Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.
Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:
1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.
PREMESSA A LE LEGGI
Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase
finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita,
ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad
alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata
nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo.
In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche
(frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse
ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche
anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una
sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato
anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di
trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle
Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato
e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro
esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene
coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica,
mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così
l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche
sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati
da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente
l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei
personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una
colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero
quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni
volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre
con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi
prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano
Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso
conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire
alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le
consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della
conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in
vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è
d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle
relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della
guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza.
Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti
perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro
eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un
fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene,
essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente
impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le
danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in
genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro
giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma
anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre
tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i
sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui
Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da
persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica:
Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente
annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però,
come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia
reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per
delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni
delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi
dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere
moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in
esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo
fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita
all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla
costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben
presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza.
Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà
discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere:
oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più
possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e
d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni
storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che
difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di
giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine
dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto
minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge
vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare
l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e
deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del
nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno
di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato
viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto
vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si
procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per
gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per
la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed
un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si
affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per
tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica
per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto
per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre
discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi.
Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di
rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e
le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle
norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai
diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa
in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che
si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale
nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira
e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi
possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o
ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi:
Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si
prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito
non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche
affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini
stipulano fra loro.
La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il
commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più
significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo
ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le
normative sulle mallevadorie.
Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza
di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il
complesso delle virtù nello stato.
Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion
d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto
dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la
dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE
LIBRO SECONDO
ATENIESE: Dopo di ciò, a quanto pare, bisogna esaminare, a questo riguardo, se i simposi hanno soltanto questo bene, e cioè quello di esaminare la disposizione della nostra indole, oppure se nell'uso corretto delle riunioni dove si beve vino vi sia qualche altro grande vantaggio degno di molta attenzione. Che cosa dunque diciamo? Che questo vantaggio esiste, come pare che il mio discorso voglia dimostrare: ma dove e come lo si ottenga, ascoltiamo e facciamo attenzione, per non rimanere noi stessi vittima del nostro stesso ragionamento.
CLINIA: Parla dunque.
ATENIESE: Desidero ricordare ancora una volta che cosa mai intendiamo per retta educazione. La sua salvezza consiste infatti, per quel che ora capisco, nello svolgimento corretto di questa pratica.
CLINIA: Quello che dici è importante.
ATENIESE: Dico dunque che le prime sensazioni infantili dei bambini sono piacere e dolore, ed è in quest'ambito di piacere e dolore che si insediano per la prima volta, nella loro anima, virtù e vizi, mentre per quanto riguarda la prudenza e le opinioni vere e stabili, può ritenersi fortunato colui che riesce a venirne in possesso quando giunge alla vecchiaia: perfetto è dunque quell'uomo che possiede questi beni e tutti quelli che vi sono inclusi. Denomino educazione quella virtù che per la prima volta si insedia nei fanciulli: e se il piacere e l'amore, e il dolore e l'odio nascono correttamente nelle loro anime, quando ancora non sono in grado di coglierli con la ragione, e se, non appena potranno cogliere la ragione, si accordano ad essa, essendo stati abituati a farlo nei modi più convenienti, proprio quest'accordo rappresenterà la più completa virtù. Se allora individuiamo con il ragionamento quello che costituisce il corretto orientamento verso i piaceri e i dolori, sicché si odia quel che si deve odiare, subito, dall'inizio sino alla fine, e si ama quel che si deve amare, e chiamiamo questo complesso di cose educazione, a mio avviso gli assegneremo una denominazione corretta.
CLINIA: E infatti, straniero, ci sembra che anche prima, così come in questo momento, tu abbia parlato in modo corretto dell'educazione.
ATENIESE: Bene dunque. E poiché l'educazione, che consiste in quel corretto orientamento verso i piaceri e i dolori, si allenta e si corrompe in molte circostanze della vita, gli dèi, provando pietà per il genere umano che è destinato a vivere in mezzo ai travagli, stabilirono, per gli uomini come delle pause fra questi travagli, che sono rappresentate dall'alternarsi delle feste in onore degli dèi, e diedero loro le Muse, e Apollo signore delle Muse, e Dionisio perché, celebrandole con loro, fossero resi migliori, e la loro educazione fosse seguita nelle feste dagli dèi stessi. Bisogna allora vedere se per noi è veritiero o no, e conforme alla sua natura, il discorso che oggi celebriamo. Si dice che ogni giovane essere vivente, per così dire, non riesca mai a stare quieto con il corpo e con la voce, ma cerchi sempre di muoversi e di parlare forte, e alcuni saltano e balzano, come se danzassero con piacere e giocassero, altri emettono ogni sorta di suoni. E mentre gli altri esseri viventi non hanno percezione dell'ordine e del disordine che si verifica in questi movimenti e a cui diamo il nome di “ritmo” ed “armonia”, a noi invece quegli dèi che, abbiamo detto prima, ci furono dati come compagni di danza, fecero anche dono della percezione del ritmo e dell'armonia accompagnati al piacere, con cui ci muovono e guidano i nostri cori, legandoci gli uni agli altri con canti e danze, e li hanno chiamati “cori” per quel senso di gioia che in essi è connaturato. Accetteremo, intanto, questo discorso? Stabiliamo che la primitiva educazione fu opera delle Muse e di Apollo, o come diremo?
