nella giunta Albertini. Nasce discepolo, poi pari grado e alla fine l'uomo che ha pensato di fargli le scarpe quando su Formigoni si è abbattuta la scure della magistratura diventando il traghettatore per i discepoli del Gius dall'universo berlusconiano a quello di Angelino Alfano. Verso cui si dirige un altro colonnello Cl come Mario Mauro, ma non prima di rimanere folgorato dal loden di Mario Monti. Una frattura, quella tra Formigoni e Lupi, che è l'inizio di una frana. Tanto che ormai il ministro del governo Renzi, sono ben poche le preferenze che raccoglie quando si candida alle Europee nel collegio Nord-Ovest per dare una prova di forza e lanciare il progetto degli alfaniani. Ma soprattutto cullando il sogno di diventare il sindaco di Milano, magari alleato con il Pd di Renzi. Ma il mondo di Cl è ormai in crisi, flagellato anche dall'inchiesta sui lavori Expo che ha portato all'arresto di un altro ciellino e formigoniano di ferro come il potentissimo numero uno di Infrastrutture lombarde Antonio Rognoni. Ancora affari, con quella che fu definita la «cupola degli appalti» e di cui facevano parte vecchi protagonisti di Tangentopoli come Gianstefano Frigerio e Primo Greganti, il «compagno G» di Mani pulite. In manette finì il manager Expo Angelo Paris (cattolico, ma non ciellino). Mentre ciellino è Giacomo Beretta, assessore nella giunta Moratti (dove al ciellino Carlo Masseroli fu affidato il delicatissimo compito di disegnare il Pgt che distribuiva cemento e diritti per edificare) e oggi indagato nell'inchiesta di Firenze per aver pilotato con il manager Antonio Acerbo (già arrestato a ottobre in altra indagine) l'aggiudicazione di Palazzo Italia, la nostra casa all'Expo. Lontani i tempi in cui don Gius lasciò il seminario di Venegono per venire a Milano a insegnare religione al liceo Berchet.

Gli effetti della decisione della CC sulle pensioni (30-04-2015)
Non è la prima volta e non sarà l'ultima. Logica del diritto, sostenibilità economica e convivenza europea sono già entrate in conflitto prima e lo faranno di nuovo. In questo l'Italia non è sola, anche se le prime stime in commissione bilancio della Camera rivelano un problema, all'apparenza, insolubile: secondo calcoli ancora da confermare, sarebbe fra gli 11 e i 13 miliardi l'aggravio per lo Stato della bocciatura in Corte costituzionale del decreto sulle pensioni del dicembre 2011. Ciò che per la legge sembra ovvio, per il bilancio pubblico è quasi impossibile e per l'area euro è qualcosa di già vissuto in passato. Un anno e mezzo fa la Corte costituzionale portoghese bloccò alcune misure del piano di salvataggio del Paese. E venerdì scorso la Consulta di Roma ha annullato una norma approvata a larga maggioranza in parlamento per permettere all'Italia di rispettare un trattato sottoscritto dal Paese: quello sulla partecipazione all'euro e il rispetto delle sue regole. Il governo del dicembre 2011, guidato da Mario Monti, congelò per due anni gli scatti su tutte le pensioni dai 1450 euro in su in modo da ridurre il deficit, rendere il debito più sostenibile, garantire la continuità degli impegni dello Stato. Oggi gli equilibri del Paese sono più stabili di tre anni e mezzo fa. Ma il conflitto fra interpretazione della Costituzione italiana, regole europee e risorse è più acuto che mai. Lo è al tal punto che, in ambienti del governo, sta emergendo una tentazione: chiedere un rinvio del caso alla Corte di giustizia europea, per chiarire se la sentenza della Consulta italiana sia coerente con gli impegni di bilancio firmati a Bruxelles. Il nuovo Patto di stabilità (il "Six Pack" e il "Two Pack") sono inclusi nel Trattato, dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale. Il governo italiano potrebbe chiedere alla Corte di Lussemburgo se la sentenza dei giudici di Roma sia compatibile con essi. In realtà è difficile che alla fine il governo prenda questa strada. Sarebbe la prima volta che un premier si rivolge alla giustizia europea contro la sua stessa Corte costituzionale e probabilmente Matteo Renzi vorrà evitare una mossa così destabilizzante. Più agevole per Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia cercare di attenuare e circoscrivere, per ora, l'impatto dei rimborsi richiesti. Giova chiedersi: il famoso governo dei professore e dei tecnici non sapeva che quella norma era incostituzionale? Se lo sapeva ha "furbescamente" scaricato sui governi futuri il problema, oppure non lo sapeva e allora era un governo di incapaci; ricordiamoci però delle lacrime della Fornero.

