Inizio del declino
Quando il papa rifiutò di aderire all'embargo nei confronti dell'Inghilterra, dichiarando che le sue qualità di pastore universale gli imponevano la neutralità, Napoleone fece occupare Roma dal generale Miollis e il 7 maggio 1809 ordinò l'annessione dello Stato Pontificio all'Impero francese. Il papa rispose con una bolla di scomunica e Napoleone ordinò a Miollis di procedere all'arresto del pontefice. Provvide subito il generale Radet che lo fece trasportare, insieme con il Segretario di Stato cardinale Bartolomeo Pacca, a Grenoble, indi a Fontainebleau, dove Napoleone riuscì solo quattro anni dopo a strappargli l'approvazione di un nuovo Concordato. L'annessione alla Francia dello Stato pontificio fu un grave errore di Napoleone; quasi tutta l'Europa era cattolica e, a eccezione degli ambienti culturali della borghesia illuminata pochi compresero e approvarono quella decisione.
Per mettere in ginocchio l'Inghilterra, unica potenza ancora in armi contro la Francia, Napoleone aveva attuato un Blocco Continentale (poiché, nelle intenzioni del Bonaparte, tutta l'Europa continentale avrebbe dovuto aderire all'embargo contro le isole britanniche) che non diede i risultati sperati. Il fallimento del blocco era dovuto al fatto che molti paesi europei, per motivi di convenienza economica, non vi aderirono completamente, continuando a mantenere scambi commerciali con l'Inghilterra.
Nonostante le difficoltà organizzative iniziali, Napoleone fu in grado da aprile 1809 di affrontare la quinta coalizione; mostrando ancora una volta la sua netta superiorità di stratega, l'imperatore ottenne una serie di vittorie contro gli austriaci comandati dall'arciduca Carlo, culminate nella battaglia di Eckmühl il 22 aprile 1809. Napoleone occupò Vienna e il Castello di Schönbrunn il 12 maggio 1809. La battaglia di Aspern-Essling invece terminò con un insuccesso di Napoleone che tuttavia alla fine vinse, tra, il 5 e il 6 luglio 1809, la decisiva battaglia di Wagram.
Dopo la sconfitta nella battaglia di Austerlitz nel 1805, l'imperatore Francesco II d'Asburgo-Lorena aveva firmato il trattato di Pressburg con la Francia, costretto ad accettare termini molto duri per il suo paese: l'Austria pagò alla Francia un'indennità di guerra pari a 40.000.000 di franchi, cioè un sesto delle entrate totali annue dell'Austria, oltre alla cessione dei domini in Italia settentrionale e in Baviera e nella Confederazione del Reno. Nel 1806, dopo la sconfitta della Prussia e su pressione dei francesi, Francesco II dovette rinunciare al suo titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero, divenendo semplicemente "Imperatore d'Austria". L'arciduca Carlo, fratello dell'imperatore e uno dei più abili generali del suo tempo, venne nominato Generalissimo e riformò l'esercito austriaco per predisporlo ai futuri scontri, oltre a iniziare la ricerca di possibili alleati in Europa. Dopo il trattato di Tilsit del 1807, la Russia e la Francia si erano alleate, mentre Prussia e Regno Unito si coalizzarono contro la Francia.
Il 9 aprile 1809 le armate austriache al comando dell'arciduca Carlo invasero la Baviera e l'Italia settentrionale senza che però venisse proclamata una dichiarazione di guerra ufficiale. Napoleone nel frattempo si trovava a Parigi e quest'attacco fu quanto mai inaspettato. Gli austriaci riuscirono facilmente a conquistare Monaco e a dividere così le armate francesi in Baviera in due corpi distinti. Quando Napoleone giunse con la Guardia Imperiale, ad ogni modo, egli attaccò in forza e sconfisse varie colonne austriache nelle battaglie di Abensberg, Landshut, Eckmühl e Ratisbona. Carlo si ritirò lungo il Danubio inseguito dai francesi. Il 12 maggio i francesi presero Vienna. Gli austriaci non capitolarono in quanto sebbene la capitale fosse occupata, il grosso dell'esercito austriaco resisteva ancora con Carlo in testa. Il 21 maggio Napoleone attraversò il Danubio col chiaro intento di attaccare le armate dell'Arciduca, ma quest'ultimo aveva anticipato questa mossa ed attese che Napoleone prendesse Mühlau (importante villaggio presso Aspern e Essling) per poi affiancarlo e creare una testa di ponte. I tentativi di Napoleone di rafforzare le proprie difese furono vani in quanto gli austriaci impedirono ai francesi di ricevere viveri e munizioni. Dopo due giorni di battaglia il maresciallo Jean Lannes, uno tra i migliori comandanti di Napoleone, venne ferito mortalmente e Napoleone abbandonò le proprie posizioni. Egli si ritirò sull'isola di Lobau nel mezzo del Danubio che l'armata francese usò come luogo di ristoro.
Lobau, con la massa di soldati densamente ammassati in pochi chilometri quadrati di terreno, era un facile obbiettivo per l'artiglieria austriaca che avrebbe potuto bombardare le posizioni nemiche dalla sponda opposta, ma l'arciduca Carlo preferì non seguire questa strategia, lasciando a ogni modo un corpo di osservatori a qualche miglio di distanza. Napoleone riconobbe quindi la necessità di provare ad attraversare il Danubio e iniziò i preparativi. Il 1º giugno gli ingegneri francesi iniziarono la costruzione di un ponte tra le due sponde lavori che vennero completati il 21 giugno successivo. La notte tra il 4 e il 5 luglio tutto era pronto e 162.000 soldati francesi passarono il fiume, mentre le truppe dell'arciduca Carlo si erano poste sulle colline attorno a Deutsch-Wagram.
Battaglia di Wagram stampa antica
Il piano di Napoleone era quello di creare un diversivo a nord di Lobau, nella stessa area ove era stata combattuta la battaglia di Aspern-Essling. Attraversando il Danubio a est a quel punto egli si augurava di poter accerchiare il fianco destro degli austriaci e di assaltare direttamente Russbach.
L'arciduca Carlo da parte sua sapeva che Napoleone avrebbe fatto di tutto per attraversare il fiume e in più punti e prevedendo le intenzioni dell'Imperatore egli pose il grosso delle proprie armate proprio dietro Russbach formando una linea a V di 12 chilometri di lunghezza e ancorata tra Süssenbrunn su un lato e Wagram e Aderklaa sull'altro.
Usando le teste di ponte fortificate, Napoleone iniziò l'attraversamento su vasta scala dall'isola con 162.000 uomini la notte tra il 5 e il 6 luglio. La sua armata era composta dai corpi II, III, IV dall'armata d'Italia dal corpo sassone e dall'XI, oltre alle riserve ed alla guardia imperiale.
D'altro canto l'arciduca Carlo aveva predisposto un vantaggio sul nemico di 60.000 unità il che gli permetteva operazioni su vasta scala anche se con scarsa mobilità.
Louis Alexandre Berthier, capo dello staff di Napoleone, commise però l'errore di assegnare l'attraversamento dello stesso ponte a due diversi corpi creando confusione e pertanto Napoleone fu costretto a spostare una parte di altri corpi in un'altra posizione di attraversamento.
L'artiglieria austriaca, a questo punto, si accanì sull'area ove i francesi stavano disponendo le loro armate sebbene questi continuassero a prendere piede sulla terraferma, conquistando verso mezzogiorno praticamente tutta l'area tra Aspern ed Essling formando poi un semicerchio per anticipare l'arrivo dell'arciduca Giovanni ed impedire il rifornimento dell'artiglieria ai corpi austriaci.
Attorno alle 18.00, Napoleone ordinò di attaccare il centro delle armate austriache, intendendo risolvere lo scontro entro la sera. Quest'attacco estemporaneo fu poco coordinato e non produsse l'effetto voluto venendo rapidamente respinto. Il contrattacco austriaco riprese quindi le posizioni ai francesi.
Riflettendo sulla posizione tattica, l'arciduca Carlo determinò che il breve fronte di distanza dai francesi e la posizione delle loro truppe avrebbero permesso a Napoleone di attaccare e irrompere le linee austriache. Per prevenire questo fatto egli decise di compiere la prima mossa con attacchi casuali ai lati e al centro dell'armata francese presso il villaggio di Aderklaa. Come risultato di quest'azione i francesi vennero circondati anche se il mancato arrivo dell'arciduca Giovanni non rivolse definitivamente questa parte di scontro a favore degli austriaci.
Generale Augustin Gabriel d'Aboville. Comandante delle batterie a cavallo della Guardia.
Il maresciallo Bernadotte, ad ogni modo, aveva abbandonato il villaggio di Aderklaa in grandi difficoltà e senza aver atteso gli ordini superiori a tal punto che Napoleone lo dimise dal proprio comando in quella stessa circostanza e prese personalmente il controllo della situazione.
L'imperatore alle ore 11.00 mise in azione la cosiddetta "Grande batteria", una potente concentrazione di cannoni costituita raggruppando, al comando superiore del generale Lauriston, tutta l'artiglieria di riserva della Guardia e le batterie dell'Armata d'Italia e del contingente bavarese. Per prime entrarono in azione le batterie a cavallo della Guardia del generale d'Aboville, equipaggiate con cannoni da 6 e 8 libbre e con obici da 24 libbre; subito dopo si schierarono quattro batterie a piedi della Guardia con i cannoni da 12 libbre, comandante dal generale Drouot; infine sulla sinistra vennero posizionati i cannoni bavaresi e quelli dell'Armata d'Italia.
Generale Antoine Drout Uomo di grande umanità, mise in pratica la sua etica anche sul campo di battaglia.
La Grande batteria era costituita da 112 cannoni ed era allineata su un fronte di circa 1.800 metri alla distanza di circa 350-400 metri dalle linee austriache.
Nel frattempo il fianco destro francese avanzava al comando di Oudinot e Davout verso il villaggio di Markgrafsneusiedl ove si aprì un pesante conflitto che forzò Davout a retrocedere verso le 15.00, preludendo al successivo attacco guidato dal generale di divisione Jacques MacDonald i cui 27 battaglioni con circa 8.000 uomini totali attaccarono il centro delle forze austriache. Gli austriaci risposero con un intenso fuoco di artiglieria e cariche di cavalleria leggera. Dopo diverse azioni, MacDonald riuscì a sfondare le file austriache che iniziarono a ritirarsi verso il villaggio di Znaim, consegnando la vittoria nelle mani di Napoleone. Le truppe francesi erano esauste da quaranta ore di marcia e combattimento totali, ma a MacDonald venne garantito il bastone di maresciallo di Francia quello stesso giorno sul campo per le brillanti azioni sostenute.
Generale Étienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald Fu tra i più convinti a consigliare l'abdicazione di Napoleone a Fontainbleau.
L'Austria subì pesanti condizioni di pace con il trattato di Schönbrunn: il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo, la Baviera, l'Istria e la Dalmazia furono perse. L'indennizzo di guerra fu enorme. Due giorni prima della conclusione delle trattative di pace Napoleone fu soggetto a un attentato alla sua vita da parte di certo Friedrich Staps, che cercò, senza riuscirvi, di accoltellarlo nella corte del Castello di Schönbrunn.
Dal 1810 l'aspetto fisico di Napoleone cambiò e la sua salute cominciò a declinare; il trascorrere del tempo e l'enorme impegno di governo e amministrazione dell'Impero cominciarono a logorarlo; ben diverso dallo "scaramouche sulfureo", magro, con i capelli lunghi sulle spalle, cupo e ombroso della giovinezza, egli aumentò di peso, i capelli tagliati corti si diradarono, il viso si fece pieno e il colorito livido; i lineamenti si rilassarono. Pur mantenendo nel complesso una grande lucidità intellettuale e una tenace risolutezza, egli episodicamente mostrò un decremento delle sue capacità di concentrazione e di decisione. Disuria e gastralgia si fecero più frequenti.
Nel 1810, l'Europa era definitivamente ridisegnata secondo il volere napoleonico. I territori sotto il diretto controllo francese si erano espansi ben oltre i tradizionali confini pre-1789; il resto degli Stati europei era o suo satellite o suo alleato. Il regno d'Italia era nominalmente governato da Napoleone, ma retto dal viceré Eugenio di Beauharnais (figlio di primo letto della moglie di Napoleone, Giuseppina); il principato di Lucca e Piombino (dal 1805 al 1814) fu assegnato a Felice Baciocchi, ma in realtà governato dalla moglie di lui e sorella dell'Imperatore, Elisa. Dal 1809 la stessa Elisa fu anche messa a capo dei tre dipartimenti toscani annessi all'Impero con il titolo di Granduchessa di Toscana, che si aggiunse a quello di Principessa di Lucca e Piombino, rimanendo peraltro i due territori disgiunti; alla sorella Paolina, sposata col principe Camillo Borghese, andò il ducato di Guastalla, poi ceduto al regno d'Italia; il fratello maggiore Giuseppe aveva il trono di Spagna; il fratello Luigi il trono d'Olanda dopo aver sposato Ortensia di Beauharnais, figlia della moglie di Napoleone, Giuseppina; il fratello Girolamo ebbe il regno di Vestfalia; il generale Gioacchino Murat, poi maresciallo dell'Impero, ebbe il regno di Napoli, dopo aver sposato la sorella di Napoleone, Carolina; il maresciallo Bernadotte, che aveva sempre manifestato una profonda invidia verso Napoleone, ebbe il trono di Svezia, ma ben presto tradì il suo ex capo entrando nella coalizione che lo avrebbe detronizzato. La Confederazione del Reno era di fatto sotto il controllo di Napoleone.
Dopo la pace di Schönbrunn, Napoleone e l'austriaco Metternich si erano accordati per un matrimonio di Stato.
Il 30 novembre Napoleone disse a Giuseppina che intendeva annullare il loro matrimonio. «Tu hai dei figli, io invece no», disse. «Devi comprendere che ho la necessità di consolidare la mia dinastia.» Giuseppina scoppiò a piangere, disse che non poteva vivere senza di lui e lo implorò di ripensarci. «La vidi piangere per ore e ore», ricordava Rapp; «parlava del suo affetto per Bonaparte, perché lo chiamava abitualmente così in nostra presenza. Si rammaricava per la fine della sua splendida carriera. Era del tutto naturale.»47 Quella sera, a cena, Giuseppina indossava un grande cappello bianco per non far vedere che aveva pianto, ma a Bausset sembrò «l’immagine del dolore e della disperazione».48 Cenarono insieme da soli, ed entrambi mangiarono poco; le uniche parole furono pronunciate da Napoleone, che chiese a Bausset informazioni sulle condizioni del tempo. A un certo punto, come ricordava lo stesso Napoleone, Giuseppina «lanciò un urlo e svenne», e dovette essere accompagnata fuori dalla sua dama di compagnia. L’arrivo di Eugenio, il 5 dicembre, servì a calmare sua madre, e i Bonaparte e i Beauharnais riuscirono presto a mettersi a discutere i particolari. Per poter avere i requisiti per la cerimonia ecclesiastica di cui Napoleone aveva bisogno per le seconde nozze, il matrimonio religioso con Giuseppina, avvenuto alla vigilia della sua incoronazione, doveva essere dichiarato nullo, anche se era stato celebrato da un principe della chiesa, il cardinale Fesch. Quindi Napoleone dichiarò che era stato clandestino, senza testimoni sufficienti, e che lui aveva accettato perché costretto da Giuseppina. Lei accettò di confermare quest’assurdità, ma ben 13 cardinali francesi su 27 rifiutarono di assistere alle nuove nozze di Napoleone. (Da parte sua, Napoleone proibì ai dissidenti di indossare la tunica rossa, e quindi divennero noti come i “cardinali neri”.) Per annullare il matrimonio i giuristi del governo si avvalsero come precedenti dei divorzi di Luigi XII ed Enrico IV. La stranezza del rapporto tra Napoleone e Giuseppina è che lui l'amò moltissimo e, all'inizio, lei non corrispose e lo tradì; quando Napoleone non l'amò più, o l'amò meno, fu Giuseppina ad amarlo. Gli accordi finanziari furono vantaggiosi per entrambi: d’altra parte a Giuseppina fu garantito un reddito elevato, e può dirsi fortunato l’uomo che riesce a farsi pagare dallo stato l’accordo di divorzio. Per ironia della storia, anche se Napoleone divorziò da Giuseppina per avere un erede al trono, sarebbe stato il nipote di lei, e non un figlio di Napoleone, a diventare il successivo imperatore di Francia, e sono i diretti discendenti di Giuseppina a sedere oggi sui troni di Belgio, Danimarca, Svezia, Norvegia e Lussemburgo. Quelli di Napoleone no.
Il 1º aprile 1810 Napoleone sposò la figlia dell'imperatore d'Austria, Maria Luisa, nipote di Maria Antonietta, la regina decapitata durante la Rivoluzione (il che provocò non poche polemiche in Francia). Con questo matrimonio l'Austria si era legata a Napoleone, il che portava alla creazione di un'alleanza pressoché indissolubile. Comunque, Maria Luisa non fu l’amore della sua vita. Lo confermò lui stesso anni dopo: «Pur avendo sinceramente amato Maria Luisa, credo che amai Giuseppina ancora di più. Era naturale: eravamo arrivati al vertice insieme, ed era una vera moglie, la moglie che avevo scelto. Era piena di grazia, graziosa persino nel modo in cui si preparava per andare a letto, nel modo in cui si spogliava […] Non mi sarei mai separato da lei se mi avesse dato un figlio; ma, ma ....». Alla fine Napoleone si sarebbe pentito del suo secondo matrimonio, cui imputò la sua caduta. «Se non fosse stato per il mio matrimonio con Maria di certo non avrei mai fatto guerra alla Russia», disse, «ma mi sentivo sicuro dell’appoggio dell’Austria, e mi sbagliavo, perché l’Austria è la nemica naturale della Francia.» Napoleone ebbe un erede legittimo da Maria Luisa, nato dopo un parto difficile il 20 marzo 1811. Tuttavia l'erede dell'Impero, Napoleone Francesco, detto il re di Roma (Napoleone II), non salì in realtà mai al trono: Napoleone fu detronizzato pochi anni dopo e Napoleone II morì successivamente a soli 21 anni.
Generale Armand Augustin Louis de Caulaincourt; affiancò Napoleone nell'azione diplomatica. Fu strenuamente contrario alla campagna di Russia, anche perchè conosceva bene l'esercito russo e i suoi comandanti.
Nonostante gli accordi stabiliti a Tilsit, lo zar Alessandro I di Russia temeva l'egemonia napoleonica e rifiutò di collaborare con lui riguardo al Blocco Continentale, per non danneggiare l'economia russa e perché segretamente sperava di formare una nuova coalizione antifrancese. Nella realtà, Alessandro, pur manifestando atteggiamenti di amicizia nei riguiardi di Napoleone, in privato lo chiamava il còrso e non lo riteneva alla sua altezza a livello di aristocrazia. Napoleone decise di cominciare una campagna decisiva contro la Russia per sottomettere lo zar al suo sistema di potere in Europa, costringerlo ad aderire al Blocco, privarlo della sua influenza in Polonia, Balcani, Finlandia, Persia. L'imperatore disponeva di circa 700.000 uomini, di cui circa 300.000 francesi e il resto contingenti stranieri provenienti da tutti gli stati vassalli e alleati del Grande Impero. I russi, comandati prima dal generale Michael Barclay de Tolly e poi dal generale Mikhail Kutuzov, timorosi di affrontare il preponderante esercito nemico e intimiditi dalla reputazione militare di Napoleone, decisero inizialmente di ritirarsi nel cuore della Russia.
Campagna di Russia
Una serie di vaste manovre strategiche, ideate da Napoleone per sconfiggere l'esercito nemico e concludere rapidamente la guerra, fallirono a causa di errori dei suoi luogotenenti, delle difficoltà del terreno e delle tattiche prudenti dei suoi avversari; a Vilna, a Vitebsk e soprattutto nella battaglia di Smolensk e nella battaglia di Valutino i russi, battuti ma non distrutti, riuscirono a evitare uno scontro decisivo e a ripiegare verso est.
Generale Henri François Marie Charpentie. Si distinse nella camnpagna di Russia.
Nella seconda metà del mese di agosto 1812 Napoleone, dopo il fallimento delle sue manovre di annientamento a Vilna, a Vitebsk e a Smolensk, che non si erano concluse con la distruzione dell'esercito russo come progettato dall'imperatore, si trovava in una fase difficile e incerta della campagna di Russia. La Grande Armata si stava indebolendo con impressionante rapidità e la massa di manovra principale sotto il controllo diretto di Napoleone si era ridotta, dopo la battaglia di Smolensk e il distacco del II e VI corpo d'armata a nord, a circa 160.000 soldati. Le difficoltà della campagna erano sempre più evidenti; la strategia napoleonica aveva mostrato i suoi punti deboli nelle estese e desolate terre dell'est; le truppe non potevano essere vettovagliate a sufficienza per carenza di mezzi e non potevano sfruttare le risorse locali che erano modeste o erano state già distrutte in precedenza dai russi; il clima torrido sfibrava i soldati durante le lunghe marce forzate. I russi evitavano la battaglia campale, e sembravano decisi a logorare lentamente l'invasore grazie al clima, al terreno, alle distanze.
I principali collaboratori di Napoleone consigliavano da tempo all'imperatore di arrestare la campagna e porre i quartieri d'inverno a Smolensk o a Vitebsk. Napoleone riconosceva i pericoli della situazione ma considerava anche le pericolose conseguenze politiche di una sua lunga assenza dalla Francia, isolato nel cuore della Russia. Gli alleati tedeschi avrebbero potuto defezionare alle sue spalle, la sua posizione sarebbe potuta divenire meno solida in patria dove il suo prestigio personale, in caso di mancata vittoria, avrebbe potuto subire un grave colpo. Considerando l'insieme di questi fattori e soprattutto essendo convinto che una marcia su Mosca avrebbe inferto un colpo decisivo alla capacità di resistenza del nemico ed alla risolutezza dello zar Alessandro, egli decise, dopo una settimana di sosta, di lasciare Smolensk e riprendere l'avanzata verso est.
Generale Louis Pierre Montbrun. Era considerato, tra tutti i generali comandanti di cavalleria di Napoleone, secondo solo a Kellermann.
L'avanguardia dell'armata, costituita dalle cinque divisioni del I corpo d'armata del maresciallo Louis-Nicolas Davout e dalla cavalleria del generale Louis-Pierre Montbrun, avanzava sotto il comando superiore di Joachim Murat; i rapporti tra il re di Napoli e il maresciallo Davout non erano buoni e violenti contrasti tra i due intralciarono la marcia; dopo un confuso scontro con la retroguardia russa, i francesi raggiunsero la città di Dorogobuž, abbandonata e incendiata dal nemico, il 24 agosto. Napoleone decise di ripartire subito con l'armata divisa in tre colonne: al centro, davanti all'imperatore, avanzava Murat con il corpo d'armata del maresciallo Davout e dietro il corpo d'armata del maresciallo Michel Ney, sulla sinistra era il IV corpo del principe Eugenio Beauharnais, sulla destra marciavano i polacchi del principe Jozef Poniatowski.
Principe Eugenio di Beauharnais, figlio di Giuseppina in un dipinto di Andrea Appiani. Si comportò in modo eroico in molte delle battaglie napoleoniche.
L'esercito russo continuava a ripiegare; le truppe mantenevano la coesione e la disciplina e la ritirata si svolgeva in modo ordinato; la retroguardia, comandata dal generale Pëtr Konovnicyn, svolse con abilità il compito di copertura e riuscì a rallentare l'avanzata nemica dando tempo al grosso dell'esercito di salvare i materiali e gli equipaggiamenti. In realtà forti contrasti erano presenti all'interno del comando russo; in particolare il generale Michael Barclay de Tolly, comandante di fatto dell'esercito, era esposto a dure critiche per la sua tattica di attesa, considerata rinunciataria e umiliante; il generale Pëtr Bagration e molti altri ufficiali polemizzavano con il generale di origine tedesca e auspicavano una grande battaglia campale per fermare finalmente l'invasione; anche tra le truppe si diffondeva il malumore e lo scontento per l'abbandono delle terre della Russia profonda, i soldati chiedevano di battersi.
A San Pietroburgo lo zar Alessandro doveva fronteggiare un grave malcontento popolare a causa della ritirata e dell'abbandono delle antiche città russe; la nobiltà e gli emigrati premevano per affrontare Napoleone in campo aperto. Alessandro preferì aderire alle pressioni esterne e decise il 20 agosto 1812 di nominare comandante supremo dell'esercito l'anziano, esperto e prestigioso generale Michail Kutuzov. Costui, prudente e accorto, accentuò subito il carattere religioso e nazionale della resistenza contro l'invasore. In realtà Kutuzov non era molto apprezzato dallo zar e anche alcuni generali lo consideravano ormai vecchio e stanco; Alessandro gli affiancò come capo di stato maggiore il generale Levin von Bennigsen per controllarlo. Il generale Kutuzov, che era popolare tra le truppe, raggiunse l'esercito il 29 agosto; egli probabilmente avrebbe preferito continuare una tattica prudente e attendere un ulteriore logoramento dell'invasore, ma preferì piegarsi alle richieste dei generali, della nobiltà e del popolo decidendo di affrontare una grande battaglia difensiva davanti a Mosca per proteggere l'antica capitale.
Generale Jean Baptiste Eble, (ritratto di Jean-Baptiste Paulin Guérin); si comportò da eroe nella campagna di Russia. Morì a Königsberg poco dopo il ritorno dalla Russia.
Nel frattempo la ritirata continuava; le retroguardie russe del generale Konovnicyn rallentavano e intralciavano metodicamente le truppe di cavalleria di Murat che controllava anche il I corpo del maresciallo Davout; i metodi del re di Napoli erano aspramente criticati dal maresciallo e tra i due sorgevano continue dispute. Napoleone in generale appoggiava la temerarietà di Murat ed era ansioso di affrettare la marcia; decise di togliere la divisione del generale Jean Dominique Compans al I corpo e assegnarla direttamente al re di Napoli. Il 28 agosto, l'armata raggiunse e occupò Vjaz'ma, che i russi avevano già incendiato e distrutto; il 1º settembre i francesi entrarono a Gžansk.
Le notizie portate da un informatore e l'interrogatorio di prigionieri permisero a Napoleone di venire a conoscenza della sostituzione del comandante in capo russo e dell'intenzione del nemico di fermarsi a combattere una grande battaglia campale davanti a Mosca; l'imperatore fu contento di queste notizie, annunciò ai suoi soldati la prossima battaglia e concesse due giorni di riposo per riorganizzare le truppe e portare avanti materiali e munizioni.
Il 4 settembre 1812 la Grande Armata riprese l'avanzata preceduta dall'avanguardia di cavalleria di Murat; reparti di cosacchi ostacolarono la marcia ma furono rapidamente dispersi dalle truppe del re di Napoli che ben presto incontrarono, davanti al villaggio di Gredneva, lungo la strada nuova di Smolensk, lo sbarramento russo organizzato dalla retroguardia comandata dal generale Konovnicyn. Si accese un grosso scontro e i russi sostennero i primi assalti francesi delle truppe di Murat, mentre i cosacchi del generale Matvei Platov contennero le cariche dei cacciatori a cavallo italiani; con l'arrivo sul fianco destro dei russi dei reparti del IV corpo d'armata del principe Eugenio la situazione del generale Konovnicyn divenne critica ed egli dovette ripiegare. I russi non riuscirono a difendere i villaggi di Kolockoj e Golovino e, aggirati sui fianchi, continuarono a ritirarsi inseguiti dai francesi. Il 5 settembre il grosso della Grande Armata, avanzando a nord e a sud della strada maestra, sbucò sulla pianura a est di Golovino e raggiunse finalmente il terreno su cui il generale Kutuzov aveva deciso di combattere la battaglia in difesa di Mosca. La posizione era stata scelta su proposta del capo di stato maggiore russo, generale Bennigsen, che aveva convinto il generale Kutuzov, grazie anche al consenso del generale Karl von Toll. Napoleone raggiunse un'altura e poté osservare la pianura che si estendeva verso est e valutarne le caratteristiche.
Studiando le caratteristiche orografiche del terreno, l'imperatore ritenne che i russi fossero fortemente protetti sul fianco destro dal fiume Koloca, affluente della Moscova, e dalle colline sulla riva meridionale, e che invece l'ala sinistra nemica, a sud del fiume, fosse vulnerabile. La presenza di una fortificazione russa, individuata dalle avanguardie francesi a Ševardino, villaggio posto su una modesta collina a nord della strada vecchia di Smolensk, sembrò confermare le valutazioni tattiche di Napoleone: il terreno sul fianco sinistro russo era favorevole ad un attacco in forze francese ed il nemico stava costruendo trinceramenti proprio per rafforzare questo settore esposto del suo schieramento. Napoleone diede quindi subito ordine di attaccare il ridotto che appariva troppo isolato sull'ala sinistra russa e che poteva costituire una favorevole base di partenza per l'assalto generale.