CLINIA: Così va bene.
ATENIESE: Dunque sarà secondo noi privo di educazione chi non conosce l'arte dei cori, e consideriamo invece educato chi ha di essi una buona conoscenza?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: I cori consistono nell'unione di danza e canto.
CLINIA: Necessariamente.
ATENIESE: Chi è educato bene sarà capace di cantare e danzare bene.
CLINIA: Mi pare.
ATENIESE: Vediamo che cosa significa quello che ora è stato detto.
CLINIA: Che cosa?
ATENIESE: «Canta bene», diciamo, «e danza bene». Ma aggiungiamo o no: «Se anche belli sono i canti e le danze»?
CLINIA: Aggiungiamolo.
ATENIESE: E che dire se uno ritiene bello ciò che è bello, e brutto ciò che è brutto, e in questo modo se ne serve? Per noi sarà meglio educata nella danza e nella musica una persona simile, o chi potendo ogni volta imitare adeguatamente con il corpo e con l'intonazione della voce ciò che viene concepito come bello, non gioisce del bello, né detesta ciò che bello non è? O chi non sia affatto in grado di esprimere con la voce e con il corpo ciò che pensa, e senta con il piacere e con il dolore, rallegrandosi di ciò che è bello ed evitando infastidito ciò che invece non è bello?
CLINIA: Grande è la differenza di educazione, straniero.
ATENIESE: Se dunque noi tre siamo a conoscenza del bello nel canto e nella danza, non sappiamo anche individuare correttamente chi sia fornito di educazione e chi ne sia privo? Ma se non sappiamo ciò, non possiamo neppure sapere se vi sia e dove sia una salvaguardia dell'educazione. O non è così?
CLINIA: è così.
ATENIESE: Proprio questo noi dobbiamo investigare, come fossimo cagne sulle tracce della preda: la bellezza della movenza, della melodia, del canto e della danza. E se tutto ciò ci sfuggisse di mano e sparisse, sarebbe inutile tutto il nostro discorso successivo intorno alla retta educazione dei Greci e dei Barbari.
CLINIA: Sì.
ATENIESE: Ebbene: qual è mai la movenza o la melodia che dobbiamo dire bella? Avanti, movenze e gesti di un uomo dall'animo virile e di un altro dall'animo vile saranno somiglianti quando si vengano a trovare in mezzo ad identici ed uguali travagli?
CLINIA: E come potrebbero, quando in comune non hanno neppure il colore del viso?
ATENIESE: Bene, amico. Ma nella musica vi sono movenze e melodie, poiché la musica si fonda sul ritmo e sull'armonia, sicché è giusto dire che una musica è ben ritmata e ben armonizzata, mentre è improprio dire, mediante un'immagine, che una melodia o una movenza sono ben coloriti, come fanno i maestri dei cori: del resto esiste la movenza o la melodia dell'uomo vile e di quello valoroso, e si può giustamente definire bello quello degli uomini valorosi, e turpe quello dei vili. E per non fare un discorso troppo lungo intorno a tutto ciò, si dica semplicemente che tutte le movenze e le melodie dell'anima o del corpo che esprimono direttamente la virtù o ne sono immagine sono belle, mentre quelle che esprimono il vizio sono tutto il contrario.
CLINIA: è giusta la tua provocazione, e noi adesso rispondiamo che siamo d'accordo con te.
ATENIESE: Voglio aggiungere ancora questo: proviamo tutti lo stesso godimento per ogni coro, o è ben lontano dall'essere così?
CLINIA: è ben lontano dall'essere così.
ATENIESE: Che cos'è allora che diciamo che ci induce in errore? Forse le stesse cose non sono belle per noi tutti, oppure lo sono, ma non sembrano tali? Infatti nessuno dirà che i cori che sono espressione del vizio sono più belli di quelli che sono espressione della virtù, e neppure che mentre trae godimento da malvagie movenze, gli altri godono di un'opposta Musa: eppure la maggioranza dice che la regolarità della musica consiste nella capacità di procurare diletto all'anima. Ma questo modo di esprimerci è del tutto intollerabile ed empio a dirsi, e questa è verosimilmente la causa del nostro errore.
