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Glossario su energia e ambiente


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L M N O

Lavoro (fisica)
In fisica si parla di lavoro tutte le volte che una forza agisce su un corpo in concomitanza con il suo spostamento. Se un corpo è appoggiato su una superficie, soggetto alla forza peso, e non si muove per effetto di forze esterne, la forza peso non compie alcun lavoro; se il corpo viene sollevato, la forza che ha agito sul corpo per determinarne lo spostamento ha compiuto un lavoro. Il lavoro compiuto da una forza per innalzare un corpo di un certo tratto rispetto alla sua posizione originaria è proporzionale all'entità dello spostamento del corpo: occorrerà più lavoro per sollevare un corpo di 1 metro piuttosto che per innalzarlo di 1 centimetro. Data una forza costante, F, che, applicata a un corpo, ne provoca lo spostamento di un segmento s, si definisce lavoro, L, della forza il prodotto dello spostamento per la componente, Fs, della forza nella direzione dello spostamento:
L=F.s
Il lavoro è una grandezza scalare , quindi non è dotato di una direzione e di un verso. Se la forza è parallela allo spostamento, il lavoro sarà dato semplicemente dal prodotto della forza per lo spostamento; se invece la forza è perpendicolare allo spostamento, non avrà alcuna componente nella direzione dello spostamento, quindi il lavoro è nullo. Perciò, una forza perpendicolare allo spostamento non compie alcun lavoro. Il lavoro sarà massimo in valore assoluto quando la forza è parallela allo spostamento e minimo (nullo) quando la forza è perpendicolare. A seconda della direzione relativa del vettore forza e del vettore spostamento, il lavoro si divide in lavoro motore e lavoro resistente. Se le direzioni della forza e dello spostamento hanno il medesimo verso, il lavoro è positivo e si dice lavoro motore: quando un corpo cade da una certa altezza, la forza di gravità (diretta verso il basso) compie un lavoro motore. Se forza e spostamento hanno direzione e verso opposti, il lavoro è negativo e si dice lavoro resistente: quando una molla viene compressa, la forza elastica, che tenderebbe a riportarla alla sua lunghezza originale, compie un lavoro resistente. L'unità di misura del lavoro è il joule (simbolo J), definito come il lavoro compiuto da una forza di 1 newton quando il suo punto di applicazione si sposta di 1 metro e dimensionalmente uguale a una forza per uno spostamento:
1J = 1N . 1m

Legge di Ohm
Esprime una relazione tra la differenza di potenziale V (tensione elettrica) ai capi di un conduttore e la corrente elettrica I che lo attraversa. Sia R la resistenza del conduttore, abbiamo:

V = R \cdot I

Gli elementi elettrici per i quali la legge è soddisfatta sono detti resistori (o resistenze) ideali o ohmici; tuttavia, per ragioni storiche, si continua ad attribuire all'enunciato il rango di legge. Si noti che la legge di Ohm esprime unicamente la relazione di linearità fra la corrente elettrica I e la differenza di potenziale V applicata. L'equazione indicata è semplicemente una forma dell'espressione che definisce il concetto di resistenza ed è valida per tutti i dispositivi conduttori. La legge deve il proprio nome a quello del fisico tedesco Georg Simon Ohm.
Linea elettrica
Una linea elettrica è un sistema elettrico che collega due sezioni di una rete al fine di trasferire la potenza dal punto di origine all'arrivo. Si distinguono le linee in:

  • aeree (conduttori non isolati posati in aria fissati su sostegni di diverso tipo, come i tralicci)
  • in cavo (conduttori isolati con diversi materiali posati a terra, in canaline, tubazioni, etc..)

C'è un'ulteriore classificazione in base alla forma d'onda della corrente trasmessa (linee a corrente continua o alternata) e in base al valore della tensione elettrica (linee in bassa, media o alta tensione). Il circuito equivalente di un tratto di linea lungo 1km si schematizza con due parametri longitudinali (Rl e Xl) e due trasversali (Cl e Gl). Se si volesse considerare il circuito equivalente di tutta l'intera linea in considerazione vanno "uniti" questi blocchi di circuito. I parametri sono definiti come segue per unità di lunghezza:

  • Rl - resistenza di linea: è la resistenza fisica del cavo al passaggio della corrente:
R_l = k_r \frac{\rho}{S} in [ Ω / Km ] dove
* ρ è la resistività del materiale in Ω mm2 / Km; di solito i cavi in alta tensione son costituiti da rame o alluminio insieme all'acciaio che fornisce una buona resistenza meccanica;
* S è l'ampiezza della sezione del cavo, in mm2;
* Kr è un coefficiente maggiorativo che varia dal 2% al 5% per le linee aree e fino al 20% per le linee in cavo
  • Xl (Ll) - induttanza di servizio di linea: considera gli effetti di auto e mutua induzione tra i cavi stesi in parallelo:
L_l = 0,4606 \ log{\frac{2D}{d}} + K in [ H / Km]*10-3 dove
* D è la distanza tra i conduttori;
* d è il diametro dei conduttori
* K è il contributo dato dal campo interno al conduttore e dipende dalla struttura del cavo (liscio o cordato)
  • Cl - capacità di linea; considera il campo elettrostatico tra i conduttori e tra i conduttori ed il terreno (effetto predominante) che si genera a causa di un imperfetto isolamento del dielettrico:
C_l = \frac{0,02413}{ log{\frac{2D}{d}} } in [μ F / Km]
  • Gl - conduttanza di linea; considera l'effetto di conduzione superficiale del cavo a causa di un non perfetto isolamento. Può accadere che - soprattutto in caso di umidità - si abbassi il valore del dielettrico e si generino delle scariche localizzate intorno al cavo di colore bluastro e rumorose che causano una dissipazione di energia (effetto corona).

Nelle linee a media e bassa tensione questi ultimi due effetti sono trascurabili, ne consegue che il circuito equivalente è dato solo dalla serie di Rl e Xl. Si può quindi definire per una linea con una data lunghezza "L" la resistenza e l'induttanza globale del cavo: R = Rl \cdot L\,\! e X = Xl \cdot L\,\!.

