LIBRO II
1. L’ira è reazione all’ingiuria
[1] Il primo libro, o Novato, era d’argomento abbastanza accessibile: è facile scendere lungo la china dei vizi. Ora dobbiamo venire a questioni più sottili: ci chiediamo infatti se l’ira nasca da riflessione o da impulso, cioè se muova da volontà deliberata o sia come tanti altri fenomeni, che insorgono in noi a nostra insaputa.
[2] È indispensabile far scendere la discussione su questo piano, per poterla poi elevare a più dignitoso livello: del resto, anche nel nostro corpo, prima si dispongono le ossa, i nervi e le articolazioni, per nulla attraenti a vedersi, che sostengono l’insieme e gli danno la vita, poi si forma ciò che conferisce tutto il decoro alla figura e all’aspetto esteriore, per ultimo, dopo tutto questo, nel corpo già formato si diffonde il colore che appaga specificamente l’occhio.
[3] Non c’è dubbio che l’ira insorga alla percezione di un'ingiuria, di un'offesa, di un torto; ma il nostro quesito è se essa segua immediatamente quella percezione e prorompa senza la partecipazione dell’animo, o si muova con il suo assenso.
[4] È mio parere che essa non osi nulla da sola, ma attenda l’approvazione dell’animo. Infatti, il percepire l’offesa ricevuta, il desiderarne la vendetta e l’associare le due sensazioni, che cioè non dovevamo essere offesi e che è necessaria la vendetta, costituiscono un insieme non contenibile in quell’impulso che sbotta senza la nostra volontà.
[5] Quello è semplice, questo è complesso ed implica tanti fattori: la percezione del fatto, lo sdegno, la condanna, la vendetta: l’insieme non può verificarsi, se l’animo non ha dato il suo assenso ai fattori che lo hanno colpito.
2. L’ira è vizio volontario
[1] “A che cosa mira” mi chiedi “questa discussione?”. A sapere che cosa è l’ira. Infatti, se essa nasce senza il nostro assenso, non soccomberà mai alla ragione. Tutte le reazioni che insorgono fuori dell’area della volontà, sono invincibili e inevitabili, come il brivido di chi è cosparso d’acqua fredda o la ripugnanza a certi contatti, il rizzarsi dei capelli alle notizie più brutte, l’effondersi del rossore alle parole sfacciate, la vertigine che coglie chi guarda i dirupi. Poiché nulla di tutto questo è in nostro potere, la ragione non può impedirne il verificarsi.
[2] L’ira è messa in fuga dai retti dettami: essa è infatti un vizio volontario dell’animo, non una di quelle reazioni che sono insite nello stato di condizione umana e perciò accadono anche ai più saggi; tra queste, è da annoverare anche quel primordiale impulso interiore che ci turba al pensiero dell’ingiuria.
[3] Esso ci coglie anche quando assistiamo a spettacoli teatrali o leggiamo storie antiche. [4] A volte ci eccitano un canto, una melodia ritmata o il suono marziale delle trombe. Ci commuovono una pittura spietata o la lugubre vista di supplizi anche giustissimi,
[5] ed è per questo motivo che sorridiamo a chi ci sorride, ci rattristiamo davanti ad una folla in pianto e ci entusiasmiamo, guardando altri combattere. Ma questa non è ira; come non è tristezza il corrugare la fronte, quando il mimo rappresenta un naufragio, e non è paura quella che prende il lettore, quando Annibale, dopo Canne, assedia le mura. Tutti questi sono moti dell’animo, che però non coinvolgono la volontà; e non sono nemmeno passioni, ma sintomi che preludono alle passioni.
[6] Allo stesso modo, la tromba eccita le orecchie di un soldato che, in piena pace, ha già ripreso gli abiti civili, e uno strepito d’armi ridesta i cavalli negli accampamenti.
3. Accezione morale della passione
[1] Nessun impulso fortuito dell’animo deve essere chiamato passione: è più esatto dire che l’animo subisce, non produce, i fatti di questo genere. La passione non consiste dunque nella commozione che si prova nel percepire i fatti, ma nell’abbandonarsi ad essa e nell’assecondare questo impulso fortuito. [2]
Dunque, il ritenere che il pallore, il cadere delle lacrime, l’eccitarsi degli umori del sesso, il sospirare profondo, il lampo improvviso degli occhi siano sintomi di passione e manifestazione di stato d’animo, è uno sbaglio, un non rendersi conto che si tratta di impulsi fisici.
[3] Per questo, anche l’uomo più coraggioso impallidisce quando prende le armi e il soldato più prode, al risuonare del segno di battaglia, avverte un leggero tremito alle ginocchia, il grande generale prova un tuffo al cuore quando gli eserciti stanno per scontrarsi, e l’oratore più eloquente, quando si concentra per parlare, sente irrigidirsi le estremità del corpo.
[4] L’ira non può limitarsi a mettersi in movimento, ma deve anche prorompere, perché è uno slancio; ma non ci possono mai essere slanci, senza l’assenso della mente; allora, non può nemmeno darsi che si discuta di vendetta e di punizione, all’insaputa dell’animo. Uno s’è ritenuto offeso, s’è proposto una vendetta ma, dissuaso da un qualunque motivo, si è placato; non posso chiamare ira questo movimento dell’animo, che obbedisce alla ragione; è ira quella che scavalca la ragione e se la trascina dietro.
[5] Dunque, quella prima reazione dell’animo che è provocata dalla percezione dell’ingiuria, non rientra nel concetto di ira più di quanto ci rientri la percezione dell’ingiuria; invece il successivo impulso, quello che non solo registra la percezione dell’ingiuria, ma la condivide, è l’ira, cioè l’eccitarsi dell’animo che si avvia alla vendetta con volontà deliberata. Non s’è mai messo in dubbio che il timore provochi la fuga, l’ira l’attacco: dimmi tu, ora, se pensi che si possa brigare per qualche cosa o guardarsene, senza l’assenso della mente.