CLINIA: Quale?
ATENIESE: Poiché le rappresentazioni corali sono imitazione di modi di vita che riguardano azioni e circostanze di ogni genere, e ciascuna avviene grazie alla pratica dell'imitazione, è inevitabile che coloro che trovano corrispondenti alla loro natura o alla loro sensibilità - o all'una e all'altra cosa insieme - ciò che viene detto o cantato, e in ogni caso rappresentato dai cori, ne traggano godimento, e lo esaltino con lodi, e lo definiscano bello, mentre coloro che lo trovano contrastante con la loro natura, con la loro sensibilità, e con i loro costumi di vita non potranno trarne godimento e neppure elogiarlo, ma diranno che è brutto. Quelli poi che hanno una buona indole naturale, ma cattive abitudini di vita, oppure quelli che hanno corrette abitudini di vita, ma una cattiva indole naturale, rivolgono i loro elogi in modo opposto ai loro piaceri: perché affermano che ciascuna di queste danze è piacevole ma malvagia, e dinanzi ad altre persone che credono che siano sagge si vergognano di muoversi con il corpo secondo tali movenze, e si vergognano di cantare tali melodie, come se volessero dimostrare seriamente che sono belle, mentre dentro di sé ne traggono godimento.
CLINIA: Quello che dici è giustissimo.
ATENIESE: E godere delle movenze o delle melodie del male porta forse con sé qualche danno, mentre il ricevere piaceri da cose opposte reca qualche vantaggio?
CLINIA: è verosimile.
ATENIESE: è verosimile o anche necessario che accada la stessa cosa come se un tale, essendo in relazione con cattive abitudini di uomini malvagi, non le detesti, ma le accetti e ne tragga godimento, e le rimproveri solo per scherzo, vedendo in sogno la propria depravazione? Allora è inevitabile che chi gode divenga simile a queste cose di cui gode, benché si vergogni di lodarle: ebbene quale bene o quale male più grande di questi possiamo dire che necessariamente ci possono capitare?
CLINIA: Nessuno, mi sembra.
ATENIESE: Laddove siano stabilite buone leggi, o lo saranno per il tempo futuro, relative all'educazione delle Muse e al divertimento, pensiamo che sarà possibile ai poeti insegnare nei cori ai giovani e ai figli dei cittadini retti da ottime leggi ciò che nella poesia riscalda l'animo del poeta stesso per il ritmo, la melodia, e la parola, conducendoli al vizio o alla virtù così come capita?
CLINIA: Questo discorso non ha senso: come infatti potrebbero?
ATENIESE: Ora questo, per così dire, può essere compiuto in tutti gli stati, fatta eccezione per l'Egitto.
CLINIA: E come dici che in Egitto le leggi amministrano una simile materia?
ATENIESE: è incredibile anche solo a sentirne parlare. Perché anticamente, a quanto pare, fu riconosciuto da quelli quel criterio che noi ora affermiamo, e cioè che i giovani negli stati devono abituarsi ad avere a che fare con le belle movenze e i bei canti: stabilite quali e come dovevano essere, li misero in mostra nei templi, e oltre a questi non era permesso né ai pittori, né a tutti gli altri che riproducono figure e altre cose del genere, di trasformarle o di concepirne altre che non fossero quelle patrie, e neppure ora è lecito, né in questo ambito, né in tutto il campo della musica. E se vuoi indagare, troverai che in quel luogo sculture e pitture di diecimila anni fa - di diecimila anni fa veramente, e non così per dire -, non sono né più belle né più brutte di quelle realizzate adesso, perché sono realizzate con la stessa tecnica.
CLINIA: Davvero incredibile quello che dici.
ATENIESE: E questo discorso vale specialmente per ciò che concerne le leggi e la politica. Anche lì puoi trovare delle cose di scarso valore: ma per quel che riguarda la musica è vero e degno di considerazione il fatto che era possibile dettare con sicurezza leggi intorno a tali questioni, confidando in melodie che offrivano per loro natura rettitudine. E ciò sarebbe opera di un dio o di un uomo divino, così come lì si dice che le melodie che si sono conservate per un tempo così lungo sono opera di Iside. Sicché, dicevo, se si potesse afferrare, in qualunque modo, il giusto valore di queste cose, bisognerebbe coraggiosamente fissarle nella legge e nell'ordinamento: in questo modo la ricerca di piacere e di dolore che va sempre alla scoperta di nuove forme musicali da utilizzare non è così forte da poter annientare la danza consacrata rimproverandone l'antichità. In Egitto pare che non avesse affatto alcuna forza di annientarla, ma avvenne il contrario.