Con questi due valori in bt e MT è possibile definire la caduta di tensione industriale per una linea trifase:

V_p - V_a = \Delta V = \sqrt{3} I  (R cos{\phi} + X sin{\phi} )

dove ΔV è la differenza tra la tensione di partenza e di arrivo della linea, I è la corrente che fluisce, φ è lo sfasamento tra corrente e tensione di fase in arrivo.
Materia oscura
Vedi articolo.
Meeccanica quantistica
Vedi articolo
Media tensione (MT)
E’ una tensione nominale tra le fasi superiore a 1 kV e uguale o inferiore a 35 kV.
Mercato elettrico
L’insieme del mercato del giorno prima dell’energia, del mercato di aggiustamento e del mercato per i servizi di dispacciamento.
Mercato interno per l'energia
La creazione di un vero mercato interno dell'energia è un obiettivo prioritario dell'Unione europea (UE). L'esistenza di un mercato interno dell'energia competitivo è uno strumento strategico sia per offrire ai consumatori europei la scelta tra vari fornitori di gas e di elettricità a prezzi adeguati che per permettere l'accesso al mercato a tutte le imprese, in particolare alle imprese più piccole e alle imprese che investono nelle energie rinnovabili. Si tratta inoltre di creare un quadro che favorisca il funzionamento del meccanismo di scambio delle quote di emissione di CO2. La realtà del mercato interno dell'energia si basa soprattutto sull'esistenza di una rete energetica europea sicura e coerente e, di conseguenza, sugli investimenti realizzati nelle infrastrutture. Un mercato veramente interconnesso contribuisce alla diversificazione e, quindi, alla sicurezza degli approvvigionamenti. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 gennaio 2007, "Prospettive del mercato interno del gas e dell'elettricità" [COM(2006) 841 definitivo].
Mercato libero
Ambito in cui operano in regime di concorrenza produttori e grossisti di energia elettrica sia nazionali che esteri per fornire energia elettrica ai clienti idonei.
Mercato vincolato
Ambito del mercato dell'energia elettrica per la fornitura ai clienti finali che, non rientrando nella categoria dei clienti idonei, possono stipulare i relativi contratti esclusivamente con il distributore che presta il servizio nell'area territoriale dove è localizzata l'utenza di detti soggetti. Il prezzo di acquisto dell'energia elettrica, in questo contesto, è unico a livello nazionale ed è regolamentato dall'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas.
Microgenerazione
La differenza principale tra i sistemi a microcogenerazione e i loro parenti su larga scala sono i parametri che ne guidano l'operatività. In molti casi i sistemi CHP industriali generano principalmente energia elettrica e il calore è un utile sotto-prodotto. Al contrario i sistemi di micro-CHP, che funzionano in case o piccoli edifici commerciali, producono principalmente calore generando elettricità come sotto-prodotto. A causa di questo modello operativo e della domanda fluttuante delle strutture per quanto riguarda l'energia elettrica, i sistemi a microcogenerazione spesso producono più elettricità di quella che viene usata. Tali sistemi ottengono molti dei loro risparmi, esercitando quindi attrattiva sui consumatori, attraverso un modello di "generazione e rivendita" o "scambio sul posto" in cui l'energia generata in eccesso rispetto ai bisogni casalinghi viene rivenduta all'azienda elettrica. Questo sistema è efficiente perché l'energia usata viene distribuita e usata istantaneamente nella rete elettrica. Le perdite principali avvengono nella trasmissione dalla fonte al consumatore, mantenendosi comunque inferiori alle perdite che si avrebbero accumulando localmente l'energia o generando corrente a meno dell'efficienza massima del sistema a microcogenerazione. Quindi, da un punto di vista prettamente tecnico, lo scambio sul posto è molto efficiente. Un altro punto positivo per il net-metering (altro termine per descrivere lo "scambio sul posto") è il fatto che è molto semplice da configurare. Il contatore elettrico dell'utente viene reso in grado di registrare anche l'energia in uscita dalla casa, oltre a quella in entrata. Per una rete con relativamente pochi utenti dotati di micro-CHP non sono necessari cambiamenti ad essa. Inoltre negli Stati Uniti molte leggi federali e statali impongono alle aziende elettriche di compensare chiunque dia energia alla rete. Dal punto di vista di tali aziende queste regole presentano carichi operazionali e tecnici oltre che amministrativi. Di conseguenza la maggior parte delle aziende elettriche compensano i contribuenti solamente con uno sconto pari o inferiore alla bolletta (non pagando quindi un eventuale surplus). Mentre questo schema di compensi potrebbe sembrare onesto ad un primo sguardo, rappresenta solamente un risparmio per l'utente per non aver acquistato energia dal fornitore e non un guadagno completo dal sistema di microcogenerazione. Quindi, dal punto di vista degli utenti in possesso di sistemi di micro-CHP il net-metering non è l'ideale. Mentre il net-metering è un sistema molto efficiente per utilizzare l'energia in eccesso generata da un microcogeneratore, non è immune ai denigratori. Questi ultimi portano alcune considerazioni a sostegno delle loro ipotesi: mentre un generatore principale di corrente nella rete elettrica è una grossa centrale commerciale, i generatori del net-metering "spillano" energia verso la rete in modo casuale e imprevedibile. Tuttavia l'effetto è minimo se vi sono soltanto una piccola percentuale di clienti che generano elettricità e ognuno di loro ne genera una piccola quantità. Quando viene acceso un forno o una stufa elettrica viene utilizzato circa lo stesso quantitativo di elettricità da rete che viene prodotta dal generatore casalingo. L'effetto diverrebbe dunque evidente se vi fosse una larga percentuale di case con sistemi di generazione. La coordinazione tra i sistemi di generazione nelle case e nel resto della rete diverrebbe necessaria per un uso affidabile e per evitare danni alla rete stessa.
Misura dell’energia elettrica
È l’attività di misura finalizzata all’ottenimento di misure dell’energia elettrica in un punto di immissione, in un punto di prelievo o in un punto di interconnessione.
Modulo fotovoltaico (o pannello fotovoltaico)
Un modulo fotovoltaico è un dispositivo in grado di convertire l'energia solare direttamente in energia elettrica mediante effetto fotovoltaico ed è impiegato come generatore di corrente quasi puro in un impianto fotovoltaico. Può essere meccanicamente preassemblato a formare un pannello fotovoltaico, pratica caduta in disuso con il progressivo aumento delle dimensioni dei moduli, che ne hanno quindi incorporato le finalità. Può essere esteticamente simile al pannello solare termico, ma ha scopo e funzionamento profondamente differenti. Di molti materiali impiegabili per la costruzione dei moduli fotovoltaici, il silicio è in assoluto il più utilizzato. Le tecnologie di realizzazione più comuni sono: moduli cristallini.