Il generale Kutuzov aveva rafforzato il ridotto di Ševardino con una batteria di dodici cannoni e le truppe di fanteria del generale Andrej Gorcakov e intendeva difendere la posizione per guadagnare tempo per rinforzare il suo schieramento nell'ala sinistra. In realtà rimane non del tutto chiaro se la ridotta costituisse il vero fianco sinistro del fronte russo come previsto in origine, come riteneva Lev Tolstoj, o se venisse considerata solo un avamposto da difendere a oltranza in attesa del completamento delle fortificazioni più arretrate. È possibile che i comandi russi siano stati colti di sorpresa dalla decisione di Napoleone di spostare tutto il campo di battaglia principale sull'ala meridionale e dall'avanzata francese a sud della strada nuova di Smolensk, che quindi la ridotta fosse parte fondamentale delle linee principali e che la sua prematura caduta abbia sconvolto il piano generale del maresciallo Kutuzov.
L'esercito francese quindi, secondo gli ordini di Napoleone, marciò subito in avanti il 5 settembre su ampio fronte sia a nord che a sud della strada maestra con le truppe del principe Eugenio sulla sinistra, il V corpo del principe Józef Antoni Poniatowski sulla destra e al centro, contro il ridotto di Ševardino, Murat con la cavalleria e la divisione del generale Jean Dominique Compans; le avanguardie russe furono respinte e il terreno occupato, la battaglia si accese invece violenta a Ševardino che i russi difesero con valore.
L'attacco francese venne sferrato dal generale Compans che, dopo aver schierato la sua artiglieria su alcuni rilievi del terreno, prese d'assalto il ridotto con la fanteria in colonne; il 61º reggimento di linea conquistò la fortificazione, ma i russi non rinunciarono alla lotta, contrattaccarono subito e ripresero la posizione. Dopo tre tentativi e combattimenti molto duri, infine il 61º reggimento, pur fortemente provato dalle perdite, conquistò definitivamente il ridotto.
Generale Charles Antoine Louis Alexis Morand; fu aiutante di campo di Napoleone
La battaglia di Ševardino non era ancora finita, altri reparti russi si difesero nel vicino villaggio di Ševardino e nei boschi a sud; in questa fase presero parte agli scontri anche la divisione del generale Charles Antoine Morand che occupò il villaggio, alcuni reparti del principe Poniatowski che rastrellarono i boschi e la cavalleria di Murat; un reggimento di fanteria spagnolo respinse un ultimo assalto del nemico. I combattimenti di Ševardino durarono fino alla sera e costarono tra 5.000 e 6.000 perdite ai russi, che si batterono con grande coraggio e in grande maggioranza preferirono la morte alla resa; i francesi, che avevano perso 2.000 uomini, occuparono un importante posizione strategica da cui attaccare le forze principali del maresciallo Kutuzov.
Principe Józef Antoni Poniatowski, grande eroe in molte battaglie napoleoniche. Morì a Lipsia.
Anche dopo la perdita del ridotto di Ševardino, la posizione scelta dal generale Kutuzov appariva solida e si imperniava sulla copertura fornita dal corso della Moscova sul fianco destro e sul corso della Koloca che proteggeva le linee russe che sbarravano la strada nuova di Smolensk all'altezza del villaggio di Borodino; in realtà la posizione aveva un punto debole sull'ala sinistra che forse in origine avrebbe dovuto imperniarsi sulla posizione fortificata di Ševardino e che era aggirabile lungo la cosiddetta strada vecchia di Smolensk. Dietro il villaggio di Borodino si estendeva, a sud della Koloca una vasta area pianeggiante scoperta, favorevole alle tattiche francesi e all'impiego in massa dell'artiglieria.
Inizialmente lo schieramento previsto dal generale Kutuzov e dal suo principale collaboratore, il generale Karl von Toll, da Gorki sulla Koloca fino a Ševardino e poi, dopo la caduta di questa posizione, fino a Utiža, era molto esteso, misurando oltre otto chilometri, ma la dislocazione delle forze si sarebbe presto rivelata errata. Le fortificazioni più solide erano state costituite sul fianco destro a nord-est di Borodino dove evidentemente il comando russo si attendeva l'attacco lungo la strada nuova di Smolensk. In questo settore, che invece non sarebbe stato attaccato dai francesi, il generale Kutuzov, che organizzò il suo quartier generale a Gorki, aveva schierato la 1ª armata del generale Michail Barclay de Tolly con il 2º corpo d'armata del generale Karl Gustav von Baggovut, il 4º corpo del generale Aleksandr Ostermann-Tolstoj, un corpo di cavalleria regolare, e il corpo dei cosacchi del generale Platov. Napoleone invece, avendo lasciato solo deboli forze di copertura lungo la Koloca, poté concentrare la massa delle sue forze a sud del fiume in uno spazio ristretto di soli tre chilometri.
A sud di Borodino il comando russo aveva posizionato il 6º corpo del generale Dmitrij Dochturov, mentre sull'ala sinistra il generale Pëtr Bagration, comandante della 2ª armata, disponeva del 7º corpo del generale Nikolaj Raevskij e dell'8º corpo del generale Andrej Borozdin. Quindi, a causa della inattesa direzione dell'attacco francese lungo la strada vecchia di Smolensk, il comando russo si trovò nella necessità durante la battaglia di impiegare prematuramente una parte della riserva e di spostare frettolosamente le sue forze del fianco destro a sud per contenere gli attacchi francesi tra Borodino e Utiža. Il generale Kutuzov prima dell'inizio della battaglia decise di rafforzare il settore del villaggio e del bosco di Utiža, trasferendo nell'area il 3º corpo del generale Nikolaj Alekseevic Tuckov, ma il grosso dell'armata del generale Barclay rimase schierata a nord. Lev Tolstoj critica severamente le disposizioni iniziali del comando russo e afferma che le difese furono improvvisate all'ultimo momento dopo aver constatato che invece i francesi avanzavano in massa a sud della Koloca lungo la strada vecchia.
In realtà sembra che il generale Bagration, comandante della seconda armata russa, abbia rilevato la debolezza della posizione a sud del fiume, affidata dal generale Kutuzov alle sue truppe; quindi, dopo aver lasciato un forte presidio a Ševardino, l'esercito russo ripiegò ad angolo retto con l'ala sinistra per coprire la strada vecchia di Smolensk e occupare il terreno scoperto tra Borodino e il villaggio di Utiža. In questo modo durante la battaglia l'esercito russo si trovò progressivamente sempre più ammassato in uno spazio ristretto e privo di difese naturali sull'ala sinistra dove, quando divenne evidente la direzione dell'attacco francese, vennero concentrati gran parte dei corpi d'armata, comprese le riserve e le forze del generale Barclay trasferite dall'ala destra; oltre 90.000 soldati furono distribuiti in un settore di pochi chilometri. Schierati in formazione serrata su sei o sette file, queste truppe furono sottoposte al continuo fuoco dell'artiglieria francese.
Il generale Kutuzov aveva previsto di rinforzare la sua posizione con fortificazioni campali che però inizialmente furono costruite, a partire dal 4 settembre, sull'ala destra, coperta dal Koloca, su cui si attendeva l'attacco; solo la vigilia della battaglia si intraprese la frettolosa organizzazione di postazioni difensive nel vulnerabile settore meridionale e vennero quindi costruite la cosiddetta "Grande Ridotta", a sud di Borodino, e le "frecce di Bagration", tra la ridotta e la strada vecchia di Smolensk. Nonostante i resoconti di parte francese, si trattava in realtà di fortificazioni deboli, solo parzialmente completate e con gravi carenze tattiche. Affidata all'opera del colonnello Ivan Liprandi, quartiermastro del 6º corpo d'armata, la "Grande Ridotta", dotata di un terrapieno piccolo e basso, era di modeste dimensioni e poteva ospitare solo diciotto cannoni e un battaglione di fanteria; il resto delle truppe e dell'artiglieria dovette schierarsi allo scoperto, il fossato scavato davanti al ridotto era assolutamente insufficiente.
Più a sud erano state costruite le "frecce di Bagration", tre terrapieni a forma di V, aperti posteriormente, deboli e mediocremente riparati con sbarramenti di terra; nelle retrovie dove si ammassarono le altre forze russe e le riserve del 5º corpo della Guardia imperiale del granduca Costantino, i soldati erano ancora a tiro dei cannoni pesanti francesi e, essendo privi di ripari naturali, rimasero per tutta la battaglia in piedi e a ranghi serrati sotto il fuoco. Anche i villaggi, costruiti in legno, furono di scarsa utilità per i difensori; i russi preferirono infatti distruggere il villaggio di Semenovskoe, situato subito a sud-est della "Grande Ridotta", per evitare che prendesse fuoco e divenisse una trappola per le truppe.
Alla vigilia della battaglia il morale dei soldati russi era elevato; le truppe, relativamente riposate, erano fortemente motivate dai richiami patriottici; alla vigilia il generale Kutuzov diramò un proclama efficace in cui esortava a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli", confidando nell'aiuto di Dio; l'icona della Vergine Nera di Smolensk venne portata in processione in mezzo ai soldati, esaltandone la religiosità patriottica.
Le forze russe dell'esercito campale erano state recentemente rafforzate da 13.500 reclute del generale Michail Miloradovic, provenienti dai depositi, che furono distribuiti tra i reggimenti; nel complesso il generale Kutuzov disponeva di 125.000 soldati e 624 cannoni, compresi i prestigiosi reggimenti della Guardia imperiale; erano presenti anche 31.000 miliziani di Mosca e Smolensk che tuttavia, armati solo di picche e asce e non addestrati, non parteciparono alla battaglia.
La sera del 5 settembre Napoleone pose il suo quartier generale dietro il settore del IV corpo del principe Eugenio; l'imperatore parve turbato dai resoconti della battaglia di Ševardino ; i russi sembravano decisi a farsi uccidere in massa sul posto piuttosto che cadere prigionieri; nella notte dormì poco, egli, come anche i suoi generali e Murat, continuavano a temere che i russi potessero decidere di riprendere la ritirata, sfruttando le tenebre, e rifiutare di battersi. Al mattino le truppe francesi poterono vedere invece che il nemico era ancora nelle sue posizioni; i soldati accolsero con entusiasmo questa notizia, si presentava finalmente l'opportunità di cambiare il corso dell'interminabile e sfibrante campagna.
Napoleone trascorse il 6 settembre effettuando accuratamente due ispezioni a distanza ravvicinata del terreno e delle posizioni nemiche di cui valutò lo schieramento; egli ritenne impraticabile ogni manovra di aggiramento del fianco destro russo a causa della presenza del fiume Koloca e di vasti terreni paludosi; l'imperatore valutò l'importanza della "Grande Ridotta" che considerò il punto decisivo da attaccare. Napoleone apprezzò anche la relativa debolezza del fianco sinistro russo che sembrava vulnerabile ad una vasta manovra aggirante attraverso i boschi a sud di Utiža. Il maresciallo Louis-Nicolas Davout propose quindi pressantemente di organizzare un ampio movimento di aggiramento notturno del fianco sinistro con le cinque divisioni del I corpo e le truppe del V corpo, circa 40.000 soldati in totale, allo scopo di portarsi all'alba alle spalle delle forze nemiche e raggiungere un decisivo vantaggio tattico. L'imperatore non fu convinto dalle argomentazioni del maresciallo; egli era apparentemente scettico sulla possibilità di intimorire le solide truppe russe con minacce strategiche alle loro retrovie e alle vie di comunicazione; riteneva inoltre pericoloso privarsi anche temporaneamente di un così rilevante massa di truppe al cospetto del grande esercito nemico, e difficile marciare di notte su un terreno poco conosciuto. Soprattutto Napoleone temeva che i comandanti russi, dopo aver individuato il movimento aggirante, avrebbero immediatamente ordinato una nuova ritirata, privando così ancora una volta l'esercito francese della grande battaglia decisiva che avrebbe potuto finalmente mettere termine vittoriosamente alla difficile ed estenuante campagna.
Avendo scartato l'audace ma problematica manovra di aggiramento del fianco sinistro dell'esercito russo proposta dal maresciallo Davout, Napoleone si risolse quindi ad adottare un piano più semplice, basato sullo sfruttamento dell'evidente debolezza dell'ala sinistra nemica che, ripiegata ad angolo retto dopo la perdita della posizione di Ševardino, era ora schierata, con forze insufficienti, su un'ampia distesa quasi pianeggiante a sud del Koloca. Lo schieramento russo assumeva una forma a saliente con una pericolosa testa di ponte centrale a nord del fiume nel villaggio di Borodino ed era vulnerabile sui due fianchi su cui i francesi avrebbero potuto concentrare potenti masse di artiglieria per indebolire con il fuoco le difese. L'imperatore intendeva ingannare il nemico con due manovre diversive, una a nord lungo il corso del Koloca con una parte del IV corpo del principe Eugenio ed una a sud nell'area di Utiža con i soldati polacchi del V corpo del principe Poniatowski.
L'attacco principale sarebbe stato effettuato a sud del fiume contro l'ala sinistra russa da due divisioni del I corpo del maresciallo Davout e dalle tre divisioni del III corpo del maresciallo Ney, rinforzate dalla cavalleria di Murat e dall'VIII corpo del generale Jean-Andoche Junot; dopo essere avanzata sotto la copertura dei boschi, l'ala destra francese avrebbe sfondato le fortificazioni russe e poi avrebbe effettuato una manovra di conversione verso sinistra per respingere il resto delle truppe nemiche verso il fiume e distruggerle. Il principe Eugenio con il IV corpo, rinforzato da due divisioni prese dal I corpo del maresciallo Davout e dalla cavalleria del generale Emmanuel de Grouchy, avrebbe coperto la linea di operazioni della Grande Armata attraverso la strada maestra e costituito il perno della manovra dell'ala destra; in un secondo momento sarebbe passato in parte a sud del Koloca e avrebbe partecipato all'assalto finale. Sull'ala sinistra francese lungo la Koloca sarebbero rimasti sulla difensiva solo 10.000 uomini della divisione italiana del generale Teodoro Lechi, della cavalleria bavarese e delle truppe di cavalleria del generale Philippe Antoine d'Ornano.
Napoleone avrebbe mantenuto disponibili consistenti forze di riserva costituite dalla Guardia imperiale, da una parte della cavalleria e dalla divisione del generale Louis Friant. Gli ordini vennero diramati la sera del 6 settembre e prevedevano anche la costruzione di cinque ponti sul Koloca e grandi piazzole per l'artiglieria. Si trattava di un piano semplice che si fondava principalmente sugli attacchi frontali senza complesse e audaci manovre a sorpresa; Napoleone riteneva indispensabile accelerare i tempi e ottenere una rapida vittoria sul nemico che aveva finalmente deciso di affrontare una battaglia campale.
Napoleone, afflitto da un forte raffreddore e da disturbi urinari, non era in buone condizioni di salute; apparve apprensivo e impaziente di combattere, egli era consapevole che sarebbe stata una battaglia sanguinosa; alla vigilia aveva appreso della sconfitta a Salamanca del maresciallo Auguste Marmont, a cui non diede molta importanza, mentre sembrò compiaciuto dal ritratto, appena arrivato da Parigi,raffigurante il figlio. Il proclama che l'imperatore diramò alle truppe riprendeva vecchi motivi della retorica napoleonica, esortava le truppe a battersi per la vittoria che avrebbe garantito concreti vantaggi materiali e "un pronto ritorno in patria". Dopo aver ricordato le passate vittorie, il proclama faceva appello alla posterità per esaltare il desiderio di gloria delle truppe nella "grande battaglia sotto le mura di Mosca.
Generale Horace Sébastiani con la decorazione dell'Ordine della mezza luna; entrò fra i primi a Mosca alla testa del II Corpo d'armata di cavalleria.
Tra le truppe francesi, veterane, indurite dalla guerra, combattive ma stanche, non erano presenti manifestazioni di tipo religioso, l'esercito era completamente laico e conservava ancora alcune delle tradizioni rivoluzionarie; i soldati erano decisi a battersi e apparvero altrettanto motivati dei russi dalle virtù della gloria e del ricordo, esaltate dal proclama, e dal desiderio di ottenere i concreti vantaggi materiali e finire la guerra; i veterani erano consapevoli della difficoltà del loro compito di sconfiggere un nemico tenace e solido, descritto come "una muraglia". Napoleone disponeva in complesso di circa 130.000 soldati e 587 cannoni; erano presenti sul campo di battaglia i migliori reparti dell'esercito francese: la Guardia imperiale, il I corpo d'armata del maresciallo Davout e i reparti della cavalleria pesante.
L'imperatore era preoccupato per le condizioni dell'armata; gli parve stanca e silenziosa, ritenne che avesse bisogno di riposo che avrebbe potuto ottenere solo dopo una vittoria decisiva; in realtà le truppe, pur non essendo entusiaste, conservavano grande fiducia nell'imperatore. Napoleone contava sul loro orgoglio, sulla loro temerarietà, sulla ferma coscienza della loro superiorità sul nemico. Durante la notte Napoleone fu nuovamente preda di dubbi: temette che i russi si ritirassero, chiese ripetutamente informazioni e inviò a controllare; poi si preoccupò per le condizioni dell'armata e soprattutto volle essere tranquillizzato sull'efficienza della Guardia imperiale. Alternò pensieri negativi sulla fortuna e sul destino con rassicuranti considerazioni sulla mediocrità del generale Kutuzov; non riuscì a riposare bene: la sua salute peggiorò, lamentò tosse, febbre, disuria.
Tuttavia alle ore 05.00 del mattino del 7 settembre Napoleone, informato dal maresciallo Ney che i russi erano sempre fermi sulle loro posizioni e che quindi si doveva dare inizio alla battaglia, sembrò di nuovo energico, sicuro e ottimista; parlò ai suoi ufficiali di "avere la vittoria in pugno" e di "aprirci le porte di Mosca"; alle 05.30 raggiunse i pressi della ridotta conquistata di Ševardino da dove aveva deciso di dirigere il combattimento. In realtà il piano iniziale di Napoleone prevedeva di impiegare anche la potenza di fuoco per superare la resistenza nemica; egli dispose quindi di concentrare una grande massa di artiglieria di fronte alle "frecce" per devastare quelle fortificazioni prima dell'attacco che sarebbe stato sferrato del I corpo del maresciallo Davout con le divisioni del generale Jean Dominique Compans e del generale Joseph Marie Dessaix. Sarebbero stati raggruppati, sotto il comando del generale Pernetti, capo dell'artiglieria del I corpo, 24 cannoni dell'artiglieria della Guardia, 30 cannoni della divisione del generale Compans, 8 mortai delle divisioni dei generali Dessaix e Louis Friant; inoltre avrebbero partecipato, al comando del generale Fouché, anche i cannoni campali del III corpo, rinforzati con 16 mortai pesanti del III e del VIII corpo; infine il generale Jean-Barthélemot Sorbier avrebbe tenuto pronti altri cannoni della Guardia per potenziare il bombardamento.
Il generale Jean Dominique Compans guidò il primo attacco alle "frecce di Bagration" e rimase seriamente ferito durante i combattimenti.
Generale Joseph Marie Dessaix; si distinse alla battaglia di Wagram.
Difficoltà sorsero immediatamente; dopo l'apertura del fuoco alle ore 06.00 del mattino, il comando francese rilevò che l'artiglieria era stata piazzata in modo errato e che i tiri, essendo troppo corti, non raggiungevano il bersaglio, si dovette quindi procedere a spostare i cannoni più avanti prima di colpire le fortificazioni russe; inoltre ben presto l'artiglieria russa rispose al fuoco. Nonostante questo errore, l'attacco francese iniziò con successo; il comando russo, apparentemente per contrasti tra il generale Barclay e il maresciallo Kutuzov, aveva lasciato in una posizione molto esposta un reggimento di cacciatori della Guardia a nord del Koloca a difesa del villaggio di Borodino, che nella nebbia del mattino venne attaccato di sorpresa dalla divisione del generale Alexis Delzons, appartenente al IV corpo del principe Eugenio.
In quindici minuti i francesi sbaragliarono i difensori e conquistarono il villaggio, i cacciatori della Guardia subirono pesanti perdite e ripiegarono a sud del fiume, inseguiti da alcuni reparti francesi che superarono a loro volta il Koloca e si avvicinarono alla "Grande Ridotta" da nord; ma le riserve russe, costituite da un reggimento di cacciatori, contrattaccarono, sorpresero il 106º reggimento di linea che si era spinto a sud del Koloca e lo respinsero con perdite di nuovo a nord del fiume; il 92º reggimento coprì il ripiegamento, ma il generale Louis-Auguste Plauzonne, comandante della brigata, rimase ucciso mentre cercava di radunare le truppe. Tuttavia i francesi avevano ora occupato il villaggio di Borodino e soprattutto avevano raggiunto posizioni molto favorevoli dove piazzare l'artiglieria che poté quindi colpire d'infilata con un fuoco micidiale i difensori della "Grande Ridotta"; il principe Eugenio schierò una batteria di 28 cannoni per bersagliare la fortificazione, lasciò la divisione del generale Delzons a Borodino per controllare la situazione sulla linea del fiume e ricevette ordine da Napoleone di far attraversare sui ponti costruiti più a sud le divisioni del generale Jean-Baptiste Broussier, del generale Charles Antoine Morand e del generale Étienne Maurice Gérard per preparare un attacco da ovest alla "Grande Ridotta".
L'attacco del I corpo del maresciallo Davout contro le tre "frecce di Bagration" ebbe inizio poco dopo l'assalto del generale Delzons a Borodino e, preceduto da trenta minuti di fuoco dell'artiglieria, venne condotto da destra in direzione nord-orientale contro la più meridionale delle fortificazioni russe; la divisione del generale Compans avanzò mascherata dal terreno boscoso, coperta sul fianco sinistro dalla divisione del generale Dessaix. Alcuni battaglioni avanzarono attraverso il bosco a nord di Utiža, mentre il famoso 57º reggimento di linea attaccò la fortificazione. Le "frecce" erano difese dalla 2ª divisione granatieri composita del generale Michail Voroncov, dipendenti, insieme alla 27ª divisione e alla 2ª divisione granatieri, dall'VIII corpo d'armata del generale Nikolaj Borodzin; si trattava di truppe scelte che si batterono duramente; l'artiglieria russa della 11ª e 32ª batteria aprì il fuoco contro le colonne compatte della fanteria francese in avanzata, che subì pesanti perdite. In questa fase dell'attacco venne ferito il generale Compans, e lo stesso maresciallo Davout rimase contuso dopo l'uccisione del suo cavallo; le prime notizie riferite a Napoleone parlavano di morte del maresciallo che invece si riprese e volle mantenere il comando del I corpo.
L'attacco del 57º reggimento di linea in un primo momento raggiunse e conquistò, nonostante l'aspra resistenza, la fortificazione più meridionale, ma il successo fu di breve durata; dopo circa trenta minuti il generale Voroncov guidò personalmente il contrattacco delle riserve che riuscirono a riconquistare la posizione, costringendo i francesi a ripiegare. La divisione del generale Compans era in forte difficoltà, disorganizzata tra i boschi e indebolita dalla perdite, molti ufficiali erano stati feriti. Ben presto, sotto i ripetuti attacchi francesi, anche la divisione del generale Voroncov sarebbe stata decimata; alla fine dei combattimenti per le "frecce" il reparto era ormai distrutto e il suo comandante gravemente ferito.
Napoleone aveva inviato nel settore delle "frecce" il generale Jean Rapp per informarsi della situazione che appariva confusa e ordinare un nuovo attacco con il concorso della divisione del generale Dessaix; un nuovo raggruppamento di artiglieria fu portato avanti per indebolire le difese nemiche e il maresciallo Ney ricevette gli ordini di prepararsi ad attaccare a sua volta con il III corpo. Il generale Rapp prese il comando della divisione del generale Compans e ottenne qualche successo ma venne a sua volta ferito. La divisione del generale Dessaix disponeva di soli otto battaglioni ed era molto più debole numericamente della divisione del generale Compans, costituita da diciotto battaglioni; il generale venne ferito al braccio sinistro da una granata e i suoi attacchi contro le "frecce" si infransero contro le difese, nonostante la potenza del fuoco dell'artiglieria francese che progressivamente distrusse i terrapieni delle fortificazioni.
Nel frattempo il comando russo, preoccupato dalla crescente pressione nemica contro l'armata del generale Bragration, stava procedendo a inviare rinforzi per evitare un crollo delle difese nel settore; senza avvertire il generale Barclay, il generale Kutuzov e i generali Toll e Bennigsen presero la decisione di portare avanti a sostegno della posizione delle "frecce", una parte delle riserve della Guardia. In questa fase si verificarono scontri di competenza e disaccordi tattici tra i generali russi: il generale Barclay protestò per il prematuro impiego delle riserve, mentre il generale Bagration, sottoposto a violenti attacchi, deplorò il ritardato movimento verso il suo settore dei corpi d'armata dei generali Baggovut e Ostermann-Tolstoj. Il generale Kutuzov, preoccupato per l'attacco del principe Eugenio a Borodino e lungo la Koloca, si decise solo dopo molte esitazioni ad ordinare il trasferimento verso sud dei due corpi d'armata dell'ala destra.
Il generale Bagration, in attesa dell'arrivo delle truppe di riserva e dei corpi d'armata in movimento dal settore settentrionale, prese la decisione di trasferire nel settore delle "frecce" parte delle forze di fanteria di seconda linea del 7º corpo del generale Raevskij che difendeva la "Grande ridotta" e inoltre richiese al generale Tuckov, comandante del 3º corpo schierato nell'area di Utiža, l'invio della divisione di fanteria del generale Konovnicyn.
Generale Louis-Nicolas de Razout. Si comportò eroicamente durante la campagna di Russia
Il secondo attacco francese contro le "frecce" venne sferrato da ovest dal maresciallo Ney con la divisione del generale Jean Nicolas Razout e la divisione del generale François Ledru del III corpo, sostenute in seconda linea dalla divisione del generale Jean Gabriel Marchand, costituita da truppe del Württemberg; questi reparti attaccarono frontalmente a ranghi serrati le due fortificazioni settentrionali, mentre quella meridionale subì l'attacco dalla divisione del generale Compans, appartenente al I corpo del maresciallo Davout, che tornò all'attacco da sud-ovest. Napoleone aveva ulteriormente rinforzato queste forze inviando il corpo di cavalleria del generale Louis Pierre de Montbrun al maresciallo Ney e la cavalleria dei generali Étienne Nansouty e Marie Victor Latour-Maubourg al maresciallo Davout.
Il maresciallo Ney condusse personalmente l'attacco dei suoi uomini; l'assalto venne contrastato dal fuoco dell'artiglieria russa che decimò le file compatte della fanteria francese; i testimoni rimasero impressionati dalla violenza dei combattimenti e dall'entità delle perdite; con grandi sforzi le divisioni francesi guidate dal maresciallo Ney raggiunsero e conquistarono, dopo scontri a distanza ravvicinata, due fortificazioni. I combattimenti furono molto duri ed entrambe le parti subirono sanguinose perdite; l'ammassamento dei reparti, l'intervento della cavalleria, il terreno difficile, la presenza dei terrapieni, trasformarono la battaglia in una mischia confusa spesso all'arma bianca, combattuta nel frastuono, la polvere, le urla dei soldati. Durante la mattinata si succedettero continui attacchi frontali francesi seguiti da altri contrattacchi dei reparti russi. La divisione del generale Razout si spinse con il 18º reggimento anche verso il villaggio distrutto di Semenovskoe da dove però dovette presto ripiegare. La fortificazione meridionale venne conquistata dal 57º reggimento di linea della divisione del generale Compans e da elementi della divisione del generale Ledru, i russi contrattaccarono subito in questo settore e cercarono ancora di riconquistare la posizione.
Ritratto del generale Jean Ernest de Beurmann, eroe della campagna di Russia. (Pastello di Paul Emmanuel Curel).