4. Psicologia della passione
[1] Voglio renderti edotto del come le passioni incominciano, si sviluppano e giungono all’esasperazione. Il primo movimento è involontario ed è come un preparativo o una minaccia della passione; il secondo è accompagnato da volontà controllabile ed è il pensare che è necessaria la vendetta, dacché sono stato offeso, o che costui deve essere punito, dacché ha offeso; il terzo movimento è ormai tracotante, non vuole la vendetta perché è necessaria, ma perché la vuole, ed ha già sopraffatto la ragione.
[2] Al primo dei tre impulsi non possiamo sottrarci con la ragione, come non possiamo sottrarci a quelle reazioni fisiche di cui s’è detto, allo sbadiglio quando sbadigliano gli altri, al chiudere gli occhi quando ci puntano improvvisamente le dita contro: questi fatti non li può vincere la ragione; forse li attenua l’assuefazione o una circospezione costante. Ma il secondo movimento, quello che nasce da deliberazione, è annullabile con una decisione.
5. L’ira e la ferocia
[1] Dobbiamo ora chiederci questo: coloro che sono abitualmente crudeli e godono del versare sangue umano, sono in preda all’ira, quando uccidono persone dalle quali né hanno ricevuto ingiuria, né pensano d’averla ricevuta?
[2] Questa non è ira, è ferocia: essa infatti non fa il male per vendicare l’ingiuria ricevuta, ma è addirittura disposta a riceverla, pur di poter fare il male, e non cerca le fustigazioni e lo strazio delle membra per vendicarsi, ma per goderne.
6. La virtù è incompatibile con l’ira
[1] “La virtù,” si obietta “come deve esser favorevole alle imprese oneste, così deve essere adirata contro quelle turpi”. E se mi vengono a dire che la virtù dev’essere insieme abietta e nobile? Eppure dice questo chi la vuole vedere esaltarsi ed abbattersi, perché la gioia per un’impresa buona è nobiltà e gloria, l’ira per un peccato altrui è meschinità e grettezza.
[2] La virtù non si comporterà mai in modo da imitare quei vizi che sta reprimendo; deve ridurre a ragione proprio l’ira, che non è per nulla migliore, anzi spesso è peggiore, dei delitti contro i quali si scaglia. Costitutivo specifico e nativo della virtù è il godere e rallegrarsi; l’adirarsi non si conviene al suo decoro, come non gli si conviene il piangere: ebbene, la tristezza è compagna dell’iracondia, ed in essa va a sfociare ogni atto di ira, o dopo il pentimento o dopo l’insuccesso.
7. La saggezza è compostezza
[1] C’è cosa più sconveniente che porre in un uomo saggio una passione condizionata dalla malvagità altrui? Il famoso Socrate non sarà più in grado di rientrare in casa con il volto pacato che aveva quando ne era uscito; eppure, se il saggio deve adirarsi contro le azioni turpi, e deve anche spazientirsi e rattristarsi per i delitti, non esiste vivente più travagliato di lui: la sua vita trascorrerà tutta nell’ira e nella tristezza.
[2] Ci sarà davvero un momento in cui non veda azioni da disapprovare? Ogni volta che uscirà di casa, dovrà camminare tra scellerati, avari, prodighi, spudorati, tutta gente felice dei propri vizi; non potrà mai girare l’occhio, senza trovare un motivo di indignazione; cadrà esausto, se si impegnerà ad adirarsi ogni volta che la situazione lo richiede.
8. La folla degli sconsiderati
[1] Che sto ad elencare esempi? Quando vedrai il foro pieno di gente e i recinti elettorali zeppi di tutto un afflusso di folla, e quel circo, dove il popolo si mette in mostra il più numeroso possibile, sappi questo: ivi ci sono tanti vizi quanti uomini.
[2] Tra codesti individui, che vedi in toga, non c’è pace; ciascuno, per un utile da nulla, si lascia indurre a rovinare l’altro, nessuno ritiene di poter guadagnare se non ingiuriando gli altri, odiano chi è felice e disprezzano chi è infelice; sentono il peso di chi è più grande di loro e gravano sui più piccoli, agiscono sotto lo stimolo delle opposte cupidigie, desiderano il crollo di tutto, per un piacere o un bottino da nulla. Si vive come in una scuola di gladiatori, dove il vivere insieme è un combattersi.
[3] È un’accolta di belve codesta, a parte il fatto che quelle non lottano tra loro e non azzannano i loro simili, costoro si saziano sbranandosi vicendevolmente. Tra loro e gli animali c’è questa sola differenza: le belve sono mansuete con chi le nutre, la rabbia di costoro divora chi la nutre.
9. L’ira comporta una ressa di passioni
[1] Il saggio, se appena comincerà ad adirarsi, non potrà più smettere: tutto è pieno di delitti e di vizi, e si commettono più misfatti di quanti se ne possano rimediare con i mezzi coercitivi. È una specie di grande gara di iniquità: ogni giorno aumenta la cupidigia di peccare e diminuisce il ritegno; spazzata via ogni valutazione del meglio e del più giusto, la libidine si slancia in qualunque direzione le pare, ed i delitti nemmeno più si nascondono: ti passano sotto gli occhi; la nequizia si è talmente diffusa in pubblico e talmente rinvigorita nel cuore di tutti, che l’innocenza non è più rara: è inesistente.
