Non stupirti, quindi, se ogni creatura, per legge naturale, tiene in gran conto il proprio germoglio, perchè in tutti, questo zelo e questo amore nascono dal desiderio dell'immortalità.
Platone, Simposio
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e declino di quelle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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Il capitalismo dei privati negli anni novanta.
A fronte delle disfunzioni del capitalismo di Stato, è opportuno rilevare che, negli anni novanta, anche il capitalismo privato ha sofferto e soffre di gravi carenze. Va innanzi tutto osservato che le grandi famiglie del capitalismo italiano si reggono su un «equilibrio sbilanciato», che consente un enorme potere di controllo a fronte di un modesto impegno patrimoniale, grazie all’utilizzo del meccanismo delle scatole cinesi. Questi “furbi”, come li chiamava Luigi Einaudi, sono più interessati al mantenimento di un potere di controllo, ma anche di immagine e presenzialismo sui media, che non all’aumento di valore delle aziende controllate. Ancora negli anni Novanta, con la tecnica dei controlli a cascata e incrociati, i grandi gruppi familiari controllano senza mettere troppi quattrini.
La Banca d’Italia ha effettuato negli anni diverse ricerche sul sistema imprenditoriale del Paese, arrivando sempre alla stessa conclusione: «l’obiettivo prioritario e assoluto del capitalismo privato italiano è l’assicurare la
persistenza del controllo familiare e la difesa da possibili scalate». Le aziende così blindate, al riparo da mani ostili, sono veri e propri oligopoli indifferenti alle leggi del mercato e della concorrenza. Mediobanca, il cosiddetto salotto buono del capitalismo italiano, il santuario delle “famiglie”, fa venire in mente un’osservazione di Adam Smith: «Quando più uomini d’affari si riuniscono a discutere in un circolo chiuso, è probabile che stiano tramando contro la libera competizione sul mercato e quindi contro il bene comune».
La storia economica del Paese mostra che l’abilità dei «capitani di sventura» nostrani, come li definiva Marco Borsa, sta nello scaricare sugli azionisti che non contano (la stragrande maggioranza) le perdite e i loro errori di gestione e, al contempo, nel mantenere e rafforzare il controllo delle aziende.
Il quadro del sistema economico italiano degli anni novanta non è completo senza uno sguardo alle rovine del complesso della stampa italiana. I grandi giornali italiani non fanno capo a editori puri, ma a gruppi industriali; La Stampa e Corriere alla Fiat, La Repubblica a De Benedetti, Il Giornale a Berlusconi, Il Tempo e Il Mattino ai Caltagirone, Il Sole 24 Ore a Confindustria. Senza entrare nel merito del modesto livello di professionalità dei giornalisti, la reattività della stampa italiana, la sua capacità di analisi critiche neutrali, la denuncia dei soprusi dei grandi gruppi, la difesa dei gruppi economici minoritari, in particolare delle piccole e medie imprese sono praticamente nulli. «Sappiamo che chi il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare; mal messi quei Paesi che sono ridotti a contare sugli eroi, anche nella stampa» (Bragantini, 1996). Gianpaolo Pansa, nel suo "Carta Straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani", conduce una disamina impietosa sul livello di imbarbarimento del nostro giornalismo.
Ma come per i gruppi pubblici è stata inventata “la medicina” delle privatizzazioni, il rimedio per i gruppi privati sarà l’Unione europea che, abbattendo le barriere tra gli Stati, costringerà gli oligopoli privati a porsi obiettivi di valorizzazione aziendale più che di preservazione del potere. Purtroppo alla fine del primo decennio del Duemila gli italiani scopriranno che la maggior parte dei grandi marchi è finita in mano straniera.
2 febbraio 2015
Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.
Tratto da L'estinzione dei dinosauri di stato