Il III corpo del maresciallo Ney uscì decimato da questi scontri ma dovette continuare a battersi contro gli ultimi resti della divisione del generale Voroncov e contro la 27ª divisione fanteria del generale Neverovskij che a sua volta subì perdite debilitanti; il generale Bagration decise di far intervenire, oltre alle riserve provenienti dal 7º corpo del generale Raevskij, la 2ª divisione granatieri, unità scelta composta anche dai regimenti granatieri di Mosca e di Kiev. Dopo un nuovo contrattacco che permise di riconquistare la seconda fortificazione, intervennero nella battaglia i reggimenti di ussari e dragoni russi al comando del generale Sievers che attaccarono la fanteria francese; alcuni reparti riuscirono ad organizzarsi in quadrati e respinsero la cavalleria, mentre altre formazioni francesi del generale Razout subirono gravi perdite. Nonostante i contrattacchi sferrati dalla brigata di cavalleria del generale Beurmann, costituita da reparti leggeri del Württemberg e cacciatori a cavallo francesi, i granatieri russi riuscirono a mantenere il possesso delle due "frecce" settentrionali.
Gli scontri di cavalleria ripresero con l'arrivo di due reggimenti di ulani polacchi che in un primo momento respinsero con successo i cavalleggeri del generale Sievers; ma ben presto gli ulani incapparono nella divisione di cavalleria pesante russa del generale Duka; i corazzieri respinsero i polacchi e poi attaccarono i reparti leggeri del Württemberg, appartenenti alla divisione del generale Marchand. I reparti delle divisioni del generale Dessaix e del generale Razout, esposti allo scoperto alle cariche della cavalleria pesante, si trovarono in grave difficoltà e dovettero in parte ripiegare, perdendo anche la fortificazione meridionale che venne poi riconquistata da un attacco sferrato da un battaglione di cacciatori del Württemberg e da fanteria francese del 72º reggimento di linea della divisione del generale Ledru.
In questa fase Joachim Murat intervenne personalmente con la cavalleria che respinse gli avversari e raggiunse le fortificazioni, ma ben presto anche l'audace re di Napoli si trovò a sua volta in difficoltà e rischiò di essere catturato o ucciso; il re di Napoli riuscì a radunare i superstiti francesi e tedeschi all'interno della ridotta e resistette fino all'intervento di reparti del maresciallo Ney che respinsero i corazzieri russi e trassero in salvo Murat. Il re di Napoli rientrò subito in azione e guidò le cariche della cavalleria pesante francese del generale Nansouty e del generale Bruyères che inseguì i nemici fino alle posizioni della fanteria russa, riguadagnando una parte del terreno perduto. Dopo aver inflitto pesanti perdite alla cavalleria leggera tedesca e aver messo in pericolo la vita di Murat, i corazzieri russi dovettero infine ritirarsi.
Generale Marie Victor Nicolas de Fay de La Tour-Maubourg si coprì di gloria a Dresda e a Lipsia
Dopo questi confusi combattimenti di cavalleria, il generale Bagration decise di guidare personalmente un contrattacco con la 2ª divisione granatieri; i soldati russi avanzarono con grande coraggio in formazione compatta e nonostante il fuoco dell'artiglieria francese, riconquistarono una delle frecce. Attacchi e contrattacchi si susseguirono: il maresciallo Davout richiese all'imperatore nuove riserve e Napoleone dopo qualche incertezza fece intervenire la esperta divisione del generale Louis Friant che, costituita da tredici battaglioni, riconquistò a sua volta le fortificazioni; i russi ripartirono al contrattacco con i granatieri e i resti della 27ª divisione, infine un nuovo assalto dei soldati del generale Friant assicurò temporaneamente il possesso delle frecce, ormai demolite e piene di cadaveri.
La sanguinosa battaglia per il possesso delle "frecce" non era ancora finita; il generale Bagration aveva finalmente ricevuto di rinforzo la 3ª divisione fanteria del generale Pëtr Konovnicyn, distaccata dal III corpo del generale Tuckov, e sferrò l'ennesimo contrattacco per riconquistare la posizione; l'assalto venne condotto in direzione convergente da questi reparti freschi supportati dai resti della 2ª divisione granatieri, della 27ª divisione e da alcuni reparti di cacciatori. Ancora una volta i russi riconquistarono le fortificazioni respingendo i soldati del generale Friant, ma il fuoco dell'artiglieria francese era intensissimo e inflisse perdite debilitanti alle truppe di fanteria. I cannoni francesi disgregarono la coesione dei granatieri e dei fanti russi e inoltre colpirono ufficiali e stati maggiori: caddero feriti il generale Borozdin, comandante dell'VIII corpo, il generale Emmanul de Saint-Priest, del comando della 2ª Armata russa, e soprattutto alle ore 10.00 venne gravemente ferito lo stesso generale Bagration che nonostante un coraggioso tentativo di rimanere al comando dovette essere evacuato nelle retrovie.
La notizia del ferimento del generale Bagration incise sul morale dei soldati russi che diedero segno di indebolimento della resistenza e scosse la risolutezza dei comandanti; il generale Konovnicyn decise di interrompere la cruenta lotta e abbandonare le "frecce" ripiegando verso le alture e il villaggio di Semenovskoe, e il generale Dochturov, inviato dal generale Kutuzov a prendere il comando in sostituzione del principe Bagration, confermò la ritirata che si effettuò ordinatamente, dopo aver lasciato le fortificazioni. L'artiglieria russa, posizionata su una linea di creste, colpì con efficacia le truppe francesi che Murat e il maresciallo Ney avevano radunato nelle "frecce" per un nuovo assalto; le alture di Semenovskoe furono infine attaccate dalla cavalleria sassone e francese del generale Latour-Marbourg, dal corpo di cavalleria pesante del generale Nansouty e poi dalla fanteria della divisione del generale Friant.
Generale Étienne Marie Antoine Champion de Nansouty, eroe di tutte le guerre napoleoniche
A nord del villaggio di Semenovskoe i cavalieri del generale Latour-Marbourg si spinsero fino nelle retrovie e attaccarono i quadrati della fanteria russa; contrattaccati dalla cavalleria del generale Sievers, riuscirono, dopo l'arrivo dei corazzieri della Westfalia, a respingere il nemico. A sud invece la cavalleria del generale Nansouty non riuscì a rompere le formazioni della Guardia imperiale russa e il reggimento Lituania passò al contrattacco; la cavalleria russa caricò con successo. Dopo questi violenti scontri di cavalleria, i soldati francesi della divisione del generale Friant sferrarono l'attacco al centro delle nuove linee russe intorno a Semenovskoe; nonostante il ferimento dello stesso generale, le truppe del 15º reggimento leggero, condotte al fuoco dal generale François-Bertrand Dufour, riuscirono a superare la scarpata delle alture, sopraffare la resistenza, raggiungere il villaggio di Semenovskoe e consolidare la posizione. I soldati francesi di Murat, del maresciallo Davout e del maresciallo Ney occupavano finalmente le fortificazioni nemiche al centro e sembravano vicini alla vittoria, ma avevano subito perdite durissime; le richieste di rinforzi non furono esaudite da Napoleone che dopo aver ipotizzato di inviare la Giovane Guardia, ritenne prematuro l'impiego delle sue riserve strategiche.
Generale François-Bertrand Dufour, non ci sono sue immagini
Il generale Kutuzov si era preoccupato di rafforzare la nuova posizione della 2ª armata a nord e a sud del villaggio distrutto di Semenovskoe e ordinò all'energico generale Aleksej Ermolov e al generale Aleksandr Kutajsov, comandante superiore dell'artiglieria, di recarsi sul posto per organizzare la resistenza. Una parte della Guardia imperiale, schierata di riserva, era stata portata avanti insieme ad una brigata di granatieri, per rafforzare le difese dei resti delle truppe del generale Bagration. L'artiglieria russa intervenne in massa per sostenere le difese intorno a Semenovskoe; i comandanti francesi erano impressionati dalla violenza dei combattimenti e dalle perdite; la divisione del generale Friant diede segni di cedimento e Murat dovette intervenire personalmente per sostenere il morale del colonnello Galichet che in un primo momento intendeva ripiegare.
Alle ore 08.00 del mattino anche il principe Poniatowski aveva iniziato il suo attacco con il V corpo polacco, costituito dopo le perdite subite a Ševardino da circa 10.000 uomini, contro le posizioni russe a ovest del villaggio di Utiža; i polacchi avevano avuto forti difficoltà a raggiungere le posizioni stabilite lungo la strada vecchia di Smolensk deviando a sud per evitare l'impervio territorio boscoso. Le difese russe erano costituite dal 3º corpo d'armata del generale Nikolaj Tuckov che in origine disponeva di 8.000 fanti, 1.500 cosacchi e 7.000 miliziani, ma a causa della difficile situazione del principe Bagration sottoposto ai pesanti attacchi alle "frecce", aveva dovuto distaccare a nord la divisione del generale Konovnicyn.
Quindi il generale Tuckov venne messo in difficoltà dall'attacco dei polacchi del principe Poniatowski; la divisione d'avanguardia del generale P.G.Stroganov venne costretta a ripiegare all'interno del villaggio di Utiža da dove si ritirò ulteriormente, dopo aver incendiato le case, su forti posizioni nell'alture a est, dove erano state schierate le artiglierie. I polacchi attaccarono anche la collina ma i primi assalti furono respinti; i cannoni russi colpirono duramente le truppe allo scoperto e dai boschi sul fianco sinistro del V corpo, reparti di fanteria leggera russa inflissero dure perdite, il principe Poniatowski decise quindi di sospendere gli attacchi alle collina, portare avanti la sua artiglieria e richiedere rinforzi per sferrare un assalto decisivo.
Nelle ore successive affluirono a sostegno dei polacchi reparti tedeschi della Westfalia, appartenenti al VIII corpo del generale Jean-Andoche Junot che impegnarono aspri scontri con i cacciatori russi nella boscaglia a nord della strada vecchia, mentre il principe Poniatowski posizionò le sue batterie che bombardarono la collina. Il generale Kutuzov si era allarmato per l'attacco sul suo fianco sinistro e quindi aveva deciso di inviare di rinforzo al generale Tuckov l'intero 2º corpo d'armata del generale Baggovut che tuttavia doveva percorrere un lungo cammino, essendo schierato sull'altro lato del fronte russo. Alle ore 12.00, mentre a nord le posizioni delle "frecce" stavano cedendo, il principe Poniatowski attaccò in forze la collina di Utiža ma si trovò di fronte ad una dura resistenza; per molte ore mentre i soldati tedeschi del generale Junot affrontavano il combattimento contro gli abili cacciatori russi del generale Ivan Šuhovskoj nei boschi a nord di Utiža, i polacchi attaccarono senza risultato la collina. I reggimenti russi Belozersk e Wilmanstrand della 17ª divisione appena arrivati, contribuirono a difendere le posizioni sull'altura.
Il principe Poniatowski organizzò un attacco combinato a tenaglia da due direzioni ma, dopo qualche successo, il generale Baggovut contrattaccò con due divisioni e reparti di cosacchi e respinse dal declivio dell'altura i polacchi; durante questa fase il generale Tuckov venne gravemente ferito mentre guidava i granatieri della divisione del generale Stroganov. Nel primo pomeriggio il V corpo era esausto e non aveva ottenuto alcun successo importante. L'azione del V corpo aveva attratto le forze russe lungo la strada vecchia di Smolensk ma non era riuscita ad aggirare il fianco nemico né a costringerlo alla ritirata; gli scontri di Utiža rimasero secondari e di minore importanza rispetto alle azioni decisive in corso più a nord.
Mentre si succedevano i sanguinosi attacchi della fanteria francese contro le "frecce di Bagration", la situazione dei russi stava divenendo critica anche nel settore della "Grande Ridotta", difesa dal corpo d'armata del generale Nikolaj Raevskij; un crollo in questo settore poteva essere decisivo e aprire alle truppe francesi la strada nuova per Smolensk, tagliando la via di comunicazione principale del nemico. Il generale Raevskij, sofferente di una recente ferita da baionetta, era presente all'interno del ridotto, mentre tre battaglioni di cacciatori coprivano le vie di accesso; le difese principali erano costituite dalla 26ª divisione del generale Ivan Paskevic sulla destra, dalla 12ª divisione del generale Vasil'cikov sulla sinistra e da un altro battaglione di cacciatori; la fortificazione era costituita da un fossato e da terrapieni con una palizzata posteriore e disponeva inoltre di dodici cannoni pesanti e sei cannoni leggeri della 26ª brigata d'artiglieria.
Inizialmente i piani di Napoleone non prevedevano di attaccare in forze con le truppe del principe Eugenio che avrebbero dovuto invece costituire il perno su cui avrebbe dovuto appoggiarsi l'ala destra francese durante l'assalto principale; tuttavia ben presto l'imperatore mutò parere e sollecitò ripetutamente il comandante del IV corpo d'armata di dare inizio all'attacco a sud della Koloca contro la "Grande Ridotta". Il principe Eugenio sottopose la fortificazione ad un pesante fuoco di artiglieria per oltre due ore, mentre le divisioni del generale Morand, del generale Jean-Baptiste Broussier e del generale Gérard effettuavano il passaggio del fiume sui ponti predisposti e si portavano in posizione d'attacco. I russi, nonostante il vantaggio del terreno irregolare e paludoso, erano in difficoltà: le munizioni per i cannoni erano insufficienti ed era presente nel ridotto un denso fumo che ostacolava l'osservazione.
Generale Jean-Baptiste Broussier, si distinse a Wagram e alla campagna di Russia
Il generale Auguste Caulaincourt venne ucciso nella Grande Ridotta mentre era alla guida della sua cavalleria.
L'assalto francese, sferrato con grande slancio, fu effettuato, a causa del ritardo delle altre formazioni, dalla sola divisione del generale Morand ma raggiunse un rapido successo: i difensori russi furono colti di sorpresa dall'improvviso assalto dei francesi che erano rimasti nascosti dal fumo, non riuscirono ad organizzare una resistenza efficace e ripiegarono, abbandonando il ridotto; il generale Raevskij riuscì a lasciare in tempo la fortificazione. Alle ore 10.00 del mattino i soldati francesi del 30º reggimento, guidati dal generale Charles Bonamy, occuparono la fortificazione. Il successo dei francesi fu solo momentaneo, il generale Morand aveva attaccato isolatamente senza coordinarsi con le altre divisioni; la presenza di difficoltà del terreno irregolare rallentarono o bloccarono l'afflusso di nuovi reparti verso la posizione conquistata; i fianchi delle truppe che avevano occupato la ridotta erano scoperti perché sulla destra il generale Friant non aveva ancora attaccato Semenovskoe e sulla sinistra i generali Gérard e Broussier erano in ritardo.
Generale Étienne Maurice Gérard, (ritratto di Jacques-Louis David - 1816). Si distinse nella campagna di Russia
Inoltre i comandanti russi organizzarono subito un contrattacco grazie all'iniziativa e alla risolutezza del generale Raevskij e dei generali Aleksej Ermolov e Aleksandr Kutajsov che, giunti sul posto mentre si stavano recando nel settore delle "frecce" secondo gli ordini del maresciallo Kutuzov, decisero invece di rimanere nel settore in difficoltà e di radunare tutte le forze disponibili per assaltare subito le truppe francesi nel ridotto. Il generale Ermolov, ufficiale energico e combattivo, guidò i soldati del reggimento Ufa, mentre l'aiutante di campo del generale Barclay Vladimir Löwenstern e il generale Paškevic attaccavano a loro volta con altre truppe sul lato sinistro della ridotta. Il 30º reggimento francese, isolato all'interno della fortificazione, era in forte inferiorità numerica ma si batté con grande coraggio affrontando i contrattacchi nemici; dopo violenti scontri a distanza ravvicinata divenne impossibile resistere. Il generale Bonamy ricevette venti ferite e cadde sul campo dove venne catturato dai russi, un terzo del reggimento venne distrutto e i superstiti dovettero ritirarsi e abbandonare la Grande Ridotta. I russi cercarono di sfruttare il momento favorevole e continuarono a contrattaccare con reparti della 12ª, 24ª e 26ª divisione; per alcune ore si prolungarono accesi scontri sul declivio a sud della ridotta, il generale Kutajsov, comandante dell'artiglieria russa, venne ucciso nella ridotta; il principe Eugenio, che aveva avvertito l'imperatore della situazione, fece intervenire altre forze del IV corpo. Il generale Emmanuel de Grouchy guidò una carica del suo corpo di cavalleria contro le retrovie russe dove erano in marcia di trasferimento le truppe della divisione del principe di Württemberg; i russi si schierarono in quadrati e riuscirono a resistere malgrado le forti perdite; i generali Barclay e Raevskij ripararono nei quadrati, mentre il generale Ermolov fu ferito da un colpo di mitraglia. Il principe Eugenio intendeva riorganizzare le sue divisioni e sferrare al più presto un attacco generale alla Grande Ridotta ma nuovi sviluppi a nord della Koloca crearono altri problemi e ritardarono i suoi piani.
Fin dal mattino le pattuglie di cosacchi del generale Matvei Plavov avevano rilevato la debolezza delle linee francesi lungo il corso del fiume Koloca, sul fianco destro dei russi; era quindi possibile superare il fiume e attaccare sul fianco e alle spalle le deboli forze del principe Eugenio rimaste sulla riva settentrionale intorno al villaggio di Borodino. Il generale Platov inviò un corriere al comando del generale Kutuzov per proporre di effettuare un'incursione e il generale Toll autorizzò la manovra. L'incursione venne effettuata più tardi nella giornata, oltre che dai 5.500 cosacchi del generale Platov, soprattutto dai due reggimenti di cavalleria del generale Fëdor Uvarov con altri 2.500 cavalieri. Dopo aver guadato il fiume alle ore 11.00 i cavalieri russi, senza il sostegno della fanteria e con solo due batterie di artiglieria ippotrainata, sferrarono una serie di attacchi di limitata efficacia. I cosacchi raggiunsero il traino del IV corpo, disorganizzando in parte le salmerie, mentre i cavalieri del generale Uvarov attaccarono senza molto successo i reparti di rincalzo del principe Eugenio. Alle ore 15.00 la cavalleria russa, contrastata dalla fanteria e dalla cavalleria francese, ricevette l'ordine di ripiegare e tra le ore 16 e le ore 17, i reparti dei generali Uvarov e Platov ritornarono nelle retrovie senza aver ottenuto alcun risultato. Nonostante i modesti risultati di questa incursione di cavalleria che venne criticata dallo stesso generale Kutuzov, il principe Eugenio in realtà si preoccupò per la minaccia alle sue retrovie; egli sospese l'attacco generale contro la Grande Ridotta e diresse personalmente l'intervento dei reparti del generale Delzons e del generale Ornano che contrattaccarono e respinsero la cavalleria nemica.
Generale Alexis Joseph Delzons, eroe della campagna di Russia, morì a Maloyaroslavets
A causa di queste momentanee difficoltà nelle sue retrovie, il principe Eugenio non poté passare all'attacco generale della Grande Ridotta prima delle ore 15.00 e quindi il generale Barclay ebbe tempo per rioganizzare il suo schieramento. La divisione del generale Paškevic, molto provata dalle perdite, venne trasferita nelle retrovie, la 24ª divisione del generale Pëtr Lihacev prese il suo posto nelle fortificazioni mentre sulla sinistra si schierò il 4º corpo del generale Ostermann-Tolstoj, proveniente dall'ala destra russa. Nonostante il pesante fuoco dell'artiglieria francese contro il ridotto, i russi poterono rinforzare le loro difese.
Generale Philippe Antoine d'Ornano. Diventò comandante della cavalleria della Vecchia Guardia nel 1813, alla morte del maresciallo Jean-Baptiste Bessières.
Mentre il principe Eugenio, dopo aver superato la crisi a nord del Koloca, ritornava a sud del fiume e preparava le sue forze per un assalto generale alla ridotta, Murat organizzò un nuovo attacco di cavalleria per contribuire all'offensiva della fanteria. In precedenza le forze di cavalleria del re di Napoli avevano subito un pesante fuoco di artiglieria che aveva provocato dure perdite, tra cui il capace comandante del II corpo di cavalleria, generale Montbrun, mortalmente ferito da una scheggia di granata. Dopo la morte del generale Montbrun, il generale Auguste Caulaincourt, fratello dell'ex ambasciatore e collaboratore di Napoleone Armand Caulaincourt, prese la guida dei reparti a cavallo, egli, dopo aver ricevuto gli ordini e le indicazioni tattiche da Murat, mostrò grande determinazione e promise di raggiungere e conquistare ad ogni costo la fortificazione. Murat aveva previsto che la cavalleria del II corpo, raffrozata da parte del IV corpo del generale Latour-Maubourg, attaccasse sul fianco sinistro russo, quindi, dopo aver penetrato le linee, avrebbe aggirato e preso alle spalle i difensori della Grande Ridotta.
L'attacco venne finalmente sferrato alle ore 15.00 dalle divisioni del IV corpo del principe Eugenio guidate dal generale Morand, dal generale Broussier e dal generale Gérard; quasi 20.000 soldati francesi assaltarono frontalmente la ridotta mentre la cavalleria pesante iniziava la sua manovra sul fianco. Il generale Caulaincourt guidò con grande slancio i suoi cavalleggeri; dopo l'irruzione nelle retrovie russe i reggimenti corazzieri girarono a sinistra e attaccarono alle spalle la grande ridotta; la divisione corazzieri del generale Pierre Watier, guidata personalmente dal generale Caulaincourt, subì forti perdite sotto il fuoco della 7ª e 24ª divisione russa, ma i corazzieri sassoni e polacchi della divisione del generale Jean Thomas Lorge riuscirono a irrompere nella ridotta, mentre il principe Eugenio alla vista dell'arrivo della cavalleria affrettava l'avanzata della fanteria. I soldati del generale Broussier guidarono l'assalto, supportati dalle truppe del generale Morand. I difensori russi si difesero disperatamente, gli artiglieri non abbandonarono i loro cannoni e vennero quasi tutti abbattuti sul posto, violenti scontri all'arma bianca si accesero all'interno della fortificazione dopo l'arrivo dei corazzieri e della fanteria francesi. Alla fine i russi vennero sopraffatti e in maggioranza uccisi; la divisione del generale Lihacev venne distrutta, il comandante ferito e catturato; la Grande Ridotta cadde alle ore 15.30. Nel momento culminante il generale Caulaincourt era stato mortalmente ferito; il fratello, presente accanto all'imperatore, sopportò la luttuosa notizia e rifiutò di ritirarsi dal campo di battaglia come suggeritogli dall'imperatore.
Mentre si combatteva per la Grande Ridotta, il centro dei combattimenti si era spostato nel settore di Semenovskoe dove i russi schierarono oltre ai resti delle forze del generale Bagration, la divisione di fanteria del generale Konoviczyn e soprattutto tre reggimenti della Guardia; "Izmajlovskij", "Lituania" e "Finlandia". Queste truppe scelte erano estremamente esposte al fuoco dell'artiglieria francese e subirono perdite elevatissime, anche il generale Ostermann-Tolstoj e numerosi ufficiali rimasero feriti. Anche Murat e il maresciallo Ney tuttavia erano in difficoltà e inviarono nuove richieste di rinforzi a Napoleone; egli aveva osservato le nuvole della polvere sollevata dalle cariche della cavalleria russa e alcune palle di cannone erano giunte nelle vicinanze del suo posto di comando. L'imperatore tuttavia rifiutò ancora, dopo averlo inizialmente autorizzato, l'impiego della Giovane Guardia; egli invece, irritato dalla tenace resistenza nemica e dall'assenza di segni di cedimento, decise soprattutto di rafforzare ulteriormente lo schieramento d'artiglieria del generale Jean-Barthélemot Sorbier inviando altri cannoni e ordinando di schiacciare con il fuoco i reparti avversari. Napoleone non riteneva ancora giunto il momento decisivo della battaglia ed inoltre era preoccupato per l'esito incerto dei combattimenti del principe Poniatowski e del principe Eugenio sui fianchi dell'armata.
Le batterie d'artiglieria dei marescialli Ney e Davout, posizionate a distanza ravvicinata e su favorevoli posizioni dominanti, colpirono con effetti devastanti le file della Guardia ed i cannoni russi inferiori di numero; alcuni reparti dell'"Izmajlovskij" e del "Lituania", sottoposti al bombardamento allo scoperto, vennero decimati. Un tentativo di contrattacco dei russi venne schiacciato dal fuoco di trenta cannoni concentrati al comando del generale Augustin Daniel Belliard. Tuttavia i soldati russi della Guardia non diedero segno di collasso, subirono le perdite, respinsero gli attacchi della cavalleria francese e alla fine abbandonarono il settore di Semenovskoe e ripiegarono senza disgregarsi di alcune centinaia di metri più indietro.
Nuovi attacchi della cavalleria francese si dimostrarono inefficaci e vennero respinti dai corazzieri e dalla cavalleria del generale Sievers, quindi Murat, il maresciallo Davout e il maresciallo Ney richiesero ancora una volta all'imperatore di far intervenire la Guardia imperiale per sferrare l'attacco finale e mettere in rotta il nemico; dopo alcune incertezze tuttavia Napoleone preferì evitare gravi perdite alle sue truppe migliori e, informato dal maresciallo Jean-Baptiste Bessières che la resistenza russa era ancora solida, rifiutò di far intervenire la Guardia, ritenendo indispensabile salvaguardarla in vista delle ulteriori fasi della campagna. Il maresciallo Ney si mostrò molto irritato per il rifiuto di Napoleone, mentre Murat mantenne la calma e parve consapevole delle precarie condizioni fisiche dell'imperatore.
Secondo alcuni storici e memorialisti, un intervento della Guardia imperiale in questa fase avrebbe potuto essere risolutivo e concludere con una vittoria schiacciante francese la battaglia; Napoleone ritenne troppo arrischiato impegnare anche le sue ultime riserve. Inoltre i russi disponevano ancora di sei battaglioni dei reggimenti scelti della Guardia "Preobrazenskij" e "Semenovskij", che erano quasi intatti e secondo altri autori sarebbero verosimilmente stati ancora in grado di organizzare una ritirata ordinata senza crollare.
La battaglia di Borodino ebbe quindi termine lentamente con il trascorrere delle ore; a est di Semenovskoe i russi mantennero le posizioni arretrate e non vennero più attaccati, mentre a oriente della "Grande Ridotta" il generale Barclay organizzò un nuovo schieramento a un chilometro di distanza con fanteria e artiglieria e fece intervenire le sue ultime riserve di cavalleria, tra cui i chevaliers gardes della Guardia a cavallo e il II e III corpo di cavalleria, che riuscirono a respingere l'esausta cavalleria francese protagonista della conquista della ridotta. Anche l'arrivo dei cavalieri del generale Grouchy non ottenne risultati; dopo due ore di scontri tra le opposte cavallerie, i francesi non riuscirono ad infrangere la resistenza e i quadrati della fanteria russa respinsero le cariche. I russi consolidarono quindi le loro posizioni e sottoposero le truppe del principe Eugenio ad un intenso fuoco costringendole a fermarsi e trovare un precario riparo nei resti dei terrapieni. Anche in questa occasione Napoleone rifiutò di impiegare la Guardia come richiesto dal principe Eugenio, e Murat e il maresciallo Berthier convennero, in considerazione anche della tarda ora, con la decisione dell'imperatore.
Le operazioni terminarono con un'ultima azione del V corpo d'armata del principe Poniatowski lungo la strada vecchia di Smolensk per cercare di mettere in rotta il fianco sinistro russo; dopo qualche successo iniziale, i polacchi vennero fermati da un contrattacco sferrato dal generale Baggovut con la 17ª divisione fanteria. Il generale russo decise tuttavia di ripiegare lungo la strada vecchia di Smolensk e intorno alla ore 18.00, i russi iniziarono una ordinata ritirata fino a posizioni più arretrate per raccordare il loro fronte con lo schieramento principale a est di Semenovskoe; i polacchi del V corpo riuscirono a occupare finalmente l'importante collina a est di Utiža ma i russi non diedero segni di cedimento, sembrarono pronti a continuare la battaglia ed anche contrattaccare.
Napoleone aveva raggiunto la vittoria nel "combattimento di giganti" che aveva cercato per oltre due mesi, ma non si era trattato dell'atteso grande successo strategico decisivo, militarmente e politicamente, in grado di frantumare la volontà di resistenza delle truppe russe e la determinazione dello zar. Ad un costo molto elevato in perdite umane ed in consumo di munizioni e materiali, l'imperatore aveva conquistato le posizioni del nemico e si era aperto la strada per Mosca, ma senza disgregare la coesione dell'esercito russo e senza catturare bottino e prigionieri. Napoleone ammise il coraggio del nemico e la sua capacità di subire perdite elevatissime; i soldati russi erano stati falcidiati sul posto, sotto il fuoco francese, ma non si erano arresi. In una lettera alla moglie l'imperatore scrisse di avere "sconfitto i russi", ma anche di "battaglia dura" e di aver "perso molti soldati, uccisi e feriti".