10. Non adirarsi contro gli errori
[1] È preferibile che tu rifletta che non ci si deve adirare contro gli errori. Che dire di chi si arrabbia con gente che, al buio, cammina con passo insicuro? O con dei sordi che non possono sentire gli ordini? O con dei fanciulli che, invece di pensare ai loro doveri, guardano i giochi e i divertimenti? E se ti volessi adirare perché uno è malato, vecchio, spossato? Tra gli altri inconvenienti della condizione mortale, c’è anche questo: l’ottenebrarsi della mente, che non è soltanto inevitabilità dell’errore, ma amore di esso.
[2] Se non vuoi adirarti con i singoli, devi perdonare a tutti, conceder venia all’umanità intera. Se ti adiri con i giovani o con i vecchi perché peccano, ti devi adirare anche con i bimbi: peccheranno.
[3] Noi siamo nati in questa condizione di viventi soggetti a malattie dell’anima, non meno numerose di quelle del corpo, non perché siamo ottusi e tardi, ma perché non facciamo buon uso del nostro acume e siamo esempio di male l’uno all’altro; chiunque segue chi, prima di lui, s’è avviato sulla strada sbagliata, perché non deve essere scusato del percorrere la strada sbagliata che tutti percorrono?
[6] Il saggio non s’adirerà con chi commette colpa: perché? Perché sa che saggi non si nasce, ma si diventa; sa che ben pochi, nell’intero arco della vita, riescono saggi, perché ha ben sondato la condizione del vivere umano, e nessuno, se è in senno, si adira con la natura. Che diresti, se volesse stupirsi che non pendano frutti dai cespugli selvatici? O che le spine ed i rovi non si caricano di nessun buon raccolto? Nessuno si adira, quando la natura rende ragione del difetto.
[7] Quindi il saggio, tranquillo e sereno con gli errori, non nemico, ma censore di chi sbaglia, esce ogni giorno di casa con queste disposizioni: “Incontrerò molti beoni, molti dissoluti, molti ingrati, molti avari, molti esagitati dalle furie dell’ambizione”. E guarderà tutto questo con benevolenza, quanta ne ha il medico con i suoi pazienti.
11. L’ira non ha vera consistenza
[1] “L’ira è utile,” si obietta “perché ci evita il disprezzo, perché atterrisce i cattivi”. In primo luogo, se l’ira è efficace in proporzione delle minacce che fa, proprio perché è terribile, è anche detestata; ora è più pericoloso essere temuti che disprezzati. Se invece è priva di forza, è ancor più esposta al disprezzo e non sfugge al ridicolo: c’è una cosa che lasci più indifferenti di un’ira che strepita a vuoto?
[2] Inoltre, dal fatto che certe prospettive sono più temibili, non segue che siano preferibili, e non vorrei che s’affibbiasse al saggio la massima: “Il saggio e la belva dispongono della medesima arma: sono temuti”. E che? Non temiamo la febbre, la gotta, la piaga in cancrena? E per questo, quei fatti hanno qualcosa di buono? Non sono invece spregevoli, disgustosi, vergognosi, e perciò stesso temuti? Così l’ira, per sua natura, è vergognosa e per nulla temibile, ma i più la temono, come i fanciulli temono una maschera turpe.
[3] E che dire del fatto che il timore si riversa sempre su chi l’ha provocato, e nessuno riesce a farsi temere, restando lui tranquillo? Ricorda, a questo punto, il noto verso di Laberio che, recitato in teatro in piena guerra civile, avvinse tutto il pubblico perché risuonò come una voce di popolo:"molti deve temere colui che da molti è temuto".
12. Controllare l’ira è possibile
[1] “Se vuoi sopprimere l’ira,” si obietta “devi sopprimere dal mondo anche la malvagità, ma non è possibile fare le due cose insieme”. Intanto è possibile che uno non senta il freddo, anche se natura vuole che sia inverno, o che non senta il caldo, nonostante si sia nei mesi estivi: o è al sicuro dalle offese della stagione per la favorevole situazione del luogo o, con la sua capacità fisica di sopportazione, controlla le due sensazioni.
[2] Poi capovolgi il discorso: diventa necessario eliminare dall’anima la virtù, prima di accogliere l’ira, dato che non è pensabile che il vizio si combini con la virtù, e uno non può essere contemporaneamente uomo buono e adirato, come non può essere insieme malato e sano.
[3] “Non è possibile” si obietta “eliminare completamente l’ira dall’animo: la natura umana non lo comporta”. Eppure non c’è impresa tanto difficile e ardua, che la natura umana non possa affrontare con successo e che non sia resa abituale dall’esercizio continuo, e non esistono passioni tanto indomite e autonome, che non vengano soggiogate da una retta educazione. [4] Tutto quello che l’animo sa imporsi, lo ottiene; c’è chi è riuscito a non ridere mai; alcuni hanno negato al proprio corpo il vino, altri l’amore, altri ancora ogni bevanda; c’è chi, accontentandosi di un breve sonno, ha prolungato le sue veglie, senza cedere alla stanchezza; c’è chi ha imparato a correre su funi sottili e contro pendenza, o a portar pesi enormi quasi impossibili a forza umana, o a tuffarsi a profondità smisurate e sopportare il mare senza trarre respiro.
[6] E noi non chiameremo in nostro aiuto la pazienza, se ci spetta un premio tanto grande, quanto lo è l’imperturbabile calma di un animo felice? Quanto è valida impresa fuggire il più grave dei mali, l’ira e, con essa, la rabbia, la ferocia, la crudeltà, il furore, e altri compagni di quella passione!