CLINIA: Da ciò che ora hai detto risulta che questo sia così.
ATENIESE: Possiamo tranquillamente affermare che l'uso della musica e del gioco insieme alla danza sia corretto solo se viene impiegato in tale modo? Non pensiamo forse di provare godimento quando ci troviamo in una felice circostanza, o di trovarci in una felice circostanza quando proviamo godimento? Non è così dunque?
CLINIA: Sì, è così.
ATENIESE: E quando in una simile circostanza proviamo godimento, non riusciamo a stare tranquilli.
CLINIA: è così.
ATENIESE: E quelli che fra noi sono giovani non sono sempre pronti a danzare? Ma quando invecchiamo, non riteniamo più conveniente essere spettatori dei giovani, rallegrandoci del loro gioco e della loro festa, dato che l'agilità ora ci abbandona? E rimpiangendo e congedandoci da quest'agilità, non proponiamo delle gare per chi sia in grado di ridestarci, almeno con la memoria, verso la giovinezza trascorsa?
CLINIA: Verissimo.
ATENIESE: Non dobbiamo forse ritenere senza dubbio vano il ragionamento che ora viene fatto intorno a chi partecipa alle feste, e cioè che si deve ritenere più sapiente e dev'essere giudicato vincitore colui che fa in modo di dilettarci e di procurarci il massimo godimento? Bisogna allora, se è vero che in tali occasioni ci siamo concessi di divertirci, che sia maggiormente onorato e, come ora dicevo, riporti il premio della vittoria chi riesca a procurare il maggior godimento presso il numero più ampio possibile di persone. Non sarebbe giusto parlare e comportarci così, se avvenisse una situazione simile?
CLINIA: Può darsi.
ATENIESE: Ma, amico, non diamo un giudizio affrettato riguardo ad una questione del genere. Dividiamola invece in parti ed esaminiamo così: se un tale bandisse una gara, così, semplicemente, senza specificare se si tratti di una gara ginnica, musicale, o ippica, ma, radunati tutti quanti i cittadini, proponesse dei premi per i vincitori e dicesse che chiunque può venire a gareggiare a condizione soltanto di procurare piacere, e se colui che riesce a divertire il maggior numero possibile di spettatori vincerà, senza che per lui vengano stabilite altre regole, ma solo in virtù del fatto che si rivela capace di divertire moltissimo, e sarà giudicato il più piacevole fra i concorrenti, che cosa pensiamo che accadrebbe in seguito a questo bando?
CLINIA: Che cosa vuoi dire?
ATENIESE: è verosimile che uno declamerebbe una rapsodia, come Omero, un altro eseguirebbe un motivo con la cetra, un altro ancora una tragedia, un altro infine una commedia, e non ci sarebbe da stupirsi se uno ritenesse di vincere proponendo uno spettacolo di marionette: e noi saremmo in grado di stabilire giustamente il vincitore, se si presentassero questi ed altri innumerevoli concorrenti?
CLINIA: La tua domanda è assurda: chi potrebbe risponderti, come se si conoscessero prima di averli ascoltati e di aver assistito personalmente alle prove dei singoli concorrenti?
ATENIESE: E allora? Volete che sia io a rispondervi a questa assurda domanda?
CLINIA: E dunque?
ATENIESE: Se a giudicare fossero i bambini più piccoli, darebbero la loro preferenza a chi propone uno spettacolo di marionette. O no?
CLINIA: Come no?
ATENIESE: Se fossero i ragazzi più grandi, la preferenza andrebbe a chi mette in scena la commedia, mentre darebbero la preferenza alla tragedia le donne colte, i giovani, e in genere la maggioranza delle altre persone.
CLINIA: Probabilmente sì.
ATENIESE: E se un rapsodo recitasse in modo perfetto l'Iliade, l'Odissea, o qualche passo di Esiodo, forse noi vecchi, ascoltandolo piacevolmente, diremmo che costui vince senz'altro. Chi è dunque il vero vincitore? E questo che dobbiamo dire. O no?
CLINIA: Sì.
ATENIESE: è chiaro che per me e per voi è necessario affermare che i veri vincitori sono coloro che sono stati giudicati da persone della nostra età. Infatti il nostro modo di vivere sembra essere senz'altro migliore rispetto a quello di coloro che ora vivono in tutti gli stati e dovunque.
