Le Res gestae divi Augusti, cioè "Le imprese del divino Augusto", o Index rerum gestarum, sono un resoconto redatto dallo stesso Augusto prima della morte e riguardante le opere che compì durante la sua vita. Il testo ci è giunto inciso in latino e in traduzione greca sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra, l'odierna Ankara in Turchia.
Secondo le volontà dello stesso Augusto, espresse nel rotolo contenente le sue imprese e da lui affidato alle Vestali assieme al testamento, alle disposizioni per il suo funerale e a un bilancio dello stato redatto un anno prima di morire, il testo delle Res Gestae doveva essere inciso su tavole di bronzo da porre davanti alla sua tomba, il Mausoleo. Il luogo scelto da Augusto aveva una valenza fortemente ideologica. Al di là della struttura di ascendenza ellenistica del Mausoleo, campeggiante la statua di Augusto e prossima all'Ara pacis, va ricordato che prima del principe erano stati sepolti tutti coloro che in qualche modo erano connessi alla nuova dinastia, Marco Claudio Marcello, Agrippa, Druso maggiore, la sorella Ottavia, Lucio e Gaio Giulio Cesare, i nipoti designati alla successione. Il luogo ideale nel quale esporre le Res Gestae, grazie al quale il lettore sarebbe stato indotto, non solo dalle parole, ma anche dal contesto architettonico, a non distinguere la storia dalle imprese private e la memoria pubblica da quella privata.
Oltre al testo di Ankara, si conoscono copie epigrafiche frammentarie provenienti dalla medesima provincia di Galazia (l'unica annessione orientale di Augusto), da Antiochia (testo latino) a poca distanza da Yalvaç, da Apollonia (greca), identificata nel sito dell'attuale villaggio di Uluborlu, località entrambe a non molta distanza da Ankara. Aree lontane dalla costa dell'Asia minore e non molto ellenizzate, mentre nessuna copia da Efeso o Pergamo. Ciò può essere spiegato col fatto che Augusto volesse dare alla regione asiatica interna (così frammentata in realtà culturali, sociali e religiosi diverse) un assetto politico stabile, basato sul riconoscimento del potere di Roma e di Augusto, il suo tramite. Non stupisce perciò che le Res Gestae fossero incise sul tempio dedicato al culto imperiale: piccole città, come Apollonia, Ancira, Antiochia erano pertanto unite dal filo conduttore del culto di Augusto.
Quanto al testo più completo, quello di Ancira, esso fu riconosciuto per la prima volta nel 1555 da A. Ghiselin de Busbecq, ambasciatore di Ferdinando I d'Asburgo presso il Solimano. Già lo scopritore lamentava dello scadente stato di conservazione del testo, che credeva inciso sui muri della residenza del governatore. L'indagine archeologica moderna ha invece dimostrato con certezza che l'edificio era un tempio dedicato a Roma e Augusto, che un tempo, secondo le opinioni più recenti, sarebbe stato edificato in origine in onore della Grande Madre dell'Anatolia. La scelta di non edificare un nuovo tempio serviva proprio per collegare strettamente il culto di Roma con quello verso la divinità più antica della regione.
Dell'originario tempio dedicato ad Augusto e Roma, si conservano ora solo il pronao e le due pareti laterali, una delle quali presenta uno squarcio di notevoli dimensioni. All'interno del pronao, a sinistra e a destra, è inciso il testo latino dell'iscrizione disposto simmetricamente in sei colonne di scrittura, per un'altezza di 2,70 m e larghezza di 4 m. La traduzione greca si sviluppa all'esterno, lungo la parete laterale intatta della cella, ordinata su 19 colonne, alte circa 1,25 m. I ruderi del tempio misurano ancora 12 m di altezza e 32, 50 m di lunghezza. Nel 1997 è stato lanciato un grido d'allarme per lo stato di conservazione del testo, ormai ampiamente illeggibile, affinché non vada perduta la memoria di Augusto: l'allarme è stato accolto dall'Università degli Studi di Trieste che ha attivato il Progetto Ancyra, finalizzato alla messa in sicurezza del tempio e alla conservazione dell'iscrizione.
Funzione e testo delle Res Gestae
Non è facile capire a quale genere letterario appartengano le Res Gestae: testamento, politico, resoconto, memoria, autobiografia, iscrizione sepolcrale, memoriae vitae. In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riporta gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi, le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo stato, ai veterani e alla plebe, e i giochi e rappresentazioni dati a sue spese (dalle informazioni che Augusto fornisce si può capire quanto grande fosse la potenza economica dell'imperatore)e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra. Lo scrupolo con cui elenca le cariche religiose è indice di un nascente processo di sacralizzazione del potere, che trova espressione anche nel titolo di augustus, ottenuto dal Senato.