Il piano architettato da Napoleone prevedeva di sfruttare soprattutto la debolezza dell'ala meridionale russa e nel complesso era valido; le ragioni addotte dall'imperatore per rifiutare la proposta di manovra aggirante del maresciallo Davout e per evitare un impiego finale della Guardia imperiale erano fondate su concezioni strategico-tattiche corrette, tuttavia di fronte alla tenacia e alla capacita di resistenza fisica e morale delle truppe russe, i progetti di Napoleone non poterono conseguire la vittoria totale né provocare un crollo dell'avversario. La condotta dell'imperatore durante la battaglia invece fu più incerta; egli, in non buone condizioni di salute e non privo di nervosismo, preferì rimanere per gran parte del tempo nel suo quartier generale nelle retrovie, dove non poté dirigere la battaglia in modo tempestivo ed efficace; l'imperatore si limitò a distribuire le sue riserve e a organizzare successivi nuovi attacchi con il concorso di sempre più potenti concentramenti di artiglieria. Egli si recò infine verso la fine della battaglia a Semenovskoe dove osservò le linee russe e ne valutò la ancora valida resistenza.
Al termine della battaglia apparve cupo e prostrato, respinse le audaci proposte di Murat che chiedeva di inseguire il nemico con la cavalleria, sottolineò di nuovo l'importanza di salvaguardare la Guardia e di evitare movimenti intempestivi; le gravi perdite subite che egli controllò direttamente percorrendo nella notte il campo di battaglia lo colpirono e lo rattristarono; il maresciallo Ney giunse al punto di consigliare la ritirata. Tra le truppe l'entusiasmo per la vittoria era modesto; stanchi e sorpresi dalla durezza dei combattimenti, dalle sanguinose perdite e dalla resistenza dei russi, i soldati francesi comprendevano di aver conquistato il campo di battaglia ma di non aver spezzato la capacità combattiva del nemico; erano stati catturati solo ottocento prigionieri e pochi cannoni inservibili.
Le perdite subite dai russi erano state ancor più pesanti; ammontarono verosimilmente a 45-50.000 morti e feriti, comprese le perdite del 5 settembre a Ševardino; alcuni reparti vennero totalmente distrutti dagli ostinati attacchi francesi e dal fuoco della loro artiglieria che dimostrò una chiara superiorità; in particolare l'armata del principe Bagration uscì decimata. Il generale Kutuzov non sembrò inizialmente consapevole delle perdite e della precarie condizioni dell'esercito che aveva perso tutte le fortificazioni; egli durante la battaglia era rimasto sempre fermo al suo quartier generale di Gorki, lontano dal centro dell'azione; non aveva dato prova di grande iniziativa e, dimostrando un sereno distacco, aveva delegato il comando ai suoi più giovani luogotenenti. Durante il consiglio di guerra parlò di successo, considerò possibile una ripresa dei combattimenti il giorno successivo e manifestò anche la volontà di attaccare; egli sembrò deciso a non ripiegare verso Mosca.
Tuttavia durante la notte il generale comprese la realtà delle perdite subite: l'armata era esausta, le truppe ancora disponibili non erano sufficienti per un'altra battaglia, le munizioni erano scarse; il generale Barclay escluse la possibilità di resistere ad un altro attacco[123]. Alle ore 03.00 dell'8 settembre quindi il generale Kutuzov dovette rassegnarsi ad ordinare la ritirata oltre Možajsk lungo la strada di Mosca, manovra che venne effettuata con qualche difficoltà sotto la copertura prima del generale Platov e poi del generale Miloradovic. Entro sei giorni l'esercito russo si sarebbe trovato respinto nei pressi di Mosca e, dopo una nuovo drammatico consiglio di guerra, il maresciallo Kutuzov avrebbe deciso di rinunciare a difendere la città, ripiegando inizialmente verso sud-est.
Napoleone accolse con sollievo la notizia della ritirata dei russi che sembrava confermare la sua vittoria; Murat venne incaricato di guidare l'avanguardia all'inseguimento del nemico e ben presto la vista di Mosca rianimò lo spirito dell'imperatore che apparve meno preoccupato per le perdite subite e per la mancata distruzione dell'esercito russo; il mattino del 15 settembre l'imperatore fece il suo ingresso nella città.
Tuttavia nonostante la vittoria tattica sul campo di battaglia e il successo strategico rappresentato dalla conquista dell'antica capitale russa, la battaglia di Borodino, che nella storiografia francese viene considerata il "successo della Moscova", non fu per Napoleone lo scontro decisivo tanto ricercato e nella storiografia russa e sovietica è stata considerata fin dall'inizio una "grande vittoria strategica russa" e, soprattutto a partire dal giudizio di Tolstoj, una vittoria morale che scosse la sicurezza francese e dimostrò la inesauribile tenacia, il patriottismo e la capacità di resistenza dell'esercito russo. Tolstoj parla di "vittoria che costringe il nemico a riconoscere la superiorità morale dell'avversario". In effetti, a costo di gravi perdite e nonostante gli errori dei comandanti che avevano schierato in modo errato l'esercito, avevano portato troppo avanti le riserve e ritardato lo spostamento dei reparti inutilizzati sull'ala destra, il coraggio e la solidità morale degli ufficiali e dei soldati russi permise di evitare una sconfitta rovinosa e rafforzò lo spirito di resistenza della nazione russa contro l'invasore.
Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà un'insidia: nella notte Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i propri messi, si rese conto della necessità di ritirarsi visto l'approssimarsi dell'inverno. Diede perciò ordine di cominciare la ritirata: era rimasto a Mosca non più di trentacinque giorni.
La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la spedizione era cominciata con circa 700.000 uomini (di cui poco meno della metà erano francesi) e 200.000 cavalli, alla fine della campagna poco più di 18.000 uomini raggiunsero Vilna rimanendo nei ranghi; a questi si aggiunsero poi quarantamila isolati nei giorni successivi. In totale più di 400.000 furono i morti e 100.000 i prigionieri. Sopravvissero inoltre solo 10.000 cavalli. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell'armata, distrutta prima dal caldo e poi dal freddo (il cosiddetto "generale Inverno") vennero in gran parte annientati dai russi durante il passaggio della Beresina. Intanto, Napoleone era stato raggiunto dalla notizia che a Parigi il generale Malet aveva diffuso la notizia della morte dell'imperatore e tentato un colpo di Stato. Angosciato delle notizie di tradimento (Talleyrand e Fouché stavano ormai tramando col nemico), Napoleone abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino Murat e a Eugenio di Beauharnais e tornando nella capitale, dove cominciava a ricostruire un nuovo esercito di 400.000 uomini, in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenze europee, conscie dell'atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono una nuova coalizione.
La prima a unirsi alla vittoriosa Russia fu la Prussia che, abbandonando l'alleanza con Napoleone, si schierò a fianco dello zar e della Gran Bretagna. Era la sesta coalizione. Napoleone dopo essere rientrato a Parigi organizzò in fretta, con l'afflusso di giovani reclute, un nuovo esercito e sconfisse i prussiani prima a Lützen e poi a Bautzen nel maggio 1813. Ma l'insidia più grande era l'Austria, la quale - non rispettosa dei patti - era pronta a scavalcare anche un matrimonio di stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di sconfiggere l'odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro bilaterale a Dresda, Napoleone e Metternich non riuscirono a giungere a un accordo, e il 12 agosto l'Austria si univa alla coalizione antifrancese.
Dopo un'ultima importante vittoria francese nella battaglia di Dresda, le forze napoleoniche furono costrette lentamente a ripiegare sotto la pressione congiunta degli eserciti di Austria, Russia, Prussia e Svezia; l'esercito svedese era comandato dall'ex maresciallo francese Jean-Baptiste Jules Bernadotte. Nella decisiva battaglia di Lipsia, detta Battaglia delle Nazioni perché vi parteciparono eserciti di tutta Europa, l'inesperienza dell'esercito francese, la defezione dei contingenti tedeschi e la superiorità numerica delle forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone. L'esercito francese fu costretto a ritirarsi attraverso la Germania in piena insurrezione contro l'occupazione napoleonica, mentre anche i Paesi Bassi si rivoltava e la Spagna era ormai persa.
La battaglia di Lipsia
Dopo la disastrosa campagna di Russia, Napoleone si trovò a fronteggiare la sesta coalizione, della quale facevano parte la Gran Bretagna, la Russia, la Spagna, il Portogallo, la Prussia, l'Austria, la Svezia e vari piccoli Stati tedeschi e italiani. Napoleone tentò infatti di ristabilire il suo dominio sulla Germania grazie alle vittorie conseguite sulle forze russo-prussiane presso Lützen e Bautzen.
Ne seguì un breve armistizio (da Napoleone indicato in seguito come "la più grande sciocchezza della sua vita"), dopo il quale gli Alleati si riunirono sotto il comando di Gebhard Leberecht von Blücher, Carlo XIV di Svezia (Jean-Baptiste Jules Bernadotte) e Carlo Filippo Principe di Schwarzenberg. Il piano alleato era stato discusso il 12 luglio a Trachenberg, oggi Zmigród in Polonia, dove lo zar Alessandro aveva riunito gli altri sovrani e i comandanti degli eserciti: in un primo momento si progettò di costituire due masse a nord, con Blücher e Bernadotte, e a sud, al comando di Schwarzenberg, per sbucare in Sassonia da due direzioni e prendere alle spalle Napoleone. Alla fine fu concordato di organizzare tre armate separate integrando reparti dei quattro eserciti principali dei coalizzati.
La tattica degli Alleati, come appare chiaro dal Piano Trachenberg, consisteva nell'evitare lo scontro diretto con Napoleone, cercando invece di affrontare i suoi marescialli. In tal modo gli Alleati arrivarono alle vittorie di Grossbeeren, Kulm, Katzbach e Dennewitz. Il maresciallo Nicolas Oudinot fallì nel suo tentativo di prendere Berlino con un esercito di 120.000 uomini.
Dopo la vittoria di Dresda Napoleone aveva rinunciato a organizzare personalmente l'inseguimento dell'armata dei coalizzati che stava ripiegando lungo le pericolose e disagevoli strade che attraversavano i monti Metalliferi della Boemia; l'imperatore, in non buone condizioni di salute, aveva preferito tornare nella capitale sassone affidando al generale Dominique Vandamme il compito di intercettare le vie di comunicazione nemiche a Teplitz. Senza la direzione dell'imperatore, l'inseguimento non proseguì e il generale Vandamme si trovò improvvisamente attaccato da forze preponderanti russe e prussiane; accerchiato, venne costretto alla resa nella battaglia di Kulm. Contemporaneamente anche gli altri luogotenenti di Napoleone erano in difficoltà; la loro sconfitta in una serie di battaglie modificò completamente la situazione strategica, logorò lentamente le forze francesi e costrinse progressivamente l'imperatore a rinunciare all'offensiva ed a retrocedere per contrastare le minacce nemiche provenienti da sud, da nord e da est.
Fu così che, a settembre inoltrato, Napoleone si vide costretto a ritirarsi ad ovest, attraversando l'Elba e organizzando le sue forze intorno a Lipsia. Napoleone schierò il suo esercito da Taucha a Lindenau, passando per Stötteritz (dove collocò il suo comando). Nel frattempo, i prussiani avanzarono da Wartenburg, gli austriaci e i russi da Dresda, mentre gli svedesi calarono da nord. In totale, Napoleone poteva contare su 190.000 soldati, mentre gli Alleati ne schieravano 330.000. Entrambe le parti disponevano di una folta artiglieria (si calcola circa 2.500 pezzi).
La battaglia cominciò il 16 ottobre con un attacco - subito respinto - sferrato da sud da 78.000 soldati alleati e da altri 54.000 dal nord. Il giorno seguente si ebbero solo piccole schermaglie, con entrambe le parti che si rafforzavano organizzando i loro rinforzi appena sopraggiunti. Tuttavia, mentre i francesi ricevettero soltanto 14.000 uomini, gli Alleati poterono contare su rinforzi per un totale di ben 145.000 soldati (il che determinò con tutta probabilità lo sviluppo successivo dello scontro).
Generale Jean Reynier; comandante del corpo d'armata sassone. A Lipsia i suoi soldati passarono al nemico.
Fin dalla sera del 16 ottobre Napoleone era consapevole che la sua situazione si stava aggravando e certamente ipotizzò una ritirata; infatti al generale Bertrand disse di tenersi pronto a partire verso ovest con il IV corpo d'armata, lasciando Lindenau, per proteggere i ponti sulla Saale indispensabili per ripiegare verso il Reno; a Murat l'imperatore disse esplicitamente che "bisognava pensare ad una ritirata". Napoleone decise tuttavia di rimanere ed attendere l'attacco degli alleati, che si stavano continuamente rafforzando, nel timore che il suo esercito si disgregasse nel corso di una ritirata e per evitare la defezione dei suoi alleati tedeschi, probabile nel caso di sconfitta; inoltre l'imperatore non poté risolversi ad abbandonare gli oltre 140.000 soldati francesi che erano ancora bloccati nelle fortezze tedesche; egli tentò anche di trarre in inganno i suoi avversari rilasciando, dopo una conversazione in cui aveva mostrato sicurezza e ventilato una riconciliazione con l'Austria, il generale austriaco Merveldt caduto prigioniero, per trattare un armistizio, ma non ottenne alcun risultato, al contrario diede impressione di debolezza e rafforzò la determinazione degli alleati.
Dopo aver atteso l'attacco il 17 ottobre, nella notte del 18 decise di concentrare le sue truppe ritirando intorno a Lipsia le sue formazioni più esposte; il movimento si svolse sotto una fitta pioggia a partire dalle ore 02.00 del mattino. Il quartier generale imperiale venne trasferito a Stotteritz e vennero diramati ordini tardivi di costruire altri ponti a Lindenau, da utilizzare in caso di ritirata. L'imperatore per la battaglia del 18 ottobre assegnò il lato destro del suo schieramento a Murat con i corpi d'armata di Poniatowski (VIII corpo), Augereau (IX corpo) e Victor (II corpo), posizionati tra Connewitz e Probstheida e rinforzati in seconda linea dalla Guardia imperiale e dal grosso della cavalleria al comando di Latour-Marbourg (I corpo di cavalleria) e Pajol (V corpo di cavalleria)[10]. Al centro, sotto il controllo del maresciallo Macdonald, schierò da Zuckelhausen a Steinberg l'XI corpo, rinforzato dal V corpo di Lauriston e dal II corpo di cavalleria di Sebastiani; sul lato sinistro il maresciallo Ney difendeva il settore di Paunsdorf e Schönfeld con il contingente sassone e la divisione Durutte del VII corpo di Reynier, il VI corpo di Marmont, il III corpo di Souham e una parte del III corpo di cavalleria di Arrighi. A Lipsia rimasero la divisione polacca Dombrowski, e la divisione cavalleria Longe, a Lindenau era raggruppata la Giovane Guardia del maresciallo Mortier, il IV corpo di Bertrand era a ovest di Lindenau.
Napoleone disponeva ancora di circa 160.000 soldati con 630 cannoni, ma le truppe erano esauste, i corpi di Augereau, Marmont, Macdonald, Bertrand e Poniatowski avevano subito gravi perdite negli scontri dei giorni precedenti e le munizioni d'artiglieria erano pericolosamente ridotte. Intorno alle truppe francesi si stringeva la manovra dei coalizzati; i soldati dell'imperatore videro nella notte il grande cerchio dei fuochi di bivacco dei nemici che quasi li accerchiavano; mentre i feriti si trascinavano a piedi o in misere carrette nelle retrovie, i villaggi bruciavano e i resti della battaglia precedente erano disseminati sul campo; anche alcuni reparti francesi erano in movimento, le divisioni di Reynier erano appena arrivate mentre le truppe di Bertrand marciavano verso ovest per proteggere le spalle dell'armata.
L'attacco dei coalizzati si sviluppò a partire dalle ore 08.00 piuttosto lentamente e con una mancanza di coesione; frazionato in sei colonne d'attacco separate l'enorme esercito alleato disperse in parte la sua forza d'urto. Al mattino lo scontro principale si accese sul fianco destro francese dove la colonna guidata da Hessen-Homburg, composta principalmente da soldati austriaci, si spinse in avanti ed in un primo momento conquistò Dosen e Dölitz, minacciando Connewitz, Lösnig e la fondamentale strada per Lipsia. Le forze francesi e polacche di Augereau e Poniatowksi contrattaccarono con efficacia, sostenute da una parte della Giovane Guardia e dalla cavalleria, l'artiglieria francese intervenne sotto la direzione del generale Drouot e decimò i ranghi serrati nel nemico; i coalizzati vennero respinti. Hessen-Homburg rimase ferito e venne sostituito da Colloredo, Schwanzerberg, preoccupato dal contrattacco francese, portò avanti le riserve russe del generale Raevskij e una divisione di corazzieri. I francesi di Augereau riconquistarono Dölitz ma poi vennero a loro volta fermati.
Al centro le grandi forze russo-prussiane al comando di Barclay de Tolly avanzarono molto lentamente nella mattinata e si fermarono senza attaccare Probstheida in attesa dell'arrivo delle altre colonne di Bennigsen e Bernadotte per concertare un attacco combinato, in questo settore i corpi di Macdonald e Sebastiani raggiunsero le nuove posizioni con ordine, mentre Bennigsen si avvicinò sulla sinistra raggiungendo le posizioni di attacco intorno alle ore 10.00. L'attacco dei russi si sviluppò inizialmente con successo, Holzhausen e Zuckelhausen vennero conquistate dopo duri scontri, la divisione Gerard fu costretta a cedere Steinmberg e l'XI corpo di Macdonad e la cavalleria di Sebastiani furono messi in difficoltà. La resistenza francese tuttavia fu tenace: Zweinaundorf e Stotteritz erano fortemente difesi dai corpi di Reynier e Sebastiani e gli attacchi furono respinti fino alle ore 14.00, costringendo anche Bennigsen ad interrompere gli assalti in attesa dell'arrivo a nord dell'armata di Bernadotte e Blücher.
I francesi mantennero il controllo della situazione anche a nord dove si avvicinava in modo aggressivo l'armata del feldmaresciallo Blücher: Marmont, al comando del VI corpo, trattenne l'avanzata del corpo russo di Langeron che marciava verso la linea del fiume Parthe e il villaggio di Schönfeld; la divisione polacca di Dombrowski venne rafforzata da Napoleone con una divisione della Giovane Guardia e riuscì per il momento a controllare il pericoloso avvicinamento del corpo prussiano di Sacken verso i sobborghi di Lipsia. A ovest Bertrand con il IV corpo non ebbe difficoltà a respingere ancora una volta gli austriaci di Gyulai e quindi mantenne libera la strada per Weissenfels. Alle ore 14.00 la situazione di Napoleone era difficile in ragione dell'inevitabile rafforzamento dello schieramento nemico, ma l'imperatore aveva respinto con facilità i primi attacchi, il suo schieramento a semicerchio era solido e i soldati francesi occupavano ancora le posizioni più importanti, la strada per l'ovest era libera e quindi una ritirata organizzata era possibile e poteva permettere ancora a Napoleone di evitare una disfatta campale.
La battaglia divenne sempre più aspra e sanguinosa a partire dal primo pomeriggio: sulla destra francese Colloredo con il I ed il II corpo d'armata austriaco, rinforzati dal corpo russo di Raevskij e dalle divisioni Bianchi e Weissenwolf, ripresero ad attaccare per occupare l'importante villaggio di Connewitz, ma Augereau e Poniatowski organizzarono una dura resistenza e gli scontri, molto cruenti e dall'esito alterno, si prolungarono fino alla serata. Gli austro-russi riuscirono a conquistare Lösnig dopo combattimenti violentissimi, ma fallirono tutti gli attacchi a Connewitz e nella notte il villaggio era ancora tenuto dai francesi che in questo modo mantenevano il controllo della strada per Lipsia.
Gli scontri più cruenti si accesero al centro intorno al villaggio di Probstheida, trasformato in una fortezza dai soldati francesi; Murat organizzò un'accanita difesa con i corpi di Victor (II) e Lauriston (V) ed il generale Drouot ammassò numerose batterie di cannoni che disgregarono ripetutamente le file della fanteria nemica che avanzava in massa. Il raggruppamento russo-prussiano di Barclay sferrò una serie di attacchi con i corpi d'armata di Wittgenstein e Kleist e con la Guardia russo-prussiana di Ermolov, ma venne decimato dal fuoco dell'artiglieria francese e subì 12.000 perdite in tre ore; il principe Schwarzenberg, presente insieme allo zar, all'imperatore d'Austria e al re di Prussia in questo settore del campo di battaglia, rimase impressionato dalla carneficina e ordinò un temporaneo ripiegamento di alcune centinaia di passi per portare avanti a sua volta l'artiglieria e battere le linee francesi. Il villaggio di Probstheida venne ridotto in rovina e incendiato e cambiò di mano più volte durante il pomeriggio, ma nella notte era ancora in possesso dei soldati francesi.
Mentre i francesi si battevano aspramente a sud, la situazione lentamente si stava aggravando a nord e nord-est; i soldati dell'imperatore avvertirono l'avvicinarsi del cannoneggiamento e della battaglia alle loro spalle; il feldmaresciallo Blücher aveva infatti attraversato in forze il fiume Parthe con i corpi russi Langeron, Sacken e St.Priest e stava marciando energicamente in direzione dell'armata del Nord che, al comando del principe di Svezia Bernadotte, stava finalmente entrando in campo con il corpo prussiano di Bülow all'avanguardia. Anche i russi di Bennigsen ripresero i loro attacchi contro Zweinaunsdorf e Stotteritz; il maresciallo Macdonald con l'XI corpo e la cavalleria di Sebastiani dovette cedere Zweinaunsdorf ma riuscì a resistere duramente a Stotteritz mentre il maresciallo Ney che difendeva gli importanti villaggi di Paunsdorf, Schönfeld e Molkau con i corpi di Reynier, Souham e Marmont venne attaccato da tre direzioni e la sua situazione divenne critica.
I russi di Bennigsen riuscirono ad avanzare e occuparono Molkau, mentre il corpo prussiano di Bülow, precedendo il resto dell'armata del Nord, attaccò in forze, nonostante le incertezze dell'esitante Bernadotte, il villaggio di Paunsdorf che dopo aspra lotta le truppe di Reynier dovettero abbandonare. Napoleone, molto preoccupato per il cedimento in questo settore, inviò subito in soccorso la Giovane e la Vecchia Guardia che contrattaccarono e riconquistarono Paunsdorf. Ma il successo fu di breve durata; a metà pomeriggio il maresciallo Ney fu costretto a ripiegare su una linea più arretrata tra Sellerhausen e Schönfeld, e Paunsdorf venne di nuovo occupata dai prussiani di Bülow. La ritirata francese venne affrettata dalla defezione improvvisa di due brigate di fanteria sassone e da reparti di cavalleria sassone e wurttenburghese del corpo di Reynier che intorno alle ore 16.00 passarono nelle file nemiche e attaccarono la divisione Durutte. L'importanza di questo cambio di campo durante la battaglia è enfatizzata dallo storico francese Jean Tulard che parla di "avvenimento decisivo", mentre lo storico Georges Lefebvre scrive di evento che avrebbe "affrettato la disfatta"; altri autori minimizzano l'importanza della defezione. In ogni caso Napoleone si mantenne calmo anche di fronte a questo eventi imprevedibili, anche se manifestò qualche segno di scoraggiamento. I soldati francesi, malgrado la defezione, mantennero la coesione e il morale e si batterono ancor più accanitamente; dopo aver ripiegato si fortificarono a Sellerhausen e soprattutto a Schönfeld dove il maresciallo Marmont organizzò una difesa disperata con il VI corpo d'armata.
La battaglia per Schönfeld continuò fino al tramonto, oltre 90.000 russi dei corpi di Langeron e St.Priest dell'armata del feldmaresciallo Blücher e gli svedesi del corpo di Stedingk attaccarono ostinatamente, con l'appoggio di un potente schieramento di artiglieria, i 28.000 francesi del corpo di ; il maresciallo disponeva di pochi cannoni e di munizioni insufficienti, ma i soldati francesi delle divisioni Compans, Lagrange e Friedrichs si batterono disperatamente e inflissero con il fuoco di fucileria perdite elevatissime alle file compatte nemiche.
Generale Jean Dominique Compans. Nel processo contro Ney votò per la pena di morte.
Le perdite furono pesanti anche per i francesi, la cavalleria russa e svedese venne respinta più volte, lo stato maggiore di fu decimato, le rovine di Schönfeld cambiarono di mano per sette volte. Bernadotte comparve finalmente sul campo di battaglia, mentre Napoleone preoccupato per l'avanzata nemica che minacciava Reudnitz fece portare avanti una divisione della Guardia che trattenne gli svedesi e i russi e stabilizzò la situazione proteggendo il quartier generale dell'armata. Ma Schönfeld dovette essere infine abbandonata. I francesi di affrontarono il settimo assalto dei russi del corpo di Langeron e si batterono in ritirata nelle case, nei giardini, nel cimitero; nella notte ripiegarono, molto provati dai sanguinosi scontri fino ai sobborghi nord-orientali di Lipsia dove non furono inseguiti dal nemico.
Alla fine della giornata del 18 ottobre quindi i francesi mantenevano ancora le posizioni più importanti a sud della città a Connewitz, Probstheida e Stotteritz, dove Murat e Macdonald erano ancora solidamente schierati, ma le formazioni dell'Imperatore avevano dovuto ripiegare soprattutto a nord e nord-est sotto la pressione di Blücher, Bennigsen e Bernadotte. Dopo aver perduto Paunsdorf e Schönfeld, i francesi si erano organizzati su una linea alla periferia di Lipsia tra Sellerhausen e Reudnitz; la ritirata dei corpi decimati di , Souham e Reynier si svolse nella notte alla luce delle case in fiamme, in mezzo ai cadaveri e ad equipaggiamenti e cannoni distrutti, mentre gruppi di sbandati entravano nella città alla ricerca di cibo e bottino.
Fin dalle ore 19.00 del 18 ottobre Napoleone aveva deciso, dopo un rapporto dei generali Sorbier e Dulauloy, i comandanti dell'artiglieria, sulla scarsezza delle munizioni rimaste sufficienti solo per due ore di fuoco, di rinunciare alla battaglia e iniziare a ripiegare in direzione di Erfurt; durante la notte l'Imperatore, stabilitosi a Lipsia nell'albergo "Alle armi di Prussia", diramò gli ordini di marcia per la difficile manovra al cospetto del nemico. Il traino dell'armata, le munizioni e l'artiglieria, che avevano già iniziato a ripiegare, dovevano subito attraversare l'Elster, seguiti dai corpi di Victor, Augereau, dai corpi di cavalleria di Arrighi e Sebastiani e dalla Guardia di Oudinot e Mortier; messaggeri furono inviati alle truppe bloccate nelle fortezze tedesche con l'ordine di abbandonare le piazzeforti e cercare di raggiungere la Francia.
La manovra di ripiegamento attraverso l'abitato urbano di Lipsia si presentava difficile; quattro porte davano accesso alla città da est su cui potevano transitare le colonne in ritirata, ma solo una via di uscita era disponibile ad ovest; nonostante il rischio di confusione e ingorghi, inizialmente la manovra, durante la notte e nella nebbia del primo mattino, si effettuò con notevole abilità. Le truppe del settore meridionale iniziarono a muovere nelle prime ore del 19 ottobre, e, mantenendo all'oscuro il nemico, marciarono senza difficoltà verso ovest, mentre i corpi di Reynier, Poniatowski e Macdonald, con circa 30.000 soldati, avrebbero dovuto tenere le posizioni e coprire la manovra del grosso dell'armata verso il ponte di Lindenau. I coalizzati non organizzarono in tempo un servizio di esplorazione e quindi solo alle ore 07.00 alcune pattuglie rilevarono i movimenti francesi. In realtà anche le truppe alleate erano esauste dopo i durissimi scontri del giorno precedente e i comandanti supremi erano seriamente preoccupati per un eventuale terzo giorno di battaglia. I movimenti delle truppe furono lenti; alcuni abboccamenti per discutere una tregua fecero guadagnare ulteriore tempo ai francesi, e quindi solo alle ore 10.30 la massa degli eserciti coalizzati passò all'offensiva per irrompere dentro Lipsia.
In quel momento due terzi dell'armata francese avevano già ripiegato e attraversato il fiume Elster; Napoleone si trattenne ancora a Lipsia e prima di partire incontrò Poniatowski a cui aveva conferito il grado di maresciallo per il valore dimostrato nella battaglia e a cui ora affidò l'incarico di difendere i sobborghi meridionali della città; quindi l'imperatore si congedò dal re di Sassonia, Federico Augusto, che apparve dispiaciuto per la defezione delle sue truppe. Dopo l'incontro con il re di Sassonia Napoleone lasciò la città e attraversò il fiume intorno alle ore 11.00 a Lindenau; nelle strade era ora presente tra le truppe ansietà e confusione e il disordine stava aumentando. Napoleone era esausto e si ritirò in un mulino vicino al fiume dove si addormentò nonostante il frastuono dei cannoni e il rumore delle truppe in ritirata.