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Anch'io sono d'accordo con la maggioranza delle persone che la musica dev'essere giudicata in base al piacere, ma non del piacere di una persona a caso: la Musa più bella è quella che rallegra gli animi dei migliori e di coloro che hanno ricevuto un'adeguata educazione, ma soprattutto quella che rasserena quel solo che si distingue per virtù e formazione. Perciò diciamo che i giudici di queste prove hanno bisogno della virtù, perché debbono prendere parte della prudenza e del coraggio. Il vero giudice non deve imparare a giudicare a teatro, turbato dal chiasso della folla e dalla propria incompetenza, e neppure, per debolezza o viltà, se è consapevole di ciò che giudica, deve proclamare a cuor leggero un verdetto, pronunciando il falso con quella stessa bocca con cui aveva invocato gli dèi prima di accingersi a giudicare: non come scolaro, ma piuttosto come maestro degli spettatori deve sedere il giudice, ed è giusto che sia così, e deve opporsi a quanti procurano agli spettatori un piacere sconveniente ed ingiusto. Anticamente anche l'antica legge dei Greci consentiva ciò che ora è permesso dalla legge in Sicilia e in Italia dove, affidandosi alla maggioranza degli spettatori che giudica il vincitore per alzata di mano, la legge ha rovinato i poeti stessi - essi compongono i loro versi per soddisfare il piacere di basso livello di questi giudici, sicché sono gli spettatori stessi che li educano -, e ha rovinato i piaceri del teatro stesso: se infatti gli spettatori, ascoltando vicende che propongono costumi di vita più nobili dei loro, dovrebbero trarre un più nobile piacere, ora avviene che per colpa loro facciano tutto l'opposto. Che cosa dunque vuole mettere in luce tutto ciò che ora è stato esposto? Vedete se è questo.
CLINIA: Che cosa?
ATENIESE: Mi sembra che per la terza o la quarta volta il nostro discorso, dopo averci girato intorno, giunga allo stesso punto, e cioè che l'educazione consiste nell'attrarre e nel guidare i fanciulli verso quel retto criterio stabilito dalla legge, e che è garantito come veramente tale da parte dei cittadini più virtuosi e da quelli più anziani per la loro esperienza. Perché dunque l'anima del fanciullo non si abitui a godere o a soffrire di qualcosa che sia contrario alla legge e a coloro che ad essa obbediscono, ma le sue gioie e i suoi dolori seguano fedelmente le gioie e i dolori dei vecchi, per queste ragioni sono stati composti quelli che chiamiamo “canti”, e che a tutti gli effetti ora sono per le anime parole che incantano, adattate diligentemente in modo da realizzare quell'armonia di cui parliamo. E poiché le anime dei giovani non sono in grado di sopportare un serio impegno, si chiamano giochi e canti, e si praticano come tali, proprio come ai malati e a coloro che sono in condizioni fisiche precarie quelli che li hanno in cura cercano di somministrare il nutrimento conveniente sotto forma di cibi e di bevande piacevoli, mentre ciò che è dannoso sotto forma di alimenti sgradevoli, in modo che si abituino correttamente a desiderare i primi e ad evitare i secondi. Secondo questo stesso ragionamento, il retto legislatore convincerà, o addirittura costringerà se non si lascerà convincere, il poeta, quando compone, a comporre in modo conveniente - servendosi di un linguaggio nobile ed elogiativo - le movenze, nei ritmi delle danze, e le melodie, nelle armonie, che sono proprie di uomini saggi, valorosi, e buoni sotto ogni aspetto.
CLINIA: Ora, per Zeus, straniero, ti sembra che negli altri stati si faccia così? Per quanto ne so io, tranne che da noi e presso gli Spartani, non so dove si facciano le cose di cui parli, mentre sono al corrente di certe cose sempre nuove che avvengono nell'ambito delle danze e in tutto il resto della musica, e questo continuo mutare non è determinato dalle leggi, ma da certi confusi desideri, che non solo sono assai lontani dall'essere identici e allo stesso modo, come invece tu asserisci che accada in Egitto, ma addirittura non sono mai i medesimi.
ATENIESE: Benissimo, Clinia. Se ti è parso che parlassi delle cose di cui hai appena detto come di cose attuali, non mi stupirei di aver provocato, con le dovute conseguenze, il malinteso, proprio per non aver espresso chiaramente il mio pensiero: ma io dicevo semplicemente ciò che vorrei si realizzasse per quel che riguarda la musica, sicché probabilmente ti è sembrato che ti parlassi di queste cose come fossero reali. Biasimare mali incurabili e che si sono spinti molto innanzi sulla via dell'errore non è affatto piacevole, eppure talvolta è necessario. Ma poiché la pensi come me, coraggio, dimmi: pensi che tali cose avvengano maggiormente da voi e presso quelli di qui che presso gli altri Greci.
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Ma se avvenisse così anche presso tutti gli altri, diremmo che tali cose sarebbero migliori di quanto lo sono nella condizione attuale?
CLINIA: Vi sarebbe un'enorme differenza se le cose andassero così come vanno presso quelli di qui e da noi, ed inoltre come tu ora dici che dovrebbero andare.