Augusto parla di sé in prima persona. Si serve di periodi brevi; il lessico è concreto e lascia al lettore la possibilità di cogliere immediatamente il testo. La data di composizione è indicata dallo stesso Augusto, quando afferma di essere nel settantaseiesimo anno, cioè nel 14 d.C., essendo nato nel 63 a.C. Dato che nel cap. 4 cioè il riferimento alla trentasettesima tribunicia potestas conferita il giugno del 14 d.C. e visto che egli morì nell'agosto del medesimo anno, è lecito ritenere che Augusto abbia completato la redazione delle Res Gestae nelle ultime settimane di vita. Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure di nessun membro della sua famiglia, a eccezione dei successori designati, Agrippa, Gaio e Lucio Cesari e Tiberio.
I modelli a cui Augusto si rifece sono a Roma la colonna di Caio Duilio, vincitore dei cartaginesi nel 260 a.C. a Milazzo, esposta nel Foro di Augusto; la tavola, scritta in prima persona, le strade fatte costruire da Publio Popilio Lenate, console del 132 a.C.; nonché l'iscrizione fatta porre da Annibale nel tempio di Giunone Licinia a Capo Colonna. L'aspetto ellenizzante tuttavia pare evidente nell'esaltazione di un capo di Stato, che però trova un sincretismo con concetti romani, tanto da produrre comunque l'impressione di essere di fronte a un uomo d'eccezione, che compie cose non accessibili agli esseri comuni. Nelle province, soprattutto orientali, veniva perseguita una continuità con sovrani cosmocratici, come Alessandro Magno o Dario I; a Roma, al contrario, Augusto si ricollegava agli Scipioni, a Pompeo, a Cesare pur, in qualche modo, superandoli. Con le Res Gestae, quindi sia un uomo colto della nobilitas, un orientale, o un semplice membro della plebe urbana trovava modo di comprendere il messaggio che il primo imperatore divinizzato, non a caso figlio del Divo Giulio, lasciava ad intendere.
Augusto racconta che all'età di 19 anni costituì un esercito a sue spese e con la benedizione del Senato. Nello stesso anno fu eletto console. Con questi mezzi riuscì ad esiliare e punire gli assassini di Giulio Cesare, suo padre adottivo (1-3). Questi passi delle Res Gestae mostrano i cardini dell'ideologia augustea. Ottaviano, uscito vincitore dalle guerre civili, impone la propria lettura storica: il suo intervento nelle guerre civili non è di parte, ma in difesa e per conto del Senato e dello stato romano.
Tuttavia Augusto omette alcuni avvenimenti: cita la sua elezione a console, poiché erano morti entrambi i consoli. Ma non specifica che i consoli erano morti in guerra con lui e aveva vinto la guerra e imposto al Senato la sua elezione marciando su Roma armato. Tralascia inoltre di citare contro chi aveva combattuto, cioè Marco Antonio, per nascondere le sue posizioni ambigue verso costui: infatti in un primo momento lo combatté, poi lo nominò triumviro insieme a lui e infine lo sconfisse ad Azio.
« Narrazione delle imprese del divino Augusto attraverso le quali sottomise tutto il mondo al potere del popolo romano, e del denaro che spese per la Repubblica e per il popolo romano, come sta scritto in due stele di bronzo a Roma.»
Pars prima.Capitoli 1-14
« 1. A 19 anni[7], di mia iniziativa e con spesa privata, misi insieme un esercito, con il quale vendicai la Repubblica oppressa nella libertà dalla dominazione di una fazione. In quel nome, essendo consoli Gaio Vibio Pansa e Aulo Irzio (43 a.C.), il Senato mi incluse nel suo ordine per decreto onorifico, dandomi assieme il rango consolare e l'imperium militare. La Repubblica mi ordinò di provvedere, essendo io propretore, insieme ai consoli che nessuno potesse portare danno. Nello stesso anno il Popolo romano mi elesse console[8] e triumviro per riordinare la Repubblica, poiché entrambi i consoli erano stati uccisi in guerra. »
«2. Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre punendo il loro delitto con procedimenti legali[9]; e muovendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia.[10] »
«3. Combattei spesso guerre civili ed esterne in tutto il mondo per terra e per mare; e da vincitore lasciai in vita tutti quei cittadini che implorarono grazia. Preferii conservare i popoli esterni, ai quali si poté perdonare senza pericolo, piuttosto che sterminarli. Quasi cinquecentomila cittadini romani in armi sotto le mie insegne; dei quali inviai più di trecentomila in colonie o rimandai nei loro municipi, compiuto il servizio militare; e a essi assegnai terre o donai denaro in premio del servizio. Catturai 600 navi oltre a quelle minori per capacità alle triremi.»