L'assalto finale dei coalizzati a Lipsia, che aveva avuto inizio alle ore 10.30, venne organizzato da Schwarzenberg su cinque colonne separate ma progredì lentamente di fronte alla ostinata resistenza della retroguardia francese di Reynier, Macdonald e Poniatowski; inoltre i tentativi dei corpo austriaco di Giulay e del corpo prussiano di Yorck di intercettare la ritirata vennero facilmente contenuti. I soldati francesi difesero accanitamente le strade, gli accessi e gli edifici principali della città e guadagnarono tempo costringendo il nemico a un combattimento all'interno dell'area urbana; i cavalieri polacchi di Poniatowski si batterono con grande valore. A nord i corpi russi di Sacken, St. Priest e Kapzevic, dell'armata di Blücher, attaccarono attraverso la Halle Tor ma incontrarono una resistenza molto dura di francesi e polacchi delle divisioni Durutte e Dombrowski e i primi tre assalti furono respinti; a sud l'armata russa di Bennigsen attaccò la Spital Tor e la Sand Tor; ad est il corpo prussiano di Bülow irruppe attraverso la Grimma Tor, difesa dalle divisioni Marchand e Friedrichs, e riuscì a entrare in città. Infine fu un battaglione prussiano del corpo di Bülow, guidato dal maggiore Friccius che riuscì a irrompere nel centro di Lipsia; venne contrattaccato ma riuscì a mantenere le posizioni raggiunte grazie anche all'intervento di un reparto di fanteria leggera svedese.
Nel frattempo il disordine delle truppe della retroguardia in ritirata stava inevitabilmente crescendo; dovendo tutte concentrarsi nella sola uscita disponibile verso ovest da Lipsia alla Ranstadter Tor e, dovendo attraversare un primo ponte sulla Pleisse poi il terrapieno sulle paludi e quindi un secondo ponte a Lindenau sull'Elster, era quasi inevitabile che le truppe francesi, sempre più schiacciate dalla pressione nemica proveniente da differenti direzioni e concentrate in un solo luogo, si sarebbero progressivamente frammischiate e disorganizzate. La confusione divenne incontrollabile dopo che alle ore 13.00 venne fatto saltare prematuramente il ponte sull'Elster; l'incarico, assegnato al generale Dulauloy e da questo a sua volta affidato al colonnello Monfort, ricadde alla fine su un caporale e quattro zappatori francesi che, alla vista dell'avvicinarsi dei prussiani, fecero esplodere le mine quando molti reparti di truppa stavano ancora attraversando o erano in combattimento nella città.
Da quel momento molti reparti francesi si disgregarono; alcuni soldati ricordarono l'avvenimento come una "Beresina senza il freddo"; molti soldati caddero in acqua, altri cercarono di attraversare a nuoto con tutto l'equipaggiamento, si diffusero voci di tradimenti. Alcuni ufficiali entrarono nel fiume con i cavalli sperando di riuscire a risalire sulla sponda occidentale; in questo modo annegò Poniatowski, la cui cavalcatura non riuscì a risalire la ripida sponda e lo trascinò nella corrente, Macdonald invece scampò a nuoto dopo aver assistito a scene drammatiche di disperazione tra i soldati abbandonati sulla riva occidentale, anche il maresciallo Oudinot riuscì ad attraversare il fiume a nuoto. I combattimenti dentro Lipsia continuarono fino al tardo pomeriggio; infine i reparti francesi rimasti tagliati fuori si arresero dopo gli ultimi scontri; caddero prigionieri anche Lauriston e Reynier e il generale polacco Dombrowski; lo zar Alessandro e il re di Prussia poterono raggiungere finalmente la piazza del mercato al centro della città dove si incontrarono con Bernadotte, Blücher, Bennigsen e Gneisenau; la battaglia era finita.
Non si conoscono le perdite totali. Le stime oscillano tra gli 80.000-110.000 morti e feriti da entrambe le parti. Supponendo che si tratti di 95.000 uomini, si ritiene che gli Alleati persero 55.000 uomini e i francesi 40.000, con 30.000 francesi fatti prigionieri. Tra i caduti vi fu il maresciallo polacco Józef Antoni Poniatowski, che aveva ricevuto tale distinzione soltanto il giorno precedente. La battaglia costò all'Impero francese la perdita dei territori tedeschi a est del Reno e portò vari stati tedeschi dalla parte degli Alleati. Si ricorda anche un particolare avvenimento nella battaglia: reparti sassoni, dalla parte dei francesi, mentre andavano all'attacco si girarono all'improvviso e fecero fuoco sui soldati di Napoleone Bonaparte. Gli avvenimenti della battaglia sono ricordati grazie a 45 cippi commissionati a Theodor Apel di Lipsia e che servono a ricordare gli avvenimenti legati alla battaglia e a segnare le posizioni sul terreno delle linee francesi e alleate. In commemorazione della battaglia venne edificato il Völkerschlachtdenkmal.
Battaglia di Lipsia, terzo giorno
Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone doveva subire ora l'insubordinazione di tutti i corpi politici: le Camere denunciarono solo ora la sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo ormai stanco della guerra rimase freddo, i marescialli dell'Impero cominciarono a defezionare: tra i principali, Gioacchino Murat che passò al nemico per conservare il regno di Napoli.
Il giorno di Natale del 1813 la Francia veniva invasa dagli eserciti della coalizione. Un mese dopo, il 25 gennaio 1814, consegnato al fratello Giuseppe il controllo di Parigi e alla moglie Maria Luisa la reggenza, salutato il piccolo figlio che non avrebbe mai più rivisto, Napoleone si metteva al comando di un esercito di 60.000 veterani della Vecchia Guardia. Per due mesi, Napoleone tenne testa al nemico in quella che sarà definita da alcuni la sua campagna più brillante, vincendo a Brienne (proprio dove aveva studiato l'arte militare), a Champaubert, Montmirail, Château-Thierry, Vauchamps, Mormant, Montereau, Craonne, Laon.
Sconfitto infine dalle forze prussiane del feldmaresciallo von Blücher, da quelle austriache e da quelle russe di Wintzingerode, consapevole di non poter anticipare le truppe nemiche in marcia su Parigi, Napoleone ripiegò su Fontainebleau ove, appresa la notizia del tradimento del generale Marmont che si era arreso con le sue truppe agli alleati, e scoraggiato dall'atteggiamento rinunciatario del maresciallo Michel Ney, il 4 aprile annunciò ufficialmente la sua intenzione di chiedere la pace.
Auguste Marmont, ritratto da Jean-Baptiste Paulin Guérin. Con il suo tradimento accelerò la fine dell'impero
Intanto il fratello Giuseppe aveva capitolato e il nemico era entrato vittorioso in Parigi il 31 marzo con alla testa lo zar Alessandro I, che il giorno successivo aveva già fatto affiggere sui muri di Parigi il suo proclama indirizzato al popolo francese.
A Fontainebleau Napoleone passò giorni duri e difficili. Gli giunse notizia che il nemico aveva rigettato la sua proposta di pace che stabiliva il ritorno ai «confini naturali» della Francia. Lo zar Alessandro I gli impose l'abdicazione. Egli, dopo aver più volte tentennato, decise di abdicare in favore del figlio e della reggenza di Maria Luisa il 6 aprile. Ma il nemico decise per un'abdicazione totale, poiché Talleyrand aveva già preso accordi per restaurare sul trono i Borbone. Napoleone, indignato, minacciò di rimettersi alla testa dei suoi eserciti e marciare su Parigi, ma i marescialli lo costrinsero a cedere. L'abdicazione divenne effettiva con la firma del trattato di Fontainebleau da parte delle potenze alleate l'11 aprile.
Resosi ormai conto dell'evolversi della sua caduta, con inoltre l'aggravarsi dei cosacchi entrati in Parigi, il 12 aprile, presso il Castello di Fontainebleau, Napoleone tentò il suicidio ingerendo una forte dose di arsenico, conservato in una fialetta che l'imperatore si era procurato dopo la sconfitta in Russia, ma miracolosamente venne soccorso e salvato dai suoi collaboratori che chiamarono i medici in tempo.
Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subì il dramma della fuga quando, attraversando la Francia del sud, fu costretto a indossare un'uniforme austriaca per non finire linciato dalla folla. Imbarcatosi precipitosamente a Marsiglia sulla fregata inglese HMS Undaunted comandata da Thomas Ussher, il 4 maggio 1814 sbarcò all'isola d'Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull'isola con il rango di principe e la conservazione del titolo di imperatore.
Stabilitosi a Portoferraio volle abitare presso la Palazzina dei Mulini alla quale fece aggiungere un piano e che dominava la suggestiva rada ove poteva osservare le navi in entrata e uscita dal porto. A Portoferraio volle raggiungerlo la madre che prese dimora in una piccola abitazione nel centro storico. Soggiornò inoltre presso il romitorio annesso al Santuario della Madonna del Monte (Marciana) dove lo raggiunse la contessa Maria Walewska insieme al loro figlioletto Alexandre.
Nei dieci mesi di esilio Napoleone non rimase inoperoso ma costruì infrastrutture, miniere, strade, difese, mentre il Congresso di Vienna che doveva disegnare la nuova Europa della Restaurazione ipotizzava di esiliarlo nell'oceano. Furono mesi febbrili, che trasformarono un'isola assonnata nel centro culturale e politico del tempo: poeti, artisti, spie e uomini di mondo accorsero nella speranza di visitare quello che era stato l'uomo che aveva tenuto l'Europa in pugno. Molti trovavano ospitalità nelle residenze signorili della città e altri all'Auberge Bonroux, luogo di ritrovo della Guardia. Non vennero mai invece a trovarlo, la moglie e il figlio: il piccolo Re di Roma.
Stampa satirica d'epoca raffigurante il Congresso di Vienna: Francesco II (al centro, vestito in uniforme bianca) danza con gli altri sovrani delle potenze vincitrici, Alessandro I di Russia e Federico Guglielmo III di Prussia
Anche se impegnato nei lavori all'Elba, Napoleone continuava a ricevere segretamente notizie della situazione francese tramite alcuni telegrafi ottici dislocati sulle alture dell'isola. Il nuovo sovrano, Luigi XVIII Borbone, era inviso alla popolazione: nel solco della Restaurazione, Luigi stava lentamente smantellando tutte le conquiste della Rivoluzione legittimate da Napoleone. Queste notizie, aggiunte alla voce ormai certa che i nemici fossero prossimi a trasferirlo lontano dall'Europa, portarono Napoleone ad agire. Approfittando dell'assenza del commissario inglese sir Neil Campbell, recatosi a Livorno, Napoleone lasciò l'Elba il 26 febbraio 1815, salutato dalla popolazione di Portoferraio, con una flotta di sette bastimenti e circa mille uomini al seguito.
L'imperatore eluse la sorveglianza della flotta inglese e il 1º marzo 1815 sbarcò in Francia nel golfo di Cannes, a Golfe Juan, vicino ad Antibes: cominciavano i leggendari «Cento giorni». La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente e gli eserciti inviatigli contro da Luigi, invece di fermarlo, si unirono a lui. Fu prima la volta del 5° di linea di Grenoble: Napoleone mosse incontro ai soldati dell'esercito borbonico e gridò «Chi vuole sparare al suo Imperatore è libero di farlo». Successivamente passarono dalla sua parte gli eserciti guidati da Charles de la Bédoyère e dal maresciallo Ney, che in precedenza aveva promesso enfaticamente a Luigi XVIII che avrebbe condotto Napoleone a Parigi «in una gabbia di ferro». Entrambi i generali avrebbero pagato con la fucilazione la defezione. Il 20 marzo Napoleone entrò trionfalmente a Parigi, mentre Luigi era fuggito in gran fretta verso Gand su suggerimento di Talleyrand, il quale al Congresso di Vienna spinse le teste coronate a riprendere la spada contro l'imperatore.
Charles de la Bédoyère. Fu fucilato il 19 agosto 1815 a Parigi. Lo stesso destino toccò al maresciallo Ney, eroe della campagna di Russia, che fu fucilato nel mese di dicembre dando egli stesso l'ordine di fare fuoco al plotone d'esecuzione.
Riorganizzato rapidamente l'esercito, Napoleone chiese ai nemici nuovamente coalizzatisi la pace alla sola condizione di mantenere il trono di Francia: non venne ascoltato. Intanto, in campo politico, l'imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente e aveva promulgato una costituzione maggiormente liberale, l'Atto addizionale, che concedeva maggiori poteri alle camere e la libertà di stampa. Per evitare una nuova invasione del suolo patrio, Napoleone fece la prima mossa entrando di sorpresa in Belgio, dove erano schierati l'esercito britannico e l'esercito prussiano.
La battaglia di Waterloo
La notizia del ritorno in Francia di Napoleone non sembrò inizialmente allarmare il re e i monarchici francesi; i marescialli che avevano tradito l'imperatore in un primo momento rimasero fedeli a Luigi XVIII, compreso il maresciallo Michel Ney. Nei fatti, tuttavia, le truppe inviate a sbarrare il passo a Napoleone si unirono al loro vecchio Empereur, e il 18 marzo anche Ney defezionò. Il giorno successivo, 19 marzo, Luigi XVIII abbandonò il trono diretto in Belgio (allora parte del Regno Unito dei Paesi Bassi) e Napoleone fece il suo ingresso a Parigi, riprendendo il governo della Francia.
Napoleone apparentemente era ritornato animato da propositi pacifici e forse sperò in un primo tempo di poter tranquillizzare le grandi potenze europee con dichiarazioni di pacifismo e con l'invio di lettere rassicuranti ai sovrani. In realtà i rappresentanti delle grandi potenze della coalizione, riuniti in quel momento nel congresso di Vienna, fin dal 13 marzo 1815, dopo aver ricevuto la clamorosa notizia del ritorno dell'imperatore, avevano deciso di rifiutare ogni colloquio con Napoleone che avevano messo ufficialmente al "bando dall'Europa" e dichiarato "nemico pubblico" e perturbatore della pace europea. Il 25 marzo 1815 l'Impero austriaco, l'Impero russo, il Regno di Prussia e il Regno Unito confermarono ufficialmente l'alleanza di Chaumont del 1814 e costituirono, insieme ad altri Stati minori, la settima coalizione.
Mentre Austria, Prussia e Russia iniziavano a mobilitare i loro eserciti, il Regno Unito stanziò immediatamente cinque milioni di sterline; le grandi potenze si impegnarono a mettere in campo ognuna almeno 150.000 soldati. In attesa dell'arrivo sul fronte del Reno delle armate russe e austriache, le truppe britanniche presenti in Belgio vennero riunite, sotto il comando del Duca di Wellington, con i contingenti belga-olandesi; tra Liegi e Namur era già accantonata anche una parte dell'esercito prussiano guidato dal feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher.
Di fronte alle mosse minacciose dei coalizzati, Napoleone, efficacemente coadiuvato dal ministro della Guerra, maresciallo Louis Nicolas Davout, dovette rapidamente organizzare le sue forze militari. L'esercito lasciato dai Borbone era costituito da 200.000 uomini, in gran parte veterani delle guerre napoleoniche; l'imperatore decise il 9 aprile 1815 il richiamo dei soldati in congedo e questo provvedimento permise di incorporare 76.000 militari esperti; si mobilitarono le guardie nazionali per compiti di presidio; infine ai primi di giugno Napoleone decise di reintrodurre la coscrizione obbligatoria, giustificata con la necessità di difendere la patria. Napoleone tuttavia riteneva pericoloso attendere i coscritti per accrescere numericamente le sue forze; considerò decisivo prendere subito l'iniziativa e attaccare le unità alleate e prussiane ammassate alla frontiera nord-orientale francese, invece di mantenersi sulla difensiva intorno Parigi. Egli quindi concentrò gran parte delle truppe già disponibili nell'Armata del nord. L'imperatore sperava di infliggere una rapida e schiacciante sconfitta agli eserciti nemici colti di sorpresa in Belgio; con una vittoria di prestigio avrebbe dato fiducia ai francesi e forse scosso la solidarietà tra i coalizzati. Napoleone inoltre riteneva che la popolazione belga si sarebbe sollevata a suo favore alla notizia dell'avanzata francese e che lo stesso governo britannico sarebbe entrato in crisi dopo la disfatta del Duca di Wellington. L'imperatore decise che i 124.000 soldati dell'Armée du Nord avrebbero dovuto riunirsi attorno Beaumont agli inizi di giugno per passare all'offensiva.
I comandanti alleati invece ritenevano necessario concentrare i loro enormi eserciti e preparare un accurato piano di operazioni prima di attaccare Napoleone. Soprattutto per impulso del comandante in capo austriaco principe Schwarzenberg, si decise di rinviare ogni operazione alla fine del giugno 1815. Blücher, assistito dal suo capo di stato maggiore August Neidhardt von Gneisenau e dall'ufficiale di collegamento con l'esercito britannico, generale Karl von Müffling, non perse tempo a rafforzare la sua armata con le riserve. La strategia alleata prevedeva un'offensiva combinata degli eserciti del Duca di Wellington, del feldmaresciallo Blücher e del principe Schwarzenberg, rafforzati alle spalle dell'armata russa del maresciallo Michael Andreas Barclay de Tolly. Negli alti comandi alleati peraltro era presente un forte ottimismo; Wellington e Blücher avevano stabilito il 3 maggio di coordinare le loro operazioni in caso di attacco nemico, ma in realtà non si temevano improvvise iniziative di Napoleone. Il 15 giugno, alla vigilia dell'attacco francese, il Duca di Wellington in una lettera allo zar manifestava una tranquilla sicurezza e prevedeva di prendere l'iniziativa alla fine del mese di giugno; mentre Blücher scrisse alla moglie che «Bonaparte non ci attaccherà» e che gli eserciti coalizzati «sarebbero entrati presto in Francia».
Nelle prime ore del 15 giugno i vari corpi d'armata francesi iniziarono a marciare in territorio belga; secondo gli ordini dell'imperatore l'armata avrebbe dovuto avanzare rapidamente e di sorpresa su Charleroi dove avrebbe attraversato la Sambre, irrompendo al centro dello schieramento nemico. Napoleone aveva impostato infatti la campagna del 1815 sulla "strategia delle posizione centrale" per compensare lo svantaggio di affrontare un avversario numericamente superiore. Napoleone riteneva possibile, sfruttando la sua abilità di manovra e la prevista scarsa coesione del nemico, battere uno dopo l'altro i due eserciti avversari prima che si fossero concentrati.
Watwerloo prima della bataglia
Dopo il passaggio della Sambre, l'ala sinistra dell'Armée du Nord, comandata dal maresciallo Ney, doveva avanzare verso Quatre-Bras, mentre l'ala destra, sotto la guida del maresciallo Emmanuel de Grouchy, verso Fleurus e Sombreffe. Così Napoleone si sarebbe incuneato nella "posizione centrale" tra i due eserciti nemici, con la riserva a Charleroi pronta a intervenire.
Il primo giorno di operazioni si concluse con pieno successo per i francesi. Wellington e Blücher avevano disseminato i loro eserciti su un ampio territorio tra Gand e Liegi senza collegamenti tra loro e furono colti impreparati dall'improvvisa avanzata di Napoleone da Charleroi: a destra i francesi avanzarono di circa 30 chilometri e, dopo aver sbaragliato alcune avanguardie prussiane, raggiunsero Fleurus, nonostante alcune ore di ritardo a causa dell'errata trasmissione degli ordini. A sinistra invece, nonostante che l'imperatore avesse personalmente indicato al maresciallo Ney l'importanza di occupare il crocevia di Quatre-Bras, il maresciallo fece fermare i suoi uomini nelle campagna di Frasnes-lez-Gosselies, 4 chilometri a sud dell'incrocio, convinto di avere davanti una consistente forza nemica, mentre in realtà le forze anglo-alleate erano costituite in quel momento solo da 4.000 soldati. In effetti Wellington, sorpreso dall'offensiva francese e impressionato dalla presenza di Napoleone, in un primo tempo non comprese il piano strategico dell'imperatore: all'inizio previde di concentrare le sue forze a Mons per coprire la sua linea di ritirata, quindi, decise di avvicinarsi ai prussiani marciando verso Nivelles ma senza preoccuparsi di raggiungere Quatre Bras, che invece fu occupato per iniziativa autonoma di un generale olandese subordinato. Wellington alla fine capì l'errore e nella notte del 16 giugno diede disposizioni urgenti ai suoi comandanti di procedere a marce forzate verso Quatre-Bras.
Il mattino del 16 giugno Napoleone si recò di persona nelle posizioni di prima linea a contatto con i prussiani; dopo una valutazione delle forze nemiche dal suo posto di comando posto nel mulino di Naveau, l'Imperatore si convinse di avere davanti il grosso dell'esercito nemico. In effetti, Blücher aveva deciso di affrontare una battaglia immediata e stava concentrando le sue forze senza coordinarsi con Wellington; Napoleone decise quindi di subordinare l'offensiva di Ney verso Bruxelles alla sconfitta dell'esercito prussiano a Ligny. In caso di vittoria francese, gran parte dell'esercito di Blücher sarebbe stato annientato e le rimanenti forze si sarebbero ritirate verso Namur e Liegi, allontanandosi da Wellington, che il 17 giugno sarebbe rimasto solo. La battaglia di Ligny e quella di Quatre-Bras iniziarono quasi contemporaneamente. A Ligny Napoleone riuscì a battere i prussiani, ma le difficoltà delle comunicazioni con l'ala sinistra di Ney impedirono il sopraggiungere di rinforzi che avrebbero trasformato il successo francese in una vittoria decisiva; Blücher invece riuscì a ritirare le sue forze durante la notte sotto una violenta pioggia. Napoleone, esausto e provato fisicamente, ritenne impossibile inseguire subito i prussiani e solo alle ore 9:00 del 17 giugno raggiunse il campo di battaglia e diede i primi ordini al maresciallo Grouchy. Il maresciallo doveva marciare con due corpi d'armata e tre reparti di cavalleria all'inseguimento dei prussiani e «incalzarli senza perderli di vista», mentre l'Imperatore avrebbe concentrato il grosso dell'armata contro l'esercito del Duca di Wellington.
Nel frattempo a Quatre Bras, il maresciallo Ney non era riuscito a sconfiggere le truppe britanniche anche a causa del mancato impiego di un corpo d'armata che trascorse la giornata in inutili movimenti tra i due campi di battaglia. In ogni caso la sconfitta e la ritirata prussiana aveva lasciato sguarnito il fianco sinistro di Wellington, per cui il comandante britannico ordinò la ritirata a Mont-Saint-Jean, sollecitando nel frattempo Blücher a sostenerlo. Sembra che il comandante britannico sperasse di resistere a Mont-Saint-Jean ma egli aveva anche predisposto ulteriori piani per ripiegare dietro la Schelda e per una evacuazione del suo esercito attraverso il porto di Anversa. Ney, incerto e prudente, non contrastò il movimento di ripiegamento britannico nonostante che alle ore 12:00 del 17 giugno Napoleone gli avesse ordinato di attaccare subito.
Napoleone arrivò a Quatre Bras alle ore 14:00 dove, dopo aver rimproverato il maresciallo Ney per la sua inazione, apprese che i britannici si erano ritirati; egli ordinò l'inseguimento immediato, reso difficoltoso dalla pioggia che rese campi e strade quasi impraticabili. Le retroguardie di Wellington si trovarono in difficoltà, la cavalleria rischiò di essere agganciata; a Genappe un tentativo di resistenza venne superato dai francesi; alle ore 19:30 l'avanguardia napoleonica raggiunse Plancenoit, sei chilometri a sud di Waterloo. Napoleone diresse personalmente l'inseguimento sperando di costringere il nemico a combattere immediatamente; alla fine, a causa del buio e della pioggia, dovette rassegnarsi con disappunto a rinviare la battaglia al giorno seguente. Egli si portò sulle prime linee e osservò le posizioni britanniche a Mont-Saint-Jean; alle ore 21:30 si recò alla fattoria di Le Caillou, sulla strada per Bruxelles, dove si sistemò con i suoi ufficiali per la notte; inviò subito una lettera a Grouchy in cui ordinava al maresciallo di «manovrare in conseguenza dei movimenti di Blücher» e in ogni caso di unirsi nella giornata del 18 giugno con l'ala destra dell'esercito francese.
Alle 04:00 del 18 giugno Napoleone venne raggiunto da un dispaccio inviato da Grouchy che il maresciallo aveva scritto alle ore 22:00 da Gembloux; Grouchy riferiva che i prussiani sembravano ripiegare in due colonne sia verso Wavre che verso Liegi e che egli intendeva «seguirle al fine di separarle da Wellington». Napoleone non sembrò preoccupato da queste notizie e per il momento non ritenne necessario inviare ulteriori istruzioni al suo subordinato.
Effettivamente la notte dopo la disfatta a Ligny, il generale von Gneisenau, temporaneamente al comando in assenza di Blücher e pur dubbioso sull'effettiva volontà di Wellington di combattere, aveva deciso di non ripiegare verso Namur a est ma di marciare con l'esercito verso nord fino a Wavre dove era ancora possibile cooperare con i britannici. Di fatto l'esercito prussiano si stava riorganizzando; il feldmaresciallo Blücher riprese il comando e la sera del 17 giugno riuscì a convincere il generale von Gneisenau a muovere con almeno due corpi d'armata da Wavre in direzione dell'esercito britannico fermo a Mont-Saint-Jean; il comandante in capo prussiano nella notte inviò un messaggio a Wellington per informarlo di questa cruciale decisione. La lettera raggiunse alle ore 2:00 del mattino il comandante in capo britannico che, rassicurato dalla notizia che i prussiani marciavano in suo aiuto, confermò la sua decisione di combattere a Mont-Saint-Jean.
Contemporaneamente nella pianura i soldati dei due eserciti avversari passarono una notte di grande disagio; le truppe rimasero all'aperto, su un terreno fangoso, senza riparo dalla pioggia che continuava a cadere; pochi riuscirono a dormire. Al mattino i soldati francesi, bagnati e infreddoliti, cercarono di riorganizzarsi, fecero cuocere le zuppe e ricevettero il pane; le truppe impiegarono il tempo soprattutto ad asciugare e controllare le armi per l'attesa battaglia; poco dopo l'alba la pioggia iniziò a cadere con minore intensità.
Il campo di battaglia di Waterloo è particolarmente uniforme: l'area in cui si svolsero i combattimenti misurava circa 5 chilometri da est a ovest e meno di 2,5 chilometri da nord a sud; in questo angusto spazio, separati da appena 800 metri, stavano i due eserciti per un totale di 140.000 uomini e oltre 400 cannoni, a cui si sarebbero aggiunti circa 48.000 soldati di Blücher. Parecchie aree erano coltivate a frumento non ancora mietuto, alternate a campi di foraggio senza ulteriori ostacoli. Inoltre, ampie porzioni di terreno erano zuppe d'acqua per via della pioggia caduta il 17 giugno.
Lo schieramento di Wellington, davanti la Foresta di Soignes, occupava l'intera lunghezza di un basso pendio, poco a sud dell'abitato di Mont-Saint-Jean. Una strada secondaria, lo Chemin d'Ohain, passava sulla cresta, affiancata a oriente da una fitta siepe e da macchie di alberi. Dietro questa linea, che formava la principale posizione difensiva dell'esercito alleato, il terreno era in leggero declivio, mentre in avanti era spezzato da alture e depressioni a est della strada maestra per Bruxelles, e sostanzialmente piatto a ovest della stessa strada. A sud della cresta gli alleati avevano occupato tre posizioni chiave: a ovest, circa 400 metri distante dall'ala destra di Wellington, c'era il castello di Hougoumont, circondato da un muraglione alto circa 1,80 metri, un frutteto sul lato orientale e una zona boscosa su quello meridionale; vicino al centro della linea alleata esiste ancora la fattoria di La Haye Sainte, poco distante da una cava di ghiaia ormai esaurita posta sul lato orientale della strada per Bruxelles, più vicino alla cima di Mont-Saint-Jean; infine, più a est, c'erano tra i boschi i tre casali di Papelotte, La Haie e Fichermont.
