Rapporti con Bisanzio
Negli ultimi anni del secolo l'antica nozione di impero andava sempre più concretizzandosi agli occhi di Carlo, anche come riflesso dei lontani bagliori di Bisanzio, dove regnava la basilissa Irene, della quale Carlo era, pur non avendola mai conosciuta, affascinato. Irene sapeva leggere e scrivere, parlava greco e latino, conosceva e leggeva poeti e filosofi, era circondata da pompe favolose e solenni e veniva venerata come una divinità. Davanti a questi racconti Carlo si colmava di stupore e curiosità.
Originaria di Atene, nel 768 Irene aveva sposato l'erede al trono di Bisanzio Leone, figlio dell'Imperatore Costantino V. Nel 775, alla morte di Costantino V, Leone divenne Imperatore con il nome di Leone IV e Irene di conseguenza divenne Imperatrice. Nel 776 Leone incoronò il figlio avuto da Irene, Costantino VI, coimperatore: ciò avvenne su istanza dell'esercito, che avrebbe insistito allo scopo di non avere problemi di successione. Alla morte di Leone IV (780), gli succedette il figlio Costantino VI e la reggenza venne assunta dalla madre Irene, avendo Costantino all'epoca nove anni. Il trono fu subito minacciato dai cinque fratelli dell'Imperatore Leone IV: Niceforo, Cristoforo, Niceta, Antimo e Eudocimo. Essi erano delusi per il fatto che erano stati scavalcati nella successione dal nipote Costantino dopo essere stati illusi dalla nomina a Cesare o Nobilissimi. Essi dunque, dopo due mesi dall'ascesa di Costantino VI, si rivoltarono appoggiando le pretese di Niceforo al trono. La rivolta, a quanto pare appoggiata dagli iconoclasti, fallì e Irene punì i cinque cognati costringendoli a farsi preti. Bisanzio dovette subire nel 781 l'attacco arabo-musulmano: con poco meno di 100.000 uomini, Harun al-Rashid marciò fino al Bosforo, giungendo a occupare la riva opposta a Costantinopoli. Irene affidò l'esercito al logoteta Stauracio e nel 781 lo mandò contro gli Arabi. Tuttavia, a causa di un tradimento, Stauracio venne fatto prigioniero dai Musulmani per poi essere riscattato da Irene, che non intendeva rinunciare al suo servizio. Una tregua fu concordata dalle parti e Irene acconsentì al versamento dell'equivalente di 90.000 dinar aurei a Baghdad, ottenendo in cambio la liberazione dei prigionieri caduti in mano musulmana, mentre venivano liberati per converso quelli musulmani presi dai bizantini. Successivamente Irene inviò il fido Logoteta contro gli Slavi, e Stauracio riuscì a conquistare alcuni territori nella Tracia.
Nel 784 Irene diede inizio al suo piano per abolire l'iconoclastia. Convinse il patriarca Paolo a dimettersi (31 agosto 784) e lo sostituì con uno fedele a lei, Tarasio (25 dicembre 784). Appena eletto, il nuovo patriarca iniziò subito a fare i preparativi per un nuovo concilio che avrebbe condannato l'iconoclastia. Nel 787 dunque si tenne il settimo Concilio Ecumenico a Nicea, che condannò l'iconoclastia, affermando che le icone potevano essere venerate ma non adorate, e scomunicò gli iconoclasti, ripristinando il culto delle immagini sacre. Alla base della tesi del Concilio stava l'idea che l'immagine è strumento che conduce chi ne fruisce dalla materia di cui essa è composta all'idea che essa rappresenta. Si finiva, in definitiva, per riprendere l'idea di una funzione didattica delle immagini che era stata già sviluppata dai padri della chiesa. Il non aver invitato una delegazione franca pesò molto sui rapporti con Carlo Magno, che decise di non tener conto degli esiti del concilio. Nel 787 Irene stipulò un'alleanza con Carlo Magno e progettò il matrimonio tra la figlia di questi, Rotrude, e suo figlio, ma successivamente Irene ruppe l'accordo - si disse perché timorosa che Carlo Magno avrebbe spinto Costantino VI a svincolarsi dalla tutela materna - e costrinse Costantino a sposare la figlia di un piccolo nobile bizantino. Nonostante Costantino VI avesse raggiunto la maggiore età, Irene continuava ad amministrare al suo posto gli affari di stato, cosa che Costantino non accettava più. Dando la colpa di ciò a Stauracio, nel 790 Costantino ordì una congiura contro di lui ma Irene riuscì a soffocare la congiura e fece arrestare il figlio. Irene tentò quindi di convincere l'esercito a legittimarle il potere assoluto sullo stato (anche se Costantino VI, nei piani di Irene, sarebbe rimasto comunque coimperatore) costringendolo a giurare «Finché tu vivrai, noi non riconosceremo tuo figlio come imperatore», ma pur ottenendo l'appoggio delle truppe della capitale, l'opposizione delle truppe anatoliche (favorevoli all'iconoclastia e dunque a Costantino VI) le impedì la realizzazione dei suoi piani; infatti esse nominarono unico imperatore Costantino VI (ottobre 790) costringendo l'ambiziosa imperatrice ad abbandonare il palazzo imperiale e a ritirarsi nel Palazzo di Eleuterio.
