Esercitare liberamente il proprio ingegno, ecco la vera felicità.
Aristotele
Sintesi dell’intervento del governatore Mario Draghi
«Per la crescita del Paese è urgente il taglio delle tasse per le famiglie e le imprese». È il monito lanciato dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nella sua relazione annuale che ammette però che i salari sono troppo bassi. «Il Paese ha desiderio, ambizione, risorse per tornare a crescere e protagonisti devono essere i giovani», ha affermato Draghi, sottolineando che «stabilità politica e forza delle istituzioni sono le fondamenta su cui costruire l'intervento risanatore. La sua attuazione richiederà l'impegno di tutte le forze di cui dispone il Paese».
La pressione fiscale in Italia è aumentata negli ultimi due anni di 2,8 punti percentuali ed è arrivata «appena al di sotto del valore massimo registrato nel 1997, al culmine degli sforzi per entrare nei parametri di Maastricht».
L'inflazione sta accelerando nell'eurozona, ma «la dinamica dei costi interni è rimasta moderata: non vi è stata finora rincorsa tra salari e prezzi». Draghi ha poi esaltato la presenza dell'euro: «Di fronte al rialzo dei prezzi internazionali, la forza dell’euro protegge il potere d’acquisto dei cittadini, i loro risparmi» dai rincari di energia, materie prime e alimentari che hanno spinto l’inflazione del primo trimestre al 3,3%, il livello più elevato dalla prima metà degli anni Novanta.
Nell'ultimo biennio «la situazione dei conti pubblici è migliorata» ma, i risultati per l'anno in corso si prospettano meno favorevoli». Anche in un contesto congiunturale difficile, però, «il rapporto fra debito e prodotto deve restare su un sentiero di flessione». «La fase di debolezza ciclica, attraversata dall'Italia nel 2007, si protrarrà almeno per l'anno in corso».
«La spesa delle famiglie italiane è frenata dalla bassa progressione del reddito disponibile», che tradotto significa che gli stipendi sono troppo bassi, soprattutto per quanto riguarda i «redditi più bassi. I consumi continuano a risentire dell'instabilità dei rapporti di impiego, diffusa specialmente tra i giovani e nelle fasce marginali di mercato del lavoro». I protagonisti della rinascita italiana devono essere i giovani, «oggi mortificati da un'istruzione inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da un'organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito e non valorizza le capacità».
A fronte dell'esortazione di lasciare spazio ai giovani, però Draghi lamenta che troppi pochi anziani lavorino in Italia: «Solo il 19% degli italiani tra i 60 e i 64 anni svolge un'attività lavorativa, contro il 33% degli spagnoli, il 45% dei britannici e il 60% degli svedesi. Un incremento dell'età media di pensionamento e un convinto sviluppo della previdenza complementare, può dare un fondamentale contributo alla riduzione della spesa pubblica», è il suggerimento di Draghi, secondo il quale occorre anche «cancellare gli ultimi impedimenti al cumulo tra lavoro e pensione e incoraggiare forme flessibili di impiego con orari adattabili alle esigenze individuali».
Secondo il governatore è ancora presto per dire che sia finita la crisi finanziaria innescata in Usa dai mutui a rischio. Le tensioni sui mercati si vanno allentando ma «non si sono ancora ripristinate condizioni di normalità». Draghi ha fatto anche notare che le banche italiane «hanno retto bene l'urto della crisi». La commissione di massimo scoperto, applicata dalle banca sui conti correnti in rosso, è un istituto di scarsa trasparenza e va abolito, ha affermato Draghi. Nelle banche italiane ci sono stati ritardi nell’applicare le nuove norme su portabilità gratuita ed estinzione anticipata dei mutui.
Testo integrale delle considerazioni finali del Rapporto della Bancad’Italia
Il nuovo sistema europeo di regolamento interbancario (TARGET2), progetto che ha visto protagonista la Banca d’Italia, è oggi operativo. Abbiamo collaborato alla realizzazione dell’area unica dei pagamenti in euro (SEPA).
