Se sei un giudice, indaga, se sei un tiranno, ingiungi.
Seneca, Medea
Verso la fien del 2013 a Edimburgo,
in contemporanea con la
fallimentare Conferenza sui cambiamenti climatici svoltasi
a Varsavia, si è tenuto, nell’indierenza
generale dei media, il Forum mondiale
del capitale naturale che ha visto tra i
suoi promotori l’International Union for
Conservation of Nature (Iucn).
E cos’è il capitale naturale? È l’insieme
degli stock mondiali di beni naturali che
include anche il suolo, l’aria, l’acqua e le
milioni di specie di piante e animali.
Quel capitale, in altre parole, che ci
fornisce una vastissima gamma di
servizi, i così detti servizi ecosistemici, che
rendono possibile la nostra vita.
Il punto è come stimare il valore dei
principali servizi che rende la natura e
come contabilizzarlo.
Ma non basta ancora, perché per
“chiudere il cerchio” è necessario stabilire
a chi dobbiamo chiedere di pagare, con
quali modalità e precisare a chi deve
essere pagato il valore monetario dei
servizi ecosistemici.
Fare tutte queste cose insieme sarebbe
velleitario e allora conviene compiere un
passo alla volta.
Attualmente, gli approcci possibili verso
il capitale naturale sono sostanzialmente
quattro:
1. regolarne l’utilizzo per evitare che sia
eroso (strumenti regolativi)
2. favorire il suo mantenimento con
appositi incentivi pubblici a favore di chi
lo utilizza, purché non avvenga oltre
certi limiti (strumenti finanziari)
3. rafforzare le sue funzioni con idonei
interventi pubblici per accrescere e/o
migliorarne la capacità di produrre servizi
ecosistemici o per ripararlo laddove è
stato compromesso in maniera non
irreversibile (strumenti finanziari)
4. introdurre meccanismi fondati su:
- approcci regolativi di natura pubblica
(come l’applicazione del metodo
tarffario per la risorsa idrica che inglobi
anche i costi per il mantenimento dei
servizi ecosistemici che contribuiscono
alla depurazione naturale dell’acqua
immagazzinata)
- pratiche volontarie da parte dei privati,
ma in qualche modo favorite dalla messa
in campo di azioni pubbliche premiali,
non necessariamente di tipo finanziario.
Quest’ultimo approccio – che potremmo
dfinire di tipo contrattuale ispira il
regolatore pubblico da una parte e
l’utilizzatore privato dall’altra – risulta
sicuramente il più complicato, anche
perché prende in considerazione un
utilizzatore privato che si serve del
capitale naturale per trarre un vantaggio
economico, e non tanto per soddisfare un
bisogno primario.
È questo il terreno su cui si può iniziare
a lavorare per chiedere di pagare quella
quota di capitale naturale che genera i
servizi ecosistemici.
Un utile punto di riferimento su questi
temi è dato dalla ricerca promossa dal
ministero dell’Ambiente, della tutela
del territorio e del mare, presentato alla
fine del 2013 nel corso del convegno La natura dell’Italia. Biodiversità e Aree
protette. La green economy per il rilancio
del paese; lavoro svolto dall’Università
degli Studi del Molise e curato da Davide
Marino e pubblicato dallo stesso Marino
con il titolo Il nostro capitale. Per una
contabilità ambientale dei Parchi nazionali
italiani. Nella prima parte del lavoro, dopo una
sintetica esposizione sulla contabilità
ambientale e sulla sua valutazione
di e?fficacia, sono presentati il VET,
valore economico totale dei parchi, e
la metodologia Mevap (Monitoring
and Evaluation of Protected Areas) il
cui obiettivo principale è la messa a
punto di un sistema di valutazione e
monitoraggio della governance delle aree
naturali protette in Italia con particolare
riferimento al contesto dei Parchi
nazionali.
Si tratta di un primo lavoro che tenta di
sviluppare e applicare una metodologia
di valutazione, sicuramente perfettibile
ma certamente fondata su buone basi
scientifiche.
L’idea che si è sviluppata, partendo dal
convegno Gli strumenti economici per
la valorizzazione del capitale naturale che si è svolto il 21 gennaio scorso a
Bologna, consiste nell’applicazione
di tali metodologie al sistema delle
aree protette e dei siti natura 2000
dell’Emilia-Romagna per arrivare a
valutare il capitale naturale regionale
sotto protezione.
Questo lavoro, che pensiamo di sviluppare
tra il 2015 e il 2016, è finalizzato a una
miglior tutela delle risorse naturali e
all’ottenimento di sistemi di gestione,
valutazione e monitoraggio delle politiche,
coinvolgendo le comunità locali e i
visitatori nella direzione della sostenibilità.
Nell’ambito dei Parchi e dei siti della
Rete Natura 2000 si possono riconoscere
molti servizi, funzioni e prodotti
ecosistemici che sono indispensabili per
la sopravvivenza degli ecosistemi stessi,
ma che sono fondamentali anche per le
comunità locali e per quelle che vivono
nei pressi dell’area stessa.
La sola garanzia di sopravvivenza di specie
e habitat è, secondo gli studi economici,
un valore (elevatissimo) di esistenza (valore
di non uso); se a questo si aggiunge la
conservazione dei servizi ecosistemici e la
loro perpetuazione in termini di ossigeno,
di depurazione delle acque, di produzione
di alimenti, di immagazzinamento di
CO2, di produzione di prodotti del
sottobosco ecc., il valore delle aree protette
è veramente notevole.
Inoltre, l’analisi dei servizi ecosistemici
potrebbe essere importante anche
per considerare politiche di
autofinanziamento dell’area protetta che
non debbono prescindere dagli obiettivi
di conservazione per cui l’area è stata
creata, ma che potrebbero, in alcuni casi
e se necessario, migliorare le condizioni
socio-economiche della comunità del
Parco e svolgere un ruolo educativo nei
confronti di fruitori e studenti.
Monica Palazzini
Servizio Parchi e risorse forestali
Regione Emilia-Romagna
da www.arpa.emr.it/ecoscienza
Impresa Oggi - 9 maggio-2015
Tratto da