Chi prenderà la decisione di essere interiormente felice, consideri unico bene l'onestà.
Seneca Lettere morali a Lucilio
Spesso tra gli economisti si discute delle differenze tra il capitalismo usa e quello europeo; in questo articolo E.S. Phelps, professore di Politica Economica e Direttore del Center on Capitalism and Society, Earth Institute della Columbia University, affronta il tema delle differenze soffermandosi sul parametro del dinamismo delle imprese. Questo saggio è stato presentato da Phelps in occasione del ricevimento di una laurea Honoris causa all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, il 22 giugno 2006.
«Negli anni Novanta ho dedicato alcuni anni ad una crociata per una maggiore inclusione della società nell’economia. Il tema di cui mi occupavo ruotava attorno ai benefici connessi all’introduzione di sussidi a vantaggio dell’impiego a basso salario, sussidi che avrebbero l’obiettivo di far crescere la domanda per i lavoratori poco pagati e, dunque, aumentarne i guadagni e i livelli occupazionali. Vorrei parlarne, ancorché in breve, perché è proprio da quel lavoro che sono stato condotto, quasi naturalmente, agli studi che attualmente sto svolgendo sul dinamismo e i benefici della libera impresa.
Comincio con l’argomento essenzialmente classico che un sussidio pagato ai datori di lavoro per ogni dipendente a basso salario è una sorta di sovvenzione, che indurrebbe il settore privato ad aumentare le assunzioni e dunque a creare “poveri che lavorano”. Sussidi mirati ai lavoratori a basso salario avrebbero un maggiore impatto, nel far pervenire aiuti economici ai poveri che lavorano, rispetto all’impatto derivante dai “diritti” sociali verso poveri che non lavorano. Il mio argomento, dunque, partiva dall’importanza dei posti di lavoro. La giustizia richiede l’integrazione della società nella vita economica e in particolare, l’integrazione di coloro che sono ai margini nel progetto di una società laica. I sussidi di disoccupazione servirebbero a tale scopo, stimolando la creazione di nuovi impieghi fra i meno pagati, riducendo la loro disoccupazione ed espandendo la loro partecipazione alla forza lavoro. Questo è importante perché nel mondo dell'economia un obiettivo fondamentale è far sì che ognuno possa guadagnare per il proprio sostentamento e ognuno possa acquisire quel valore che John Rawls chiama“rispetto di sé”,d'altra parte, per la maggioranza della gente, il lavoro è l’unico mezzo adeguato che ci sia con il quale le persone possono perseguire l’obiettivo centrale di una vita: l’autorealizzazione.
Furono in molti ad esprimere un radicale disaccordo con questa mia tesi. Essi sostenevano che un programma statale volto ad incrementare l’accesso al mondo del lavoro non era appropriato e neppure desiderabile. Uno dei miei oppositori disse che le politiche pubbliche dovrebbero sempre essere “neutrali” rispetto a valori personali, per esempio, non dovrebbero favorire una vita indolente oppure una vita volta a dare un proprio contributo alla società. Un altro disse che gli ricordavo il motto Il lavoro rende liberi dei campi di concentramento nazisti.
Sembrava vivessimo su pianeti diversi, e parlassimo di due tipi di economia differenti. Ed era davvero così, come mi pare ora sempre più chiaro. Se uno trascura i dettagli, può trovare in Europa un modello economico – un insieme di istituzioni e cultura economica – che la contraddistingue. Nonostante vi siano alcune fondamentali similitudini, esso è diverso dal modello statunitense. Sosterrò che vi siano differenze nella performance economica che sono conseguenti a questa distinzione di base, anche rispetto al carattere assunto dall’occupazione all’interno dell’economia.
Per dare un’indicazione di massima: vi sono due sistemi economici in Occidente. Nonostante entrambi i sistemi si fondino sulla proprietà privata, uno di essi è caratterizzato da grande apertura nella messa in atto di nuove idee provenienti da quanti operano nelle imprese private, e da un grande pluralismo di visioni fra coloro che detengono la ricchezza e tra le imprese finanziarie che selezionano le idee da far crescere, fornendo loro il capitale e gli incentivi necessari affinché si sviluppino.
Nonostante buona parte dell’innovazione arrivi da imprese esistenti e solide, come nel caso della farmaceutica, molta proviene da start up, e questo è vero soprattutto per quanto riguarda le innovazioni più inedite e inaspettate.
Questo è il sistema della libera impresa, noto anche come “capitalismo puro”.
L’altro modello, sempre basato sulla proprietà privata, è caratterizzato dall’esistenza di istituzioni che hanno l’obiettivo di proteggere l’interesse degli stakeholders e degli altri “partner sociali”. Le istituzioni che caratterizzano tale modello contemplano (a seconda del Paese) tutte o quasi le caratteristiche del sistema corporativo che esisteva in Italia fra le due guerre, grandi confederazioni degli imprenditori, grandi sindacati e banche monopoliste. È vero che dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi vi è stata una grande ondata di liberalizzazione. Ma nuove istituzioni corporative sono sorte: la co-gestione (Mitbestimmung) ha portato con sé i “consigli dei lavoratori” (Betriebsrat) e ora, in Germania, un rappresentante del sindacato siede di solito nel consiglio di amministrazione di un’impresa. Sembrerebbe che il sistema operi per impedire o scoraggiare o addirittura bloccare il cambiamento, il cambiamento che si manifesta con la ricollocazione o l’entrata di nuove imprese. La performance del sistema economico dipende da imprese già esistenti in cooperazione con le banche locali o nazionali. Si cerca di compensare con la sofisticazione tecnologica ciò che manca in flessibilità. Ma questo sistema è talmente diverso dal capitalismo puro che ha addirittura un suo diverso nome: economia sociale di mercato, in Germania, concertazione, in Italia.
