Il battito d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas.
Edward Lorenz
QUESTO E' IL PRIMO DI UNA SERIE DI ARTICOLI CHE ILLUSTRANO LE CARATTERISTICHE DELL'IMPRESA MODERNA - PER COMPLETEZZA SI RIMANDA, ANCHE, ALLA SEZIONE Glossari
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È ben noto che l'industrializzazione ha origine in Inghilterra nella seconda metà del XVIII secolo e che si propaga rapidamente ad altri paesi. Questo periodo è passato alla storia con la denominazione di "rivoluzione industriale", a causa delle ripercussioni economiche e sociali che esso ha provocato (1).
Nel XIX secolo, l'industria inizia ad assumere caratteri ben precisi:
- la separazione tra la proprietà dei mezzi di produzione e i produttori diretti,
- l'accentramento della mano d'opera in un unico luogo di lavoro (la fabbrica),
- l'impiego intensivo di macchine azionate da motori (in successione, idraulici, a vapore, elettrici),
- la produzione di massa.
È, anche, opportuno osservare che, nella seconda metà del XIX secolo, Augusto Compte adottò il positivismo (2) per i suoi trattati di filosofia e sociologia, che si diffusero, rapidamente, in tutto il mondo occidentale; il positivismo fertilizzò il terreno per la crescita dell'industrializzazione.
Infatti, il positivismo afferma.
- La conoscenza è ricondotta alla natura e richiede un metodo per analizzare i fenomeni. Il ricorso a cause o principi che non sono riconducibili al metodo scientifico non dà origine a conoscenza.
- La scienza è garante di una conoscenza certa e accettata da tutti.
- Gli uomini hanno come fine la felicità di tutti.
- Il progresso è inarrestabile e legato alla scienza.
1. Transizione dall'impresa artigianale all'impresa fordista
Nella seconda metà del XIX secolo gran parte delle popolazioni dei paesi, oggi, industrializzati vive di agricoltura e gran parte dei bisogni delle famiglie, sia in termini di prodotti, che di servizi, viene realizzata all'interno della famiglia. Là dove non arrivano le competenze e le risorse proprie si ricorre ai piccoli commercianti o agli artigiani. Le grandi famiglie aristocratiche e la borghesia ricorrono, quasi esclusivamente, all'offerta dei grandi commercianti e artigiani che operano, per lo più, nelle città.
In quello stesso periodo, esiste già anche una grande industria manifatturiera e gli economisti dell'epoca avvertono che i vantaggi comparati (3) per il successo dell'industria sono sostanzialmente tre.
- Vicinanza alle fonti di risorse naturali.
- Abbondanza di capitali.
- Abbondanza di forza lavoro.
Alla fine del XIX secolo, a esempio, le dieci maggiori imprese statunitensi sono:
- American cotton oil company
- American steel
- American sugar refining company
- Continental tobacco
- General electric
- National leed
- Tennesse coal and iron
- People's gas
- US leather
- US rubber
tutte imprese che, ad eccezione della General Electric, godono dei vantaggi comparati succitati.
Ma anche allora valeva il principio introdotto, da Joseph Alois Schumpeter e rielaborato, recentemente, dall'economista americano Lester Thurow e cioè «Il capitalismo è un processo di distruzione creativa secondo il quale nuove imprese piccole e dinamiche sostituiscono imprese grandi e vecchie, che non sono state capaci di adattarsi a nuove condizioni».
Coerentemente con questo principio, nel primo decennio del XX secolo, delle dieci prime imprese statunitensi, sopra elencate, è sopravvissuta solo la General Electric, l'impresa fondata da Thomas Edison, l'unica che non basa il proprio vantaggio comparato sulle risorse naturali.
All'inizio del secolo, la distribuzione della ricchezza inizia a interessare un numero sempre maggiore di persone che aspirano, non solo ad elevare il proprio livello sociale, ma anche a possedere beni di consumo e beni durevoli in grado di assicurare maggiori comodità, e, pertanto, il sistema produttivo deve adattarsi a questa nuova realtà.
Per rispondere a una domanda sempre più sostenuta, sono necessari due ingredienti: una produzione di massa e prezzi accessibili a un numero sempre maggiore di persone. Hanno, pertanto, successo quelle imprese che per prime adottano i principi delle economie di scala, della parcellizzazione del lavoro (4), della produzione di serie e della standardizzazione.