13. Vantaggi della tranquillità Vedi De tranquillitate animi.
[1] Non è il caso di cercare una giustificazione o un pretesto per permetterci un vizio, dicendo che esso è utile o inevitabile: quale vizio, in fin dei conti, s’è mai trovato privo d’avvocati? E non è neppure il caso di dire che è un vizio che non si può stroncare: soffriamo di malattie guaribili, e la natura stessa, che ci ha generati per la rettitudine, ci aiuta, se vogliamo emendarci. E non è vero che, come qualcuno ha sentenziato, il cammino verso la virtù sia ripido e scabroso: si giunge ad esso camminando in pianura.
[2] Non vengo a farvi un discorso infondato. La via della felicità è facile: soltanto, intraprendila sotto buoni auspici e con il sicuro aiuto degli dèi. Che cosa è più riposante della tranquillità di spirito e più faticoso dell’ira? Che cosa è più distensivo della clemenza e più impegnativo della crudeltà? La pudicizia è libera, la libidine ha sempre mille impegni. Insomma, tutte le virtù sono facili da conservare, mentre coltivare i vizi costa caro.
[3] L’ira deve essere eliminata: buttiamola via del tutto, non può servire a nulla. Senza di essa, si possono togliere di mezzo i delitti in modo più facile e giusto, si possono punire i cattivi e indurli a propositi migliori. Il saggio adempirà tutti i suoi doveri, senza mai fare ricorso a nessuna cosa cattiva e senza frapporre nulla che debba poi preoccuparsi di controllare.
14. È meglio ragionare che reagire
[1] Così l’ira non deve mai essere ammessa: qualche volta però deve essere simulata, quando è il caso di pungolare l’inerzia di chi ascolta, così come eccitiamo i cavalli a spiccare la corsa con i pungoli. A volte bisogna incutere paura a quegli individui con i quali la ragione non fa profitto, ma l’adirarsi non è più utile del piangere o del temere.
[2] “E allora? Non si verificano situazioni che stimolano l’ira?”. Ma è soprattutto quello il momento di mettere le mani avanti. E non è difficile dominarsi, se anche gli atleti, impegnati nella parte più vile del loro essere, riescono a sopportare botte e dolore, pur di spossare chi li percuote, e non colpiscono quando lo vuole l’ira, ma al momento buono.
[3] Pirro, il più grande allenatore di lotta, dicono che fosse solito ordinare, a quelli che allenava, di non adirarsi; l’ira, infatti, sconvolge la tecnica e bada solo a come far male. Spesso dunque la ragione ci suggerisce di sopportare, l’ira di vendicarci, e noi, che eravamo in condizione di toglierci dai guai all’inizio, andiamo a rotoli nel peggio. [4] Alcuni sono stati cacciati in esilio, per non aver saputo sopportare serenamente una parola ingiuriosa e, dopo essersi rifiutati di sopportare in silenzio un’offesa lieve, sono stati sommersi da disgrazie gravissime: sdegnando una piccola diminuzione della loro più che assoluta libertà, si sono tirati sul collo il giogo della schiavitù.
15. Obiezione: la sana ira dei popoli primitivi
[1] “Se vuoi renderti conto” si obietta “che l’ira ha la sua parte di nobiltà, vai a vedere i popoli liberi, che sono i più iracondi, come i Germani e gli Sciti”. Questo accade perché i caratteri forti e tutti d’un pezzo per natura, se non sono ancora stati ammansiti dall’educazione, propendono all’ira. Certe tendenze però sono innate soltanto nei caratteri meglio dotati: anche la terra produce arbusti forti e rigogliosi, nonostante venga lasciata incolta, ed è lussureggiante la vegetazione dovuta alla sola fertilità del terreno.
[2] Allo stesso modo, anche i caratteri forti comportano l’ira per natura, e non contengono nulla di delicato ed esile, tutti fuoco e bollore come sono, ma il loro vigore non è perfetto, come non lo è quello degli esseri che crescono senza il sussidio dell’arte, con il solo spontaneo beneficio della natura. Ma se non vengono domate subito, queste doti, che avrebbero dovuto produrre la fortezza, si abituano all’audacia ed alla temerità.
[4] Poi, tutti questi popoli, che sono liberi per la loro ferocia, alla stregua dei leoni e dei lupi, come non s’adattano al dominio altrui, così non sanno comandare; infatti non hanno la forza tipica del genio umano, ma la ferocia e l’intrattabilità del bruto; ora, non è capace di comandare chi non sa anche ubbidire. Per questo, questi popoli sono stati tutti sottomessi.
16. Seconda obiezione: l’ira è forza e schiettezza
[1] “Tra gli animali,” si obietta “sono ritenuti più nobili i più propensi all’ira”. È uno sbaglio l’addurre come esempio per gli uomini degli esseri nei quali l’istinto sostituisce la ragione: nell’uomo la ragione sostituisce l’istinto. Ma neppure in quegli esseri l’istinto che giova è sempre il medesimo: ai leoni giova l’aggressività, ai cervi la paura, allo sparviero lo slancio, alla colomba la fuga.
[2] E se ti dico che non è neppure vero che gli animali migliori sono i più iracondi? Sì, le belve, dato che si nutrono di preda, sono tanto migliori quanto più feroci; ma vorrei anche lodare la pazienza dei buoi e dei cavalli che ubbidiscono al morso. Ma che motivo c’è di indirizzare l’uomo a esempi tanto infelici, quando hai davanti il cosmo e Dio che solo l’uomo, tra tutti gli esseri viventi, riesce a comprendere, per poterlo, lui solo, prendere a modello?