Da queste iniziative verrà ulteriore impulso all’integrazione dei servizi interbancari, si accresceranno i benefici per i cittadini d’Europa.
La Banca ha completato la ristrutturazione della funzione di ricerca economica e relazioni internazionali.
Nel 2007 è stato costituito l’Istituto Einaudi per l’economia e la finanza, raccogliendo l’eredità del cessato Ente Einaudi; ha già riconoscimento internazionale come attivo centro promotore di ricerche teoriche ed empiriche; mira a divenire sede stabile per ricercatori di altissima qualificazione.
L’evoluzione dei mercati richiede un continuo adattamento della Vigilanza.
La sua riforma, che diverrà operativa il primo agosto, rafforza i presidi del sistema bancario e finanziario italiano di fronte all’emergere di nuovi rischi, accresce la tutela del risparmio, riduce gli oneri per gli intermediari.
Il Consiglio superiore ha oggi deciso di unificare le due aree funzionali Banca centrale e mercati e Sistema dei pagamenti e tesoreria. La gestione finanziaria sarà separata dalle funzioni istituzionali; il controllo del rischio sarà indipendente dall’attività di investimento.
Come molte altre banche centrali, la Banca d’Italia detiene un portafoglio azionario, per la cui gestione segue precise regole di comportamento: non investe in azioni di banche e di altri soggetti da essa regolati; adotta uno stile di investimento orientato al lungo termine; nell’esercizio dei diritti partecipativi applica criteri ispirati alle migliori prassi internazionali e volti a potenziare il ruolo delle minoranze. Come annunciato lo scorso anno, abbiamo intensificato il programma di ristrutturazione del portafoglio, riducendo il peso delle azioni italiane, eliminando ogni elemento di discrezionalità sui nuovi
investimenti, che sono stati concentrati solo in strumenti collettivi legati a benchmark.
In settembre partirà la ristrutturazione della rete periferica.
La presenza di nostre strutture autonome nelle piazze dell’area dell’euro non è più necessaria: queste cesseranno di operare entro la fine dell’anno.
In accordo con il Ministero degli Affari esteri, la Banca distaccherà propri esperti economici presso le ambasciate italiane nei maggiori paesi emergenti in Asia e America latina.
Dal primo gennaio 2008 sono stati assorbiti dalla Banca d’Italia i poteri, le competenze e il personale dell’Ufficio italiano dei cambi, che è stato soppresso.
È stata costituita l’Unità di informazione finanziaria, dotata di ampi poteri finalizzati all’individuazione dei fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. L’Unità esercita le proprie funzioni in autonomia e indipendenza; la Banca ne disciplina l’organizzazione, ne potenzierà le risorse e la capacità d’intervento, già intensificata rispetto al passato. Funzionari dell’Unità collaborano in veste di consulenti con le Procure della Repubblica, specie le più impegnate su questo fronte. All’attività antiriciclaggio contribuisce in modo integrato la Vigilanza.
L’attuazione di questo ampio programma di rinnovamento e riorganizzazione conferma che è possibile riformare strutture complesse senza compromettere l’esercizio di delicate funzioni istituzionali.
A tutto il personale, per lo straordinario impegno in questa fase di trasformazione, va il sincero apprezzamento del Consiglio superiore e del Direttorio.
La finanza mondiale
La turbolenza che ha investito la scorsa estate i mercati finanziari è giunta al culmine di una straordinaria espansione del credito e della finanza, che per molti anni aveva contribuito alla robusta crescita dell’economia mondiale.
Il protrarsi di condizioni macroeconomiche favorevoli, l’abbondanteliquidità, i bassi tassi d’interesse reali, avevano accresciuto la quantità di rischio e il grado di indebitamento che mutuatari, investitori e intermediari erano disposti ad assumersi. Il rapido sviluppo dell’innovazione finanziaria ha ampliato le potenzialità del sistema di moltiplicare il credito rispetto al capitale investito. La capacità degli operatori di valutare e gestire i relativi rischi non ha tenuto il passo.