ATENIESE: Avanti, adesso mettiamoci d'accordo. Intorno al complesso dell'educazione e della musica non si dice da voi null'altro se non queste cose? In sostanza voi costringete i poeti a dire che l'uomo buono, che è prudente e giusto, è felice e beato, sia egli grande e forte, piccolo e debole, ricco o no; mentre se fosse anche più ricco di Cinira e di Mida, ma ingiusto, è un miserabile e vive la sua esistenza in mezzo ai travagli. «Non vorrei ricordare», dice il vostro poeta, se lo dice correttamente, «e neppure vorrei prendere in considerazione quell'uomo» che non compia e non acquisti secondo giustizia tutto ciò che si dice che sia bello compiere ed acquistare, ed essendo tale «incalzi un nemico e lo colpisca»; ma se è ingiusto non avrà il coraggio di «assistere alla cruenta uccisione» né in corsa supererà «il tracio vento Borea», e non possiederà mai nessuno di quelli che sono chiamati beni. Quelli che infatti la maggior parte delle persone chiama beni non è corretto chiamarli così. Si dice che il bene più importante sia la salute, come secondo la bellezza, terzo la ricchezza, e si chiamano beni innumerevoli altre cose: avere vista e udito acuti, e possedere ogni altra facoltà sensitiva ben sviluppata, ed inoltre far tutto ciò che si vuole come un tiranno, e, punto di arrivo della più totale beatitudine, diventare il più rapidamente immortali grazie al fatto di possedere tutti questi beni. Ma voi ed io diciamo che tutti questi beni, che sono splendidi tesori per gli uomini giusti e pii, sono tutti quanti pessimi per gli ingiusti, a cominciare dalla salute: la vista, l'udito, il provare le sensazioni, e il vivere sono tutti gravissimi mali per colui che, pur essendo in ogni tempo immortale e possedendo tutti quelli che vengono chiamati beni, è privo di giustizia e di ogni virtù; allora il male minore sarebbe che costui vivesse nello spazio di tempo più breve possibile. Credo dunque che voi persuaderete e costringerete i poeti che sono presso di voi a dire le stesse cose che dico io adesso, ed inoltre ad educare i vostri figli conformando ritmi ed armonie a queste cose che ho detto. Non è così? Fate attenzione. Per quanto mi riguarda, dico chiaramente che quelli che sono chiamati mali sono beni per gli ingiusti, e sono mali per i giusti, e che quelli che sono chiamati beni sono effettivamente un bene per i buoni, e un male per i malvagi. Come vi ho domandato prima, siamo d'accordo, io e voi, o no?
CLINIA: Per quel che riguarda alcune questioni mi sembra di sì, per quel che riguarda altre, nient'affatto.
ATENIESE: Se dunque uno possiede salute, ricchezza, e potere incondizionato - e per farvi un piacere aggiungo una forza straordinaria, e il valore che si accompagna all'immortalità, e l'immunità da ogni altro cosiddetto male -, e abbia in sé soltanto ingiustizia ed insolenza, non riuscirei a convincervi che chi vive in questo modo non è felice, ma è chiaramente miserabile?
CLINIA: Quello che dici è verissimo.
ATENIESE: Ebbene: che cosa vi devo dire dopo di ciò? Non vi sembra allora che un uomo valoroso, forte, bello, e ricco, e libero di fare tutto ciò che desidera per tutta la vita, se è ingiusto e insolente, conduca necessariamente una vita turpe? O forse questo lo concederete, e cioè che vive vergognosamente?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: E dunque? Che conduce anche una vita malvagia?
CLINIA: Non è la stessa cosa.
ATENIESE: Allora che la sua vita è ripugnante e nociva a se stessa?
CLINIA: E come potremmo essere d'accordo su questo punto?