17. Terza obiezione: l’ira può dare buoni risultati
[1] “L’oratore irato,” si obietta “di solito riesce migliore”. Meglio: quello che fa la parte dell’irato; infatti, anche gli attori, quando recitano, commuovono il pubblico, non perché sono irati, ma perché fanno bene la parte dell’irato. Allora, davanti ai giudici e nelle assemblee popolari e dovunque vogliamo manipolare a nostro piacimento i sentimenti altrui, noi simuleremo ora l’ira, ora il timore, ora la compassione, per incuterli negli altri, e spesso le passioni simulate hanno ottenuto quei risultati che le passioni vere non avrebbero ottenuti.
18. I rimedi contro l’ira: premesse
[1] Ora che abbiamo trattato le questioni che riguardano l’ira, passiamo ai suoi rimedi. A mio parere, sono due: il non incorrere nell’ira ed il non sbagliare nell’ira. Come nell’arte medica le regole che riguardano la difesa della salute sono diverse da quelle che vertono sul suo ristabilimento, così c’è un procedimento per cacciare l’ira, un altro per tenerla sotto controllo. Per evitare l’ira, ci sono alcuni precetti che interessano l’intera vita: si suddividono in precetti per il periodo dell’educazione e precetti per l’età successiva.
[2] L’educazione esige la massima diligenza, per poter dare il frutto più abbondante. È facile, infatti, adattare le anime ancora tenere, è difficile recidere i vizi che sono cresciuti con noi.
20. Altre cause dell’ira e relative terapie
[1] Ma come la natura produce soggetti inclini all’ira, così sopravvengono molte cause che producono i medesimi effetti della natura: alcuni sono stati condotti a quel vizio da una malattia o da una menomazione fisica, altri dalla fatica, dalle veglie continue, dalle ansie notturne e dai desideri d’amore; ogni altro fattore, che risulti nocivo al corpo o all’anima, predispone la mente malata alle lamentele.
[2] Ma tutti questi fatti sono inizi e cause: moltissimo può l’assuefazione che, se fa sentire il suo peso, alimenta il vizio. Certo, è difficile cambiare la natura, e non è possibile reimpastare la mistura di elementi che s’è formata, una volta per tutte, al nostro nascere.
21. I fanciulli e l’ira: precetti di sana pedagogia
[1] Sarà utilissimo, direi, che venga subito avviata una salutare educazione dei fanciulli; guidarli, però, è difficile, perché si deve far in modo di non nutrire in loro l’ira e insieme di non smussarne il carattere. [2] È un impegno che presuppone una scrupolosa circospezione, perché sia ciò che dobbiamo sviluppare, sia ciò che dobbiamo reprimere si alimenta con mezzi simili, ed è facile che le cose simili inducano in errore anche chi fa attenzione.
[3] L’indisciplina provoca un aumento della baldanza, ma la repressione la annienta; questa si erge e sbocca nella fiducia in se stessi con le lodi, ma le medesime producono intolleranza ed irascibilità: perciò, per tenere il nostro allievo ugualmente lontano dai due eccessi, dobbiamo guidarlo usando ora il morso ora lo sprone.
[4] Non deve subire nulla di avvilente o di servile, non deve mai esser messo in condizione di chiedere e supplicare, mai deve ricavare vantaggio dall’insistenza nel chiedere: è meglio dare tenendo conto della situazione oggettiva, della condotta passata e dei buoni propositi per l’avvenire.
[5] Nelle gare con i coetanei, non gli dobbiamo permettere né di lasciarsi sconfiggere, né di adirarsi; facciamo in modo che frequenti coloro con i quali è solito gareggiare, perché si abitui a gareggiare per vincere, non per nuocere; quando vincerà o farà azioni degne di lode, permettiamogli d’esserne soddisfatto, ma non di vantarsene: la gioia, infatti, diventa esultanza e l’esultanza diventa arroganza ed eccessiva stima di sé.
[6] Gli concederemo anche momenti di riposo, ma non lo snerveremo nell’inazione e nell’ozio e lo terremo lontano dall’esperienza dei piaceri; non c’è nulla di più atto a produrre iracondi di un’educazione molle e blanda: è per questo che sono più corrotti d’animo i figli unici, che godono di maggior indulgenza, e gli orfani adottati, che ottengono tutti i permessi. Non saprà resistere a una offesa colui che non s’è mai sentito dire un no, che ha sempre avuto una mammina che gli asciugava le lacrime, o che ha ottenuto soddisfazione ai danni del suo pedagogo.
[7] Non vedi come ad una maggior agiatezza s’accompagna una maggiore irascibilità? La si nota soprattutto nei ricchi, nei nobili, nelle alte cariche, quando un infondato e vano capriccio ingrandisce per un soffio di vento favorevole.
La felicità nutre l’iracondia, quando una turba di piaggiatori assedia le orecchie dei presuntuosi: “Quello là ha il coraggio di rispondere a te? Non ti valuti quanto meriti, ti butti giù”, ed altre espressioni alle quali difficilmente sanno resistere; in età giovanile, anche caratteri di buona stoffa.
[8] I fanciulli devono quindi esser tenuti ben lontano dai piaggiatori: odano la verità. Il fanciullo deve provare talvolta timore, essere sempre rispettoso, alzarsi davanti ai più anziani. Non deve ottenere nulla con l’ira: quello che gli si è negato quando piangeva, gli si offra quando è calmo. Abbia sotto gli occhi le ricchezze dei genitori, ma non possa disporne. Gli si rimproverino le sue malefatte.
[10] Un fanciullo, educato in casa di Platone, quando, restituito ai genitori, sentì il padre gridare: “Mai” disse “ho visto cose del genere in casa di Platone”. Io però sono sicuro che passò ben presto dall’imitazione di Platone a quella del padre. [11] E, prima di tutto, il vitto sia misurato, i vestiti non siano costosi, il tenore di vita sia uguale a quello dei coetanei: non si adirerà d’essere paragonato con gli altri se, fin dall’inizio, lo avrai messo alla pari con molti.