« 4. Due volte ebbi un'ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli e fui acclamato ventun volte imperator, sebbene il senato deliberasse un maggior numero di trionfi, che declinai. Deposi l'alloro dai fasci in Campidoglio, sciogliendo così i voti solenni che avevo pronunciato per ciascuna guerra. Per le imprese per terra e per mare compiute da me o dai miei legati, sotto i miei auspici, cinquantacinque volte il senato decretò solenni ringraziamenti agli dèi immortali. I giorni poi durante i quali per decreto del senato furono innalzate pubbliche preghiere furono ottocentonovanta. Nei miei trionfi furono condotti davanti al mio carro nove re o figli di re. Ero stato console tredici volte quando scrivevo queste memorie ed ero per la trentasettesima volta rivestito della podestà tribunizia. »
« 5. Non accettai la dittatura che sotto il consolato di Marco Lello e Lucio Arrunzio mi era stata offerta, sia mentre ero assente sia mentre ero presente nell'Urbe, e dal popolo e dal senato. Non mi sottrassi invece, in una estrema carestia ad accettare la sovrintendenza dell'annona, che ressi in modo tale da liberare in pochi giorni dal timore e dal pericolo l'intera Urbe, a mie spese e con la mia solerzia. Anche il consolato, offertomi allora annuo e a vita, non accettai. »
« 6. Sotto il consolato di Vinicio e Lucrezio e poi di Publio Lentulo e Gneo Lentulo e ancora di Fabio Massimo e Tuberone nonostante l'unanime consenso del senato e del popolo romano affinché io fossi designato unico sovrintendente delle leggi e dei costumi con sommi poteri, non accettai alcuna magistratura conferitami contro il costume degli antenati. E allora ciò che il senato volle che fosse da me gestito, lo portai a compimento tramite il potere tribunizio, di cui chiesi ed ottenni dal senato per più di cinque volte consecutive un collega. »
« 7. Fui triumviro per riordinare la Repubblica per dieci anni consecutivi. Fui Princeps senatus fino al giorno in cui scrissi queste memorie per 40 anni. E fui pontefice massimo, augure, quindecemviro alle sacre cerimonie, settemviro degli epuloni, fratello arvale, sodale Tizio, feziale. »
« 8. Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del senato. Tre volte procedetti a un'epurazione del senato. E durante il sesto consolato feci il censimento della popolazione,[11] avendo come collega Marco Agrippa. Celebrai la cerimonia lustrale dopo quarantadue anni. In questo censimento furono registrati quattromilionisessantatremila cittadini romani. Poi feci un secondo censimento[12] con potere consolare, senza collega, sotto il consolato di Gaio Censorio e Gaio Asinio, e in questo censimento furono registrati quattromilioni e duecentotrentamila cittadini romani. E feci un terzo censimento[13] con potere consolare, avendo come collega mio figlio Tiberio Cesare, sotto il consolato di Sesto Pompeio e Sesto Apuleio; in questo censimento furono registrati quattromilioni e novecentotrentasettemila cittadini romani. Con nuove leggi, proposte su mia iniziativa, rimisi in vigore molti modelli di comportamento degli avi, che ormai nel nostro tempo erano caduti in disuso, e io stesso consegnai ai posteri esempi di molti costumi da imitare. »
« 9. Il senato decretò che venissero fatti voti per la mia salute dai consoli e dai sacerdoti ogni quattro anni. Il seguito a questi voti spesso, durante la mia vita, talvolta i quattro più importanti colleghi sacerdotali, talvolta i consoli allestirono giochi. Anche i cittadini, tutti quanti, sia a titolo personale, sia municipio per municipio, unanimemente, senza interruzione, innalzarono pubbliche preghiere per la mia salute in tutti i templi. »
« 10. Il mio nome per senatoconsulto fu inserito nel carme Saliare e fu sancito per legge che fossi inviolabile per sempre e che avessi la potestà tribunizia a vita. Rifiutai di diventare pontefice massimo al posto di un mio collega ancora in vita, benché fosse il popolo a offrirmi questo sacerdozio, che mio padre aveva rivestito. E questo sacerdozio accettai, qualche anno dopo, sotto il consolato di Publio Sulpicio e Gaio Valgio, morto colui che ne aveva preso possesso approfittando del disordine politico interno, e confluendo ai miei comizi da tutta l'Italia una moltitudine tanto grande quanta mai a Roma si dice vi fosse stata fino a quel momento. »
« 11. Il senato deliberò al mio ritorno la costruzione dell'altare della Fortuna Reduce, davanti ai templi dell'Onore e della Virtù, presso la porta Capena, e ordinò che su di esso i pontefici e le vergini Vestali celebrassero un sacrificio ogni anno nel giorno in cui, sotto il consolato di Quinto Lucrezio e Marco Vinicio, ero tornato a Roma dalla Siria, e designò quel giorno Augustalia, dal mio soprannome. »
« 12. Per decisione del senato una parte dei pretori e dei tribuni della plebe con il console Quinto Irzio Lucrezio e con i cittadini più influenti mi fu mandata incontro in Campania, e questo onore non è stato decretato a nessuno tranne che a me[14]. Quando, sotto consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia, dopo aver portato a termine con successo i programmi prestabiliti[15], il senato decretò che per il mio ritorno dovesse essere consacrato l'altare della Pace Augusta vicino al Campo Marzio, e ordinò che su di esso i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali facessero ogni anno un sacrificio. »
« 13. Il tempio di Iano Quirino Giano), che i nostri antenati vollero che venisse chiuso quando fosse stata partorita la pace con la vittoria per tutto l'impero Romano per terra e per il mare, prima che io nascessi, dalla fondazione della città fu chiuso in tutto due volte, sotto il mio principato per tre volte il senato decretò che dovesse essere chiuso.[16] »
« 14. I miei figli, che la sorte mi strappò in giovane età, Gaio e Lucio Cesari, in mio onore il senato e il popolo romano designarono consoli all'età di quattordici anni, perché rivestissero tale magistratura dopo cinque anni. E il senato decretò che partecipassero ai dibattiti di interesse pubblico dal giorno in cui furono accompagnati nel Foro. Inoltre i cavalieri romani, tutti quanti, vollero che entrambi avessero il titolo di principi della gioventù e che venissero loro donati scudi e aste d'argento[17].»