Due anni dopo tuttavia, grazie all'appoggio dei suoi partigiani, Irene riuscì di nuovo a ottenere il titolo di imperatrice, regnando insieme al figlio. In un momento in cui Costantino VI era estremamente impopolare, Irene ne approfittò per deporlo conscia che non avrebbe trovato opposizioni. Il 17 luglio 797 si tentò di tendere un agguato al basileus per assassinarlo, ma Costantino riuscì a sfuggire e trovò rifugio in Asia Minore, dove avrebbe potuto contare dell'appoggio delle truppe anatoliche. Irene vedendo che i suoi complici esitavano e la popolazione era favorevole a Costantino decise di giocare la sua ultima carta minacciando molti dei cortigiani che si erano compromessi con lei a rivelare a Costantino la loro intenzione di tradirlo se non l'avessero aiutata. Viste le minacce, i congiurati decisero di aiutare Irene: Costantino VI venne portato a forza a Costantinopoli, detronizzato e accecato (15 agosto 797). Irene continuò a governare come unica imperatrice. Essendo la prima imperatrice bizantina ad essere imperatrice regnante e non imperatrice consorte, assunse il titolo di basileus (imperatore/re) al posto di quello di basilissa (imperatrice/regina). Per non perdere popolarità Irene mitigò l'imposizione fiscale, abolendo la tassa cittadina a Costantinopoli (che era molto alta), riducendo i dazi che i mercanti erano tenuti a pagare nei porti di Costantinopoli e favorendo i monasteri, che appoggiavano la sua politica. Questa politica fiscale, pur garantendole popolarità, danneggiò il sistema erariale bizantino. Irene dovette affrontare il problema della successione al trono, che alla sua morte sarebbe rimasto vacante: dei figli di Costantino VI, l'unico maschio ancora in vita era nato dopo l'accecamento del sovrano e dunque era considerato bastardo e in quanto tale impossibilitato a succedere a Irene. I due eunuchi che consigliavano Irene, Stauracio ed Ezio, si contesero la successione, ambendo entrambi a porre sul trono di Bisanzio uno dei loro parenti. Ezio e Stauracio erano acerrimi nemici e ognuno cercava di provocare la caduta in disgrazia dell'altro, con intrighi vari.
Il fatto che il trono "romano" fosse occupato da una donna spinse il papa a considerare il trono "romano" vacante, nominando "Imperatore dei Romani" il re dei Franchi e dei Longobardi Carlo Magno; il giorno di natale dell'800 non fu ben accolto dall'Impero d'Oriente che tuttavia non aveva i mezzi per intervenire. Nell'802 Carlo Magno tentò di risolvere il problema inviando dei messi a Costantinopoli per proporre a Irene di sposarlo in modo da «riunificare l'Oriente e l'Occidente». Tuttavia le negoziazioni non andarono a buon fine perché nello stesso anno l'Imperatrice Irene fu detronizzata da una congiura che pose sul trono Niceforo I.
Rapporti con l'Islam
Con la qualifica di Imperatore, Carlo Magno intrattenne rapporti con tutti i sovrani europei ed orientali. Nonostante le sue mire espansionistiche nella marca spagnola, e il conseguente appoggio ai governatori rivoltosi al giogo dell'emirato di Cordova di al-Andalus, tessé una serie di importanti relazioni con il mondo musulmano. Corrispose addirittura con il lontano califfo di Baghdad Harun al-Rashid, al quale chiese gli fosse concessa la protezione del Santo Sepolcro di Gesù a Gerusalemme e sulle carovane di pellegrini che vi si recavano. Il califfo, che vedeva in lui un possibile antagonista dei suoi nemici Omayyadi di al-Andalus e di Bisanzio, rispose positivamente alla richiesta anche se - con evidente ironia - gli concesse quell'onore, ma solo su un piano formale. Non mancarono comunque missioni diplomatiche dall'una e dall'altra parte, agevolate da un intermediario ebreo - Isacco - che, come traduttore per conto dei due inviati, Landfried e Sigismondo, nonché per la sua "terzietà", ben si prestava allo scopo. I due sovrani si scambiarono così alcuni doni e, durante uno dei suoi molteplici viaggi in Italia, Carlo Magno ritirò a Pavia una scacchiera completa con pedine in avorio regalatagli dal califfo abbaside.