  • Silicio monocristallino, in cui ogni cella è realizzata a partire da un wafer la cui struttura cristallina è omogenea (monocristallo), opportunamente drogato in modo da realizzare una giunzione p-n;
  • Silicio policristallino, in cui il wafer di cui sopra non è strutturalmente omogeneo ma organizzato in grani localmente ordinati (policristallo).

I moduli in silicio mono o policristallini rappresentano la maggior parte del mercato. Entrambe queste tecnologie sono costruttivamente simili, e prevedono che ogni cella fotovoltaica sia cablata in superficie con una griglia di materiale conduttore che ne canalizzi gli elettroni. Ogni singola cella viene connessa alle altre mediante ribbon metallici, in modo da formare opportune serie e paralleli elettrici. Sopra una superficie posteriore di supporto, in genere realizzata in un materiale isolante con scarsa dilatazione termica, come il vetro temperato o un polimero come il tedlar, vengono appoggiati un sottile strato di acetato di vinile (spesso indicato con la sigla EVA), la matrice di moduli preconnessi mediante i già citati ribbon, un secondo strato di acetato e un materiale trasparente che funge da protezione meccanica anteriore per le celle fotovoltaiche, in genere vetro temperato. Dopo il procedimento di pressofusione, che trasforma l'EVA in mero collante inerte, le terminazioni elettriche dei ribbon vengono chiuse in una morsettiera stagna generalmente fissata alla superficie di sostegno posteriore, e il "sandwich" ottenuto viene fissato ad una cornice in alluminio, che sarà utile al fissaggio del pannello alle strutture di sostegno atte a sostenerlo e orientarlo opportunamente verso il sole. Le prestazioni dei moduli fotovoltaici sono suscettibili di variazioni anche sostanziose in base:

  • al rendimento dei materiali;
  • alla tolleranza di fabbricazione percentuale rispetto ai valori di targa;
  • all'irraggiamento a cui le sue celle sono esposte;
  • all'angolazione con cui questa giunge rispetto alla sua superficie;
  • alla temperatura di esercizio dei materiali, che tendono ad "affaticarsi" in ambienti caldi;
  • alla composizione dello spettro di luce.

Per motivi costruttivi, il rendimento dei moduli fotovoltaici è in genere inferiore o uguale al rendimento della loro peggior cella. Con rendimento si intende la percentuale di energia captata e trasformata rispetto a quella totale giunta sulla superficie del modulo, e può essere considerato un indice di correlazione tra watt erogati e superficie occupata, ferme restando tutte le altre condizioni. Alcuni moduli, per uso aerospaziale, hanno rendimenti nominali che raggiungono anche il 40%, e sono prodotti con materiali rari e costosi ed altamente tossici; valori tipici riscontrabili nei prodotti commerciali a base silicea si attestano intorno al:

  • 16% nei moduli in silicio monocristallino;
  • 13% nei moduli in silicio policristallino;
  • 10% nei moduli in silicio microsferico;
  • 8% nei moduli in silicio amorfo.

Ne consegue che, ad esempio, a parità di produzione elettrica richiesta, la superficie occupata da un campo fotovoltaico amorfo sarà più che doppia rispetto ad un equivalente campo fotovoltaico cristallino. A causa del naturale affaticamento dei materiali, le prestazioni di un pannello fotovoltaico comune diminuiscono di circa un punto percentuale su base annua. Per garantire la qualità dei materiali impiegati, la normativa obbliga una garanzia di minimo due anni sui difetti di fabbricazione anche sul calo di rendimento del silicio nel tempo, questa arriva minimo 20 anni. La garanzia oggi nei moduli di buona qualità è del 90% sul nominale per 10 anni e dell'80% sul nominale per 25 anni. I moduli fotovoltaici odierni hanno una vita stimata di 80 anni circa, anche se è plausibile ipotizzare che vengano dismessi dopo un ciclo di vita di 35-40 anni, a causa della perdita di potenza dei moduli. La tolleranza di fabbricazione è un dato percentuale (generalmente variabile dal ±3% al ±10%) che ogni produttore dichiara in relazione ai propri standard qualitativi di produzione. Tanto minore è la tolleranza dichiarata, tanto più stabili e predicibili saranno le prestazioni elettriche del modulo, a pari condizioni di utilizzo. Nella maggior parte dei casi, i produttori realizzano più versioni dello stesso modulo, distinte in base alla potenza nominale, pur realizzandoli con le medesime celle, che vengono preventivamente raggruppate in famiglie prestazionalmente simili. L'obiettivo dell'operazione è gestire in modo più accorto possibile le celle elettricamente peggiori, che potrebbero inficiare le prestazioni dell'intero modulo. In quest'ottica quindi, tanto più numerose sono le famiglie di celle uniformi, tanto minore potrebbe essere la tolleranza di fabbricazione garantita. Nella realtà di mercato, tuttavia, data la curva di Gauss che descrive la distribuzione statistica della qualità di tutte le celle fotovoltaiche di una data partita produttiva, le linee di separazione tra gruppi di moduli simili si ampliano a volte fino a costituire fasce piuttosto ampie. Il produttore può così gestire la parte di produzione all'interno di queste fasce:

  1. declassando il prodotto in questione, per considerarlo entro la tolleranza positiva del modulo inferiore, con il risultato di perdere profitto;
  2. innalzando il prodotto, per considerarlo entro la tolleranza negativa del modulo superiore, con il risultato di marginalizzare di più a discapito della qualità effettiva del prodotto.