22. Un suggerimento agli adulti: prendere tempo
[1] Ma tutto questo riguarda i nostri figli; in noi, ormai, la condizione di nascita e l’educazione non concedono più spazio a vizi o a regole: dobbiamo mettere in ordine quanto ci resta da vivere.
[2] Perciò dobbiamo combattere contro le cause immediate. Causa dell’adirarsi è il ritenersi offesi ed è cosa che non dobbiamo essere propensi a credere. E neppure dobbiamo decidere su due piedi sulla base degli indizi più appariscenti e manifesti: ci sono cose false che hanno l’apparenza del vero.
[3] Bisogna sempre concedere un rinvio: il tempo mette in luce la verità.
24. Altri suggerimenti: non esser sospettosi
[1] Nella maggior parte dei casi, il male è prodotto dalla credulità. A volte non si deve nemmeno ascoltare, perché ci sono situazioni nelle quali è meglio sbagliare che diffidare. Dobbiamo bandire dall’anima sospetti e congetture, che sono gli incentivi più ingannevoli: “Quello mi ha salutato con poca cortesia; quello non ha risposto al mio abbraccio; quello ha interrotto il mio discorso; quello non mi ha invitato a cena; quello mi ha mostrato un volto ostile”.
[2] Per sospettare, si trovano sempre buoni motivi: bisogna essere semplici e valutare i fatti con benevolenza. Non dobbiamo credere a nulla, tranne a quello che ci balza agli occhi e ben chiaro, e quando il nostro sospetto si dimostrerà infondato, rimproveriamoci di credulità. Questo castigo ci abituerà a non credere facilmente.
26. Non adirarsi con gli esseri irragionevoli
[1] Ci adiriamo con esseri dai quali non era neppure possibile che ricevessimo ingiuria.
[2] Ci sono certi esseri oggetti privi dei sensi, come il libro che talvolta buttiamo, perché è scritto in grafia troppo minuta, o facciamo a pezzi, perché zeppo di errori, così come strappiamo i vestiti che non ci piacciono o i sandali che non sono di moda: quanto è stolto adirarsi con questi oggetti che né hanno meritato né sentono la nostra ira! (NDR Ricordo questo episodio. Una macchina si ferma in mezzo alla strada, il guidatore fa molti tentativi per farla ripartire. Non riuscendovi esce dal veicolo e inizia a prenderlo a calci).
27. L’ira contro gli dèi e contro l’autorità
[1] Ci sono degli esseri che non possono assolutamente nuocere e non hanno forza che non sia benefica e salutare, come gli dèi immortali, che non vogliono e non possono fare il male. Hanno, infatti, natura mite e placida, tanto immune dall’offesa altrui, quanto dalla propria.
[2] Dunque, sono pazzi ed ignari del vero quelli che imputano loro la furia del mare, l’eccesso delle piogge, il perdurare dell’inverno, mentre, in realtà, nessuno di questi fatti, che ci danneggiano o ci giovano, prende di mira specificamente noi. Non siamo noi il motivo per cui il cielo alterna l’estate e l’inverno: questi fenomeni osservano le leggi specifiche che presiedono ai moti dei corpi celesti. Ci sopravvalutiamo, se ci riteniamo tali che fenomeni tanto grandi accadano per noi. Nulla, dunque, di tutto questo accade per offenderci, anzi, non c’è nulla che non accada per il nostro bene. (NDR "Bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme di lor semenza e di lor nascimenti" Dante Aligjueri)
28. Anche noi abbiamo le nostre colpe
[1] Se vogliamo essere giudici giusti di tutte le situazioni, in primo luogo dobbiamo convincerci che nessuno di noi è senza colpa. Lo sdegno maggiore nasce da questa mentalità: “Non ho commesso colpa” e: “Non ho fatto niente”. Ci sdegniamo se ci è stata inflitta una ammonizione o una pena e, nello stesso tempo, pecchiamo di nuovo, aggiungendo al male fatto l’arroganza e la ribellione.
[2] Chi è costui, che si professa innocente davanti a tutte le leggi? E ammesso che sia così, che innocenza striminzita è l’esser buoni a norma di legge! Quanto è più estesa la regola del dovere di quella della legge! Quanti obblighi impongono la pietà, l’umanità, la liberalità, la giustizia, la lealtà, tutti valori che non sono traducibili in leggi dello Stato! [3] Ma non riusciamo nemmeno ad esser fedeli a quella normativa ridotta all’osso: alcune cose abbiamo fatto, altre pensato, altre desiderato, altre favorito; di certe azioni, siamo innocenti perché non ci sono riuscite.
[4] Pensando a questo, siamo più giusti con chi sbaglia, abbiamo fiducia in chi ci rimprovera; non adiriamoci per nulla con i buoni e, soprattutto, non adiriamoci, con gli dèi: non è per legge loro, ma per la nostra condizione di mortali, che soffriamo i disagi che ci accadono. “Ma ci piombano addosso malattie e dolori”. In un modo o nell’altro, dovremo pur lasciare questa casa fatiscente, che ci è toccata in sorte. Ti diranno che uno ha parlato male di te: pensa se non sei stato il primo tu, pensa di quante persone parli.
29. Valutare i fatti, prima di decidere
[1] Il miglior rimedio dell’ira è il saper rinviare. All’inizio non chiederle di perdonare, ma di formulare un giudizio: i suoi primi impulsi sono pesanti, ma si placherà, se saprà aspettare. E non cercare di eliminarla in blocco: rimarrà sconfitta, se saprai ridurla in brandelli.