L'impresa che nasce all'inizio del secolo è chiamata "impresa fordista" in ricordo dell'industria che lanciò la motorizzazione di massa negli Usa; è del 1908, infatti, la prima utilitaria costruita dalla Ford utilizzando, per la prima volta, la catena di montaggio.
2. L'impresa orientata alla produzione
È nata la grande industria che si rivolge direttamente al consumatore e la sua missione è produrre. Le caratteristiche salienti dell'impresa orientata alla produzione sono:
- il rapporto tra produttore e utilizzatore è monodirezionale, dal produttore all'utilizzatore;
- il consumatore è "prigioniero" di un sistema transazionale che non controlla;
- l'impresa è orientata a vendere ciò che produce;
- l'impresa è convinta di esistere perché produce;
- l'impresa parte da se stessa, concentra la propria attenzione sulla produzione e/o sul prodotto e si propone di conseguire il massimo profitto massimizzando i volumi di produzione.
3. L'impresa si orienta alla vendita
Ben presto, però, l'industria si accorge che non è sufficiente riempire piazzali e magazzini di prodotti, ma che è più strategico vendere e creare sistemi di distribuzione efficaci, portare il prodotto verso il cliente; l'impresa si trasforma e quindi, si orienta alla vendita.
Gli anni precedenti la grande depressione sono la mecca dei venditori; la produzione domina e le attenzioni delle imprese sono concentrate quasi esclusivamente sui costi di produzione e di distribuzione. Con i consumatori che acquistano le merci alla velocità con cui vengono prodotte, non c'è alcun bisogno di preoccuparsi di creare una relazione con il cliente, è sufficiente fare in modo che i percorsi della distribuzione, dal produttore al consumatore, funzionino efficacemente.
Una situazione analoga a quella degli anni venti si verificherà alla fine della seconda guerra mondiale.
4. L'impresa si orienta al cliente
La Ford, all'inizio della sua produzione di massa, costruisce un solo tipo di automobile il leggendario modello T; obiettivo principale dell'impresa è ridurre il più possibile il prezzo di vendita. Ford, in questa fase pionieristica della produzione di massa, è geniale poiché comprende che più del prodotto doveva essere venduto il prezzo. Grazie a questa filosofia la Ford riesce a conquistare una posizione dominante.
Ma, con il crescere del benessere, alcune imprese incominciano a rendersi conto che i consumatori possono permettersi di spendere qualche centinaia di dollari in più, pur di uscire dalla standardizzazione. Una di queste, la General Motors, avvia la politica della produzione di una gamma di modelli studiati per le esigenze di una clientela differenziata.
Ottant'anni fa viene combattuta, sul mercato dell'auto, una battaglia storica. Mentre Henry Ford continua ad operare in base alla famosa battuta «Date al cliente un'auto di qualsiasi colore, a patto che sia nero», la GM adotta la strategia di «Offrire un'auto per ogni borsa, esigenza e personalità». Grazie a questa politica la GM sorpassa la Ford come primo produttore mondiale di automobili; tra il 1920 e il 1923 la produzione della Ford crolla, infatti, dal 55% al 12% del mercato statunitense.
La grande depressione dà, sostanzialmente, il via alla funzione marketing. Come è noto, è nei momenti di crisi che le imprese più vivaci attuano iniziative di tipo innovativo per superare le difficoltà.
Uno dei primi passi verso la realizzazione dei principi del marketing viene compiuto dalla General Motors, il cui Presidente Sloan afferma, nel 1933, «La preoccupazione di acquisire una sensibilità commerciale in armonia con le esigenze del consumatore finale diventa una preoccupazione di crescente importanza» e «... servire il consumatore nel modo in cui vuole esserlo è la via più rapida per conseguire profitti ».
Questo processo di valutazione del ruolo del consumatore, rispetto alla strategia della pura vendita, subisce un passo d'arresto con la seconda guerra mondiale, quando la scarsezza dell'offerta rispetto alla domanda mette nuovamente in secondo piano le esigenze del consumatore.
Dopo la guerra, a partire dagli anni '50, si assiste a un'accelerazione nella valorizzazione delle ricerche di mercato e nella tendenza ad approfondire le potenzialità del marketing.