ATENIESE: Come? A quanto pare, amici, solo se un dio ci concedesse un accordo, dato che adesso siamo in disaccordo gli uni dagli altri. Le cose che ho detto mi sembrano necessarie come neanche può esserlo il fatto evidente che Creta sia un'isola, caro Clinia: e se fossi legislatore cercherei di costringere i poeti e tutti i cittadini ad esprimersi in questo modo, e poco ci manca che applicherei la pena capitale, se qualcuno andasse dicendo nella regione che vi sono sì uomini malvagi, ma che conducono una vita piacevole, o che una cosa è guadagnare e fare i propri interessi e un'altra essere giusti. E inoltre persuaderei i miei cittadini a parlare diversamente da come ora, a quanto sembra, parlano i Cretesi e gli Spartani e tutti gli altri uomini. Coraggio, per Zeus e per Apollo, o voi che siete i migliori fra gli uomini, se interrogassimo così tutti questi dèi che hanno stabilito le vostre leggi: «La vita più giusta è quella più dolce, oppure vi sono due generi di vita, una assai dolce e l'altra assai giusta?», e se ci rispondessero che vi sono due generi di vita, potremmo nuovamente interrogarli così, se è giusto fare questa domanda: «Dobbiamo dire che sono più felici coloro che trascorrono la vita soprattutto all'insegna della giustizia o all'insegna del piacere più intenso?». Se rispondessero che sono coloro che vivono all'insegna del piacere più intenso, la loro risposta sarebbe senza dubbio assurda. Ma non voglio che si pensi che gli dèi si esprimano così: piuttosto potrebbero essere i nostri padri e legislatori a parlare in questo modo. E in base alle domande precedenti, si interroghi allora il padre o il legislatore, e si immagini che costui risponda che è assai beato chi conduce la vita all'insegna del massimo piacere. In seguito, dopo di ciò, gli direi: «Padre, non desideravi che io vivessi una vita felice al massimo grado? Ma non smettevi affatto di consigliarmi di vivere una vita che fosse la più giusta possibile». E così sarebbe evidente che sia il legislatore, sia il padre che abbiamo immaginato si troverebbe nell'assurda difficoltà, io penso, di essere coerente con se stesso. Se poi dichiarasse che la vita più giusta è quella più felice, chiunque lo udisse cercherebbe di sapere, credo, quale bene vi è in essa più potente del piacere, quale bellezza che viene elogiata dalla legge. Quale bene può mai esistere per un giusto che sia separato dal piacere? Coraggio! La gloria e la lode sono per gli uomini una cosa buona e bella, ma spiacevole, e il contrario il disonore? No certo, caro legislatore, diremo noi. E non commettere ingiustizie né subirle da alcuno, è spiacevole, anche se è buono e bello, mentre è piacevole il contrario, anche se è turpe e malvagio?
CLINIA: E come potrebbe?
ATENIESE: Dunque il ragionamento che non separa ciò che è piacevole da ciò che è giusto, buono, e bello persuade, se non altro, a voler vivere una vita pia e giusta, sicché per un legislatore non vi sarebbe peggiore ragionamento e così contrario alla sua opera di chi affermi che queste cose non stanno in questi termini: nessuno infatti vorrebbe volontariamente convincersi di fare ciò in cui non risulti più piacere che dolore. Se osserviamo un oggetto da lontano, tutti, e per così dire anche i bambini, lo vediamo con la vista annebbiata, a meno che il legislatore non ci conduca dinanzi all'opinione contraria, dissipando la nebbia, e ci convinca in qualunque modo con abitudini, lodi, ragionamenti, che ciò che è giusto e ciò che è ingiusto sono come pitture in prospettiva, e che l'ingiusto, stando di fronte al giusto appare piacevole a chi lo guarda se è egli stesso ingiusto e cattivo, e il giusto assai spiacevole, ma a chi osserva dal punto di vista della giustizia appare tutto l'opposto, sia nell'uno che nell'altro caso.
CLINIA: è chiaro.
ATENIESE: Quale dei due giudizi diciamo che ha più possibilità di essere vero? Quello dell'anima peggiore o quello dell'anima migliore?
CLINIA: Quello dell'anima migliore, naturalmente.
ATENIESE: E naturalmente una vita ingiusta non solo è più turpe e miserabile, ma è anche, in verità, meno piacevole di una vita giusta e pia.
CLINIA: Può essere così, secondo il ragionamento che ora abbiamo fatto, amici.
ATENIESE: Un legislatore che abbia un minimo di capacità, quand'anche le cose non stessero così come il ragionamento di adesso le ha prospettate, se avesse il coraggio di mentire in qualche cosa per il bene dei giovani, pensi che possa mentire con una menzogna più utile di questa, la quale abbia una capacità tale da far compiere a tutti, non con la forza, ma volontariamente, ogni cosa giusta?
CLINIA: Cosa bella e stabile è la verità, straniero: e non pare che sia facile l'azione della persuasione.
ATENIESE: Ebbene: ma non è stato facile far credere il mito dell'uomo di Sidone, che pure era così incredibile, e molti altri ancora?
CLINIA: Quali?
ATENIESE: Quello degli opliti nati dai denti seminati. Si tratta certamente di un grande esempio per un legislatore di come si possa persuadere le anime dei giovani a credere in ciò di cui si vuole convincere, sicché nient'altro egli deve indagare se non di che cosa deve convincerlo perché realizzi per lo stato il bene più grande, e quindi, deve scoprire con ogni mezzo in che modo una simile comunità, come è appunto lo stato, sempre, su queste cose, per tutta la vita, esprima, per quanto è possibile, un'unica ed identica opinione, nei canti, nei miti, e nei discorsi. E se vi sembra che le cose stiano in modo diverso da così, non fatevi alcun problema ed avanzate le vostre perplessità.