[2] Tra le cose che ci offendono, alcune ci vengono riferite, altre le udiamo o vediamo di persona. Non dobbiamo prestar subito fede al merito di quanto ci viene raccontato: molti mentiscono per ingannare, molti perché sono in inganno; c’è chi cerca di entrare nelle tue grazie facendosi portatore di accuse ed inventa l’ingiuria, per sembrare rammaricato che ti sia stata fatta; c’è chi opera per malvagità e vuol spezzare le tue amicizie più strette, e c’è chi vuol esser spettatore, come se si trattasse d’assistere a dei giochi, e sta a guardare, da lontano ed al sicuro, quelli che ha messo in urto.
[4] La persona stessa che è venuta a riferirti smetterà di parlare, se le verrà imposto di addurre prove. “Non è il caso” dice “che tu faccia il mio nome; se tiri in ballo me, negherò tutto; diversamente, io non ti riferirò più nulla”. Mentre istiga te, si sottrae alla lotta, allo scontro. Chi non vuol riferire a te se non in segreto, è quasi come non riferisse: che c’è di più ingiusto del prestar fede in segreto, ed adirarsi in pubblico?
30. Valutare le situazioni
[1] A certi fatti, assistiamo di persona: in questi casi, vaglieremo l’indole e le intenzioni di chi li commette. È un fanciullo: l’età merita indulgenza, perché non si rende conto dello sbaglio. È un padre: o ti ha già fatto tanto bene che ha acquistato anche il diritto di offenderti o, forse, è un servizio che ti presta quello che tu stimi offesa. È una donna: sbaglia. È uno che esegue degli ordini: chi, se non è ingiusto, se la prende con gli stati di necessità? È uno che hai offeso: non è ingiuria subire quanto tu hai fatto per primo. È un giudice: devi dare più credito alla sua sentenza che alla tua. È un re: se punisce un colpevole, accetta la giustizia, se un innocente, accetta la mala sorte.
31. Di fronte all’ingiustizia
[1] Sono due, come ho detto, i moventi atti a suscitare l’ira: il primo è la convinzione di aver ricevuto ingiuria, e ne abbiamo già parlato abbastanza; il secondo, quella di averla ricevuta ingiustamente. Dobbiamo parlare di quest’ultimo. Certe cose, gli uomini le giudicano ingiuste, perché pensano che non avrebbero dovuto subirle; certe altre, perché non se le aspettavano: noi giudichiamo immeritato tutto l’inopinato.
[2] Perciò ci commuovono soprattutto quei fatti che accadono contro le nostre speranze e attese, e non abbiamo altro motivo di sentirci offesi da piccolezze delle persone di casa o di chiamare ingiuria la distrazione di un amico.
[3] “Ma allora,” si obietta “in che modo ci turbano le ingiurie dei nemici?”.
Perché non ce le aspettavamo, o certamente non ce le aspettavamo tanto gravi. Questo deriva dall’eccessivo amore di noi stessi: pensiamo di dover essere intangibili anche ai nostri nemici; ciascuno ha in sé sentimenti di re e vuole che a lui sia concessa la massima libertà, agli altri, contro se stesso, no.
[4] Ed ecco che ci rende iracondi o la novità della cosa o il non sapere come va il mondo: perché, infatti, dobbiamo meravigliarci se i cattivi fanno azioni cattive? Che novità è un nemico che ti fa del male, un amico che ti offende, un figlio che sbaglia? Fabio diceva che la peggior scusa per un generale era: “Non l’avrei mai pensato!”: io la reputo la più vergognosa per un uomo. Pensa a tutto, aspettati tutto: anche dalle persone di buoni costumi avrai qualche difficoltà. [5] La natura umana produce anime perfide e ne produce di ingrate, di cupide, di empie. Quando devi giudicare del comportamento di una persona, pensa a quello di tutti. Dove troverai più soddisfazione, troverai maggiori motivi per temere. Dove tutto ti sembra tranquillo, là non manca ciò che ti danneggerà, ma sta covando. Pensa sempre che sta per accadere qualcosa che ti farà male. Il pilota non ha mai spiegato a tutto vento le vele in tranquillità, senza tener pronti gli attrezzi necessari per ammainarle alla svelta.
32. Non ricambiare l’ingiuria
[2] Un tizio, ai bagni, percosse Marco Catone senza conoscerlo (ma chi, conoscendolo, gli avrebbe recato ingiuria?). Quando poi si scusò, Catone gli disse: “Non ricordo d’esser stato colpito”.
[3] Ritenne cosa migliore non riconoscere l’ingiuria che vendicarla. “Quel tizio,” dici “non ha subìto alcun male, dopo tanta insolenza?”. Anzi, tanto bene: cominciò a conoscere Catone. È magnanimità il disprezzare l’ingiuria; il modo più offensivo di vendetta è il dimostrare all’offensore che non val la pena di vendicarsi di lui. Molti, nel tentativo di vendicarsi, hanno reso più profonde le leggere ingiurie che avevano subìto; è grande e nobile quell’uomo che, come la belva di grossa taglia, sopporta imperterrito il latrare della canea.
33. Vantaggi della longanimità
[1] “Saremo meno disprezzati,” si obietta, “se vendicheremo l’ingiuria”. Se adottiamo la vendetta come rimedio, adottiamola senza ira, non perché la vendetta sia piacevole, ma perché è utile: spesso, però, è risultato più conveniente dissimulare che vendicarsi. Le ingiurie dei più potenti dobbiamo sopportarle con volto lieto, non soltanto con pazienza: torneranno a farcene, se si convinceranno di esserci riusciti la prima volta. Gli animi resi insolenti dalla loro grande fortuna, hanno questo bruttissimo difetto: odiano quelli che hanno offeso.