Si può affermare che, se negli anni '30 obiettivo del direttore commerciale era quello di massimizzare le vendite, negli anni '50-'60 obiettivo del direttore marketing, delle imprese più avanzate, diventa quello di ottimizzare il profitto dall'azione di vendita, di definire gli elementi per la realizzazione dei piani di sviluppo e di approntare iniziative atte a contrastare la concorrenza.
Nasce la customer satisfaction e, gradualmente ma costantemente, il consumatore diventa l'elemento che sempre più influenza e pilota scelte e strategie aziendali. Il responso dello scaffale è sacro e, negli anni '60-'70, viene assunto nelle aziende il principio della centralità del consumatore/cliente rispetto alla produzione.
Non è solo il sistema della produzione che adotta il criterio della customer satisfaction ma anche il settore dei servizi entra in questo tipo di logica.
5. La nascita dell'economia dei servizi
Con il graduale rivolgersi dell'impresa verso il soddisfacimento dei bisogni del cliente si assiste ad una nuova evoluzione nel mondo dell'economia: la transizione dall'era industriale a quella post-industriale.
Quando, nel 1973, Daniel Bell scrisse il famoso The coming of post-industrial society, in Usa e in Europa, l'erogazione di servizi aveva già superato la produzione di beni, diventando la prima forza trainante del capitalismo. In quell'anno, infatti, negli Usa ben 65 lavoratori su 100 erano occupati nel settore dei servizi (nel 2000 il comparto dei servizi occupa, in Usa, più del 77% della forza lavoro e contribuisce per più del 75% al valore aggiunto dell'economia).
Come, alla fine del XIX secolo, lo storico Arnold Toynbee conia il termine di "era industriale" (circa cento anni dopo il suo primo manifestarsi), così il XX secolo vede la progressiva trasformazione del capitalismo industriale nel capitalismo "post-industriale". Daniel Bell ha interpretato la caratteristica fondamentale di questa trasformazione «La società dell'era industriale qualifica la qualità della vita in base alla quantità di beni posseduti, la società dell'era post-industriale classifica la qualità della vita in termini di servizi e comodità, quali, assistenza sanitaria, educazione, tempo libero, ricreazione, turismo, arte».
6. Eccessi della customer satisfaction
Nell'evoluzione del rapporto tra offerta e domanda la centralità del cliente viene portata alle estreme conseguenze. Il produttore si trasforma in un ricevitore passivo della domanda del consumatore; è il mercato e non la produzione che stabilisce il ciclo di vita del prodotto, a prescindere dalla sua perfezione tecnologica, il valore di un prodotto perde la sua oggettività, per dipendere da un numero di variabili che sfuggono al controllo della produzione.
Nel caso di prodotti tecnologici si instaura nel consumatore una frenesia verso la novità fine a se stessa mentre, all'altro estremo, nel campo dei beni di consumo, il cliente è interessato ai buoni acquisto, ai sorteggi, ai bollini, alle vendite promozionali, alla visibilità pubblicitaria, piuttosto che alle caratteristiche e alla qualità del prodotto.
7. L'impresa moderna
L'approccio della centralità del cliente mostra i propri limiti; esso rischia, infatti, di tarpare le potenzialità di innovazione e la fantasia dei produttori. Gli esperti americani devono ammettere che l'impresa, nella rincorsa affannosa dei desideri dei consumatori/clienti, di soggetti, cioè, caratterizzati da comportamenti emotivi e chiusi nella propria limitata esperienza per rappresentare la fonte dell'innovazione, è stata la vittima di questo atteggiamento market responsive (5).
Viene riabilitato il technology push (6), ma, contestualmente, riconosciuto lo stesso livello di importanza a cliente e produttore.
Fortunatamente per il mercato, si assiste ad una significativa evoluzione del cliente; a esempio la suggestione per il nuovo, indipendentemente dai suoi contenuti, va, man mano, perdendo di attrattiva. Il consumatore ha imparato a sue spese che non sempre il nuovo risulta soddisfacente; ne sono emersi, sia un orientamento di estrema selettività verso il nuovo che viene accettato in quanto assicura un incremento di performance considerate "rilevanti" rispetto al vecchio prodotto, sia una sorta di insofferenza nei confronti di ciò che non risulti user friendly.