Pars altera. Capitoli 15-24
« 15. Alla plebe di Roma[18] pagai in contanti a testa trecento sesterzi (1.800 euro [0]) in conformità alle disposizioni testamentarie di mio padre[19], e a mio nome diedi quattrocento sesterzi a ciascun provenienti dalla vendita del bottino delle guerre, quando ero console per la quinta volta[20]; nuovamente poi, durante il mio decimo consolato[21], con i miei beni pagai quattrocento sesterzi di congiario a testa, e console per l'undicesima volta[22] calcolai e assegnai dodici distribuzioni di grano, avendo acquistato a mie spese il grano in grande quantità e, quando rivestivo la potestà tribunizia per la dodicesima volta[23], diedi per la terza volta quattrocento nummi a testa. Questi miei congiari non pervennero mai a meno di duecentocinquantamila uomini. Quando rivestivo la potestà tribunizia per la diciottesima volta ed ero console per la dodicesima volta[24] diedi sessanta denari a testa a trecentoventimila appartenenti alla plebe urbana. E ai coloni che erano stati miei soldati, quando ero console per la quinta volta, distribuii a testa mille nummi dalla vendita del bottino di guerra; nelle colonie ricevettero questo congiario del trionfo circa centoventimila uomini. Console per la tredicesima volta diedi sessanta denari alla plebe che allora riceveva frumento pubblico; furono poco più di duecentomila uomini[25].»
« 16. Pagai ai municipi il risarcimento dei terreni che durante il mio quarto consolato[26] e poi sotto il consolato di Marco Crasso e Gneo Lentulo Augure[27] assegnai ai soldati. E la somma, che pagai in contanti, per le proprietà italiche ammontò a circa seicento milioni di sesterzi (circa 3 miliardi e seicento milioni di euro) e fu di circa duecentosessanta milioni ciò che pagai per i terreni provinciali. E a memoria del mio tempo compii quest'atto per primo e solo fra tutti coloro che fondarono colonie di soldati in Italia o nelle province. E poi sotto il consolato di Tiberio Nerone e Gneo Pisone e nuovamente sotto il consolato di Gaio Antistio e Decimo Lelio e Gneo Calvisio e Lucio Pasieno e di Lucio Lentulo e Marco Messalla e Lucio Caninio e Quinto Fabrizio[28] ai soldati che, terminato il servizio militare, feci ritornare nei loro municipi, pagai premi in denaro contante, e per questa operazione spesi circa quattrocento milioni di sesterzi.»
« 17. Quattro volte aiutai l'erario con denaro mio, sicché consegnai centocinquanta milioni di stesterzi a coloro che sovrintendevano l'erario. E sotto il consolato di Marco Lepido e Lucio Arrunzio trasferii l'erario militare[29], che fu costituito su mia proposta perché da esso si prelevassero i premi da dare ai soldati che avessero compiuto venti o più anni di servizio[30], centosettanta milioni di sesterzi prendendoli dal mio patrimonio.»
« 18. Dall'anno in cui furono consoli Gneo e Publio Lentulo[31], scarseggiando le risorse dello Stato, feci donazioni in frumento e in denaro ora a centomila persone ora a molte più, attingendo dal mio granaio e dal mio patrimonio. »
« 19. Ho eretto la Curia[32] e il portico contiguo e il Tempio di Apollo[33] sul Palatino con i portici, il tempio del divino Giulio, il Lupercale, il portico nei pressi del circo Flaminio - tollerai che fosse chiamato Ottavio, dal nome di chi aveva eretto la struttura precedente, in quello stesso luogo -, il Pulvinar al Circo Massimo, i templi sul Campidoglio di Giove Feretro e Giove Tonante, il tempio di Quirino, i templi di Minerva e di Giunone Regina e di Giove Liberatore sull'Aventino, il tempio dei Lari in cima alla Via Sacra, il tempio dei Penati sulla Velia, il tempio di Iuventas e il tempio della Grande Madre sul Palatino. »
« 20. Restaurai il Campidoglio e il Teatro di Pompeo, l'una e l'altra opera con grande spesa, senza apporvi alcuna iscrizione del mio nome. Restaurai gli acquedotti cadenti per vetustità in parecchi punti, e raddoppiai il volume dell'acqua detta Marcia con l'immissione nel suo condotto di una nuova sorgente. Terminai il Foro Giulio e la basilica fra il Tempio di Castore e il Tempio di Saturno, opere iniziate e quasi ultimate da mio padre, e dopo averne ampliato il suolo, iniziai a ricostruire la medesima basilica, che era stata divorata da un incendio intitolandola al nome dei miei figli, e stabilii che, se non l'avessi terminata io da vivo, fosse terminata dai miei eredi. Console per la sesta volta[11], restaurai nell'Urbe, per volontà del senato, ottantadue templi degli dèi, e non ne tralasciai nessuno che in quel tempo dovesse essere restaurato. Console per la settima volta[34], rifeci la Via Flaminia dall'Urbe a Rimini e tutti i ponti, tranne il Milvio e il Minucio[35].»