Dal punto di vista commerciale, il produttore si garantisce la liceità dell'operazione dichiarando una tolleranza di fabbricazione più ampia del necessario rispetto alle potenze nominali dei vari moduli realizzati. L'immediato effetto che questa pratica comporta è la ricaduta di cospicue quantità di moduli all'interno delle citate fasce a cavallo di due o più tolleranze di fabbricazione. Alla luce di ciò, i moduli fotovoltaici qualitativamente migliori sono da ricercarsi tra quelli che combinano:

  • una tolleranza negativa stretta (quella positiva può considerarsi trascurabile);
  • una nulla o limitata area di sovrapposizione tra le fasce di tolleranza delle varie potenze dello stesso modulo.

aussiana della tolleranza

In figura è mostrata una simulazione con tolleranza ±5%. Sono presenti evidenti aree di sovrapposizione tra moduli diversi.

L'artifizio della tolleranza più ampia del necessario è una tecnica impiegata solo da produttori minori, a causa della sua facile individuazione (basta una brochure con la lista dei prodotti trattati e una calcolatrice) e del sospetto che inevitabilmente farebbe sorgere nei confronti del produttore. I moduli fotovoltaici sono accomunati dal comportamento elettrico simile a quello di un generatore di corrente quasi puro, ovvero erogano energia con differenza di potenziale quasi costante anche al variare delle condizioni atmosferiche o del grado di incidenza dei raggi solari. La pratica comune di classificare i prodotti in commercio in 12, 18 o 24 V non deriva dalla tensione al suo punto di massima efficienza, ma dalla possibilità di collegarvi una batteria ricaricabile con analogo voltaggio nominale. I moduli fotovoltaici, se impiegati in un impianto fotovoltaico connesso alla rete all'interno dell'Unione Europea, devono obbligatoriamente essere certificati in base alla normativa IEC 61215, che ne determina le caratteristiche sia elettriche che meccaniche. Tra i test più importanti si cita quello per determinarne la potenza in condizioni di insolazione standard, espressa in watt picco (Wp). I moduli fotovoltaici in silicio cristallino più comuni hanno dimensioni variabili da 0,5 m² a 1,5 m², con punte di 2,5 m² in esemplari per grandi impianti. Non vi è comunque particolare interesse a costruire moduli di grandi dimensioni, a causa delle grosse perdite di prestazioni che l'intero modulo subisce all'ombreggiamento (o malfunzionamento) di una sua singola cella. La potenza più comune si aggira intorno ai 150 Wp a 24 V, raggiunti in genere impiegando 72 celle fotovoltaiche. La superficie occupata dai modelli commerciali si aggira in genere intorno ai 7,5 m²/kWp, ovvero sono necessari circa 7,5 metri quadrati di superficie per ospitare pannelli per un totale nominale di 1.000 Wp.
Modulo fotovoltaico a film sottile
In sostituzione della cella costituita da un wafer di silicio drogato, da poco, è entrata nel mercato la tecnologia del film sottile. Attualmente diversi material sono in competizione per i film sottili:

  1. a-Si (silicio amorfo) o a-SiGe. Giova notare che il silicio amorfo assorbe la luce molto più efficacemente del silicio cristallino, per questo motivo lo spessore della cella in a-Si può essere cento volte minore dello spessore della cella in Si cristallino;
  2. a-Si/µ-Si (giunzione ibrida silicio amorfo/ silicio microcristallino). I due materiali, entrambi semiconduttori, hanno caratteristiche complementari rispetto all’assorbimento della radiazione solare, pertanto, la loro efficienza di conversione (da radiazione a energia elettrica) è maggiore di quella del a-Si;
  3.  CIS (rame, indio, diseleniuro)/CdS;
  4.  CdTe (tellururo di cadmio)/CdS.

Potenzialmente la tecnologia del film sottile si presenta con svariati importanti vantaggi.

  1. Lo strato assorbente può essere prodotto in spessori molto ridotti tipicamente 2-3µm, contro i 200-300µm del wafer di silicio. Questo consente notevoli risparmi sul costo della materia prima ed elimina i problemi della reperibilità.
  2. La tecnologia consente di ridurre le fasi della lavorazione, con la realizzazione, in un unico processo, di tutte le celle del pannello e della relativa connessione, eliminando la costosa fase del montaggio delle celle e della loro connessione elettrica tipica della tecnologia Si-wafer-based.
  3. Il grado di automazione del processo di produzione dei moduli è maggiore rispetto alla tecnologia Si-wafer-based.
  4. Gli strati che costituiscono le celle possono essere depositati su materiali poveri, come vetro comune, ma anche fogli di plastica o di metallo.
  5. Con una produzione di pannelli non inferiore a 50 MW/anno il costo del Wp può essere molto contenuto, pertanto, l’energy pay back time degli impianti fotovoltaici può essere sensibilmente inferiore a quello per impianti Si-wafer-based.
  6. Si possono produrre moduli rigidi o flessibili.

Gli svantaggi più significativi sono rappresentati:

  • Dall’entità degli investimenti necessari per la produzione. A parità di MW installati, un impianto a film sottile richiede investimenti circa dieci volte maggiori di un impianto per moduli Si-wafer-based. D'altra parte gli operatori sostengono che la soglia minima per ottenere EBIT soddisfacenti dalla produzione dei moduli a film sottile debba essere di almeno 50 MW.
  • Dal momento dell'ordine di acquisto degli impianti, al momento dell'avvio della produzione a regime occorrono dai due ai tre anni. Tempi circa tre volte più lunghi di quelli necessari per una fabbrica di pannelli Si-wafer-based.
  • Dai più bassi valori dell'efficienza di conversione che obbligano, a parità di potenza installata, ad avere superfici di captazione dell'energia solare maggiori, e quindi, a parità di potenza di picco, un impianto a film sottile occupa maggiore spazio.

