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La più grande multinazionale del pianeta: la natura.


L'amore infelice rende crudeli.
Seneca, Medea



“Quale è la più grande multinazionale d’Europa? Non c’è nessun altro che produca così tanto cibo, che ci fornisca tanti servizi e prodotti utili alla nostra vita e ci ora così tanto lavoro… è la natura” Inizia così il video sui servizi ecosistemici che ha pubblicato di recente la Direzione generale Ambiente dell’Unione europea. Senza la natura la vita umana sarebbe impossibile, si tratta di un principio elementare che però dimentichiamo troppo spesso. Dal cibo, all’aria pulita, all’acqua, alle erbe da cui si ricavano medicine, all’impollinazione, ai meccanismi che regolano il clima. Solo la natura e i suoi meccanismi ci garantiscono la sopravvivenza e il benessere. La nostra dipendenza dalle risorse naturali però è spesso sottostimata quasi che la natura debba e possa continuare a fornirci le basi per la nostra vita indipendentemente da come la trattiamo, da come e quanto la sfruttiamo.
Giorno dopo giorno la natura sta scomparendo come non era mai successo in passato e ciò a causa delle attività umane. Gli ecosistemi si stanno degradando e diminuisce la loro resilienza, la capacità di svolgere processi e anche di fornire beneci diretti al genere umano. I costi economici che derivano dal peggioramento delle condizioni degli ambienti naturali e seminaturali (depurare le acque, stoccarle per fare fronte alle sempre più ricorrenti crisi idriche, dovere chiudere le nostre città al tra?co per il troppo inquinamento atmosferico, cercare di ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera per tentare di rallentare la crescita della temperatura atmosferica, disinquinare i umi e i mari ecc.) sono immensi e assorbono risorse ingenti che potremmo devolvere allo sviluppo della ricerca in campo medico o per sfamare le popolazioni che non hanno cibo e acqua a su?cienza.
Proteggere la natura e la biodiversità è di per sè una cosa giusta ed etica. Il valore del patrimonio naturale, al pari di quello culturale è assoluto e non negoziabile, aldilà dei vantaggi, anche economici che comporta. Tuttavia se, come succede, questo valore non viene riconosciuto, è necessario rendersi conto che solo la conservazione della natura può garantire la sopravvivenza della nostra specie a partire da un futuro molto prossimo.
Il vero problema è che il valore dei servizi resi dalla natura non è preso in considerazione né dai governi, né dai mercati. Il salto che dobbiamo sforzarci di far compiere alla nostra società – e farlo nell’epoca della crisi strutturale delle economie capitalistiche in cui siamo immersi è impresa di?cilissima – è di cominciare a pensare alla natura in termini di numeri e di formule economicomatematiche e non solo in termini scientici, estetici, culturali o etici. È uno dei più celebri ecologisti inglesi, Tony Juniper, a ribaltare questi stereotipi sulla natura e a spiegarci che anche la biodiversità deve essere considerata con delle logiche numeriche. Non certo per banalizzarne la funzione, come si trattasse di una merce, ma per salvarla e con essa salvare l’idea stessa di sviluppo della nostra civiltà. Ce lo illustra nel saggio Cosa ha mai fatto la natura per noi?; secondo l’autore – che fa parte di quell’oramai numeroso gruppo di scienziati pionieri della nuova disciplina che va sotto il nome di “ecologia dell’economia” o di “economia dell’ecologia” – non c’è specie o processo ecosistemico a cui non si possa attribuire un valore. Dalle api impollinatrici, alle foreste che immagazzinano CO2, ai prodotti farmaceutici creati attingendo alle varietà genetiche di migliaia di specie botaniche. Su queste nuove basi di pensiero, purtroppo non ancora condivise dai governi, né dalle istituzioni economiche e politiche mondiali, è necessario trovare un linguaggio comune e dare valore alle “esternalità”, termine utilizzato in economia per indicare un bene o un servizio il cui prezzo non è riconosciuto normalmente dal mercato. In altre parole occorre mettere un “cartellino con il prezzo” su ogni elemento naturale o su ogni processo ecosistemico che genera un servizio utile o addirittura indispensabile alla nostra vita. Insomma, l’alternativa è tra una concezione purista della conservazione della natura e una visione pratica, “interventista”, di chi è disposto a sporcarsi le mani (gli ecologisti economici) pur di non assistere passivamente al peggioramento delle cose, utilizzando gli “attrezzi del nemico”, di quel mercato che ha nora abusato a piene mani della generosità della natura.
Mettere la natura nel conto, potrebbe essere questo lo slogan da utilizzare per affermare che se pagassimo la natura impareremmo a preservarla. In altri termini, i prezzi di mercato di molti beni non rifl?ettono il loro valore biosferico. Quello che si paga è la quantità di lavoro e di capitale necessaria per disporre dei servizi della natura, ma purtroppo le perdite in?flitte alla capacità di produrre di quest’ultima non compaiono in nessun bilancio nazionale o aziendale. È quindi diventato fondamentale assumere da parte delle società – a cominciare da quelle che più si sono sviluppate attraverso lo sfruttamento della natura presente nel territorio proprio o dove vivono altre comunità (il colonialismo) – un impegno chiaro e definito per dare un concreto valore economico alla natura. Questo tema davvero centrale costituisce la base per costruire qualsiasi ipotesi attuativa della green economy, se non vogliamo che quest’ultima sia declinata come un modo più moderno e tecnologico per sfruttare la natura oltre ogni limite di sopportazione. Riuscire a tracciare un quadro organico che congiunga l’economia della natura all’economia monetizzata è un compito prioritario per coniare l’idea di uno sviluppo vero e durevole della nostra civiltà. Uno sviluppo che però ha bisogno di lasciarsi denitivamente alle spalle l’assurdo assunto che ha fatto da giusticazione, quasi morale, al tipo di crescita conosciuto finora e cioè che “l’economia è governata dalla scarsità e la natura dall’abbondanza”.

Enzo Valbonesi • Servizio Parchi e risorse forestali, Regione Emilia-Romagna


da www.arpa.emr.it/ecoscienza

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Impresa Oggi - 7 maggio-2015

Tratto da

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www.impresaoggi.com