[2] È noto il detto di quel tale che era giunto alla vecchiaia dopo una vita passata a corte: avendogli chiesto un tizio come fosse riuscito a giungere a vecchiaia, cosa rarissima a corte, gli rispose: “Ricevendo ingiurie e ringraziando”. A volte è così sconveniente vendicare l’ingiuria, che non è neppure il caso di confessarla.
34. Altri motivi di longanimità
[1] Dunque, ci si deve astenere dall’ira, tanto se è un pari tuo colui che devi attaccare, quanto se è un superiore o un inferiore. Mettersi in lotta con un pari è impresa incerta, con un superiore, pazzesco, con un inferiore, meschino. È piccineria e grettezza cercare di mordere chi ti morde: i topi e le formiche, se avvicini la mano, volgono il muso: gli esseri deboli temono d’esser danneggiati da chi li tocca.
[2] Ci renderà più indulgenti il ripensare ai benefici che eventualmente ci ha fatti la persona con la quale ci adiriamo, e le sue buone azioni ne riscatteranno l’offesa. Teniamo anche presente quanto buon nome ci può procurare la reputazione di clemenza e quanti utili amici ci può produrre il perdono.
[3] Non adiriamoci con i figli dei nostri nemici ed avversari. Tra gli altri esempi della crudeltà di Silla, c’è anche l’aver comminato l’interdizione dai pubblici uffici ai figli dei proscritti: non c’è nulla di più iniquo del far ereditare a qualcuno l’odio che si ha per suo padre.
35. Ritratto dell’adirato e prosopopea dell’ira
[1] Tuttavia, nulla sarà tanto utile quanto l’osservare dapprima la bruttezza della cosa, poi il pericolo che comporta. Nessuna passione ha la faccia più scomposta: deturpa i visi più belli e rende biechi i più tranquilli. Gli adirati perdono ogni decoro e, se le pieghe del loro vestito erano disposte a regola d’arte, si trascineranno dietro l’abito e sciuperanno tutto il loro abbigliamento; se i capelli ricadenti naturalmente o per arte, avevano aspetto aggraziato, all’insorgere dell’ira si rizzano;
[2] le vene si ingrossano, il petto è scosso dall’ansimare, il rabbioso erompere della voce gonfia il collo; ed aggiungi gli arti tremanti, le mani irrequiete, il corpo tutto in agitazione.
[3] E come credi che sia, dentro, l’animo della persona che ha un aspetto esterno così ripugnante? Come deve essere più terribile il suo aspetto interno, più veemente il respiro, più impetuosa la tensione, destinata a scoppiare, se non trova sfogo!
36. L’estrema conseguenza dell’ira: la pazzia
[1] “A certi adirati” così dice Sestio “ha giovato guardarsi nello specchio: tutto quel loro cambiamento li ha turbati; messi come di fronte a se stessi, non si sono riconosciuti. Eppure, quell’immagine riflessa nello specchio rendeva ben poco della reale deformità. [2] Se si potesse mettere a nudo l’animo, farlo trasparire mediante qualche materiale, ci confonderebbe, quando lo guardassimo, nero, macchiato, tempestoso, distorto e gonfio com’è. Anche ora, però, è tanto brutto, quando affiora attraverso le ossa e la carne e tutti gli altri ostacoli. Che accadrebbe se lo vedessimo nudo?”.
[3] Non credere che nessuno sia mai stato distolto dall’ira guardandosi nello specchio.
“Che dici?”. Chi è venuto allo specchio per cambiare, era già cambiato: per gli adirati, di fatto, nessuna immagine è più bella di quella atroce ed orrenda, e tali vogliono sembrare anche loro.
[4] Dobbiamo piuttosto osservare a quanti l’ira, in sé e per sé, ha nuociuto. Alcuni, per eccessivo ribollire, si sono fatti scoppiare le vene, mentre il gridare più di quanto non permettessero le forze ha provocato emorragie e l’umore che affluiva troppo violento agli occhi ha ottuso la vista, e gli ammalati hanno avuto ricadute. Non c’è via più sbrigativa, per giungere alla pazzia.
[5] Pertanto, molti sono passati dall’ira al furore, e non ricuperarono più il senno che avevano buttato: Aiace fu condotto a morte dal furore, e al furore dall’ira. Imprecano la morte ai figli, la miseria a se stessi e la rovina alla casa, e non ammettono d’essere adirati, come i deliranti non ammettono d’esser pazzi. Nemici dei loro migliori amici, pericolosi per le persone più care, immemori delle leggi, ad eccezione di quelle che comminano pene, mutevoli per motivi da nulla, inaccessibili alle buone parole ed ai buoni uffici, fanno tutto con la violenza, pronti a combattere di spada o a gettarsi sulla spada.
[6] Li ha colti infatti il più grande dei mali, quello che supera tutti i vizi. Gli altri vizi si insinuano a poco a poco: la forza di questo è istantanea e coinvolge tutto. Perciò si assoggetta tutte le altre passioni: vince l’amore più ardente, e c’è stato chi ha trafitto la persona amata e si è ucciso, abbracciando la sua vittima; l’ira ha calpestato l’avarizia, male ben robusto e per nulla disposto a piegarsi, obbligandola a buttar via le sue ricchezze ed a farne un solo mucchio di casa e di averi, per dar fuoco a tutto. E l’ambizioso non ha forse buttato le insegne che aveva stimato tanto, e rifiutate le onorificenze che gli venivano offerte? Non esiste passione sulla quale l’ira non eserciti il suo dominio.
Lucio Anneo Seneca - Commenti di Eugenio Caruso - 04-03-2015