Ad Aquisgrana, l'Imperatore ospitava il regalo a cui teneva di più: si trattava di un elefante, di nome Abul-Abbas, donatogli (forse dietro sua stessa richiesta) dallo stesso califfo abbaside. Carlo lo considerava come un ospite straordinario, da trattare con tutti i riguardi: lo faceva tenere pulito, gli dava personalmente da mangiare e gli parlava. Probabilmente il clima gelido in cui il pachiderma era costretto a vivere lo fece deperire fino a condurlo alla morte per congestione. L'Imperatore ne pianse, ordinando tre giorni di lutto in tutto il regno.
Vecchiaia e successione
La prima stabilità che cerca l'uomo maturo è quella della dimora. Irene non era lontana dal vero quando dileggiava Carlo, paragonando il proprio scintillante palazzo imperiale con le sedi vaganti dei franchi, errabondi tra selve e forerste, di freddo castello in freddo castello. Ma la mancanza di una capitale e di una sede imperiale si faceva sentire man mano che la vita di Carlo si avviava verso la vecchiaia.
Tra la Mosa e il Reno andò a fermarsi la scelta di Carlo, quando decise di costruirsi una capitale; già da alcuni anni aveva messo l'occhio sul borgo di Aquisgrana, un antico posto militare romano dotato di terme. La scelta, una volta decisa, fu portata a compimento rapidamente. I lavori iniziarono nel 794, condotti di gran lena e con vasto impiego di mezzi. Già nel 796 il palazzo di Aquisgrana era in piedi e Carlo incominciò ad abitarlo come dimora fissa del suo governo. La salute malferma di Liutgarda, l'ultima moglie di Carlo, fece accelerare i lavori perchè la regina non aveva la forza di sopportare continui spostamenti di residenza. Anche l'immagine di Irene vi portò il suo contributo: quel gusto della grandezza come segno visibile di potenza che le descrizioni del palazzo di Bisanzio stimolavano ad emulare, era quasi un dovere per chi si considerava non più secondo ad alcuno sulla Terra. Con Aquisgrana si torna alla pietra e alla grandezza, dopo centinaia d'anni di squallore, di silenzio, di povertà, l'ombra dell'impero romano, scomparso da tre secoli, risaliva le Alpi e veniva a proiettarsi proprio dove una volta erano i suoi confini, nella lontana terra dei germani. Il palazzo di Aquisgrana era all'altezza delle intenzioni di Carlo. Lo era per la vastità delle sue dimensioni, per la ricchezza degli ambienti per l'armonia delle sue forme, per le colonne che ricordavano Roma e per i mosaici con l'impronta degli edifici bizantini. Carlo stava sui cantieri giorno e notte, quando alla luce delle torce si completava qualche opera. Girava con in mano le carte dei disegni, numeri e schemi, simile a un condottiero in battaglia quale sempre era stato. La regina Liutgarda gli stava al fianco raggiante nella sua gioventù, tutta presa dall'entusiasmo di parteciparte a quell'avventura. Nel palazzo erano predisposti gli appartamenti destinati agli ambasciatori: Sembrava un corteo di continue onoranze. Vennero ad Aquisgrana ambasciatori di Bisanzio, del califfo di Bagdad, dei re britannici, emiri arabi, capi scandinavi, bulgari, sassoni. Tutti portavano messaggi d'amicizia e doni; tutti con l'intento di ingraziarsi l'uomo ritenuto più potente della Terra.
Negli ultimi anni della sua vita, Carlo seppe dare anche un'impronta culturale al suo regno; ad Aquisgrana fu distillato un succo eccezionale di intelligenze. Non per caso erano state riunite le più fini menti d'Europa, inglesi, spagnoli, italiani, germanici, franchi, longobardi, un'associazione internazionale del pensiero più moderno e ardito del tempo, al fine di cristallizzare una dottrina senza frontiere che avesse nella sua matrice l'impronta universalistica dell'impero. Con Carlo Magno nasce per la prima volta il principio di un'Europa unita, libera da regionalismi e nazionalismi. Inoltre, quest'uomo che aveva passato tutta la sua vita tra guerre e violenze la terminò circondato da letterati, filosofi e poeti. Aveva fatto venire da Atene e Bisanzio una colonia di dotti greci e siriani cui aveva affidato il riordinamento dei vangeli, le sacre scritture erano il fondamento di tutto il sapere medioevale e Carlo si impose di purgarle da ogni errore.