« 21. Su suolo privato costruii il Tempio di Marte Ultore e il Foro di Augusto col bottino di guerra.[36] Presso il Tempio di Apollo su suolo comprato in gran parte da privati costruii un teatro, che volli fosse intitolato a mio genero, Marco Marcello. Consacrai doni ricavati dal bottino di guerra nel Campidoglio, e nel Tempio del Divo Giulio, e nel Tempio di Apollo, e nel tempio di Vesta[37], e nel tempio di Marte Ultore: essi mi costarono circa cento milioni di sesterzi. Console per quinta volta[38], restituii trentacinquemila libbre di oro coronario[39] ai municipi e alle colonie d'Italia che lo donavano per i miei trionfi, e in seguito, tutte le volte che fui proclamato imperator, non accettai l'oro coronario, anche se i municipi e le colonie lo decretavano con la medesima benevolenza con cui lo avevano decretato in precedenza.»
« 22. Tre volte allestii uno spettacolo gladiatorio a nome mio e cinque volte a nome dei miei figli o nipoti; e in questi spettacoli combatterono circa diecimila uomini. Due volte a mio nome offrii al popolo spettacolo di atleti fatti venire da ogni parte, e una terza volta a nome di mio nipote[40]. Allestii giochi a mio nome quattro volte, invece al posto di altri magistrati ventitré volte. In nome del collegio dei quindecemviri, come presidente del collegio, avendo per collega Marco Agrippa, durante il consolato di Gaio Furnio e Gaio Silano, celebrai i Ludi Secolari[41]. Durante il mio tredicesimo consolato[42] celebrai per primo i Ludi di Marte che in seguito e di seguito negli anni successivi, per decreto del senato e per leggi, furono celebrati dai consoli. Allestii per il popolo ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, cacce di belve africane, nel circo o nel foro o nell'anfiteatro, nelle quali furono ammazzate circa tremilacinquecento belve.»
« 23. Allestii per il popolo uno spettacolo di combattimento navale al di là del Tevere, nel luogo in cui ora c'è il bosco dei Cesari[43], scavato il terreno per un lunghezza di milleottocento piedi e per una larghezza di milleduecento; in esso vennero a conflitto trenta navi rostrate triremi o biremi, e, più numerose, di stazza minore; in questa flotta combatterono, a parte i rematori, circa tremila uomini.»
« 24. Nei templi di tutte le città della provincia d'Asia ricollocai, vincitore, gli ornamenti che, spogliati i templi, aveva posseduto a titolo privato colui al quale avevo fatto guerra.[44] Mie statue pedestri ed equestri e su quadrighe, in argento, furono innalzate nell'Urbe in numero di ottanta circa, ma io spontaneamente le rimossi e dal denaro ottenuto ricavai doni d'oro che collocai nel tempio di Apollo a nome mio e di quelli che mi tributarono l'onore delle statue.»
Pars tertia. Capitoli 25-35
«25. Stabilii la pace sul mare liberandolo dai pirati[45]. In quella guerra catturai circa trentamila schiavi che erano fuggiti dai loro padroni e avevano impugnato le armi contro lo Stato, e li consegnai ai padroni perché infliggessero una pena. Tutta l'Italia giurò spontaneamente fedeltà a me[46] e chiese me come comandante della guerra in cui (poi) vinsi presso Azio; giurarono parimenti fedeltà le province di Gallia, delle Spagne, di Africa, di Sicilia e di Sardegna. I senatori che militarono allora sotto le mie insegne furono più di settecento, tra essi, o prima o dopo, fino al giorno in cui furono scritte queste memorie, ottantatré furono eletti consoli, e circa centosettanta sacerdoti.»
« 26. Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le provincie delle Gallie e delle Spagne[47], come anche la Germania nel tratto che confina con l'Oceano, da Cadice alla foce del fiume Elba[48]. Feci sì che fossero pacificate le Alpi[49], dalla regione che è prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, senza aver portato guerra ingiustamente a nessuna popolazione. La mia flotta navigò l'Oceano dalla foce del Reno verso le regioni orientali fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra né per mare giunse alcun romano prima di allora[50], e i Cimbri e i Caridi e i Sennoni e altri popoli germani della medesima regione chiesero per mezzo di ambasciatori l'amicizia mia e del popolo romano. Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all'incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell'Arabia detta Felice[51], e grandissime schiere nemiche di entrambe le popolazioni furono uccise in battaglia e conquistate parecchie città. In Etiopia arrivò fino alla città di Nabata, di cui è vicinissima Meroe. In Arabia l'esercito avanzò fin nel territorio dei Sabei, raggiungendo la città di Mariba.»