Dal 2003 l’assottigliarsi dei premi al rischio e la riduzione della volatilità attesa favorivano la rapida diffusione delle tecniche di cartolarizzazione dei crediti, attraverso titoli sempre più complessi e innovativi che sembravano possedere i requisiti per i rating più elevati. La rapida crescita del mercato dei derivati di credito, che consentiva agli investitori di redistribuire e assicurare il rischio, contribuiva alla percezione di un’offerta pressoché illimitata di occasioni di investimento apparentemente sicure. La liquidità degli strumenti creditizi non era mai parsa così alta. Come in una spirale, la facilità del credito contribuiva a ridurre il tasso di insolvenza dei mutuatari, spingendo ulteriormente al ribasso i premi al rischio, alimentando così nuovi flussi.
Le istituzioni finanziarie, e tra esse alcune delle maggiori banche internazionali, hanno dato ulteriore impulso a questo processo, con la creazione diuna sorta di sistema bancario ombra, composto di veicoli specializzati nell’investimento e nella provvista di fondi sul mercato dei prodotti strutturati di credito. Non consolidate nei bilanci delle banche e sottoposte nei maggiori centri finanziari a requisiti contabili e prudenziali assai poco stringenti, queste entità operavano con presidi di capitale trascurabili, forti sbilanci di liquidità, un disallineamento estremo di scadenze tra attivo e passivo, anche a causa di lacune nelle regole prudenziali precedenti Basilea II. Società di rating, investitori, banche hanno sottovalutato il rischio associato agli strumenti strutturati, e soprattutto la sua improvvisa concentrazione che si sarebbe determinata in presenza di un deterioramento generale dei mercati. Le banche, in particolare, non vedevano che, di fronte a un’impossibilità di rifinanziare i titoli dei veicoli sul mercato, sarebbero state costrette a intervenire a loro sostegno.
Allo stesso tempo, la redistribuzione del rischio indeboliva l’incentivo a una rigorosa selezione del merito di credito, soprattutto negli Stati Uniti; gli standard si deterioravano; le basi divenivano fragili.
L’innesco della crisi è venuto dal mercato immobiliare americano. In un contesto di rialzo dei tassi di interesse, la caduta dei prezzi delle abitazioni determinava un aumento delle insolvenze sui mutui subprime, rivelandone la rischiosità; i titoli strutturati legati a questo comparto cominciavano a deprezzarsi.
I relativi rating venivano abbassati rapidamente e drasticamente. Investitori con un elevato grado di indebitamento dovevano fronteggiare richieste di copertura. Il mutamento della percezione del rischio era improvviso; si estendeva subito a strumenti affini, in altri segmenti di mercato. Finanziare sul mercato monetario il rinnovo di prodotti strutturati offerti da veicoli di matrice bancaria diveniva impossibile. Per impedirne il collasso, le banche sponsor accrescevano fortemente le proprie esigenze di liquidità. Si inaridiva l’offerta di fondi sul mercato interbancario.
Il circuito che aveva sostenuto l’espansione del credito e della finanza si invertiva. La scarsa liquidità, la mutata percezione del rischio, la riduzione del grado di leva si rafforzavano a vicenda. Il forte deprezzamento dei prodotti
strutturati si rifletteva sulla valutazione degli stessi attivi bancari; l’incertezza sul livello di esposizione, sull’ammontare delle perdite, sulla solidità patrimoniale delle banche accresceva il rischio di controparte avvertito sul mercato interbancario, rendendo quest’ultimo ancora meno liquido. Costrette a riassorbire le attività cedute e a registrarne la svalutazione, le banche vedevano accrescersi la dimensione e la rigidità dei bilanci, indebolirsi la dotazione di capitale.
Quando è apparso che la turbolenza poteva avere implicazioni sistemiche le banche centrali sono intervenute. La dimensione degli interventi, la loro flessibilità e prontezza, il grado di coordinamento internazionale sono stati senza precedenti. Hanno scongiurato una crisi sistemica, che avrebbe potuto avere effetti devastanti sull’economia reale. Hanno impedito che venissero brutalmente colpiti anche coloro che non avevano responsabilità.