L'asse centrale che divideva i due eserciti contrapposti era marcato dalla strada in pavé per Bruxelles (allora fiancheggiata quasi per intero da pioppi), che scende a sud da La Haye Sainte toccando la locanda de La Belle Alliance. A est di questo punto il terreno sale leggermente e qui Napoleone sistemò gran parte della sua artiglieria, mentre a ovest, in direzione di Hougoumont, era più basso ma ondulato. I collegamenti con la strada per Nivelles erano costituiti da due viottoli: il primo correva dietro Hougoumont, il secondo si diramava più a sud, dalla fattoria di Rossomme. Continuando ancora più a sud, la strada arrivava fino a Charleroi passando per Maison du Roi, Le Caillou, Genappe e Quatre-Bras. Il villaggio di Plancenoit è situato circa 2,5 chilometri a nord-est di Maison du Roi, vicino al torrente Lasne.
Per andare da Waterloo a Wavre bisognava passare per la Selva di Parigi (bois de Paris), costellata da gole e torrenti che rendevano difficili i movimenti di truppe, già ostacolati dalle strade che in pratica erano sentieri fangosi di campagna. I centri più importanti ai fini delle vicende di Waterloo e Wavre sono Chapelle-Saint-Lambert, Ohain e Limale. La retroguardia prussiana che coprì il resto dell'esercito diretto a Waterloo si posizionò su una ripida collina prospiciente il fiume Dyle, ottima per coprire i guadi di Wavre.
Secondo David Chandler l'esercito del Duca di Wellington ammontava a 67.661 uomini, di cui 49.608 fanti, 12.408 a cavallo (ussari, lancieri, dragoni e altre specialità) e 5.645 artiglieri con 156 pezzi d'artiglieria. Il grosso di questi soldati era disposto su entrambi i pendii della cresta di Mont-Saint-Jean, in una posizione al riparo dell'artiglieria di Napoleone.
Gran parte del II Corpo del tenente generale Rowland Hill, I visconte Hill, era schierato alla destra di Wellington, tra il villaggio di Merbraine e la strada per Nivelles; circa un chilometro e mezzo più a ovest la zona attorno Braine-l'Alleud era presidiata dalla divisione olandese del tenente generale David Hendrik Chassé; alla sinistra di questa formazione, in posizione più avanzata, stava la brigata britannica del generale Hugh Henry Mitchell, con in seconda linea le tre brigate della divisione anglo-tedesca del tenente generale Henry Clinton. Queste forze costituivano l'ala destra di Wellington. Inizialmente Hougoumont era presidiato da quattro compagnie britanniche della Guardia più altri reparti di hannoveriani e di Nassau.
Il centro era tenuto dal I Corpo d'armata del principe Guglielmo d'Orange, con una parte della riserva generale. Lungo la cresta, a ovest della strada per Bruxelles, era schierata la 1ª Divisione britannica del maggior generale George Cooke e, alla sua sinistra, la 3ª Divisione anglo-tedesca del tenente generale Charles Alten. Davanti alle linee venne fortificata la fattoria de La Haye Sainte e la vicina cava di ghiaia, difese dal 2º Battaglione leggero della King's German Legion e da un reggimento britannico.
A est della strada maestra, sul fianco sinistro alleato, presero posizione le tre brigate della divisione anglo-tedesca del tenente generale Thomas Picton più una brigata hannoveriana e la brigata olandese del generale Willem Frederik van Bylandt, già indebolita dalla battaglia di Quatre-Bras. A questi furono affiancate le brigate di cavalleria dei generali Hussey Vivian, I barone Vivian e John Ormsby Vandeleur. L'ala poggiava nelle fattorie fortificate di Papelotte, La Haie e Frischermont, dove era di guardia la brigata di Nassau del colonnello Bernardo di Sassonia-Weimar-Eisenach.
La riserva fu posta dietro il centro dello schieramento, costituita da gran parte della cavalleria: a est della strada maestra attendevano le brigate di William Ponsonby e Charles Étienne de Ghigny; a ovest era appostata la brigata di cavalleria pesante del generale Edward Somerset, sostenuta dalle altre due brigate di cavalleria dei Paesi Bassi nonché dalla maggior parte della riserva di artiglieria e da una brigata di fanteria britannica. Più sulla destra venne ammassata la cavalleria leggera di Uxbridge, con alle spalle i reparti del Ducato di Brunswick.
Il Duca di Wellington peraltro continuava a essere molto preoccupato per la sicurezza delle sue linee di comunicazione con la costa e quindi mantenne una parte cospicua delle sue forze, 17.000 uomini e 30 cannoni al comando del principe Federico d'Orange-Nassau, tra Hal ed Enghien, a sedici chilometri a ovest di Mont-Saint-Jean. Queste truppe non parteciparono alla battaglia.
Il comandante in capo britannico aveva scelto accuratamente il campo di battaglia; egli conosceva molto bene il terreno che aveva osservato fin dal settembre dell'anno precedente giudicandolo molto favorevole per bloccare un'eventuale avanzata dell'esercito napoleonico verso Bruxelles. Napoleone criticò aspramente la decisione di Wellington di combattere con la foresta di Soignes alle spalle che, secondo l'imperatore, avrebbe potuto intralciare in modo catastrofico un'eventuale ritirata, ma in realtà questo settore boscoso non era intransitabile per colonne di truppe e al contrario era dotato di buone strade facilmente percorribili. L'aver messo gran parte delle truppe disponibili nella propria ala destra dimostra inoltre che Wellington contava sull'arrivo di almeno una parte dell'esercito prussiano per rinforzare la sua ala sinistra.
L'esercito prussiano impegnato nella campagna di Waterloo era stato costituito rimpolpando frettolosamente i reparti esperti rimasti tra Lussemburgo e Wesel dopo la guerra del 1814, con coscritti, richiamati alle armi dopo l'appello del Re di Prussia, e milizie territoriali della Landwehr; erano inoltre presenti truppe poco affidabili della Westfalia e della Sassonia. L'esercito affidato al comando dell'esperto e combattivo feldmaresciallo Blücher era quindi eterogeneo e complessivamente poco addestrato; le truppe tuttavia erano estremamente motivate, accanitamente anti-francesi e animate da un acceso nazionalismo patriottico. Il comandante in capo, nella notte tra il 17 e il 18 giugno, aveva già cominciato a far muovere due corpi d'armata. L'artiglieria era per lo più formata da cannoni da 6 libbre, pochi da 12 libbre e altrettanto pochi erano gli obici; l'equipaggiamento individuale era disparato e non sempre di prima qualità. L'esercito prussiano aveva uno stato maggiore molto ridotto ma era organizzato razionalmente in corpi d'armata e brigate che nei fatti equivalevano alle divisioni francesi. Blücher disponeva di un esercito più compatto e organizzato di quello del Duca, ma questo vantaggio era in parte vanificato dall'inesperienza dei soldati; altri punti deboli erano la carenza di artiglieria e cavalleria pesante, nonché l'assenza di una cavalleria e di un'artiglieria di riserva, dal momento che queste forze erano suddivise nei singoli corpi d'armata.
Per certi aspetti, per la campagna del 1815 Napoleone disponeva di uno degli eserciti più esperti ed efficienti che avesse mai comandato: la gran parte dei soldati erano veterani delle campagne vittoriose dell'Impero, giovani ormai esperti dopo le guerre del 1813 e 1814, oppure reduci dai campi di prigionia della Russia e dalle navi prigione in Spagna e in Inghilterra. L'armata francese rimaneva la più moderna dell'epoca; era sempre fondata sul sistema della coscrizione, dell'amalgama e soprattutto dell'uguaglianza e della promozione per merito dai ranghi; essa aveva mantenuto l'efficienza e la combattività che le avevano permesso per venti anni di dominare i campi di battaglia europei: la fanteria era rapida nei movimenti e animata dal consueto spirito offensivo, la cavalleria era preparata e guidata da comandanti particolarmente esperti e aggressivi, l'artiglieria, organizzata secondo il sistema Gribeauval, era considerata ancora la migliore del mondo; i cannonieri erano addestrati a sparare velocemente e con precisione.
Ogni singolo corpo d'armata era ben equilibrato, con contingenti di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, servizi sanitari, addetti ai rifornimenti e un proprio quartier generale. Come capo di stato maggiore dell'Armée du Nord fu designato il maresciallo Nicolas Jean-de-Dieu Soult, un esperto e capace comandante sul campo non molto idoneo a compiti organizzativi; egli in effetti durante la campagna commise alcuni errori. L'armamento non era dei migliori e, come nel passato, anche nel 1815 l'organizzazione dei rifornimenti si rivelò inadeguata. Le strategie operative dell'Imperatore erano ormai ben conosciute dai generali alleati: in caso di superiorità numerica Napoleone in generale preferiva ampie manovre di aggiramento mentre, in caso di inferiorità numerica, egli adottava la cosiddetta "strategia delle posizione centrale". Nonostante le esperienze precedenti, peraltro, Wellington e Blücher furono sorpresi dalla rapidità e dalla potenza dell'attacco iniziale francese a nord della Sambre e la "strategia della posizione centrale" di Napoleone raggiunse in un primo momento vantaggi apparentemente decisivi che sembravano preludere a un disastro per i coalizzati.
Napoleone durante la breve campagna dimostrò in effetti ancora una volta la sua superiore abilità strategica; la sua salute tuttavia non era eccellente e in alcune occasioni egli avrebbe mostrato minore risolutezza e fiducia del passato. In generale l'Imperatore non temeva i suoi avversari; riteneva Wellington lento e passivo, troppo prudente ed egoista, mentre considerava Blücher eccessivamente avventato, ottuso e mediocre tattico; in complesso Napoleone aveva maggiore considerazione per i prussiani che per i britannici.
Lo spiegamento sul terreno dell'esercito napoleonico era più semplice di quello adottato da Wellington. A ovest della strada per Bruxelles, col fianco destro non troppo distante da La Belle Alliance, si trovava il II Corpo del generale di divisione Honoré Charles Reille a formare un lungo arco concavo attorno Hougoumont, oltrepassando a ovest la strada per Nivelles.
Generale Honoré-Charles-Michel-Joseph Reille. Nel settembre 1809 fu nominato comandante del I Corpo d'armata dell'Armata del Nord e di Spagna
All'estrema sinistra venne messa la divisione di cavalleria di Hippolyte Piré a cui si affiancavano, da ovest a est, le tre divisioni di fanteria di Girolamo Bonaparte, Maximilien Sébastien Foy e Gilbert Desiree Joseph Bachelu, mentre la divisione di Jean-Baptiste Girard, indebolita a Ligny, rimase indietro.
Generale Jean-Baptiste Drouet d'Erlon. Il suo corpo d'armata fu incaricato di condurre l'attacco principale a Waterloo il 18 giugno, senza successo; compì prodigi di valore.
Andando verso est da La Belle Alliance si incontravano le quattro divisioni di fanteria del I Corpo del generale Jean-Baptiste Drouet d'Erlon, guidate rispettivamente da Joachim Jérôme Quiot du Passage, François-Xavier Donzelot, Pierre-Louis Binet de Marcognet e Pierre François Joseph Durutte; gli undici squadroni di cavalleria del corpo d'armata si trovavano all'estrema destra, di fronte a La Haie e Frischermont, agli ordini di Charles-Claude Jaquinot. Questi due corpi d'armata andarono a costituire la prima linea dell'esercito francese, protette da uno schermo di cavalleria leggera.
Generale Charles-Claude Jaquinot. Comandante a Waterloo del Corpo d'armata di cavalleria.
In seconda linea si trovava tutta la cavalleria di riserva: il generale François Étienne Kellermann con il suo III Corpo di cavalleria dietro Reille, a loro volta seguite dalla Divisione di cavalleria della Guardia di Claude-Étienne Guyot; allo stesso modo le spalle di d'Erlon erano guardate dal IV Corpo di cavalleria del generale Édouard Jean-Baptiste Milhaud, seguito dalla Divisione di cavalleria leggera della Guardia comandata da Charles Lefebvre-Desnouettes.
Napoleone dispose la riserva in colonna, in posizione centrale ai due lati della strada per Bruxelles: a est la cavalleria di Jean-Simon Domon, distaccata dal III Corpo che si trovava con Grouchy nei pressi di Wavre, e Jacques Gervais Subervie, distaccata dal I Corpo di cavalleria; a ovest le divisioni di fanteria di Francois-Martin-Valentin Simmer e Jean-Baptiste Jeanin del VI Corpo del generale Mouton, conte di Lobau. Infine c'era in terza linea la Guardia imperiale al comando del generale Antoine Drouot disposta a ranghi serrati.
Napoleone aveva mostrato forte nervosismo durante le ultime ore della notte soprattutto per il persistere della pioggia che sembrava rendere difficoltoso l'impiego dell'artiglieria; alcuni ufficiali affermarono che sarebbe stato impossibile iniziare la battaglia al mattino; l'imperatore tuttavia era risoluto a combattere e passò il tempo studiando accuratamente le mappe e predisponendo lo schieramento tattico del suo esercito. Alle ore 5:00 inviò un ordine al maresciallo Soult in cui disponeva che l'esercito fosse pronto alla battaglia per le ore 9:00. La situazione climatica migliorò poco dopo le ore 8:00; la pioggia cessò e il sole iniziò ad asciugare e consolidare il terreno; Napoleone fu sollevato dall'apprendere che gli ufficiali d'artiglieria ritenevano ora possibile manovrare le loro batterie. Napoleone, vecchio ufficiale d'artiglieria, faceva grande conto sull'apporto decisivo dei suoi cannoni, nettamente più numerosi di quelli dell'avversario, per frantumare progressivamente le linee britanniche.
Generale Georges Mouton conte di Lobau. Capo del VI Corpo d'armata a Waterloo
Alle 08:00 lo Stato maggiore francese si riunì con Napoleone a Le Caillou, per le disposizioni relative all'imminente battaglia. L'imperatore apparve molto ottimista, affermò che le probabilità erano tutte a suo favore e che i britannici ormai, a differenza di quel che pensava il maresciallo Ney, che ipotizzava una nuova ritirata del nemico, non potevano più sfuggirgli. Wellington "aveva gettato i dadi". Il maresciallo Soult invece si mostrò preoccupato: egli temeva la solidità difensiva delle truppe britanniche e consigliò di richiamare subito almeno una parte delle forze del maresciallo Grouchy; Napoleone derise i timori di Soult e confermò la sua piena fiducia nella vittoria. Subito dopo l'imperatore reagì con irritazione anche alle valutazioni espresse dal generale Reille che consigliava di evitare attacchi frontali e manovrare per sloggiare i britannici dalle loro posizioni; è possibile che Napoleone esprimesse in pubblico grande sicurezza anche per non scoraggiare i suoi subordinati e sostenerne il morale.
Generale François Gédéon Bailly de Monthion. Capo di stato maggiore generale a Waterloo.
Alle ore 10:00 Napoleone inviò da Le Caillou una lettera a Grouchy; egli non sembrava preoccupato e confermava in pratica gli ordini per il suo maresciallo; l'imperatore non richiedeva il suo ritorno sul campo di battaglia principale e invece incaricava Grouchy di inseguire da vicino i prussiani che sembravano essere in ritirata a nord verso Wavre. Napoleone non sospettava affatto una manovra del nemico da Wavre contro il suo fianco destro e quindi riteneva che sarebbe bastata la pressione diretta delle truppe di Grouchy per neutralizzare i prussiani; egli tuttavia richiedeva anche che Grouchy manovrasse in modo da avvicinarsi a lui.
Subito dopo Napoleone si portò con i suoi ufficiali sulla linea del fuoco per ispezionare ancora una volta il terreno e passare in rivista il suo schieramento; egli era accompagnato da un contadino del posto, De Coster, che era stato costretto a fornire informazioni; le truppe accolsero con frenetiche manifestazioni di entusiasmo l'arrivo dell'imperatore sul campo di battaglia. Dopo aver esaltato i soldati con la sua presenza, Napoleone ritornò indietro e si sistemò vicino alla fattoria di Rossomme, lasciando il maresciallo Ney sul posto.
Generale Charles-Étienne-François de Ruty. Comandante in capo dell'artiglieria a Waterloo
Il piano di battaglia venne dettato poco dopo le 11:00 e prevedeva un attacco diversivo sull'ala destra britannica e un attacco principale al centro, preceduto dal fuoco di un grande raggruppamento di artiglieria con i cannoni da 12 libbre del II e VI Corpo uniti a quelli del I Corpo, per sfondare le linee nemiche e occupare rapidamente Mont-Saint-Jean; in questo modo Napoleone avrebbe frantumato il fronte nemico e raggiunto risultati decisivi. L'Imperatore quindi non tenne in alcun conto gli avvertimenti di Soult e Reille; trascurò di effettuare complesse manovre contro l'ala destra nemica e rinunciò anche ad aggirare l'ala sinistra britannica che era debole e priva di copertura sul fianco. Questa strategia semplice e brutale è stata criticata dallo storico britannico David Chandler; l'autore ritiene sorprendente anche la sua decisione di affidare il controllo diretto dell'attacco al maresciallo Ney, nonostante i gravi errori commessi da quest'ultimo nei giorni precedenti; Chandler ritiene che forse l'imperatore si aspettasse il riscatto dell'aggressivo maresciallo. Secondo gli storici francesi invece, Napoleone scelse il piano dell'attacco al centro soprattutto per motivi strategici: un aggiramento sulla sinistra britannica avrebbe indotto Wellington a ripiegare verso la costa, mentre un aggiramento sulla destra avrebbe favorito il congiungimento dei due eserciti nemici; l'imperatore aveva invece bisogno di una vittoria immediata e decisiva.
Alzatosi alle 06:00 anche Wellington si portò in prima linea per ispezionare le truppe. Verso le 11:00 stabilì il quartier generale presso un olmo isolato all'angolo sud-occidentale del crocevia sulla cresta di Mont-Saint-Jean. Forse per avere una via per ripiegare a occidente, forse perché sicuro dell'aiuto dei prussiani, Wellington non richiamò i 17.000 uomini del principe Federico. I prussiani nel frattempo si trovavano a una decina di chilometri di distanza, ritardati dal fango, presso Chapelle-Saint-Lambert.
Mentre Grouchy stava facendo colazione davanti Wavre, verso le 11:30 le prime salve d'artiglieria francese diedero inizio alla battaglia di Waterloo. L'ora esatta dell'inizio della battaglia è incerta: nella sua relazione finale, Wellington scrisse che erano «all'incirca le 10»; il capitano F. Powell di un reggimento della Guardia riferì nel 1834 allo storico William Siborne che «il primo colpo di cannone fu sparato alle 10:45 (secondo il mio orologio)». In base ad altre testimonianze e all'analisi di vari documenti, tuttavia, gran parte degli storici ritiene che il cannone sparò per la prima volta alle 11,30
Mappa riassuntiva della battaglia. Le unità di Napoleone sono in blu, quelle di Wellington e dei suoi alleati tedesco-olandesi in rosso e quelle prussiane di Blücher in bianco (I e IV Corpo d'armata)
Ufficiali dell'armata edi Napoleone
Comandante supremo:
Napoleone Bonaparte
Gran Maresciallo di Palazzo: generale
Henri Gatien Bertrand
Aiutanti di campo: generali
Charles de la Bédoyère, Lebrun, Drouot, Corbineau, de Flahaut, Dejean, Bernard
Capo di stato maggiore: maresciallo
Nicolas Soult
Capo dello stato maggiore generale: generale
François Gédéon Bailly de Monthion
Comandante dell'artiglieria: generale
Charles-Étienne-François Ruty
Comandante dell'ala sinistra dell'armata: maresciallo
Michel Ney (ai suoi molti errori è in parte dovuta la sconfitta).
Guardia Imperiale
Comandante: generale
Antoine Drouot
I Corpo d'armata
Comandante: generale
Jean-Baptiste Drouet d'Erlon
II Corpo d'armata
Comandante: generale
Honoré Charles Reille
VI Corpo d'armata
Comandante: generale
Georges Mouton conte di Lobau
Riserva
III Corpo
Comandante: generale
François Étienne Kellermann
IV Corpo
Comandante: generale
Édouard Jean-Baptiste Milhaud
Udito il cannone sparare, il generale Reille diede il via all'attacco contro il castello di Hougoumont. Napoleone non aveva diramato istruzioni dettagliate a Reille; in pratica il compito iniziale del II corpo era solo quello di occupare il bosco e il castello; i francesi non erano sicuri che la zona fosse difesa e mancavano di informazioni precise. Fu quindi ordinato alla 6ª Divisione di Girolamo Bonaparte di mandare avanti quattro reggimenti, supportati dalla cavalleria di Piré. Le truppe di Nassau e di Hannover nascoste nel bosco del castello respinsero due volte i francesi, ma alla fine furono costrette a indietreggiare fino al frutteto e agli edifici del castello. Avanzando sotto una pioggia di fuoco, i soldati francesi iniziarono uno scontro violentissimo con gli avversari. Anziché consolidare le posizioni come gli era stato ordinato, Girolamo Bonaparte si fece trascinare dai combattimenti e inviò nella mischia, uno dopo l'altro, tutti i suoi reggimenti che tuttavia, nonostante i ripetuti assalti, riuscirono solamente a conquistare parte del frutteto al prezzo di forti perdite.
I francesi fecero qualche temporaneo progresso a nord del castello, dove entrò in azione il 1º Reggimento leggero della brigata del generale Soye: guidati dall'imponente sottotenente Legros (chiamato l'Enfonceur, "lo sfondatore", perché brandiva una grande scure), una decina di francesi irruppero nel cortile di Hougoumont dopo che Legros ebbe distrutto a colpi d'ascia il portone del muro settentrionale, ma il successo fu di breve durata perché nella furibonda mischia che ne seguì i difensori, guidati dall'abile e aggressivo tenente colonnello James Macdonnell, richiusero il portone e uccisero tutti i francesi rimasti intrappolati all'interno; si salvò soltanto un tamburino, fatto prigioniero. Il sottotenente Legros si difese strenuamente da solo; ripetutamente ferito, riuscì a raggiungere la cappella all'interno del cortile dove, dopo una disperata resistenza, fu ucciso da un colpo di fucile. Il sopraggiungere di quattro compagnie di rinforzo e delle Coldstream Guards respinse del tutto i francesi dal muro settentrionale del castello.
Per le truppe napoleoniche, quello che doveva essere un attacco secondario aveva finito per coinvolgere, per colpa degli sconsiderati attacchi ordinati da Girolamo Bonaparte, tutta la 6ª e parte della 9ª Divisione del generale Foy. Per contro, Wellington fece arrivare a Hougoumont tutta la brigata di Guardie del generale Byng, arrivate percorrendo un avvallamento parzialmente nascosto del terreno che univa Hougoumont alla principale linea alleata.
Solo alle 15:30 Napoleone intervenne di persona ordinando un pesante bombardamento del castello, che comunque non cadde mai in mano francese. I combattimenti a Hougoumont erano ancora in corso dopo le 20:00, quando sul fronte principale la Guardia imperiale era già stata battuta. Circa 13.000 francesi erano stati bloccati e respinti dalle 2.000 guardie di Byng e da qualche centinaio di soldati di Nassau e di Hannover, che giustamente meritarono gli elogi di Wellington. Le perdite furono elevate da ambo le parti. La mancata presa di Hougoumont non solo impegnò una gran quantità di soldati francesi, ma impedì in seguito anche l'impiego in massa della cavalleria pesante napoleonica.
Generale Claude-Étienne Michel; perì a Waterloo
Mentre a Hougoumont si era nel pieno dei combattimenti e d'Erlon doveva ancora iniziare l'attacco, intorno alle 12:00 gli ufficiali dello stato maggiore francese avvistarono tra la vegetazione a nord-est, in direzione di Chapelle-Saint-Lambert, dei movimenti di truppe non identificate. Napoleone apparve nervoso e dubbioso; egli inviò in quella direzione il generale Bernard per raccogliere informazioni; poco dopo l'aiutante di campo ritornò con pessime notizie: si trattava di truppe prussiane in avvicinamento appartenenti al IV corpo d'armata; l'informazione venne confermata dalla cattura di un prigioniero del 2º Reggimento ussari slesiani da parte di una pattuglia del 7º Reggimento ussari vicino Frischermont.
Effettivamente fin dalle ore 07:00 del 18 giugno, il feldmaresciallo Blücher aveva messo in movimento da Wavre il IV corpo del generale Bülow con l'ordine di raggiungere Chapelle-Saint-Lambert dove avrebbe dovuto fermarsi e raggrupparsi in attesa di nuove disposizioni; in caso di battaglia in corso a Mont-Sain-Jean, Bülow avrebbe dovuto attaccare il fianco destro francese. Blücher prevedeva di inviare subito dopo a Chapelle-Saint-Lambert anche il II corpo d'armata del generale Georg Dubislav Ludwig von Pirch; ansioso di prendere parte personalmente alla battaglia, il comandante in capo prussiano lasciò il generale von Gneisenau a Wavre e alle ore 11:00, nonostante le precarie condizioni di salute, partì con il suo stato maggiore verso Chapelle-Saint-Lambert per assumere il comando diretto delle truppe. Blücher avrebbe ricordato in seguito il suo ardente desiderio di combattere: "Malgrado tutto le sofferenze per la mia caduta [a Ligny]…mi sarei fatto legare al mio cavallo piuttosto che mancare alla battaglia".
A dispetto delle inquietanti notizie, Napoleone si mostrò ancora convinto di poter concludere vittoriosamente la giornata. Gli squadroni dei generali Domon e Subervie e il VI Corpo di Lobau vennero spostati a nord-est; in tal modo la metà delle riserve napoleoniche dovette essere impegnata ancora prima dell'inizio della battaglia per contrastare una possibile manovra sul fianco destro. Il maresciallo Soult scrisse a Grouchy una lettera che venne inviata poco prima delle ore 14:00; nella missiva il maresciallo si espresse in modo contraddittorio approvando i movimenti di Grouchy in direzione di Wavre ma affermando in un post scriptum che c'erano notizie della presenza di forze prussiane sul fianco destro dell'imperatore e che quindi Grouchy avrebbe dovuto anche "manovrare per raggiungere la nostra destra". Questo messaggio, peraltro poco chiaro, giunse al destinatario solamente dopo le 17:00, quando ormai era troppo tardi per fermare i prussiani. Senza ulteriori ordini, quindi, e dopo un alterco con il comandante del IV Corpo generale di divisione Étienne Maurice Gérard che voleva riunirsi a Napoleone, Grouchy si attenne alle disposizioni originarie di muovere verso Wavre, lasciando cadere definitivamente l'opportunità di intercettare i prussiani, cosa che in teoria sarebbe stata possibile se le sue truppe avessero iniziato l'inseguimento prima di mezzogiorno. Il generale Emmanuel de Grouchy da molti storici è indicato come uno dei responsabili della sconfitta, ma occorre dire che gli ordini ricevuti non furono mai chiari.
Napoleone quindi, nonostante il crescente pericolo di essere attaccato sul fianco dai prussiani, decise di continuare la battaglia; egli avrebbe potuto verosimilmente ripiegare senza difficoltà, ricongiungersi con Grouchy e studiare un nuovo piano di campagna; l'imperatore invece non prese affatto in considerazione questa possibilità e apparve determinato a battersi e vincere sul campo di Mont-Saint-Jean. Secondo gli storici francesi Henri Lachouque e Robert Margerit, Napoleone temeva le conseguenze politiche in Francia della notizia di una sua ritirata; preoccupato di sostenere il morale delle sue truppe e dei suoi simpatizzanti, egli ritenne indispensabile ottenere subito una schiacciante vittoria sui suoi nemici.
L'attacco principale francese procedette secondo i piani iniziali. A est della strada per Bruxelles, sulla cresta di Belle-Alliance, Napoleone fece entrare in azione la cosiddetta Grande batteria d'artiglieria; le batterie da 12 libbre del I, II e VI corpo, le batterie da 8 libbre del I corpo, e tre batterie della Guardia, per un totale di ottanta cannoni, aprirono il fuoco con un ritmo di 2-3 colpi al minuto per pezzo. Napoleone era sempre stato convinto dell'importanza di concentrare il fuoco di molte batterie nel settore dell'attacco per ottenere risultati decisivi e abbattere il morale dell'avversario. I generali Ruty e Desales schierarono i loro cannoni allo scoperto sul declivio e tra le ore 12 e le ore 13 aprirono il fuoco; i cannoni sparavano, su un fronte di circa due chilometri, 120 colpi al minuto in totale, con una media di un colpo al minuto ogni venti metri.