«27. Aggiunsi l'Egitto all'impero del popolo romano.[52] Pur potendo fare dell'Armenia maggiore una provincia dopo l'uccisione del suo re Artasse, preferii, sull'esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e nipote di re Tigrane, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro[53]. E la medesima popolazione che in seguito cercava di staccarsi e si ribellava, domata per mezzo di mio figlio Gaio, affidai da governare al re Ariobarzane, figlio di Artabazo re dei Medi, e dopo la sua morte a suo figlio Artavaside[54]. E dopo che questi fu ucciso, mandai su quel trono Tigrane, discendente della famiglia reale armena. Riconquistai tutte le province che al di là del mare Adriatico sono volte a Oriente[55], e Cirene, ormai in gran parte possedute da re, precedentemente, la Sicilia e la Sardegna, occupate nel corso della guerra servile[56].»
«28. Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense, in Pisidia. L'Italia poi possiede, fondate per mia volontà, ventotto colonie, che durante la mia vita furono assai prosperose e popolose[57].»
«29. Recuperai dalla Spagna e dalla Gallia e dai Dalmati, dopo aver vinto i nemici, parecchie insegne militari perdute da altri comandanti. Costrinsi i Parti a restituirmi spoglie e insegne di tre eserciti romani e a chiedere supplici l'amicizia del popolo romano[58]. Quelle insegne, poi, riposi nel penetrale che è nel tempio di Marte Ultore.»
«30. Le popolazioni dei Pannoni, alle quali prima del mio principato l'esercito del popolo romano mai si accostò, sconfitte per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e luogotenente, sottomisi all'impero del popolo romano, estesi i confini dell'Illirico fino alla riva del Danubio. E un esercito di Daci, passati al di qua di esso, sotto i miei auspici fu vinto e sbaragliato, e in seguito il mio esercito, condotto al di là del Danubio, costrinse la popolazione dei Daci a sottostare ai comandi del popolo romano.»
«31. Furono inviate spesso a me ambascerie di re dall'India, non viste prima di allora da alcun comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Basrani, gli Sciti e i re dei Sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai[59], e i re degli Albani, degli Iberi e dei Medi.»
«32. Presso di me si rifugiarono supplici i re dei Parti Tiridate e poi Fraate, figlio del re Fraate, e Artavasde re dei Medi, Artassare degli Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei Britanni, Melone dei Sigambri, Segimero dei Marcomanni Svevi. Presso di me in Italia il re dei Parti Fraate, figlio di Orode, mandò tutti i suoi figli e nipoti, non perché fosse stato vinto in guerra, ma perché ricercava la nostra amicizia con il pegno dei suoi figli. E moltissime altre popolazioni sperimentarono, durante il mio principato, la lealtà del popolo romano, esse che in precedenza non avevano avuto nessun rapporto di ambascerie e di amicizia con il popolo romano.»
«33. Da me le popolazioni dei Parti e dei Medi, che me ne avevano fatto richiesta per mezzo di ambasciatori che erano le persone più ragguardevoli di quelle popolazioni, ricevettero i loro re: i Parti Vonone, figlio del re Fraate e nipote del re Orode; i Medi Ariobarzane, figlio del re Artavasde e nipote del re Ariobarzane.»
«34. Nel mio sesto e settimo consolato, dopo aver sedato l'insorgere delle guerre civili, assunsi per consenso universale il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato e al popolo romano il governo della repubblica[60]. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per delibera del senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d'alloro, e una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità, ma non ebbi potere più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura.»
«35. Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine equestre e tutto il popolo Romano, mi chiamò padre della patria[61], decretò che questo titolo dovesse venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Iulia e nel Foro di Augusto sotto la quadriga che fu eretta a decisione del senato, in mio onore. Quando scrissi questo, avevo settantasei anni.»
Appendix
«App. I. Somma di denaro che donò o all'erario o alla plebe romana o ai soldati congedati: seicento milioni di sesterzi.»
«App. II.Costruì nuove opere: i templi di Marte, di Giove Tonante e Feretrio, di Apollo, del Divo Giulio, di Quirino, di Minerva, di Giunone Regina, di Giove Libertà, dei Lari, degli dèi Penati, della Giovinezza, della Grande Madre, il Lupercale, il palco del Circo, la Curia con Calcidico, il Foro di Augusto, la Basilica Giulia, il Teatro di Marcello, il Portico di Ottavia, il bosco dei Cesari al di là del Tevere.»
«App. III. Restaurò il Campidoglio e sacri templi in numero di ottantadue, il Teatro di Pompeo, gli acquedotti,la via Flaminia.»
« Spese sostenuta per spettacoli scenici, giochi gladiatori, gare atletiche, cacce e per la naumachia, e quantità di denaro donato a colonie, municipi, città distrutte da terremoti e incendi, o singolarmente ad amici e senatori, di cui completò il censo: enormi.»