Sebbene le tensioni su alcuni mercati si vadano allentando, non si sono ancora ripristinate condizioni di normalità. In alcuni segmenti del mercato, spread e premi al rischio, fin troppo bassi negli anni precedenti, sono ancora prossimi ai livelli elevati raggiunti all’acme della crisi. Altri segmenti, come
quello delle cartolarizzazioni, stentano a riavviarsi. Molte attività finanziarie e reali hanno subito forti decurtazioni di valore.
Come, dove, quando la crisi sarebbe scoppiata era impossibile stabilire; l’evento che l’ha scatenata ha avuto luogo in un segmento dell’attività finanziaria relativamente marginale. Ciononostante da tempo alcuni di noi erano persuasi dell’estrema fragilità della situazione. L’accumularsi di tensioni era palese ben prima della scorsa estate. Fin dal primo intervento pubblico pronunciato in questa funzione all’inizio del 2006, chi vi parla richiamò l’attenzione sugli squilibri che si erano determinati e sui nuovi rischi che accompagnavano i pur indubbi benefici dell’innovazione finanziaria. Un anno fa, proprio in questa sede, facemmo presente che la percezione del rischio da parte degli investitori poteva mutare in modo repentino, con effetti destabilizzanti; che la crescente complessità e interdipendenza dei mercati, se rendeva il sistema più robusto ed efficiente in tempi normali, poteva accrescerne la vulnerabilità a eventi estremi.
Aiutare il mercato a riprendersi non significa sostituirsi a esso. Né aiuterebbe cancellare l’innovazione finanziaria. Renderemmo il sistema più povero, non più sicuro. La storia delle crisi finanziarie, anche recenti, ci ricorda che strumenti e intermediari tradizionali non sono necessariamente più stabili e affidabili. Alla fine degli anni ottanta, ben prima che si diffondessero i prodotti finanziari strutturati di oggi, la crisi delle savings and loan banks costò ai contribuenti americani oltre il 2 per cento del prodotto interno lordo
annuo degli Stati Uniti. La crisi delle banche giapponesi, in anni appena più vicini, ha avuto costi ancora più pesanti.
Un esame retrospettivo degli eventi di questi mesi è essenziale per disegnare gli interventi necessari per il futuro del sistema finanziario internazionale.
Una regolamentazione lacunosa e incentivi perversi hanno prodotto, nei maggiori centri finanziari mondiali, un indebitamento eccessivo e soprattutto non percepito nella sua reale dimensione, una sottovalutazione del rischio.
Il sistema finanziario che emergerà dalla crisi dovrà avere regole diverse, meno debito, più capitale. È questo il principio unificatore delle raccomandazioni formulate dal Financial Stability Forum nel suo recente rapporto, che vede come elementi essenziali una rapida adozione dei nuovi criteri prudenziali di Basilea II, un aumento dei requisiti di capitalizzazione, in particolare per i prodotti strutturati. Il rapporto propone strumenti per migliorare i processi di gestione della liquidità e del rischio, accrescere la trasparenza contabile delle istituzioni finanziarie, intervenire sui meccanismi di rating,
guidare gli interventi in caso di crisi.
Il rapporto ha raccolto il consenso del Gruppo dei Sette. Le proposte che contiene per lo più non richiedono passaggi legislativi, ma possono essere adottate direttamente dalle stesse autorità di regolamentazione che hanno contribuito alla loro individuazione; costituiscono una risposta coordinata alla crisi che non frammenta l’integrazione del mercato finanziario mondiale.
Possono e devono essere tradotte in pratica senza indugio. È importante che la comune determinazione di portarle avanti non venga meno ai primi segni di un allentarsi della tensione.
Dalla fine del 2007 sono apparse chiare le ripercussioni delle turbolenze finanziarie sull’economia reale nei paesi avanzati, soprattutto negli Stati Uniti.