Mofete
Vedi articolo.
Mono oraria
Tipologia di opzione tariffaria dei clienti elettrici che pagano allo stesso modo l'energia consumata nell'arco della giornata, indipendentemente dalle fasce orarie o dai giorni della settimana.
Motore a combustione esterna
I motori a combustione esterna (MCE) sono una tipologia di motori nei quali il combustibile viene utilizzato per riscaldare un fluido di lavoro, attraverso il quale si realizza la conversione dell'energia termica in lavoro meccanico. Appartengono a questa categoria il motore a vapore e il motore Stirling. A parità di potenza, un motore a combustione esterna è in genere più ingombrante e pesante di un motore a combustione interna. Questo perché contiene uno scambiatore di calore utilizzato per riscaldare il fluido di lavoro. Per contro, può essere più efficiente ed è meno critico relativamente al carburante da utilizzare. Inoltre la temperatura e la pressione relativamente basse della combustione portano ad una minor formazione di inquinanti, quali gli ossidi di azoto.La turbina a vapore è un buon esempio di motore a combustione esterna. In questa macchina il calore ottenuto bruciando il combustibile, oppure generato da un reattore nucleare, viene utilizzato per portare dell'acqua allo stato di vapore. All'interno della turbina l'energia di pressione posseduta dal vapore viene trasformata in energia cinetica ed utilizzata per far muovere le palette della turbina
Motore a combustione interna
Il motore a combustione interna (MCI) o motore endotermico è un particolare motore termico nel quale, attraverso la combustione di una miscela composta da un carburante (benzina, gasolio, metano, GPL, ecc...) e un comburente (aria) all'interno di una camera di combustione, si produce calore trasformato poi in lavoro meccanico, mentre il prodotto della combustione, viene espulso attraverso un impianto di scarico. I motori a combustione interna vengono classificati in base al sistema di accensione utilizzato per provocare la combustione in motori ad accensione comandata o ad accensione spontanea. Nei motori ad accensione comandata di solito l'accensione viene comandata attraverso una scintilla ad alta tensione che scocca nella miscela aria-combustibile all'interno del cilindro. La scintilla viene prodotta attraverso una bobina alimentata da una batteria che può essere ricaricata durante il funzionamento attraverso un alternatore trascinato dal motore. Inoltre per l'avvio del motore in condizioni di temperatura esterna e del motore stesso relativamente basse, si utilizza un sistema che serve a garantire un avvio piu facile, chiamato starter Nei motori ad accensione spontanea (detti anche motori Diesel) il combustibile viene iniettato nell'aria compressa nei cilindri del motore e la combustione si innesca a causa delle condizioni di pressione e di temperatura dell'aria stessa. L'energia dei prodotti di combustione, i gas combusti, è superiore all'energia originale dell'aria e del carburante (che avevano una maggiore energia chimica) e si manifesta attraverso un'elevata temperatura e pressione che vengono trasformate in lavoro meccanico dal motore. Nei motori alternativi, è la pressione dei gas combusti a spingere i pistoni all'interno dei cilindri del motore. Recuperata l'energia, i gas combusti vengono eliminati (spesso attraverso una valvola di scarico) talvolta dopo essere passati attraverso una turbina a gas che recupera una piccola quantità di energia, comunque sufficiente a comprimere l'aria comburente. Al termine di questa fase il pistone torna nella posizione di punto morto superiore. Tutto il calore non trasformato in lavoro deve essere eliminato dal motore attraverso un sistema di raffreddamento ad aria o a liquido
Motore asincrono
Il motore asincrono è un tipo di motore elettrico in corrente alternata in cui la frequenza di rotazione non è uguale o un sottomultiplo della frequenza di rete, ovvero non è "sincrono" con essa; per questo si distingue dai motori sincroni. Il motore asincrono è detto anche motore a induzione. Questo motore può essere utilizzato come alternatore con o senza l'utilizzo di condensatori a seconda se viene collegato alla rete o no, ma solo una minima parte degli alternatori è di questo tipo dato il suo minore rendimento

Motore asincrono
Animazione di un motore asincrono a gabbia di scoiattolo.

Motore a vapore
Un motore a vapore è un'apparecchiatura atta a produrre energia meccanica utilizzando, in vari modi, vapore d'acqua. In particolare trasforma tramite il vapore energia termica in energia meccanica. Il calore è in genere prodotto con il carbone, ma può anche provenire da legna, idrocarburi o reazioni nucleari. Già nell'antichità si racconta di esperimenti atti a sfruttare l'espansione dei composti dovuta al cambiamento da fase liquida a fase gassosa: in particolare la macchina di Erone, una sfera cava di metallo riempita d'acqua, con bracci tangenziali dotati di foro di uscita: quando si scaldava l'acqua, questa vaporizzava e il vapore usciva dai fori, facendo ruotare la sfera stessa.In tempi più recenti, le prime applicazioni del vapore si possono far risalire agli esperimenti di Denis Papin ed alla sua pentola a pressione del 1679 da cui partì per concepire idee su come sviluppare l' utilizzo del vapore. Le successive applicazioni si sono avute all'inizio del XVIII secolo, soprattutto per il pompaggio dell'acqua dalle miniere, con il sistema ideato nel 1698 da Thomas Savery utilizzando il vuoto creato dalla condensazione del vapore immesso in un recipiente (che permetteva di sollevare acqua fino a circa 10 m di altezza), e in seguito, grazie all'invenzione del sistema cilindro-pistone (probabilmente dovuta a Denis Papin), convertendo in movimento meccanico, in grado di generare lavoro, l'energia del vapore. Il primo esempio di applicazione industriale di questo concetto è la macchina di Newcomen, del 1705, che era però grande, poco potente e costosa, quindi anch'essa veniva in genere usata solo per l'estrazione di acqua dalle miniere. Solo più tardi però, grazie all'invenzione del condensatore esterno, della distribuzione a cassetti e del meccanismo biella-manovella, tutte attribuite a James Watt a partire dal 1765, si e potuti passare da applicazioni sporadiche ad un utilizzo generalizzato nei trasporti e nelle industrie. La macchina di Watt riduceva costi, dimensioni e consumi, e aumentava la potenza disponibile. Dal primo modello da 6CV si è passati in meno di 20 anni a locomotive da 600CV. Il motore a vapore, consentendo potenze assai maggiori di quelle fino ad allora disponibili (un cavallo da corsa produce massimo 14-15 cavalli-vapore, o circa 8 kW, ma solo per brevi tratti, mentre un cavallo lavorando una giornata non produce più di 1CV), ha svolto un ruolo importante nella rivoluzione industriale. Lo sviluppo del motore a vapore ha facilitato l'estrazione ed il trasporto del carbone, che a sua volta ha aumentato le potenzialità del motore a vapore. La seconda applicazione a cui fu usato il motore a vapore fu per muovere il mantice nelle fonderie nel 1776, mentre dal 1787 fu usato anche nelle cotonerie per filare. L' incidenza del motore a vapore è evidente: la produzione mondiale di carbone passa da 6.000.000 di t del 1769 ai 65.000.000 di t del 1819; il ferro (richiesto per l' acciaio) dalle 40.000 t del 1780 alle 700.000 t del 1830. Nel 1830 vi erano 15.000 motori a vapore in Inghilterra, tra cui 315 navi.