L'ITALICUM è la nuova legge elettorale (4 maggio 2015).
Il primo incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi nella sede del Pd (e l’ingresso del “Caimano” condannato e non più parlamentare a Largo del Nazareno era di per sé una notizia) risale al 18 gennaio del 2014. E l’Italicum che lì cominciò a prendere forma, alla presenza di Gianni Letta e Denis Verdini da una parte e di Lorenzo Guerini e Luca Lotti dall’altra, arriva al traguardo dopo quattrordici mesi con alcune modifiche che ne trasformano il volto. La legge elettorale approvata ieri in via definitiva - che entrerà in vigore, va ricordato, solo nel luglio del 2016 per permettere alla complementare riforma del Senato e del Titolo V di completare il suo iter - è un sistema a base proporzionale con premio di maggioranza per chi prende più voti: in questo il meccanismo è simile a quello del Porcellum bocciato dalla Consulta. Ma a differenza del Porcellum viene stabilita una soglia minima - ed è questo il primo punto sollecitato dalla Consulta - per ottenere il premio di maggioranza del 15%: 40% (nella prima versione dell’Italicum approvato alla Camera nel marzo del 2014 la soglia era al 37%). Se poi nessuno raggiunge il 40% si va al ballottaggio nazionale. In entrambi i casi la maggioranza alla Camera è di 24 deputati: sufficiente per governare, certo, ma non per eludere il normale dibattito parlamentare.
Questo del ballottaggio è stato il primo elemento strappato da Renzi a Berlusconi nella lunga trattativa sull’Italicum, ed è proprio il ballottaggio ad avvicinare il nuovo modello elettorale a quello ormai collaudato dal 1993 per i sindaci: un vincitore c’è in ogni caso, e con esso la governabilità e la stabilità per cinque anni. Un successo, per Renzi, se si tiene conto dell’avversione storica di Berlusconi e di Fi al ballottaggio, che ha sempre penalizzato il centrodestra nelle competizioni comunali anche quando il centrodestra era maggioranza nel Paese. Ma la vittoria più grande di Renzi è stata quella di aver convinto l’ex partner del Nazareno a dire sì al premio alla lista invece che alla coalizione. È questo, in prospettiva, l’elemento più rivoluzionario per la politica italiana: il premio alla lista, accompagnato dal divieto degli apparentamenti tra i partiti tra il primo turno e l’eventuale ballottaggio, incentiva il nostro frastagliato e turbolento sistema politico alla semplificazione estrema fino a lambire il bipartitismo di stampo anglosassone. Che cosa abbia spinto Berlusconi a far votare ai suoi nel gennaio scorso in Senato questa importante modifica, proprio lui che per vent’anni ha basato la sua competitività elettorale su una grande capacità coalizionale, è ancora oggetto di retroscena: di certo il patto del Nazareno è stato rotto da Fi subito dopo, quando Renzi ha portato Sergio Mattarella al Colle senza il consenso di Fi. Il premio alla lista costringerà probabilmente il centrodestra a uno sforzo di riaggregazione dell’area moderata - come sostiene il centrista Maurizio Lupi - per tentare il sorpasso sul Movimento 5 Stelle, al momento l’unico partito che potrebbe sfidare il Pd nel ballottaggio. Per i piccoli partiti resta la possibilità di entrare alla Camera, dal momento che nell’ultima versione dell’Italicum la soglia è stata abbassata al 3%, senza tuttavia poter influenzare la formazione del governo.
Per ovviare all’altro punto bocciato dalla Consulta - ossia le lunghe liste bloccate del Porcellum - si è optato per un mix tra piccole liste bloccate (esplicitamente consentite dalla sentenza della Consulta) e preferenze. Il meccanismo è quello dei capilista bloccati e della doppia preferenza di genere per gli altri. Le 20 circoscrizioni elettorali sono suddivise in 100 collegi plurinominali, fatti salvi i collegi uninominali di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige. In ogni collegio la lista dei candidati sarà corta, da 3 a 9 nomi, e il nome del capolista sarà scritto sulla scheda accanto al simbolo un po’ come accadeva con il vecchio Mattarellum. Rispetto alla scheda del Mattarellum l’elettore troverà in più due righe vuote in cui potrà segnare due nomi, uno di un uomo e uno di una donna. Rispetto alla prima versione dell’Italicum, che prevedeva semplicemente liste corte bloccate, le candidature femminili sono incentivata anche con l’obbligo di alternanza tra i capilista: le donne non potranno essere meno del 40% in ogni lista. Il voto dei cittadini potrà tuttavia essere in parte“distorto” dalla possibilità delle pluricandidature (al massimo 10), una norma voluta dai partiti più piccoli per avere più garanzie di elezione dei propri dirigenti.