I riflessi sulle economie emergenti e in via di sviluppo sono meno pronunciati. Queste economie contribuiscono oggi in modo decisivo a sostenere la produzione e il commercio mondiali.
I maggiori rischi per l’economia mondiale vengono oggi dall’accumularsi di tensioni inflazionistiche e dal possibile accentuarsi del rallentamento americano.
Il principale elemento di preoccupazione resta il continuo aumento dei prezzi dell’energia e di altre materie prime. Questi rincari, se da un lato riflettono in parte le prospettive ancora robuste di crescita delle economie emergenti, dall’altro imprimono ulteriori impulsi recessivi alle economie avanzate e alimentano l’inflazione, condizionando l’orientamento delle politiche monetarie.
La politica monetaria unica e l’economia italiana
Dallo scorso autunno l’inflazione dei prezzi al consumo nell’area dell’euro, sospinta dal rincaro dell’energia e delle materie di base, è salita di circa 1,5 punti, raggiungendo il 3,3 per cento nella media del primo trimestre di quest’anno. Non toccava questo livello dalla prima metà degli anni novanta.
I dati più recenti indicano un’ulteriore accelerazione.
La dinamica dei costi interni è tuttavia rimasta moderata; non vi è stata finora rincorsa tra prezzi e salari. Il fermo ancoraggio delle aspettative di inflazione ha permesso alla Banca centrale europea di mantenere a lungo invariati i tassi d’interesse, contribuendo al sostegno dell’economia. è una differenza importante con precedenti episodi di crisi petrolifere, quando in alcuni paesi europei l’instabilità delle aspettative di inflazione portò a condizioni monetarie anch’esse instabili, caratterizzate da cicli ripetuti di espansione e violenta restrizione, con un impatto drammatico sulla congiuntura. Oggi la Banca centrale europea ha mantenuto e mantiene la politica monetaria fermamente orientata all’obiettivo della stabilità dei prezzi nel medio termine, pur assicurando, insieme alle altre maggiori banche centrali, la liquidità necessaria a preservare l’ordinato funzionamento del sistema finanziario mondiale in un momento di fortissime tensioni.
Nel corso del 2007 l’economia italiana ha risentito, come tutta l’area dell’euro, del ripiegamento ciclico mondiale e dell’accelerazione dei prezzi delle materie prime: ma ha rallentato più marcatamente degli altri paesi dell’area. La fase di debolezza ciclica si protrarrà almeno per l’anno in corso.
Le esportazioni, aumentate nel passato biennio di quasi il 6 per cento l’anno, sono state il principale sostegno alla crescita del prodotto. La dinamica della domanda interna è stata molto modesta; i margini di capacità inutilizzata si sono ampliati; gli investimenti hanno rallentato fortemente; sono peggiorati gli indicatori di fiducia delle imprese.
La spesa delle famiglie è frenata dalla scarsa progressione del reddito disponibile, dal rialzo dei prezzi, che negli ultimi mesi ha colpito soprattutto i consumi delle famiglie a reddito più basso. I consumi continuano a risentire dell’instabilità dei rapporti di impiego, diffusa specialmente fra i giovani e nelle fasce marginali del mercato del lavoro. L’incertezza sul reddito corrente, sulle sue prospettive di crescita futura frena le decisioni di spesa, anche per l’inadeguatezza della rete di protezione sociale. Nonostante i miglioramenti conseguiti negli ultimi anni, ad esempio rafforzando l’indennità ordinaria di disoccupazione, manca ancora un ridisegno organico e rigoroso delle garanzie offerte, essenziale per un mercato del lavoro che coniughi flessibilità ed equità.
Di fronte al rialzo dei prezzi internazionali, la forza dell’euro protegge il potere d’acquisto dei cittadini, i loro risparmi. Ma impone disciplina di comportamenti a tutti coloro che concorrono alla produzione del reddito nazionale: la svalutazione del cambio, sostegno effimero delle imprese, non è più disponibile.
La competitività, la capacità di crescita del Paese dipendono dalla produttività: è su questo fronte che occorre concentrare intelligenza e azione.