Il fuoco dell'artiglieria francese creò una cappa di fumo stagnante sulla piana ma non ottenne risultati decisivi: schierati a 1.100-1.400 metri dalle posizioni britanniche, i cannoni erano troppo lontani per poter colpire con efficacia le riserve del nemico. Subirono perdite l'artiglieria e i reparti esposti di Wellington, in particolare i fanti belgi e olandesi della brigata Bylandt, ma il grosso dell'esercito alleato era al riparo dietro la cresta del colle e non venne pesantemente colpito, considerato anche che il terreno ancora umido evitò il rimbalzo dei colpi che invece sprofondarono nel fango. In quel periodo era molto utilizzata la tecnica del "tiro di rimbalzo" o ricochet: le palle erano sparate in modo che non si conficcassero nel terreno, ma rimbalzassero diverse volte tra le linee nemiche, moltiplicando l'effetto devastante della cannonata.
Alle 13:30 i circa 14.000 francesi del I Corpo d'armata cominciarono a muovere in avanti, preceduti da una rete di tirailleurs; il generale d'Erlon aveva concentrato al massimo le sue forze, raggruppando in una formazione compatta ventotto battaglioni. I soldati francesi del I Corpo avevano il morale molto alto e, dopo aver mancato di partecipare alla battaglia di Ligny per gli errori dei generali, erano animati da forte spirito offensivo. La formazione tattica che venne effettivamente adottata dal I Corpo d'armata per l'attacco non è del tutto chiara: secondo David Chandler le divisioni, invece di disporsi in "colonne di divisione per battaglione" (una formazione flessibile con una prima linea di circa settecento uomini) si schierarono in "colonne di battaglione per divisione" (una formazione con duecento uomini in prima linea e molto profonda, molto limitante dal punto di vista tattico). Anche Henry Houssaye critica la formazione adottata apparentemente su iniziativa di d'Erlon o di Ney: lo storico francese afferma che le divisioni si schierarono in colonne di battaglione serrati e ammassati; Alessandro Barbero infine afferma che i francesi si schierarono con i battaglioni uno dietro l'altro ma disposti in formazione in linea invece che in colonna per assicurare una maggiore potenza di fuoco.
Alla sinistra degli attaccanti, la divisione di Quiot si allargò attorno alla fattoria de La Haye Sainte, dove era schierato un battaglione di fanteria leggera tedesco della King's German Legion al comando del maggiore Baring. Tre compagnie erano appostate nel frutteto, due nell'edificio e una in un orto vicino alla fattoria. Il maresciallo Ney trascurò di impiegare l'artiglieria per smantellare l'edificio e l'attacco della fanteria francese incontrò una tenace resistenza da parte dei soldati tedeschi. Gli uomini della King's German Legion nel frutteto e nel giardino furono alla fine sopraffatti dai soldati francesi della brigata Quiot ma il primo attacco all'edificio si concluse con un fallimento; alcuni reparti di rinforzo inviati dalle brigate di Ompteda e Kielmansegge furono respinte dal tempestivo intervento dei corazzieri del generale Travers.
Fu momentaneamente conquistata anche la cava di ghiaia, ritornata presto in mano alleata grazie al pronto intervento della brigata del generale Kempt; un reggimento francese che tentava di aggirare la posizione di La Haye Sainte passando dall'orto subì a sua volta forti perdite. Mentre erano in corso i combattimenti a La Haye Sainte, le altre tre divisioni francesi avanzarono in massa, nonostante le perdite causate dal fuoco dell'artiglieria e della fanteria anglo-alleata, e attaccarono la prima linea nemica costituita dalla debole brigata belga-olandese Bylandt che venne rapidamente sbaragliata dai reparti di Donzelot e Marcognet e ripiegò in disordine oltre la cresta; l'assalto francese sembrava procedere con successo: sulla destra la divisione Durutte conquistò la fattoria di Papelotte, respinse la fanteria leggera di Nassau e attaccò gli hannoveriani della brigata Best.
I francesi raggiunsero la cresta e oltrepassarono la siepe che bordeggiava la strada infossata dello chemin d'Ohain mentre gran parte della brigata Bylandt si disgregava; il generale Thomas Picton per evitare uno sfondamento decise di fare intervenire le due brigate britanniche Kempt e Pack, che erano schierate in seconda linea con i soldati sdraiati a terra al riparo dal fuoco d'artiglieria. Queste due formazioni si schierarono in linea e aprirono il fuoco di fila contro le masse compatte della fanteria francese delle divisioni Marcognet e Donzelot, che subirono forti perdite ma ben presto, dopo un momento di sbandamento, si spiegarono e risposero al fuoco con efficacia. Il generale Picton ordinò ai suoi soldati di caricare ma fu ucciso quasi subito, colpito da un proiettile alla testa, e i famosi reggimenti scozzesi della brigata Pack furono ben presto fermati e attaccati dalla fanteria francese di Marcognet, che riprese a guadagnare terreno oltre la strada infossata. La situazione del settore centrale delle linee di Wellington intorno alla ore 14:00 divenne molto critica.
I generali alleati Pack e Best erano in grave difficoltà di fronte all'attacco del corpo d'armata di d'Erlon, ma proprio In questa fase cruciale, Lord Uxbridge ordinò tempestivamente alle due brigate di cavalleria pesante di dare supporto alla fanteria in difficoltà; si trattava della 1ª Brigata, conosciuta come Household Brigade, comandata dal maggior generale lord Edward Somerset e della 2ª Brigata, conosciuta come Union Brigade, comandata dal maggior generale sir William Ponsonby e così chiamata perché era composta da un reggimento misto di inglesi, scozzesi (i famosi Scots Greys) e irlandesi. Le due brigate erano costituite da circa 2.000 cavalieri, montati su ottime cavalcature, superiori a quelle degli altri eserciti europei; si trattava di reparti combattivi e ben equipaggiati ma privi di esperienza, non molto addestrati e guidati da ufficiali entusiasti ma scarsamente preparati dal punto di vista tattico.
Lord Uxbridge decise di guidare personalmente l'attacco e quindi perse ogni possibilità di coordinare le operazioni: egli, dopo la battaglia, rimpianse apertamente di aver caricato alla testa dei suoi uomini, dicendo «Commisi un grave errore». La Household Brigade superò le posizioni della fanteria alleata e caricò giù dalla collina attaccando in un primo momento da due direzioni i corazzieri della brigata Travers, che coprivano il fianco sinistro del I Corpo; i cavalieri francesi si trovarono stretti tra i dragoni britannici e la strada infossata dello Chemin d'Ohain e cercarono di sfuggire deviando a destra verso la strada maestra di Bruxelles.
I corazzieri francesi, inseguiti e attaccati dalla cavalleria britannica, finirono in gran numero nella profonda scarpata della strada maestra che correva incassata e subirono perdite rovinose; i superstiti cercarono di contrattaccare ma alla fine si ritirarono verso sud-ovest mentre i dragoni britannici continuavano la carica. In questa occasione rimase ucciso il caporale John Shaw, il più famoso pugile della Gran Bretagna, raggiunto da un colpo di carabina di un corazziere francese. L'episodio della rovinosa caduta dei corazzieri nella scarpata della strada maestra ha probabilmente ispirato la celebre narrazione fittizia dello scrittore Victor Hugo della carica della cavalleria pesante francese contenuta nell'opera I Miserabili.
L'attacco degli squadroni britannici contro la fanteria del I Corpo d'armata ebbe effetti devastanti: le truppe francesi, colte allo scoperto, non riuscirono a organizzare la resistenza e vennero in gran parte disperse; i soldati fuggirono in rotta e subirono gravi perdite perdendo tutto il terreno guadagnato sulla cresta di Mont-Saint-Jean; vennero catturati numerosi prigionieri. La Household Brigade attaccò e sbaragliò la brigata Aulard della divisione Quiot; subito dopo tuttavia Lord Uxbridge perse il controllo dei suoi reparti e i cavalieri britannici continuarono incautamente la carica. Fermati a valle dalla brigata francese Schmitz, che era riuscita a disporsi in quadrati difensivi, i dragoni subirono anche sul fianco il fuoco della fanteria della divisione Bachelu del II Corpo d'armata, schierata a ovest della strada maestra.
I tre reggimenti della Union Brigade invece scompigliarono e disgregarono le quattro brigate delle divisioni Donzelot e Marcognet. Gli Scots Greys in particolare vennero in aiuto agli scozzesi della brigata Pack e distrussero le brigate Grenier e Nogues; vennero catturate le aquile del 105º Reggimento di linea e del 45º Reggimento di linea. L'aquila del 105º reggimento venne conquistata dal capitano Clark del 1° Dragoni, mentre il sergente Ewart degli Scots Greys si impossessò dell'aquila del 45º Reggimento. La fanteria delle brigate Kempt, Pack e Bylandt sfruttò la situazione e riconquistò il terreno perduto, rastrellando e catturando i soldati francesi dispersi. La divisione di Durutte invece, schierata all'estrema destra del fronte di Napoleone, venne attaccata dai dragoni della brigata britannica di Vandeleur e della brigata belga-olandese di Ghigny ma, dopo un momento critico iniziale, riuscì a formare i quadrati ed evitò una disastrosa sconfitta; dovette tuttavia ripiegare a sud della strada infossata.
Dopo il brillante successo contro la fanteria francese la Union Brigade tuttavia esaurì le sue forze continuando l'attacco in direzione dello schieramento di cannoni della Grande batterie; il comandante degli Scots Greys, colonnello James Hamilton, guidò personalmente i suoi uomini contro l'artiglieria francese. I dragoni britannici raggiunsero le batterie da 12 e da 6 pollici, scatenarono il panico tra gli artiglieri e misero temporaneamente fuori uso alcune decine di cannoni, ma i loro successi furono solo momentanei. Gli Scots Greys dovettero ben presto abbandonare le posizioni raggiunte e gran parte dei cannoni furono rimessi in funzione dai francesi; inoltre la cavalleria, esausta e disorganizzata, dovette subire il contrattacco della cavalleria napoleonica.
Per fronteggiare la minaccia della cavalleria nemica, Napoleone ordinò un pronto contrattacco con le due brigate di corazzieri della divisione di cavalleria pesante del generale Jean-François Delort de Gléon e con i temibili lancieri della divisione del generale Charles Claude Jacquinot. Due reggimenti di lancieri, al comando del colonnello Martigues e del colonnello Louis Bro, colpirono sul fianco gli Scots Greys con pieno successo, dimostrando la loro netta superiorità di armamento; gli Scots Greys vennero distrutti; il colonnello Hamilton venne ucciso insieme alla maggior parte dei suoi uomini. La Union Brigade perse anche il comandante William Ponsonby che, intralciato dal terreno fangoso, venne raggiunto e disarcionato dal sottufficiale francese Urban del 4° lancieri e quindi ucciso con un colpo di lancia al petto. Il colonnello Bro prestò aiuto anche ai soldati della divisione Durutte facilitando il loro disimpegno e attaccando i dragoni di Vandeleur. Contemporaneamente, i corazzieri della brigata Farine contribuirono alla distruzione degli Scots Greys e soprattutto inseguirono e attaccarono le altre formazioni della cavalleria britannica che, stanche e disorganizzate, subirono perdite elevatissime durante il ripiegamento; secondo il generale Milhaud i dragoni britannici vennero decimati, con «più di 800 dragoni morti».
Per affrontare il contrattacco francese, i britannici impiegarono i dragoni di Vandeleur, che tuttavia subirono pesanti perdite contro i lancieri di Bro, e la cavalleria dei Paesi Bassi del generale de Collaert; questi reparti, gli ussari del barone de Ghighy e i carabinieri del generale Trip van Zoudtlandt, si dimostrarono efficienti e combattivi riuscendo a respingere la cavalleria francese e facilitando la ritirata dei cavalieri britannici superstiti. La cavalleria pesante britannica uscì molto indebolita dopo questa fase della battaglia e non poté svolgere più un ruolo importante nel corso dei combattimenti successivi; tuttavia i reparti di cavalleria leggera anglo-alleati continuarono ad operare con efficacia, fornendo prezioso supporto alla fanteria nelle dure fasi finali dello scontro.
Nonostante le perdite subite, tuttavia l'azione della cavalleria pesante britannica ebbe grande importanza e permise di respingere l'attacco iniziale del corpo d'armata di d'Erlon che sembrava avere successo. Fu soprattutto grazie all'intervento della cavalleria britannica che questa mossa di Napoleone si risolse in un fallimento; la fanteria francese si disgregò e il I corpo d'armata perse circa 5.000 uomini, tra cui 2.000-3.000 prigionieri, e sedici cannoni, i britannici inoltre guadagnarono tempo prezioso in attesa dell'arrivo dei prussiani. L'opinione degli storici è dunque piuttosto favorevole, poiché «nel complesso l'azione ebbe un successo sbalorditivo e con ogni probabilità salvò Wellington dalla sconfitta».
Terminata la drammatica fase della carica della cavalleria alleata, verso le 15:00 i combattimenti calarono temporaneamente d'intensità, eccetto che a Hougoumont e a La Haye Sainte. Napoleone aveva appena ricevuto un messaggio di Grouchy, scritto alle 11:30; l'imperatore comprese da questa missiva che il maresciallo stava marciando molto lentamente, non si preoccupava di avvicinarsi a lui e contava di entrare in campo solo il giorno seguente. Nonostante queste pessime notizie, Napoleone non desistette; ritenendo che se avesse interrotto la battaglia in corso, la sua situazione non avrebbe potuto che peggiorare, egli sperava ancora di riuscire a battere Wellington prima dell'arrivo in forze dei prussiani. L'imperatore diede ordine al maresciallo Ney di sferrare un nuovo attacco contro La Haye Sainte; egli considerava essenziale conquistare quel caposaldo da cui intendeva lanciare l'attacco finale con i reparti di Reille e d'Erlon, rafforzati con la Guardia imperiale. Il maresciallo Ney quindi attaccò la fattoria difesa dai battaglioni della fanteria leggera tedesca della King's German Legion, con una brigata del generale Joachim Jérôme Quiot du Passage; contemporaneamente i cacciatori di una brigata della divisione di Donzelot tentarono una manovra aggirante a est della strada di Bruxelles. Il maggiore Baring che guidava la difesa de La Haye Sainte aveva ricevuto due compagnie di rinforzo e fu in grado di respingere l'attacco della brigata di Quiot; anche la brigata della divisione di Donzelot fu respinta.
Dopo il fallimento del secondo attacco francese, i combattimenti a La Haye Sainte continuarono senza risultati decisivi. I soldati tedeschi della King's German Legion continuarono a mantenere il controllo della fattoria ma si trovarono progressivamente in sempre maggiore difficoltà per la carenza di munizioni, richieste inutilmente dal maggiore Baring; Wellington si limitò a inviare invece altre due compagnie di rinforzo.
Il secondo attacco francese contro il settore de La Haye Sainte fu supportato dal fuoco sempre più sostenuto della Grande batterie contro il centro-sinistra alleato; anche i cannoni del II Corpo erano intervenuti in modo massiccio, rinforzati da alcuni pezzi da 12 libbre della Guardia. In questa fase il tiro dell'artiglieria francese divenne particolarmente efficace e causò forti perdite alle prime linee nemiche; alcuni reparti ripiegarono di cento passi per trovare un maggior riparo. Questi movimenti e le notizie di convogli di feriti e sbandati che rifluivano verso la foresta di Soignes, trassero in inganno il maresciallo Ney che, ritenendo imminente la ritirata generale del nemico, ordinò a una brigata di corazzieri di attaccare subito. Sembra che Napoleone avesse assegnato al maresciallo il controllo dell'intero IV Corpo di cavalleria del generale Milhaud ma senza dargli l'ordine di caricare; l'attacco della cavalleria francese sarebbe stato sferrato su iniziativa di Ney; il maresciallo decise alla fine di impiegare l'intero IV corpo e inoltre riuscì a convincere a partecipare alla carica anche il generale Lefevbre-Desnuettes, comandante di una divisione di cavalleria della Guardia. Secondo Robert Margerit la carica della cavalleria francese avvenne prematuramente soprattutto per la disorganizzazione del comando e per una serie di equivoci: verosimilmente Ney era convinto che l'imperatore approvasse la sua iniziativa.
In realtà il Duca di Wellington non aveva affatto intenzione di ritirarsi, ma al contrario predispose accuratamente le sue truppe per affrontare la cavalleria francese: venti battaglioni vennero schierati in quadrati disposti a scacchiera su due linee sulla contropendenza della cresta di Mont-Saint-Jean. Ogni quadrato era organizzato su tre ranghi, con i soldati della prima fila con il ginocchio a terra e le baionette in posizione; davanti ai quadrati le batterie britanniche continuarono a fare fuoco fino all'ultimo momento; quindi gli artiglieri ripiegarono all'interno delle linee abbandonando temporaneamente i cannoni.
La cavalleria di Ney discese il declivio fino a La Haye Sainte dove i cavalieri riorganizzarono la formazione, quindi riprese l'avanzata risalendo il pendio: in prima linea i corazzieri, seguiti dai cacciatori e infine i lancieri della Guardia. L'attacco della cavalleria francese venne condotto, sotto il fuoco dell'artiglieria britannica, a "un trotto abbastanza lento", e venne intralciato dal terreno ancora melmoso. Nonostante le perdite, i cavalieri francesi superarono le batterie nemiche che erano state abbandonate dai serventi e attaccarono con grande determinazione i quadrati, ma si trovarono in grande difficoltà. I cavalli, sfiancati dall'avanzata nel fango in salita e privi di spazio per riprendere lo slancio, non furono in grado di superare la linea delle baionette; molti animali furono abbattuti davanti ai quadrati. Lord Uxbridge riunì la cavalleria che gli rimaneva e contrattaccò i francesi, che a loro volta si riorganizzarono e tornarono alla carica. La mischia divenne presto furibonda e le divisioni di cavalleria andarono una dopo l'altra all'attacco, qualcuna addirittura senza ordini precisi; poco dopo le 16:00 tutti i 5.000 cavalieri di Ney erano in azione contro il centro del fronte alleato.
Ney commise l'errore di lanciare l'attacco senza il sostegno della fanteria; migliaia di cavalieri rimasero uccisi sul campo senza conseguire la vittoria decisiva. Per disimpegnare i corazzieri, Napoleone fece entrare in azione gli squadroni di cavalleria di Kellermann, gli unici ancora disponibili; verso le 17:00 i dragoni e i carabinieri si unirono con i corazzieri superstiti e ripresero gli attacchi contro i quadrati britannici. L'attacco, condotto da 2.000 cavalieri, venne sferrato in formazione molto serrata su un fronte ristretto; gli ostinati assalti si susseguirono nonostante le perdite e la grande confusione; alcune formazioni britanniche subirono fino a tredici cariche. Nonostante l'impegno e il coraggio dei francesi, i fanti di Wellington conservarono la coesione e la disciplina e mantennero le posizioni senza retrocedere.
Le truppe britanniche uscirono tuttavia estremamente provate dalle ripetute, accanite cariche della cavalleria francese; soprattutto i corazzieri impressionarono i soldati britannici con la loro disperata combattività. La cavalleria pesante francese riuscì a conquistare sei bandiere al nemico e alcuni reparti raggiunsero temporaneamente le retrovie dell'esercito alleato. Secondo Victor Hugo, dopo la battaglia il cadavere di un corazziere francese fu trovato all'interno dell'abitato di Mont-Saint-Jean. Alcuni quadrati dell'esercito alleato effettivamente si disgregarono; il 69º Reggimento e le brigate di Alten e Hackett subirono pesanti perdite; anche molti ufficiali britannici furono feriti.
La fanteria anglo-alleata dovette rimanere quasi costantemente schierata in quadrati per respingere le cariche della cavalleria; all'interno dei quadrati la situazione in alcuni casi divenne drammatica; i reggimenti britannici 40°, 73°, 52°, 33° e i reggimenti hannoveriani e Nassau vennero particolarmente colpiti dal tiro delle batterie. Nel complesso tuttavia le cariche della cavalleria francese si conclusero con un fallimento; i reggimenti di corazzieri e la cavalleria della Guardia non ottennero risultati decisivi e, secondo alcuni storici, in realtà gli attacchi provocarono soprattutto la decimazione dei preziosi reparti francesi che subirono perdite debilitanti, in alcuni casi superiori ai due terzi degli effettivi. Ney, che nel frattempo era stato sbalzato di sella quattro volte, alle 17:30 fece finalmente intervenire gli 8.000 fanti del II Corpo di Reille in sosta attorno Hougoumont, ma questi, giunti dove più infuriava la battaglia, furono decimati dall'artiglieria e dalla fanteria alleate, tanto che persero circa 1.500 uomini in dieci minuti.
Alle ore 18:00 il maresciallo Ney ricevette da Napoleone l'ordine tassativo di conquistare la fattoria de La Haye Sainte «ad ogni costo»; il maresciallo quindi organizzò un nuovo attacco con il 13º Reggimento leggero della divisione di Donzelot e una parte del 1º Reggimento del genio[189]. La resistenza dei tedeschi della King's German Legion fu ancora molto efficace, settanta soldati francesi caddero all'esterno del muro di cinta; alla fine mentre una parte delle truppe cercava di scalare le mura, il gigantesco tenente Vieux dei genieri frantumò a colpi d'ascia la porta d'ingresso e i francesi irruppero all'interno de La Haye Sainte. I tedeschi ripiegarono all'interno degli edifici e continuarono a combattere; alla fine il maggiore Baring riuscì a fuggire dalla fattoria con quarantadue superstiti e tutti gli altri soldati della King's German Legion impegnati nella difesa furono uccisi o catturati dai francesi. I francesi cercarono di sfruttare la favorevole occasione: un reggimento occupò la cava di ghiaia costringendo a ripiegare il 95º Reggimento britannico, mentre i reparti ancora efficienti delle divisioni Quiot, Donzelot e Marcognet fecero progressi dai due lati della fattoria fino al vallone di Ohain. La brigata di Ompteda della King's German Legion, inviata per un contrattacco, si scontrò con i corazzieri francesi che la ricacciarono indietro: un reggimento venne sbaragliato, il suo stendardo cadde in mano francese e il suo comandante venne ucciso. La brigata venne definitivamente distrutta dal fuoco di una batteria di cannoni da 6 pollici che il maresciallo Ney mise in azione personalmente dopo averla schierata a 200 metri dalle linee della fanteria nemica; lo stesso Ompteda cadde mortalmente ferito e la maggior parte dei suoi reggimenti furono decimati.
Fu questa la fase della battaglia più critica per l'esercito di Wellington; numerose batterie dell'artiglieria francese furono portate audacemente in prima linea e, appoggiate anche dall'azione dei reparti di tirailleus, mantennero un fuoco micidiale contro le linee nemiche, infliggendo perdite elevatissime. Il 30º e il 73º Reggimento britannici e il 1º Reggimento Nassau subirono un fuoco distruttivo contro le loro fila e anche i cannoni britannici furono colpiti dalle batterie francesi; il 27º Reggimento (Inniskillings) venne quasi distrutto e subì le perdite più elevate dell'intero esercito alleato; numerosi ufficiali in comando furono uccisi o feriti. Apparentemente le truppe alleate, che pure mantenevano ancora le posizioni sotto il fuoco dei cannoni francesi, non sembravano in grado di resistere ancora a lungo.
Wellington, nervoso e preoccupato, cercò di sostenere il morale dei suoi soldati ma in realtà secondo le sue dichiarazioni successive alla battaglia, in quel momento era pessimista di fronte «al caso più disperato che avesse mai dovuto affrontare». Sembra che nonostante la sua determinazione esteriore, il duca avesse già inviato una serie di messaggi nelle retrovie per preparare la ritirata e l'evacuazione dell'esercito attraverso il porto di Ostenda; egli sul campo di battaglia avrebbe anche pronunciato in questa fase critica la famosa frase in cui invocava «l'arrivo della notte o di Blücher».
Alle 18:30 Ney ritenne possibile raggiungere la vittoria finale e mandò subito un colonnello a chiedere a Napoleone di inviare la Guardia imperiale per lo sfondamento decisivo; tuttavia Napoleone, che in quel momento era soprattutto preoccupato per l'arrivo dei prussiani, respinse questa richiesta con la famosa frase: «Delle truppe? Dove dovrei prenderle? Credete che possa fabbricarne?». Sfumò così per i francesi la migliore occasione di vittoria sul fronte settentrionale.
Dopo le ripetute cariche della cavalleria pesante francese e la caduta del caposaldo di La Haye Sainte la battaglia sembrava volgere finalmente a favore di Napoleone, ma in realtà, nonostante i ricordi di alcuni ufficiali britannici che descrissero in termini drammatici la situazione del loro esercito in questa fase, la situazione dei francesi era pericolosa e incerta a causa delle perdite subite e della complessiva e crescente superiorità numerica del nemico grazie al continuo rafforzamento dell'esercito prussiano in arrivo. Il feldmaresciallo Blücher aveva raggiunto le truppe del IV Corpo d'armata di Bülow a Chapelle-Saint-Lambert alle ore 13:00 e aveva diretto con grande energia la marcia d'avvicinamento sollecitando i suoi soldati a «non farmi mancare la parola data al Duca!». Dopo alcune incertezze iniziali, divenne evidente che non c'erano truppe francesi in vista e che l'avanzata poteva procedere senza opposizione in direzione del villaggio di Plancenoit sul fianco dell'esercito nemico; alle ore 16:00 le brigate Losthin e Hiller raggiunsero il bois de Paris. La marcia era stata il più veloce possibile per minimizzare i ritardi accumulati in giornata: un incendio a Wavre, il fango nelle strade, alcuni ingorghi delle colonne in movimento.
Alle ore 16:30, consapevole della necessità di supportare rapidamente Wellington, Blücher diede inizio all'attacco dalle due parti di Plancenoit senza attendere le altre due brigate del IV Corpo. Napoleone aveva inviato per tempo sul suo fianco le divisioni di cavalleria di Domon e Subervie e il VI Corpo di Lobau con l'ordine di formare una nuova linea ad angolo retto rispetto al I Corpo d'armata, ma sembra che i suoi ordini non fossero stati eseguiti correttamente; Lobau e le divisioni di cavalleria infatti non coprirono gli accessi al bois de Paris e si limitarono a schierarsi a protezione di Plancenoit, cedendo subito molto terreno ai prussiani. La superiorità numerica dei prussiani era schiacciante: il corpo d'armata del generale Bülow contava 30.000 uomini con 80 cannoni e dietro si stava avvicinando anche il corpo d'armata del generale von Pirch con altri 20.000 soldati; il generale Lobau disponeva di 8 500 uomini e 16 cannoni. I prussiani attaccarono in direzione del villaggio di Plancenoit ma incontrarono l'accanita resistenza dei reparti del VI Corpo, formati da soldati veterani di molte battaglie; solo con una manovra di aggiramento sulla sinistra, i prussiani guadagnarono terreno; la brigata francese asserragliata nel villaggio alla fine, attaccata da tre direzione dalle brigate Hiller e Ryssel e dalla cavalleria del principe Guglielmo, abbandonò le sue posizioni. L'artiglieria prussiana iniziò a tirare contro la linea di ritirata nemica, alcuni colpi raggiunsero anche le posizioni della Guardia dove si trovava Napoleone. Verso le 17:30 i francesi ripiegarono all'interno del villaggio di Plancenoit dove i combattimenti divennero estremamente accaniti.
Napoleone doveva salvaguardare a ogni costo l'unica possibile via di ritirata; egli quindi fece intervenire la divisione della Giovane Guardia del generale Guillaume Philibert Duhesme sulla destra del VI Corpo del generale Lobau; i soldati della Giovane Guardia avanzarono senza sparare mentre i tamburi battevano la carica; i prussiani aprirono il fuoco dalle loro posizioni dietro le siepi e le mura. Dopo aspri scontri, i francesi riuscirono temporaneamente a stabilizzare la situazione e sloggiarono i prussiani da Plancenoit, ma il maresciallo Blücher concentrò il fuoco dell'artiglieria sulla città e per trenta minuti i soldati della Giovane Guardia subirono il bombardamento nemico; sei battaglioni prussiani attaccarono di nuovo Plancenoit dando inizio a un'altra serie di violentissimi combattimenti. Alle ore 18:30 il VI Corpo diede segni di cedimento e il generale Lobau iniziò a ripiegare sul fianco sinistro dello schieramento francese; alla fine Plancenoit venne occupata per la seconda volta dai prussiani e il generale Duhesme richiese con urgenza a Napoleone rinforzi per riguadagnare le posizioni perdute.
Napoleone ritenne molto critica la situazione del suo fianco destro sotto l'attacco dei prussiani e considerò essenziale riconquistare a tutti i costi Plancenoit; egli decise di ricorrere ad alcuni reparti della Vecchia Guardia e incaricò il generale Charles Antoine Morand di attaccare il villaggio. L'Imperatore parlò alle sue truppe scelte, il 1º Battaglione del 1º Reggimento granatieri e il 1º Battaglione del 2º Reggimento cacciatori, con accenti drammatici affermando che si era «arrivati al momento supremo», che bisognava «affrontare il nemico corpo a corpo» e sbaragliarlo «con la punta delle baionette» rigettandolo «nel vallone […] da dove minaccia l'armata, l'Impero e la Francia».