Il dinamismo di un sistema capitalistico ben funzionante
Questi due modelli non sono equivalenti nel modo in cui lavorano, contrariamente alla visione neoclassica. Una parte fondamentale della mia tesi sta nel fatto che il primo sistema possiede più dinamismo dell’altro. Dicendo “dinamismo” voglio riferirmi alla fertilità dell’economia nello sviluppare idee innovative che siano considerate tecnologicamente realizzabili, e che si spera possano essere profittevoli, all’abilità con cui si selezionano le idee che possono essere sviluppate, e all’attitudine alla sperimentazione con cui il mercato riceve i nuovi metodi e prodotti, insomma, al talento dell’economia nell’innovare.
Si noti che questo “dinamismo” non significa necessariamente alta produttività o rapido aumento della produttività: persino economie poco dinamiche possono, più o meno, avvicinarsi a quelle più dinamiche. La mia tesi è che il sistema della libera impresa è strutturato in un modo tale da facilitare e stimolare il dinamismo, mentre il sistema continentale lo frena e dissuade.
Storicamente, però, entrambi questi sistemi sono stati considerati come fossero concepiti per il dinamismo! Mentre stavano costruendo le imponenti strutture del corporativismo nell’Italia fra le due guerre, i teorici corporativi spiegavano come il loro sistema sarebbe stato più dinamico del capitalismo, forse non più fertile per le piccole idee, come quelle che potevano venire al piccolo imprenditore, ma senz’altro più fertile per le grandi idee. Non dovendo temere le fluide condizioni del mercato, un’impresa ben protetta avrebbe potuto sviluppare forme radicali d’innovazione. E avendo a disposizioni le confederazioni industriali e la mediazione dello Stato, tali imprese avrebbero potuto fare in modo di evitare costose duplicazioni dei loro investimenti.
Lo Stato e le grandi banche, suoi strumenti, avrebbero potuto intervenire per evitare conflitti circa la direzione dell’economia.
Fra i teorici del capitalismo, Joseph Schumpeter nel suo grande libro del 1911 non vi ravvisa alcun dinamismo. La sua inestimabile intuizione, in quel lavoro, è che le scoperte scientifiche e le invenzioni non sono innovazioni commerciali: per mettere in atto le opportunità commerciali ancora non sfruttate e rese disponibili dalla tecnologia esistente, c’è bisogno di qualcuno con la capacità organizzativa di caricarsi del lavoro dello sviluppo, l’imprenditore. Per Schumpeter è come se esistesse un mercato delle nuove idee e delle invenzioni e in questo mercato l'imprenditore sceglie ciò che occorre per la sua impresa o per creare nuove opportunità di business.
Friedrich Hayek propone una teoria che suggerisce che il capitalismo è dinamico e lo è più del socialismo o del corporativismo. Ma non subito. Hayek dà inizio alla teoria moderna del capitalismo con il lavoro che sviluppa a metà del suo percorso scientifico, fra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta. Virtualmente, ciascun partecipante alla vita economica giù giù fino al più umile degli impiegati possiede una conoscenza privata, o know how, circa il suo lavoro, la sua impresa, e il suo settore, e questo non include soltanto il sapere formalizzato nei libri. Il decision making decentralizzato dell’economia capitalistica è ben attrezzato per fare uso di questa conoscenza informale, diffusa e altamente specializzata, molto di più di quanto lo sia il socialismo centralizzato. In questo suo lavoro Hayek ci lascia supporre che dal grande crogiuolo della conoscenza informale e diffusa potrebbero nascere nuove idee per l’innovazione commerciale, idee che a pochi altri uomini d’affari, o addirittura a nessuno, potrebbero venire. Secondo Hayek è quasi sempre l'ideatore o l'inventore che crede nella propria scoperta che con determinazione, magari con l'aiuto di un imprenditore o di un finanziatore, porta sul mercato il "prodotto" in cui crede.
Chiaramente, il tasso di tale innovazione non dipenderà soltanto dal numero di persone che stanno elaborando nuove idee, ma anche dalla ricettività e selettività dell’economia, rispetto alle nuove idee. È stato lasciato ai teorici che sono venuti poi di sottolineare alcune cruciali determinanti. Il pluralismo dell’esperienza e del sapere che gli investitori fanno sedimentare nelle loro decisioni lascia ad un ampio numero di idee imprenditoriali la possibilità di una valutazione informata e saggia. E, dettaglio significativo, il finanziere e l’imprenditore non hanno bisogno dell’approvazione dello Stato o di “partner sociali”. E neppure verranno ritenuti responsabili di fronte a un siffatto corpo sociale se il processo dovesse andar male, e nemmeno innanzi ai finanziatori del finanziere. Pertanto possono essere avviati diversi progetti che verrebbero considerati troppo opachi ed incerti da promuovere, per lo Stato o per i soggetti sociali.
Mentre il sistema continentale riunisce taluni esperti per decidere gli standard per un prodotto prima che una sua qualsiasi versione sia immessa sul mercato, il capitalismo concede l’accesso al mercato a tutte le sue versioni.