Poiché il vapore d'acqua si ottiene invariabilmente somministrando all'acqua energia in forma termica, una parte essenziale del sistema che comprende il motore a vapore è il generatore di vapore, o caldaia. Il vapore viene poi inviato al motore, che può essere di due tipi fondamentali: alternativo o rotativo. Si usa di solito (e impropriamente) la locuzione motore a vapore per i soli motori alternativi, mentre quelli di tipo rotativo vengono definiti turbine. In quello alternativo, in genere, la ruota azionata muove le valvole che consentono di sfruttare i due lati di ogni pistone, così in ogni tempo avviene un'espansione biolaterale, (mentre i motori a combustione interna hanno in genere un'espansione ogni 4 tempi). A partire dalla seconda metà del 1800 la quasi totalità dei motori a vapore ha utilizzato due, tre e anche quattro cilindri in serie (motori a doppia espansione e tripla espansione, vedi immagine); i diversi stadi lavorano con pressioni di vapore decrescenti in modo da sfruttare meglio la pressione degli scarichi degli stadi precedenti, che contengono ancora una certa potenza. In particolare, la soluzione a tripla espansione fu quella universalmente adottata da tutte le navi della seconda metà dell'800 e dei primi anni del '900. Per esempio il transatlantico Titanic era equipaggiato con due motori a vapore a tripla espansione (uno per ciascuna delle due eliche laterali) a quattro cilindri, uno ad alta pressione, uno a pressione intermedia e due a bassa pressione. Invece l'elica centrale era collegata ad una turbina a vapore mossa dal vapore a bassissima pressione scaricata dai due motori alternativi. Proprio la soluzione a turbina (adottata a cominciare dalle navi militari a partire dal 1905) avrebbe soppiantato completamente in campo marino i motori alternativi prima di essere a sua volta soppiantata dai motori a combustione interna e dalle turbine a gas. Le turbine a vapore rimangono in uso soprattutto nelle centrali elettriche come forza motrice per azionare gli alternatori trifase. Di fatto oggi il motore a vapore è stato quasi completamente sostituito dai motore a combustione interna, che è più compatto e potente e non richiede la fase di preriscaldamento (per mettere la caldaia in pressione), che si traduce in un ritardo prima di poter utilizzare il motore stesso.

Motore a vapore
Motore a tripla espansione semplificato. Il vapore ad alta pressione (rosso) entra dalla caldaia, passa attraverso il motore ed è rilasciato al condensatore come vapore a bassa pressione (blu).
Motore sincrono
Il motore sincrono, conosciuto anche come motore vettoriale o motore Rowan è un tipo di motore elettrico in corrente alternata in cui il periodo di rotazione è sincronizzato con la frequenza della tensione di alimentazione, solitamente trifase, questo motore può essere utilizzato come alternatore e la maggioranza degli alternatori è di questo tipo.È costituito da un rotore (parte rotante solidale all'albero) su cui sono presenti diversi poli magnetici di polarità alterna creati da magneti permanenti o elettromagneti alimentati in corrente continua (detta corrente di eccitazione), e da uno statore su cui sono presenti gli avvolgimenti del circuito di alimentazione. Le espansioni polari dello statore creano un campo magnetico rotante che trascina le espansioni polari del rotore. La frequenza di rotazione dipende dalla frequenza di alimentazione (ad es. in Italia è 50 Hz) e dal numero di terne di espansioni polari presenti nel motore. L'avviamento di questo tipo di motore è relativamente complesso. A motore fermo, l'applicazione della tensione alternata fa si che il rotore, per effetto dell'inerzia non abbia il tempo di seguire il campo magnetico rotante, rimanendo fermo. Il motore viene quindi inizialmente portato alla velocità di rotazione per mezzo di un motore asincrono, quindi, dopo avere scollegato quest'ultimo, viene collegata la tensione di alimentazione ed inserito il carico meccanico utilizzatore. Un'altra tecnica di avviamento sfrutta la possibilità di fare funzionare temporaneamente come asincroni motori appositamente realizzati, quindi passare al modo sincrono. Se una volta a regime la rotazione viene frenata o accelerata oltre un certo limite, si innesca una serie di oscillazioni che portano il motore al blocco e possono provocare forti sovracorrenti tali da danneggiare il motore. Per questo motivo va prevista una protezione dalle sovracorrenti, ad esempio con un interruttore magnetotermico di protezione.