Nell'810 Carlo conduce la sua ultima guerra; questa volta contro i normanni (dell'attuale Danimarca); questi avevano organizzato basi sicure per le loro scorrerie lungo le coste germaniche e franche, nei territori dell'Impero di Carlo. I normanni che Carlo non era mai riuscito a sconfiggere perchè non aveva mia voluto una flotta per combattere sui mari. Carlo si mosse con un esercito poderoso deciso a spazzarli dalla Danimarca; ma il capo dei normanni, Godfredo, venne assassinato dai suoi luogotenenti che inviarono ambasciatori a Carlo. Si stabilì che la frontiera tra Danimarca e Impero sarebbe stata la stretta penisola dello Jutland e che quel confine divenisse una barriera duratura che nessuno potesse attraversare nè per via di mare nè per via di terra. Acora oggi, la frontiera tra Danimarca e Germania è rimasta ferma su questa linea. Carlo si gloriò molto per questa vittoria ottenuta senza combattimenti e si rese definitivamente conto che il solo movimento di truppe franche mandava i nemici nel panico. Anche l'Impero bizantino non poteva più nulla se aveva dovuto cedere a Venezia, il più importante porto dell'Impero Franco, il monopolio dei traffici sulle rotte verso oriente. Solo dopo la morte del figlio Pipino e il riconoscimento formale da parte di Bisanzio del titolo di imperatore, allora Carlo, oramai stanco e solo, riconsegnò Venezia ai biazantini, d'altra parte si sapeva che Carlo non amava il mare. Il paesaggio degli affetti di Carlo si era del tutto diradato, sia di quelli familiari che delle amicizie. Era scomparso Adriano, era morto Alcuino, il suo grande maestro, confidente e amico; le mogli se n'erano tutte andate, come due figli, era morta la sorella Gisla, era morta la figlia Rotruda, era morta Irene e con lei, forse l'ultimo dei suoi sogni. Carlo era rimasto solo, la sua lunga vita aveva scavalcato la vita dei giovani. Nell'ultima dieta di Magonza, per la prima volta, non si parlò di guerre da intraprendere ma di pace; l'unica decisione militare fu l'incarico al governatore dell'alta Sassonia di eliminare i nidi di ribelli che ancora molestavano i presidi dei franchi.
Carlo Magno, seguendo la tradizione franca, non riteneva né fattibile né opportuno tenere unito un regno così vasto, per questo aveva previsto la spartizione del regno tra i suoi figli maschi alcuni anni prima della morte. I confini spettanti a ciascuno dei suoi tre figli legittimi dovevano essere i seguenti:
a Carlo la Neustria, l'Austrasia e parti della Baviera;
a Ludovico l'Aquitania, la Borgogna, la Linguadoca.
a Pipino il Regno d'Italia e la Provenza.
Sfortunatamente, Carlo e Pipino morirono improvvisamente e Carlo affiancò Ludovico al governo del regno nell'811, nominandolo unico erede. Nel corso della nomina di Ludovico non v'era alcun dignitario della Curia di Roma; il papa fu ignorato sia nella forma che nella sostanza. Fu Carlo in persona a porre la corona imperiale sul capo di Ludovico; Carlo che era stato il grande artefice della rinnovata potenza di Roma sarà lui stesso ad avviare quella lotta per il primato tra impero e papato che sarà una costante nei secoli futuri. Negli ultimi anni di vita Carlo Magno aveva ormai perso il vigore della giovinezza e, stanco nel fisico e nello spirito, si era votato alle pratiche religiose. Questa svolta sembrò poi segnare l'esperienza al governo di suo figlio Ludovico, detto appunto "il Pio". Carlo morì, il 28 gennaio dell'814 ad Aquisgrana e venne sepolto nella locale cattedrale. E' vero che, dopo la sua morte, per Carlo Magno cominciò l'era del mito e delle chanson de geste, ma giova anche ricordare che Carlo lasciò un'Europa unificata dalle sue leggi e dalla sua organizzazione del potere. Quando Carlo si affacciò alla ribalta della storia la vita degli uomini era dominata dal disordine, dall'incertezza, era in preda all'anarchia dei poteri, delle regole, delle interpretazioni della fede attraverso la molteplicità delle eresie. Carlo Magno mise ordine nel caos, cancellò le confusioni in cui si stava smarrendo il corso dell'alto medioevo, diede armonia a un mondo disarticolato. Nell'ordine e nell'organizzazione trovò lo strumento naturale del suo potere; aveva riempito quel deserto che da trecento anni la caduta dell'impero romano aveva lasciato alle sue spalle.
Eugenio Caruso - 14 novembre 2016
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