Note
0.^ Ora, per capire cosa un cittadino romano poteva comprare con il proprio denaro basta leggere uno dei listini di una delle Taberne pompeiane, fissati sul muro dal calore dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; da queste apprendiamo che un chilo di pane costava 2 assi, come un litro di vino; un piatto di legumi o verdure costava 1 asse; una prostituta nel “lupanare” costava 1 sesterzio, una tunica 12 sesterzi; uno schiavo generico, costava 625 denari, 2500 sesterzi. Approssimativamente possiamo dire che 1 sesterzio = 6 euro.
1.^ Svetonio, Augustus, 101.
2.^ Sul testo di tutti i frammenti dalle varie località menzionate vedi C. Barini, Res Gestae Divi Augusti, ex monumentis Ancyrano, Antiocheno, Apolloniensi, Roma 1937
3.^ F. Guizzi, Augusto. La politica della memoria, Roma 1999, pp.71-73
4.^ Progetto Ancyra
5.^ I. Borsak, Zum Monumnetum Ancyranum, "AAntHung" 38 (1998), pp. 41-50.
6.^ Livio, XXVIII, 46, 1; Polibio, III, 33, 18; 56.
7.^ Ottaviano allora si trovava ad Apollonia in Macedonia, in attesa dell'arrivo di Cesare per la programmata campagna partica del dittatore, di cui forse doveva divenire il magister equitum.
8.^ Il 19 agosto del 43 a.C. assieme a Quinto Pedio, figlio o nipote di Giulia, una sorella di Cesare, che fu legato di Cesare in Gallia e proconsole in Spagna.
9.^ Si tratta della Lex Pedia de interfectoribus Caesaris del 43 a.C., che promuoveva l'esilio, e la perdita della cittadinanza romana agli uccisori di Cesare
10.^ La battaglia di Filippi nell'ottobre-novembre del 42 a.C. contro Bruto e Cassio.
11.^ a b 28 a.C.
12.^ 8 a.C. Per alcuni studiosi cristiani questo censimento coincide col "primo censimento" (il secondo fu quello provinciale del 6-7 d.C.) ricordato in Luca 2,1-2, in occasione del quale nacque Gesù (vedi Censimento di Quirinio).
13.^ 14 d.C.
14.^ Si tratta della legazione inviata nel 19 a.C. per esortare Augusto a far rapido ritorno a Roma, dove persistevano disordini sorti in seguito alle pretese di Marco Egnazio Rufo di accedere al consolato; infatti in quell'anno era stato nominato un solo console, Gaio Senzio Saturnino e Augusto, non vendo accettato il consolato, aveva stabilito che il posto vacante fosse occupato da Quanto Lucrezio Vespillone, uno dei membri della legazione.
15.^ Dal 16 al 13 a.C., Augusto si trattenne in Gallia e in Spagna dove ottenne un successo di grande portata politica col pacificare quelle terre e col gettare le basi per un profondo processo di romanizzazione.
16.^ Nel 30 a.C., dopo la vittoria su Cleopatra, nel 25 a.C. dopo le Guerre cantabriche e una terza volta, non ancora identificata con certezza.
17.^ Il titolo, modellato su quello offerto ad Augusto di Princeps senatus, fu conferito dal ordo equester, in quanto il termine iuventus in senso più lato designava tutto il corpo di equites equo publico, ossia i cavalieri sotto i 35 anni tecnicamente ancora iuniores e i figli di senatori sotto i 25 anni che non avevano ancora ricoperto alcuna magistratura senatoria.
18.^ La plebe urbana erano i cittadini residenti a Roma, appartenenti non soltanto alle quattro tribù urbane (Esquilina, Palatina, Collina, Suburbana) , ma anche ai cittadini iscritti alle tribù rustiche e residenti a Roma da più generazioni.
19.^ 44 a.C.
20.^ Nel 30 a.C.; il bottino è in gran parte il tesoro dei Tolomei acquisito per diritto di conquista nella compagna contro Cleopatra (e Antonio) dello stesso anno.
21.^ Al ritorno dalle Guerre cantabriche nel 24 a.C.
22.^ Nel 23 a.C.
23.^ In occasione dell'elezione di Augusto a pontefice massimo nel 12 a.C.
24.^ 5 a.C. in occasione della deductio in Forum di Gaio Cesare
25.^ In occasione della deductio in Forum di Lucio Cesare nel 2 a.C.
26.^ Nel 30 a.C., dopo la battaglia di Azio
27.^ Nel 14 a.C.
28.^ Le coppie consolari indicano gli anni 7, 6, 4, 3, e 2 a.C.
29.^ L'istituzione dell'erario militare avvenne nel 6 d.C.
30.^ Nel 5 d.C Augusto fissò la nuova durata del servizio militare: 16 anni per i pretoriani, 20 per i legionari. Ma la ferma veniva spesso prolungata, come Augusto stesso riconosce, sino a 30 o 40 anni.
31.^ 18 a.C.
32.^ Si tratta della Curia Iulia (iniziata a suo tempo da Cesare) inaugurata nel 29 a.C. in occasione del triplice trionfo. Cassio Dione, LI, 22, 1
33.^ Iniziato nel 36 a.C. dopo la vittoria navale su Sesto Pompeo a Nauloco
34.^ Nel 27 a.C.