Indagini presso clienti di prodotti industriali mostrano, inoltre, che, mentre una volta il grado di soddisfazione del cliente si fermava, prevalentemente, alla qualità del prodotto all'atto dell'acquisto, oggi, nel b2b, il 50% dei clienti premia il servizio e la rete di assistenza post-vendita.
Non solo l'evoluzione dell'impresa, ma, anche, la maturazione del consumatore, portano, quindi, alla nascita dell'impresa "moderna", preparata a sostenere le nuove sfide che si presentano sui mercati.
8. Caratteristiche dell'impresa moderna
Le caratteristiche principali dell'impresa moderna, simmetricamente a quanto si è detto a proposito dell'impresa orientata alla produzione, sono.
- tra produttore e utilizzatore si è stabilito un rapporto bi-direzionale di informazioni;
- l'impresa è orientata a produrre ciò che é in grado di vendere;
- l'impresa è convinta di esistere in quanto si sente capace di soddisfare specifici bisogni di specifici clienti;
- l'impresa parte dal mercato, concentra la propria attenzione sull'individuazione dei bisogni dei clienti (bisogni in forma anche latente), individua i mezzi, le tecnologie e le risorse umane più appropriati per raggiungere gli obiettivi della massima soddisfazione del cliente e dell'ottimizzazione dei profitti, si impegna perché, al termine dello scambio, impresa e cliente abbiano raggiunto entrambi un livello di maggiore soddisfazione (Di Stefano, 1997).
Oggi si parla di impresa virtuale, di impresa senza confini, di impresa cava, di impresa a rete, di impresa snella, tutti modi di interpretare l'impresa:
- valorizzando prodotti e processi di natura immateriale;
- trasferendo all'esterno alcune o tutte le attività operative (in tal caso si parla di hollow enterprise) e valorizzando pertanto il ruolo della Pmi altamente specializzata. Il sub-fornitore, una volta etichettato "l'indotto", diventa uno stretto collaboratore dell'impresa committente;
- privilegiando, come risorsa principale, l'intelligenza dell'uomo. «Le imprese si contenderanno più vigorosamente i dipendenti che i clienti» (Koch, 1993);
- basando tutti i processi aziendali sulla information technology (Duse, 1998);
- puntando, nei rapporti interpersonali, sul coinvolgimento dei dipendenti, sulla forza della motivazione (Denny, 1998) e sul modello dell'open-book management (Ivancic, 1998);
- utilizzando l'automazione per lavori manuali, pesanti, routinari o rischiosi;
- sostituendo al taylorismo, che tende a ingessare l'impresa, la lean production (7), che prevede il continuo miglioramento delle mansioni affidate agli operatori, il processo di delega delle responsabilità anche ai livelli inferiori, la job rotation e l'apprendimento continuo;
- adottando processi di lavorazione a basso impatto ambientale e a basso consumo energetico.
Viene scoperto (Club de Bruxelles, 1995) il ruolo fondamentale giocato dalle Pmi, sia per la loro capacità produttiva, sia come fonte di innovazione tecnologica. Il Club de Bruxelles sostiene che in Europa e in Usa, le Pmi realizzano due volte più innovazione per impiegato e 3,5 volte più innovazione per dollaro investito, rispetto alle grandi imprese; più del 60 % delle innovazioni degli anni novanta sarebbe realizzata da persone singole o da Pmi.
La nuova impresa leggera (senza confini, senza contenuto, senza riserve, che si integra nel territorio) è completamente diversa da quella vecchia e pesante (fisicamente demarcata e compatta, caratterizzata da grandi investimenti materiali, da propri canali di distribuzione, da grande rigidità, da grandi riserve, da assoluta autonomia produttiva).
L'impresa moderna è caratterizzata da un'organizzazione reticolare (impresa a rete o impresa rete) in grado di orientare il proprio ambiente interno verso un'area sempre più vasta, espressione di un mercato operante nel cosiddetto villaggio globale.
Si pensi al successo che sta avendo negli Usa il commercio elettronico. Lo spirito pionieristico degli americani ha trovato nel villaggio globale la sua nuova frontiera. Secondo alcuni economisti, questa è la ragione perché, per la prima volta nella sua storia economica moderna, gli Usa riescono a coniugare, crescita economica, bassa inflazione e disoccupazione calante.