Motore sincrono
Animazione di uni motore sincrono trifase.
Motore Stirling
Il motore Stirling è un motore a combustione esterna, inventato da Robert Stirling nel 1816. L’invenzione del Motore Stirling detto anche “motore ad aria calda di Stirling” è una evoluzione dei motori ad aria calda preesistenti, che all’inizio del 1800 competevano con il motore a vapore per fornire energia meccanica ai macchinari industriali (in opifici e miniere) della prima rivoluzione industriale in Inghilterra. In particolare l’invenzione di Stirling riguardò l’adozione di un ricuperatore di calore che effettivamente risultò essere il dispositivo adatto per migliorarne in modo notevole il rendimento del motore. La competizione tra motore ad aria e quello a vapore aveva motivo nel tentativo di avere un’alternativa al motore a vapore stesso che, nelle sue prime realizzazioni, pur avendo caratteristiche superiori di quello ad aria, a causa dell’utilizzo di materiali tecnologicamente scadenti allora a disposizione era estremamente pericoloso per le devastanti esplosioni delle caldaie. Dopo una prima fase di applicazione con buon successo del motore Stirling di dimensioni commerciali, il perfezionamento del motore a vapore con materiali più affidabili rese lo Stirling poco conveniente, in conseguenza il suo uso fu abbandonato. Una seconda applicazione del motore Stirling si ebbe con lo sviluppo della elettronica e l’uso dei primi apparecchi radio e lo sviluppo della aviazione prima del 1960. La Philips (industria olandese di produzione di apparecchi radio) per alimentare gli apparecchi radio-trasmittenti e riceventi di sua costruzione realizzò una piccola unità Stirling di generazione elettrica mediante combustione di petrolio, utile per alimentare appunto tali apparecchi in postazioni remote e prive di alimentazione elettrica. L’apparecchio realizzato fu il Philips MP1002CA (detto Bungalow Set) con una potenza di circa 200Watt; la tecnologia usata fu quella allora all’avanguardia con uso di leghe leggere (1950), ottenendo un buon compromesso tra praticità e costo. L’esigenza di tale generazione elettrica era particolarmente sentita per alimentare gli apparecchi radio (allora dotati di grosse ed onerose valvole termoioniche), necessari per il collegamento stabile con i campi di aviazione della rete aerea civile che era in costituzione (in prima fase per il servizio postale) in luoghi remoti e senza attrezzature. Con l’adozione del tranistor nei circuiti elettronici, a partire dal 1960, fu sufficiente l’alimentazione delle radio con potenze elettriche molto più esigue, ottenute con le semplici batterie elettriche di accumulatori di piccola dimensione, che davano comunque adeguate autonomie, quindi l’uso del motore Stirling fu abbandonato. Altre applicazioni sono state realizzate in seguito, e sviluppate attualmente con motori di diversa taglia, ottenendo discreti o buoni successi tecnici, ed in qualche caso anche commerciali per mercati di nicchia. Il motore funziona a ciclo chiuso utilizzando un gas come fluido termodinamico (solitamente aria, azoto oppure elio o idrogeno nelle versioni ad alto rendimento). Quando è raggiunta una opportuna differenza di temperatura tra il suo punto caldo ed il punto freddo ed è opportunamente avviata, si innesca una pulsazione ciclica, di norma trasformata in moto alternato dei pistoni, che si autosostiene. Una particolarità di questo motore è quella di funzionare senza fare ricorso a valvole. Le sole parti in movimento sono il pistone ed il dislocatore che agiscono collegati ad un albero motore con una coppia di gomiti sfasati tra loro di 90 gradi. È probabilmente uno dei più interessanti motori a combustione esterna per la sua bassa manutenzione, la sua silenziosità e la possibilità teorica di raggiungere rendimenti vicini a quello teorico per cicli termodinamici. È possibile utilizzare la luce solare concentrata, ad esempio tramite un cilindro parabolico, per produrre la differenza di temperatura necessaria. La scoperta di nuovi materiali tecnologici costruttivi in grado di aumentare la differenza di temperatura necessaria al funzionamento, nuovi fluidi termodinamici e le problematiche ambientali degli ultimi anni hanno dato nuovi impulsi alla realizzazione di motori Stirling di largo impiego. Ad esempio la realizzazione di centrali elettriche che impiegano sali fusi e motori Stirling per la produzione di grandi quantità di energia elettrica è tutt'ora in fase di studio e realizzazione. Gli esemplari più piccoli sono spesso oggetto di curiosità più che utilità pratica. Queste realizzazioni in materiali particolarmente hi-tech sono capaci di sfruttare una differenza termica esigua e quindi in grado di funzionare col calore di una mano, di una tazza di caffè o con la luce normale del sole anche in inverno. Addirittura, se appoggiati su un pezzo di ghiaccio, possono sfruttare il calore ambientale come sorgente calda. E' evidente che con dislivelli limitati di temperatura anche se si ottengono buoni rendimenti teorici le potenze in gioco sono trascurabili, ed il rapporto potenza/peso è comunque sfavorevole per potenze significative, almeno nelle condizioni attuali di mercato energetico.

Schema di motore Sterling
Animazione di un motere Stirling

Motore Wankel
Il motore Wankel, inventato da Felix Wankel nel 1950, è un motore a combustione interna, il quale viene alimentato da un impianto d'alimentazione e che scarica i prodotti esauriti (gas di scarico) tramite un impianto di scarico, Il motore è di tipo rotativo: il principio di funzionamento vede un pistone a tre lobi che ruota eccentricamente intorno all'albero motore, generando con il suo movimento le fasi di aspirazione - compressione - scoppio - scarico.Le prime vetture che adottarono questo tipo di motore furono le NSU, tra cui la Ro 80. Tra il ’62 e il 1970, la Mercedes Benz realizzò una decina di prototipi tra cui le famose C111 a tre e quattro rotori (realizzate tra il 1969 e il 1970) e una 350 SL Quadrirotore utilizzata normalmente da Wankel stesso. Alla Mercedes si affiancò la GM, con i prototipi Chevrolet e la American Motors, che realizzò una versione rotativa della sua Pacer. In campo motociclistico il propulsore rotativo fu utilizzato sporadicamente dalla stessa NSU, dalla Suzuki (sul modello RE-5) e dalla Norton che riuscì anche ad ottenere delle vittorie in gare del campionato inglese. I principali problemi riscontrati nell'utilizzo di vetture fornite di tale motore erano relativi alla durata delle guarnizioni di tenuta che lavorano in condizioni di pressione elevata. Attualmente, grazie allo sviluppo della tecnologia dei materiali, la durata di vita di questi propulsori è notevolmente aumentata, consentendo una maggiore produzione su larga scala. La casa automobilistica Mazda ormai da quasi vent'anni porta avanti lo studio e lo sviluppo di motori rotativi ad alte prestazioni e attualmente monta sulla vettura Mazda RX-8 un birotore denominato "Renesis" di cilindrata complessiva di 1308 cc, in grado di sviluppare una potenza di 231 cv (170 KW) a 8200 giri, facendone, a tutt'oggi, l'unica vettura con motore di derivazione Wankel di serie.