35.^ Nulla si sa con esattezza di questa costruzione.
36.^ Ricavato dalla battaglia di Filippi e dalle proscrizioni
37.^ Non è chiaro se si tratti del tempio di Vesta sul Foro Romano o una piccola edicola ricavata nel palazzo imperiale e inaugurata nel 12 a.C., dopo l'elezione di Augusto a pontefice massimo
38.^ 29 a.C.
39.^ L'oro coronario era un donativo in oro o in denaro, fatto a un generale vittorioso, al posto della corona aurea o trionfale.
40.^ Druso minore, figlio di Tiberio.
41.^ Furono celebrati il 17 a.C. dalla notte del 3 maggio a tutto il 17 giugno, periodo più felice dell'anno, quello della mietitura. Venivano chiamati saeculares perché avrebbero dovuto avere la cadenza di un secolo. Essi esaltavano il rinnovarsi della vita e, nell'intenzione di Augusto, il rinnovarsi di Roma dopo l'oscuro periodo delle guerre civili.
42.^ 2 a.C.
43.^ Un bosco fatto piantare da Augusto in onore di Gaio e Lucio Cesari; Tacito, Annales, XIV, 5, 2.
44.^ Si tratta naturalmente di Marco Antonio; qui Augusto tace il nome sia per il fatto che per decreto del senato tutto ciò che rendeva onore a Marco Antonio doveva essere distrutto o celato sia perché, in linea con la sua propaganda, Augusto voleva che il bellum fosse considerato externum, quindi contro Cleopatra, e non, come invece fu, civile
45.^ Si tratta della guerra contro Sesto Pompeo,figlio di Gneo Pompeo Magno, che aveva occupato la Sardegna, la Corsica e la Sicilia e dalle quali affamava l'Italia con un'imponente flotta. La guerra, nel 38-36 a.C., si concluse con la vittoria di Ottaviano a Nauloco nel 36 a.C.
46.^ Augusto fa riferimento alla coniuratio totius Italiae et provinciarum in verba Octaviani del 32 a.C. Un atto politico anticostituzionale ed extracostituzionale, giacché si trattava di un atto plebiscitario fondato su un giuramento d'origine militare esteso a tutta la popolazione civile dell'Italia e delle province occidentali. Su di esso, Ottaviano fondò il suo potere sino al 27 a.C. quando divenne Augusto; fu sulla scorta di questa investitura come dux (come lui stesso si definisce) che il futuro imperatore condusse la guerra contro Cleopatra e Antonio.
47.^ Vedi sopra quanto detto al par. 12
48.^ Augusto si riferisce alle due campagne di Druso (12-9 a.C.) e di Tiberio 8-7 a.C. vanificate, come noto, dalla disfatta di Teutoburgo dove 3 legioni, sotto il comando di Publio Quintilio Varo, vennero distrutte dai Germani nel 9 d.C. Roma mantenne un controllo sulla zone costiera fino all'Elba.
49.^ La sottomissione dell'intero arco alpino avvenne in un serie di campagne militari fra il 35 ae il 7 a.C., di cui la più importante è la doppia manovra di Tiberio e Druso nel 15 a.C., in occasione della conquista della Rezia e della Vindelicia.
50.^ La spedizione marittima nel mare del Nord avvenne nel 5 a.C. durante la campagna germanica di Tiberio
51.^ Si tratta delle spedizioni del 3° e del 2° prefetto d'Egitto, rispettivamente Gaio Petronio ed Elio Gallo. Le campagne avvennero nel 24/25 a.C. in Arabia e nel 24-22 a.C. in Etiopia
52.^ Nel 30 a.C. dopo la morte di Antonio e Cleopatra, Ottaviano ridusse a provincia il regno d'Egitto, affidandolo ad un cavaliere di sua nomina, con il titolo di praefectus Alexandreae et Aegypti.
53.^ Svetonio, Tiberius, 9, 1
54.^ Nel 2 a.C. Tacito, Annales, II, 4, 1
55.^ Sono le province che nel trattato di Brindisi del 40 a.C. erano state affidate a Marco Antonio e che questi aveva poi donato a Cleopatra (Cassio Dione LV, 10)
56.^ Vedi sopra capitolo 12
57.^ Ricordiamo fra le altre, Trieste, Aosta e Torino.
58.^ Nel 20 a.C.Si tratta in particolare delle insegne di Crasso, perse nella battaglia di Carre nel 53 a.C. L'episodio è raffigurato nella lorica della statua d'Augusto, detta l'Augusto di Prima Porta
59.^ Tanais era il nome greco arcaico del fiume Don oltre al nome di una colonia greca (fondata nel III secolo a.C., ma l'area era visitata dai greci fin dal VII secolo) situata proprio in corrispondenza della foce del fiume.
60.^ Nella seduta del 13 gennaio del 27 a.C.
61.^ Il titolo di pater patriae venne assunto il 5 febbraio del 2 a.C.
Eugenio Caruso
- 25 novembre 2017
Tratto da