Il contrattacco dei due battaglioni della Vecchia Guardia venne sferrato sotto il comando del generale Jean-Jacques Germain Pelet-Clozeau: i veterani avanzarono in formazione serrata senza sparare e con le baionette innestate; la carica raggiunse immediato successo. Mentre il generale Duhesme radunava i soldati della Giovane Guardia per partecipare al contrattacco, i battaglioni del generale Pelet entrarono da due direzioni dentro Plancenoit e in venti minuti sbaragliarono i prussiani della brigata Hiller e riconquistarono il villaggio. I soldati della Vecchia Guardia quindi proseguirono l'avanzata per seicento metri e respinsero il nemico fino alle postazioni dell'artiglieria prussiana; la Giovane Guardia prese posizione dentro Plancenoit mentre sul fianco sinistro anche i reparti del VI Corpo del generale Lobau riguadagnarono terreno contro le brigate Hacke e Losthin del corpo d'armata del generale Bülow. Intorno alle 18:45 la situazione sul fianco destro napoleonico si era stabilizzata a favore dei francesi.
Generale Jean-Jacques Germain Pelet-Clozeau; eroe di Waterloo
Alle ore 19:30 Napoleone, rassicurato dal brillante successo della Vecchia Guardia a Plancenoit che aveva consolidato le posizioni sul fianco destro, ritenne possibile sferrare finalmente un attacco decisivo a Mont-Saint-Jean contro Wellington; in quel momento dal suo quartier generale era udibile il rumore dei cannoni del maresciallo Grouchy. Sembrava che il rombo dell'artiglieria fosse in avvicinamento e che il combattimento fosse in corso circa a due leghe e mezzo sulla destra della Belle-Alliance; questo fatto confortò ulteriormente l'imperatore; sembrava che finalmente Grouchy stesse arrivando sul campo di battaglia principale.
La realtà era molto diversa dalle ottimistiche illusioni dei comandanti francesi; il maresciallo Grouchy, impegnato in confusi e inconcludenti combattimenti con le retroguardie prussiane del III corpo d'armata del generale Thielmann nel settore di Wavre, non giunse mai a Mont-Saint-Jean. Intorno alle 16:00, mentre a Waterloo la cavalleria francese stava caricando i quadrati di Wellington, Grouchy aveva inviato il corpo d'armata del generale Gérard verso il mulino di Bierge, poco a sud di Wavre, per passare in quel punto il fiume Dyle, mentre il III Corpo di Vandamme attaccò a Wavre. Entrambe le azioni non ottennero grandi successi contro le retroguardie prussiane e Grouchy, verso le 17:00, deviò parte delle truppe al ponte di Limal, ancora più a sud; alla fine giornata, la situazione era giunta a un punto di stallo. In quel momento Grouchy era ancora ignaro di quello che era successo a Mont-Saint-Jean.
Napoleone decise di attaccare lungo l'intera linea e di impiegare tutta la fanteria superstite. Da Hougoumont a Papelotte, i tirailleurs moltiplicarono la loro azione per aprire la strada alle colonne d'attacco; il generale d'Erlon portò avanti i reparti ancora efficienti delle divisioni Donzelot, Allix e Marcognet che attaccarono energicamente, mentre il generale Reille non riuscì a mandare in linea molte truppe. L'imperatore fece entrare in azione le ultime batterie della riserva d'artiglieria ancora disponibili e i cannoni continuarono a tirare fino alla fine contro la cresta. Lo sfondamento decisivo, cui l'imperatore mirava sin dal mattino, poteva tuttavia essere realizzato solamente impiegando contro il centro delle linee nemiche quei battaglioni della Guardia imperiale ancora disponibili, che costituivano l'ultima riserva fresca a disposizione.
Il periodo più favorevole per i francesi tuttavia era già passato; Wellington, informato dell'imminente attacco da un capitano di cavalleria francese disertore, aveva avuto il tempo di rafforzare il centro del suo schieramento facendo affluire tutte le riserve ancora disponibili e richiamando reparti dagli altri settori. Mentre le brigate britanniche Adam e Maitland venivano riportate in prima linea, giunsero sul posto le brigate tedesche du Plat e William Hackett e soprattutto l'intera divisione belga-olandese Chassè; anche la cavalleria di Vivian e Vandeleur dall'ala sinistra si trasferì verso la strada maestra.
Dei trentasette battaglioni di riserva disponibili, tolti quelli già impiegati contro i prussiani e i due battaglioni del 1º Reggimento granatieri lasciati a La Belle Alliance per garantire un estremo caposaldo, Napoleone aveva ancora disponibili per l'attacco finale undici battaglioni della Vecchia Guardia, poco più di seimila soldati veterani. L'imperatore in un primo tempo guidò personalmente la marcia di avvicinamento dei suoi reparti scelti, quindi affidò al maresciallo Ney la conduzione diretta dell'attacco che sarebbe stato sferrato in prima linea da sei battaglioni del 3º e 4º Reggimento cacciatori e del 3º e 4º Reggimento granatieri, la cosiddetta Moyenne Garde, a cui sarebbe seguito un secondo scaglione con altri tre battaglioni del 2º Reggimento granatieri e del 1º e 2º Reggimento cacciatori. La Vecchia Guardia avanzò lentamente in formazione a quadrato per poter respingere un eventuale attacco della cavalleria britannica; sembra tuttavia che Ney fece deviare erroneamente verso sinistra i battaglioni, esponendoli al fuoco laterale; inoltre i reparti della Vecchia Guardia, schierati a scaglioni e non in colonna, persero l'allineamento ed entrarono in combattimento separati perdendo parte della loro potenza d'urto.
L'avanzata della Vecchia Guardia avvenne sotto il fuoco a mitraglia dell'artiglieria britannica che colpì i quadrati di fronte e di fianco; nonostante le perdite, i francesi serrarono i ranghi e continuarono ad avanzare sotto la guida dei loro ufficiali; ogni battaglione era comandato da un generale: al 3° granatieri i generali Friant e Porret de Morvan, al 4° granatieri il generale Harlet, al 3° cacciatori i generali Michel e Mallet, al 4° cacciatori il generale Henrion; Ney si affiancò a piedi, dopo avere avuto il quinto cavallo della giornata abbattuto sotto di lui, al generale Friant.
I primi a venire a contatto con i difensori furono sulla destra i due battaglioni di granatieri; i francesi sembrarono inizialmente avere la meglio e, dopo aver superato la debole resistenza delle truppe di Brunswick, raggiunsero due batterie britanniche e quindi costrinsero alla ritirata due reggimenti della brigata Colin Halkett; il generale Friant, ferito ed evacuato nelle retrovie, riportò notizie ottimistiche all'imperatore. Gli anglo-alleati fecero intervenire tempestivamente le riserve: il principe d'Orange guidò personalmente un contrattacco con un battaglione del reggimento von Kruse; il principe cadde ferito ma l'assalto fermò l'avanzata dei granatieri; inoltre i reggimenti 30° e 73° britannici riuscirono a costituire un nuovo schieramento e, sostenuti dal fuoco di una batteria olandese, inflissero dure perdite ai francesi. Anche gli altri due reggimenti della brigata Colin Halkett, il 33° e il 69°, attaccati dal 4° granatieri rischiarono di crollare; il generale Halkett venne gravemente ferito, ma alla fine i britannici arrestarono l'avanzata nemica. Dopo alcuni minuti di fuoco di fucileria, i due reparti della Vecchia Guardia furono infine sconfitti e costretti alla ritirata dal decisivo intervento della brigata Ditmers della divisione belga-olandese Chassè, che contrattaccò alla baionetta sul fianco dei quadrati francesi.
Mentre avveniva questo combattimento, sulla sinistra, i due battaglioni del 3º Reggimento cacciatori risalirono il pendio in massa compatta e inizialmente non incontrarono ostacoli da parte della fanteria e giunsero fino al margine della strada infossata pur subendo perdite per il fuoco dei cannoni nemici. A questo punto tuttavia si trovarono improvvisamente di fronte circa 2.000 soldati britannici della brigata Guardie del generale Maitland che erano rimaste fino a quel momento al riparo sdraiati a terra. Al comando dei loro ufficiali, i soldati britannici scattarono in piedi e, schierati su quattro file, aprirono il fuoco che a distanza ravvicinata si rivelò devastante: il mito vuole che Wellington diede l'ordine gridando «Alla carica! – Guardie in piedi , dategli addosso!», ma in realtà il Duca disse «Avanti Maitland. Adesso tocca a voi!».
I cacciatori della Guardia subirono immediatamente circa trecento perdite sotto il fuoco della fanteria britannica e il generale Michel cadde mortalmente ferito. I francesi, sorpresi dall'improvvisa azione nemica e ridotti a poco più di un battaglione, non cercarono di proseguire l'avanzata e caricare, ma rimasero fermi sul posto per circa dieci minuti cercando di rispondere al fuoco e subendo nuove perdite. Sottoposti al tiro anche di due batterie di cannoni e caricati dalle truppe britanniche delle Guardie, i soldati del 3° cacciatori ben presto si disgregarono e ripiegarono nella confusione; i britannici tuttavia che erano scesi giù per il pendio, vennero minacciati sul fianco dall'arrivo del battaglione del 4° cacciatori che, schierato in quadrato, risaliva lentamente sull'estrema sinistra. Le truppe del generale Maitland ripiegarono verso la cresta dove si schierarono nuovamente in linea, mentre i cacciatori della Vecchia Guardia ripresero l'avanzata sotto il fuoco nemico. L'artiglieria britannica schierata nella zona colpì pesantemente le truppe francesi che riuscirono ugualmente a raggiungere la strada infossata e a superare le siepi; a questo punto tuttavia la situazione dell'ultimo quadrato della Vecchia Guardia divenne critica: le Guardie di Maitland ripresero un fitto fuoco di fila frontale, mentre sui fianchi francesi entrarono in azione la brigata Adam, i resti della brigata Colin Halkett e gli hannoveriani della brigata William Halkett.
I francesi cercarono di resistere sulle posizioni raggiunte e risposero al fuoco, ma subirono crescenti perdite e il generale Mallet venne gravemente ferito; sembra che l'intervento sul fianco sinistro francese da parte del 52º Reggimento fanteria dell'Oxfordshire guidato dall'energico colonnello Colborne abbia accelerato il crollo finale della Vecchia Guardia; entro pochi minuti anche l'ultimo quadrato francese si disgregò e ripiegò in rotta lungo il pendio. L'attacco finale francese era fallito con la perdita di 1.200 soldati tra morti e feriti, tra cui sessanta ufficiali; i resti della Vecchia Guardia cercarono in un primo momento di ritirarsi con ordine e ridiscesero dalla strada infossata, ma la vista della sconfitta di quelle truppe scelte, ritenute invincibili, scosse in modo decisivo il morale della fanteria francese; si diffuse rapidamente lo stupore e poi il panico; si udirono tra le file francesi le grida "La Garde recule", lo sbandamento si estese velocemente lungo tutto lo schieramento di Napoleone.
La situazione generale dei francesi si era già fortemente aggravata ancor prima del disperato attacco finale della Guardia a causa della comparsa e dell'attacco, nella zona di Papelotte, degli elementi di punta del I Corpo d'armata prussiano del generale Hans Ernst Karl von Zieten contro il precario fianco destro dello schieramento francese. Partite da Wavre alle ore 12:00, queste forze prussiane avevano incontrato grandi difficoltà durante la marcia per gli ingorghi con le altre colonne in movimento e per la mancanza di buone strade attraverso il bosco di Rixensart; di conseguenza il generale Zieten era arrivato con le avanguardie a Ohain solo alle ore 18:00. Inoltre, il generale Zieten ricevette notizie disastrose sull'andamento della battaglia e, temendo di rimanere isolato di fronte alla presunta ritirata dei britannici, in un primo momento decise di deviare verso sud per collegarsi con le truppe del generale Bülow verso Plancenoit. Fu il barone von Müffling che convinse Zieten a cambiare i suoi piani; egli affermò che «la battaglia è perduta se il I corpo non soccorre il Duca»; alle ore 19:30, proprio mentre la Guardia Imperiale incominciava il suo attacco finale, le truppe prussiane di testa del I Corpo sbucarono finalmente da Smohain e attaccarono il fianco destro francese a Papelotte.
Quando Napoleone vide le colonne di Zieten in arrivo, per non demoralizzare le truppe che stavano conducendo l'attacco finale, ordinò di diffondere la notizia che si trattava dei reparti di Grouchy, ma l'espediente fu di breve durata e non poté impedire che il panico, dopo che la Guardia era stata battuta, si propagasse in tutto l'esercito. In realtà le truppe prussiane del I Corpo d'armata che attaccarono da Smohain verso Papelotte erano numericamente deboli dopo le perdite nelle precedenti battaglie; si trattava solo della brigata Steinmetz e di una parte della cavalleria del generale Rödel; inoltre si verificarono alcuni incidenti con scontri a fuoco per errore tra prussiani e britannici. Nonostante queste difficoltà l'attacco prussiano raggiunse subito il successo: i reparti della divisione Durutte cedettero a Papelotte e La Haye. Tra le truppe francesi, stanche ed esasperate dalla lunga battaglia, sconvolte per la sconfitta della Vecchia Guardia e per l'arrivo dei prussiani da una direzione da cui attendevano gli aiuti di Grouchy, si diffusero voci di «tradimento»; le grida dei soldati «si salvi chi può!» e «sono troppi!», segnalarono l'inizio del disfacimento irreversibile dell'armata in rotta. I tentativi disperati del maresciallo Ney di radunare le truppe e organizzare la resistenza non ottennero alcun risultato.
Wellington colse l'occasione per mandare le brigate di cavalleria leggera di Vivian e Vandeleur a disperdere quello che rimaneva dei battaglioni della Guardia, poi l'intera linea alleata si gettò in avanti all'assalto, mentre i prussiani sempre più numerosi accorrevano sul campo di battaglia.
Napoleone capì subito che la battaglia era persa. Egli, dopo aver cercato invano di impedire la fuga del suo esercito, non poté fare altro che rallentare l'avanzata nemica per proteggere la ritirata delle truppe in rotta; l'imperatore cercò di controllare la situazione con i tre battaglioni della Vecchia Guardia che erano stati tenuti in seconda linea al momento dell'attacco finale; il 2º Battaglione del 1º Reggimento cacciatori, del 2º Reggimento granatieri e del 2º Reggimento cacciatori, al comando dei generali Cambronne, Roguet e Christiani, vennero schierati rapidamente in quadrati e disposti circa cento metri a sud di La Haye Sainte. Gli squadroni di cavalleria di scorta all'imperatore operarono delle cariche disperate per frenare la cavalleria britannica del generale Vivian che, dopo aver evitato i quadrati, disgregò le colonne in fuga della fanteria francese. I quadrati della Vecchia Guardia riuscirono a respingere la cavalleria ma subirono pesanti perdite sotto il tiro della fanteria delle brigate Adam e William Hackett e dell'artiglieria; alla fine Napoleone ordinò la ritirata e i quadrati iniziarono a marciare verso le alture della Belle-Alliance.
La linea francese era crollata anche a nord di Plancenoit; le due divisioni del VI Corpo d'armata di Lobau furono attaccate di fronte dalle brigate Losthin e Hacke del IV Corpo prussiano, sostenute dalla cavalleria del principe Guglielmo, e vennero aggirate da nord dalla brigata Steinmetz e dai reparti a cavallo del generale Rödel che, dopo aver sbaragliato la divisione Durutte, avanzavano in massa verso sud. La Giovane Guardia e due battaglioni della Vecchia Guardia nel frattempo si erano asserragliati dentro Plancenoit al comando dei generali Morand, Pelet e Duhesme e si batterono con grande determinazione per coprire la linea di ritirata francese; le brigate prussiane Ryssel, Hiller e Tippelskirch non riuscirono al primo assalto a conquistare il villaggio, che si incendiò sotto i colpi dell'artiglieria. Il secondo assalto, diretto personalmente dal generale von Gneisenau, diede luogo a scontri sanguinosi e accaniti in mezzo agli incendi delle case; un battaglione della Giovane Guardia si difese dentro il cimitero a oltranza prima di essere totalmente distrutto; i soldati prussiani dimostrarono grande ostinazione e odio verso i francesi; il 25º Reggimento del maggiore von Witzleben riuscì ad aggirare le posizioni nemiche e penetrare nel villaggio da sud. Alla fine, alle ore 21:15, i prussiani in grande superiorità numerica ebbero la meglio conquistando Plancenoit ormai devastata dopo cruenti combattimenti ravvicinati nelle case, nelle strade e nei granai; i francesi superstiti ripiegarono in disordine verso Le Caillou dopo aver abbandonato l'artiglieria.
Mentre le masse sbandate francesi rifluivano in rotta lungo la strada maestra, la Vecchia Guardia svolse un'ottima azione di retroguardia, dimostrando grande valore in quei momenti di caos. I quattro battaglioni superstiti marciarono ordinatamente verso la Belle-Alliance, respingendo continui attacchi e sostenendo l'intenso fuoco del nemico; a causa delle continue perdite, si dovette riorganizzare lo schieramento su due ranghi in formazione triangolare e ogni cinquanta metri gli ufficiali fermavano la marcia per respingere le cariche nemiche e rettificare le file; la Vecchia Guardia si ritirava isolata, circondata dai nemici mentre il resto dell'armata si disgregava completamente. Il generale Pierre Cambronne, del 1º Reggimento cacciatori della Vecchia Guardia, entrò nella storia pronunciando la famosa parola «Merde!» alla richiesta di resa di un ufficiale britannico, prima di cadere gravemente ferito al viso ed essere catturato incosciente sul campo di battaglia.
Generale di brigata Pierre Cambronne; l'ultimo ad arrendersi a Waterloo.
I soldati della Guardia cercarono di raggiungere la fattoria di Ronsomme, dove Napoleone aveva organizzato un punto di raduno con i soldati dei due battaglioni del 1° granatieri della Vecchia Guardia, che durante la battaglia erano rimasti come ultima riserva. Mentre l'imperatore e i suoi generali, tra cui Soult, Ney, Bertrand e La Bedoyere, entravano nel quadrato del 1º Battaglione, i veterani, al comando del generale Petit, respinsero tutti gli attacchi, coprirono il riflusso degli altri soldati della Guardia e impedirono anche con le armi che gli sbandati dell'esercito disgregassero quest'ultimo ridotto. Alle ore 21:30 Napoleone ordinò la ritirata e i due battaglioni ripiegarono ordinatamente ai due lati della strada maestra fino a Le Caillou dove si congiunsero con il 1º Battaglione dei cacciatori della Guardia, che aveva difeso questa posizione contro gli attacchi dei prussiani provenienti da Plancenoit.
L'esercito di Wellington partecipò inizialmente all'inseguimento dei francesi, ma furono i prussiani di von Gneisenau a proseguire fino oltre Frasnes-lez-Gosselies. Il bottino fino a quel momento comprendeva l'intera artiglieria napoleonica, più di mille carri e cassoni portamunizioni e un gran numero di prigionieri. I prussiani condussero l'inseguimento dell'esercito francese in rotta con grande accanimento, Blücher ordinò di non dare tregua; i soldati prussiani, estremamente ostili ai francesi, si abbandonarono a episodi di ferocia con eliminazione sommaria di prigionieri e il panico si diffuse tra i superstiti; anche Victor Hugo evidenzierà la spietatezza e l'implacabilità dei prussiani durante l'inseguimento. Ben presto le truppe prussiane fecero irruzione a Le Caillou; il villaggio venne incendiato e i feriti francesi morirono bruciati o uccisi a colpi di baionetta; anche il chirurgo capo dell'armata francese, il famoso Dominique-Jean Larrey, fu catturato e, scambiato erroneamente per Napoleone, rischiò di essere immediatamente fucilato dai prussiani.
Il generale von Gneisenau continuò l'inseguimento con grande determinazione durante tutta la notte successiva alla battaglia e fu in questa fase che i francesi in rotta nel panico abbandonarono la maggior parte dei loro cannoni che furono catturati dai prussiani. In un primo momento Napoleone, che a Le Caillou, completamente esausto era salito sulla carrozza imperiale, aveva sperato di radunare le truppe a Genappe, ma nell'abitato si diffuse subito la massima confusione tra i soldati sbandati che cercavano di passare l'unico ponte sul fiume Dyle; l'imperatore rischiò addirittura di essere catturato e dovette abbandonare in tutta fretta la carrozza imperiale e fuggire a cavallo con una piccola scorta. I prussiani del 15º reggimento, guidati dal maggiore von Keller, si impadronirono dell'intero corteo delle carrozze imperiali, del tesoro in oro e diamanti presente nelle vetture e di alcuni trofei dell'imperatore, tra cui una spada, vestiti e cappello di ricambio, e alcune medaglie.
Napoleone sperava ancora di incontrare a Quatre-Bras la divisione Girard, rimasta indietro a Ligny, per stabilire un punto di raduno generale; quando l'Imperatore giunse a Quatre-Bras le truppe della divisione non erano ancora arrivate, perciò la ritirata continuò fino al 19 giugno attraverso Charleroi e Philippeville; entro la mattina del 19 ogni contatto con gli inseguitori era stato finalmente interrotto e Napoleone, che ancora scriveva che «non è tutto perduto… c'è ancora tempo per rimediare la situazione», ordinò a Soult di far riposare e riorganizzare i superstiti mentre lui proseguiva per Parigi, dove sperava di organizzare una campagna difensiva.
A Wavre, Grouchy ricevette la notizia della sconfitta di Napoleone solamente alle 10:30 del 19 giugno. Durante la notte i francesi erano riusciti ad allargare la testa di ponte e, grazie alla netta superiorità numerica, avevano obbligato il III Corpo d'armata del generale prussiano Johann von Thielmann a ritirarsi dalla città. La vittoria fu inutile; Grouchy ordinò subito la ritirata e riuscì a ripiegare con abilità, rientrando in Francia il 21 giugno, dopo essere sfuggito all'inseguimento prussiano.
Nella relazione della battaglia che compilò la mattina del 19 giugno per Henry Bathurst, Segretario di Stato per la Guerra e le Colonie, Wellington lodò con misura l'operato dei suoi uomini e dei suoi ufficiali ed elogiò anche i prussiani. La notizia della vittoria arrivò a Londra la sera del 21 giugno, più o meno quando iniziò a diffondersi, con sentimenti ovviamente opposti, anche a Parigi. Nella capitale Napoleone era al lavoro per organizzare un nuovo esercito prendendo misure d'emergenza, ma il Parlamento francese gli era apertamente ostile e alla fine si risolse, il 23 giugno, a presentare un nuovo atto d'abdicazione, lasciando le sorti della Francia al governo provvisorio di Joseph Fouché.
Grouchy, dal 26 giugno nuovo comandante dell'esercito al posto di Soult, entrò a Parigi il 29 giugno con circa 50.000 superstiti, tallonato a breve distanza da Blücher e, più da lontano, da Wellington. La situazione militare della Francia non era del tutto disastrosa, come dimostrano i successi delle truppe dislocate lungo il Reno, nel Giura e presso le Alpi, nonché il successo del generale Exelmans nella battaglia di Rocquencourt contro i prussiani, ma alla lunga la superiorità numerica dei coalizzati fece il suo effetto e ogni resistenza armata cessò entro la fine di luglio. L'8 luglio, intanto, Luigi XVIII aveva fatto ritorno al Palazzo delle Tuileries, preceduto dai prussiani di Blücher che avevano varcato i confini parigini il 4 luglio. Napoleone, che il 29 giugno era partito per Rochefort nella speranza di trovare un veliero con cui fuggire in America, fu bloccato dalla Royal Navy e il 15 luglio si consegnò al capitano Frederick Maitland della marina britannica; fu infine deportato nella remota isola di Sant'Elena, dove morì sei anni dopo.
Impostagli dalla Camera la nuova abdicazione, sotto le pressioni del potente Fouché («Avrei dovuto farlo impiccare prima», sbottò Napoleone), egli dichiarò di immolarsi «in olocausto per la Francia» e chiese invano che venisse rispettata la sua volontà di porre sul trono all'età giusta suo figlio Napoleone II. Le forze nemiche, viceversa, entrarono a Parigi e rimisero sul trono Luigi XVIII. Napoleone si rifugiò al castello di Malmaison, la vecchia casa dove aveva abitato con la moglie Giuseppina, morta da poco. Condizione della consegna era la deportazione in Inghilterra o negli Stati Uniti, ove intendeva vivere soggetto al diritto comune e con lo status di privato cittadino. Il capitano Maitland, in rappresentanza del principe reggente, venne meno alla parola data e Napoleone venne tratto in arresto e condotto dal Northumberland a Sant'Elena, una piccola isola nel mezzo dell'oceano Atlantico, così remota e sperduta da rendere impossibile ogni tentativo di fuga.
Il 15 ottobre 1815 la nave da battaglia inglese HMS Northumberland giunse a Sant'Elena col prezioso carico. Con un piccolo seguito di fedelissimi, Napoleone fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, dove rimase fino al decesso.
Napoleone dettò le sue memorie ed espresse il suo disprezzo per gli inglesi, personificati nell'odiosa figura del "carceriere" di Napoleone sir Hudson Lowe (che dal trattamento duro riservato a Napoleone non trasse alcun vantaggio per la sua carriera, anzi fu accusato di essere stato troppo severo nei confronti dell'imperatore francese). Sulla base dei suoi ricordi, espressi in lunghe conversazioni quasi quotidiane, il conte de Las Cases scrisse Il Memoriale di Sant'Elena e nella seconda metà dell'aprile 1821 redasse egli stesso le sue ultime volontà, e molte note a margine (per un totale di 40 pagine).
I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell'isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17:49. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant'Elena, presso Sane Valley, come stabilito già l'anno prima dal governo inglese. Il governatore Lowe e i suoi uomini gli tributarono gli onori riservati ad un generale. L'autopsia accertò la causa di morte in un tumore dello stomaco.
Il 2 agosto 1830, nove anni dopo la morte di Napoleone, il re Carlo X di Borbone fu costretto ad abdicare e la corona venne concessa a Luigi Filippo d'Orléans di idee più liberali. La statua dell'imperatore fu restaurata sulla colonna di Place Vendôme e vi furono richieste del rientro in patria delle spoglie mortali. Il figlio cadetto del re, il Principe di Joinville, venne incaricato di riportare le spoglie dell'imperatore in Francia e questi, dopo aver ottenuto il permesso dei britannici, diresse una spedizione a Sant'Elena per riportare la salma a Parigi. Il 15 ottobre 1840, venne riesumata la salma che si rivelò intatta, vestita nell'uniforme di colonnello dei Cacciatori della Guardia. Ricomposto il corpo in una bara di ebano, l'imperatore cominciò il suo viaggio di ritorno in Francia sulla Belle-Poule, dove arrivò a Cherbourg il 2 dicembre, salutato dalle salve di cannone del forte e delle navi militari presenti.
Il 15 dicembre 1840 ebbe luogo il funerale solenne a Parigi celebrato con tutti gli onori del rango imperiale. Disposto il feretro su di un carro trainato da 16 cavalli, scortato dai Marescialli di Francia Oudinot e Molitor, l'ammiraglio Roussin e il generale Bertrand, a cavallo, sui quattro lati, il corteo funebre passò sotto l'arco di trionfo, tra due file di insegne con l'aquila imperiale, salutato dalle salve di cannone e accolto dalla famiglia regnante in nome della Francia. Il generale Bertrand, che aveva fedelmente accompagnato Napoleone all'Elba e a Sant'Elena, venne incaricato dal Re di porre la spada e il copricapo dell'imperatore sulla bara, ma non vi riuscì per l'emozione e fu sostituito dal generale Gourgaud. Più tardi, nel 1843 Giuseppe Bonaparte inviò il gran collare, il nastro, e le insegne della Legion d'onore che suo fratello aveva indossato.
I resti di Napoleone riposano in un monumento posto in una cripta a cielo aperto ricavata nel pavimento della chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi, esattamente sotto la cupola dorata. Il monumento, concepito dall'architetto Louis Visconti, venne terminato nel 1861 e consiste in un grande sarcofago di porfido rosso della Finlandia, che contiene le 6 bare entro cui è stato chiuso il corpo di Napoleone: dalla più interna alla più esterna abbiamo una bara in lamiera e poi una in mogano, due bare in piombo, una di ebano e l'ultima in legno di quercia. Intorno al sarcofago c'è un loggiato circolare decorato con enormi statue raffiguranti dodici Vittorie.