Schema di motore Wankel
Schema del motore Wankel:
1 - Ugello di iniezione
2 - Ugello di scarico
3 - Camera esterna
4 - Camera di combustione
5 - Ingranaggio centrale
6 - Rotore
7 - Ingranaggio interno
8 - Albero motore
9 - Candele di accensione
Multioraria
Tipologia di opzione tariffaria dei clienti elettrici che pagano l'energia consumata in modo diverso a seconda delle fasce orarie e dei giorni della settimana. Le fasce orarie sono state stabilite dalla Delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas 5/04.
Neutrini
Vedi articolo specifico
Nucleare
L'espressione energia nucleare indica l'energia che viene liberata dalla trasformazione di nuclei atomici. Ai fini della produzione elettrica, l'unica trasformazione nucleare che libera energia d'interesse industriale è, almeno per ora, la fissione, che consiste, in pratica, nella “rottura (fissione) ” di nuclei pesanti, come quelli di uranio. Se, ad esempio, il nucleo di un isotopo pesante dell'uranio viene sottoposto a “bombardamento” di neutroni, si scinde in due grossi frammenti e, in più, produce energia e due-tre neutroni, che a loro volta possono “bombardare” altri nuclei di uranio innescando una reazione a catena. Ciò è proprio quanto accade in una centrale nucleare, ove il “combustibile” (tipicamente costituito da isotopi di uranio) viene sottoposto a reazioni a catena di fissione nucleare. Il calore prodotto in grande quantità viene asportato da opportuni sistemi di raffreddamento e trasferito a generatori di vapore, i quali, a loro volta, azionano convenzionali gruppi turboalternatori per la produzione di energia elettrica. L’impiego dell’energia nucleare in campo civile ha una storia piuttosto recente, avendo avuto inizio all’indomani della seconda guerra mondiale. Ed è una storia che potrebbe avere lunga vita davanti a sé dal momento che le riserve di uranio sono relativamente abbondanti sul Pianeta. Il suo sviluppo, invece, ha conosciuto una forte battuta d’arresto nel 1986 a seguito della catastrofe di Chernobyl, che spinse diversi Paesi a rivedere i propri programmi di sviluppo elettronucleare. In questo scenario l’Italia fece una scelta ancora più radicale: quella di rinunciare all’apporto fornito dalle centrali elettronucleari arrestando i tre impianti che erano in esercizio (Latina, Caorso e Trino Vercellese) e rinunciando alla realizzazione di un impianto che era in fase avanzata di costruzione (Montalto di Castro). Nonostante l’evento traumatico di Chernobyl, numerosi Paesi al mondo non solo non hanno spento le loro centrali nucleari, come ha fatto l’Italia, ma ne stanno progettando di nuove, sia in Europa (Francia, Russia e Finlandia) sia in Asia. Attualmente (2008) sono in esercizio circa 450 impianti nucleari in 31 nazioni per una potenza elettronucleare installata di circa 380 GW. Tale potenza equivale a circa il 6 % della produzione di energia primaria nel mondo. In Europa, dove tutti i principali Paesi sono dotati di centrali elettronucleari, il mix di generazione elettrica vede il nucleare coprire una quota del 32%. Proprio le preoccupazioni ambientali che ne hanno segnato il cammino sono oggi all’origine di un rinnovato interesse verso l’opzione nucleare, che si sta manifestando in tutto il mondo e anche nel nostro Paese. L’assenza di emissioni inquinanti e di anidride carbonica nel processo di generazione di energia elettrica di una centrale nucleare rappresenta, infatti, un forte punto a favore verso una fonte che non concorre all’accumulo in atmosfera di gas climalteranti . In un momento storico in cui i Paesi dell’Unione Europea sono costretti a fare i conti con i costi derivanti dal rispetto degli impegni del Protocollo di Kyoto, l’Italia potrebbe pagare un conto più salato degli altri anche come conseguenza di una scelta che si è tradotta oggi in uno svantaggio competitivo. La stessa Germania che pure ha dichiarato che non intende sostituire le sue centrali nucleari via via che diventeranno obsolete continua a produrre oltre il 30% della sua energia elettrica da questa fonte e continua a spostare in avanti la data del cosiddetto phase out.
Officine elettriche.
Parlando di rinnovabili, per officina elettrica, o meglio officina di produzione di energia elettrica, si intende un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili che supera i 20 kW di potenza di picco. Requisito essenziale per gli impianti sopra i 20 kW è che l’impianto da fonti rinnovabili deve produrre almeno in parte per l’autoconsumo. Detto in altri termini: ogni impianto fotovoltaico o da fonti rinnovabili al di sopra dei 20 kW di potenza e installato in modo da permettere l’autoconsumo è sottoposto all’obbligo, all’onere, di denuncia di Officina Elettrica presso l’ufficio dell’Agenzia delle Dogane territorialmente competente. Un impianto fotovoltaico sopra i 20 kW che autoconsuma anche solo l’1% dell’energia prodotta è Officina Elettrica ed è tenuto a presentare denuncia di apertura di officina elettrica presso il competente ufficio territoriale dell’agenzia delle dogane. Perchè questo? Per un motivo molto semplice: le accise, che dovrebbero pagare i produttori di energia elettrica, vengono (come accade per l’IVA) caricate sui consumatori finali. Le accise vengono infatti pagate in bolletta dai consumatori finali in proporzione ai kWh di energia consumati. Nel momento in cui il produttore è anche un consumatore dell’energia da esso stesso prodotta, è tenuto a pagare le accise sull’energia autoconsumata, dovrà quindi essere correttamente registrato presso l’Agenzia delle Dogane. Per questo un impianto che autoconsuma anche solo l’1% dell’energia prodotta è tenuto ad effettuare denuncia di apertura di officina elettrica.
Organismi Geneticamente Modificati (OMG).
Situazione in Europa, Vedi.
Ozono troposferico
Vedi articolo.

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