Grecia e il precipizio (6 maggio 2015).
La Grecia azzera l'effetto Bce. I timori di un default di Atene si fanno concreti, soprattutto dopo che il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha escluso - come peraltro - il suo omologo tedesco Wolfgang Schaeuble, un accordo tra la Grecia e i creditori entro l'11 maggio: il giorno dopo, però il governo ellenico dovrà rimborsare al Fmi 760 milioni di euro. Il problema è che le casse greche sono a corto di liquidi e si teme che un mancato rimborso faccia scattare conseguenze legali per Atene. Alcuni analisti ritengono sempre possibile entrare in un periodo di grazia, che di fatto sterilizzerebbe la posizione greca per un mese abbondante, ma lo spettro del default tecnico resta dietro l'angolo. La paura che un default tecnico di Atene si ripercuota sul resto dell'Eurozona ha spinto le vendite dei titoli di Stato periferici con l'Italia e la Spagna in testa: lo spread con i bund tedeschi vola oltre i 140 punti base, prima di ritracciare a quota 130, mentre il rendimento dei Btp sale all'1,86% dopo aver superato quota 1,92%, quello dei Bonos è all'1,87%. Sono tassi che non si registravano da inizio anno, prima, cioè, che la Banca centrale europea avviasse il quantitative easing, il programma di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario. Nonostante tutto, i mercati del Vecchio continente provano a rialzare la testa dopo il crollo della vigilia: Piazza Affari recupera lo 0,5, mentre Londra è invariata, Francoforte cede lo 0,4% e Parigi lo 0,5%. Sull'atteggiamento degli investitori pesa anche il timore che l'economia americana abbia tirato il freno a mano nel periodo gennaio-marzo: in particolare, l'avversione al rischio si è accesa con il balzo inatteso del deficit commerciale di marzo. Di conseguenza JpMorgan e Bank of America Merrill Lynch stimano un Pil Usa in calo nel primo trimestre dello 0,5%. Barclays e Capital Economics calcolano un -0,3%. Bnp Paribas e Rbs prevedono un -0,4%. La lettura preliminare è stata pari a un +0,2% contro attese per un +1%. La seconda lettura è prevista per il 29 maggio prossimo. Di certo il dato definitivo non lascerà indifferente la Fed chiamata a decidere le prossime mosse di politica monetaria. Le colombe vorrebbero procedere con una stretta graduale dopo l'estate, i falchi sperano che i rialzo dei tassi inizi già prima della pausa estiva. In questo senso potrebbe essere decisivo il rapporto sul Lavoro ad aprile che verrà diffuso venerdì prossimo. Nel frattempo l'euro è in ripresa e passa di mano a 1,1245 contro il biglietto verde. Sul fronte macroeconomico negli Usa si guarda a dati sull'occupazione nel settore privato per il mese di aprile e si attenda la stima preliminare della produttività del primo trimestre. In Europa attenzione alle vendite al dettaglio, mentre l'indice Pmi servizi in Italia sale a 53,1 ad aprile, oltre attese. Ieri sera a New York, Wall Street ha chiuso la seduta vicina ai minimi di giornata complice un'accelerazione delle vendite nelle ultime due ore di scambi che ha fatto perdere ai principali listini soglie tecniche importanti. Ad avere pesato sono stati nuovamente i titoli tecnologici e quelli delle società a piccola capitalizzazione. Il Dow Jones ha perso lo 0,8%, a quota 17.928,20, l'S&P 500 è scivolato dell'1,2%, a quota 2.089,46; il Nasdaq composite, il leader negli ultimi mesi, ha ceduto l'1,55%, a quota 4.939,33. Sul fronte delle materie prime l'oro torna a salire. Il metallo con consegna immediata sale dello 0,2% a 1195 dollari l'oncia con gli investitori che guardano agli ultimi dati sull'economia Usa e alla risalita del prezzo del greggio che potrebbe tornare a spingere l'inflazione. Acquisti anche sul petrolio che torna ai massimi dall'inizio del 2015: i future sul Light crude Wti salgono a 61,34 dollari, dopo un top da dicembre di 61,69 dollari e quelli sul Brent avanzano di 76 cent a 68,28 dollari, dopo un massimo da dicembre di 68,53 dollari. Il trend in discesa dei prezzi è cambiato dopo che la produzione Usa è iniziata a calare. Evidentemente alcuni produttori di shale oil iniziano a disinvestire.
CON QUESTO ARTICOLO TERMINO LA SERIE FOCALIZZATA SULLA CRISI PERCHE' PENSO E SPERO CHE L'ITALIA STIA NAVIGANDO IN MARI MENO TEMPESTOSI. GRAZIE PER L'ATTENZIONE.

LOGO .......... Gennaio - aprile 2015

Eugenio Caruso

Tratto da

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www.impresaoggi.com