CLINIA: Ma mi sembra che nessuno di noi due possa avanzare delle obbiezioni intorno a queste cose.
ATENIESE: Dopo di ciò, allora, dovrei essere io a parlare. E infatti dico che tutti e tre i cori devono acquietare con il canto le anime dei bambini, che sono ancora giovani e delicate, raccontando tutte le nobili cose che prima abbiamo passato in rassegna e che ancora esamineremo. E questo sia il punto essenziale di tali cose: dicendo che la medesima vita è ritenuta dagli dèi assai piacevole e ottima ad un tempo, diremo la più importante verità, e insieme persuaderemo chi dobbiamo persuadere di più che se ci esprimessimo in un qualsiasi altro modo.
CLINIA: Si deve per forza essere d'accordo con quello che dici.
ATENIESE: Innanzitutto sarà assai giusto che il coro delle Muse, composto di bambini, entri per primo in mezzo alla scena per cantare con grande impegno dinanzi alla città intera le cose di cui si è detto; e che per secondo entri il coro di coloro che giungono sino ai trent'anni, il quale invochi Peana come testimone della verità delle cose dette e lo preghi di essere propizio per quanto riguarda la persuasione dei giovani. Bisogna poi che canti anche un terzo coro composto di uomini di età compresa fra i trenta e i sessant'anni. I cittadini che superano i sessant'anni, invece, poiché non sarebbero più in grado di cantare, siano lasciati liberi di raccontare miti intorno agli stessi costumi di vita, secondo l'ispirazione divina.
CLINIA: Vuoi spiegarci, straniero, che cosa intendi per questa terza specie di cori? Infatti non comprendiamo chiaramente la spiegazione che tu fornisci di essi.
ATENIESE: Eppure sono proprio questi cori per i quali si è spesa la maggior parte delle parole che si sono dette prima.
CLINIA: Non abbiamo ancora capito: cerca di essere più chiaro ancora.
ATENIESE: Abbiamo detto, se lo ricordiamo, in principio di questa discussione, che la natura di tutti i giovani, essendo come infuocata, non è in grado di stare in quiete, né con il corpo, né con la voce, ma urla e salta sempre in modo disordinato, e che nessuno degli altri esseri viventi possiede il senso dell'ordine di questi due generi di comportamento, se non la sola natura umana: e “ritmo” si chiama l'ordine del movimento, mentre quello della voce, quando il tono acuto si equilibra con il grave, si chiama “armonia”, e, ancora, l'unione di questi due elementi si chiama “danza corale”. Dicevamo anche che gli dèi, provando pietà per noi, ci diedero come compagni nelle danze e nei cori Apollo e le Muse, e, se ci ricordiamo, in terzo luogo, abbiamo detto anche Dionisio.
CLINIA: Come non ricordarlo?
ATENIESE: Del coro di Apollo e di quello delle Muse si è già parlato: ora è necessario parlare del terzo coro che ci è rimasto, ovvero quello di Dionisio.
CLINIA: E come? Parla! Sarebbe assai assurdo, così, ad ascoltare tutt'a un tratto questa cosa, che vi sia u n coro di vecchi consacrato a Dionisio, se è vero che per lui danzano in coro uomini che sono oltre i trenta e i cinquant'anni di età, fino ai sessanta.
ATENIESE: Quello che dici è verissimo. Bisogna, io penso, fare un discorso a questo proposito, per spiegare qual è la ragione per cui vi sia un coro così composto.
CLINIA: E dunque?
ATENIESE: Siamo d'accordo su quello che è stato detto prima?
CLINIA: Su che cosa?
ATENIESE: Sul fatto che ognuno, uomo o fanciullo, libero o schiavo, maschio o femmina, e in sostanza l'intero stato deve incantare se stesso, tutto se stesso, incessantemente, con quelle cose che prima abbiamo esposto, mutandole in qualsiasi modo e variandole del tutto, sicché i cantori abbiano sempre un'insaziabile desiderio e un piacere per il canto.
CLINIA: Come possiamo non consentire che si debba fare così?
ATENIESE: E questa che a nostro avviso è la parte migliore dello stato, che è la più capace di persuadere i cittadini per età e per intelligenza, com'è che compirà i beni più grandi cantando le cose più belle? Oppure trascureremo in modo tanto sconsiderato questa parte che è decisiva per quanto riguarda i canti più belli e più utili?
CLINIA: Ma è impossibile trascurarla, proprio per quel che è stato detto ora.
ATENIESE: Quale sarà allora il comportamento più conveniente? Vedete un po' se è questo.
CLINIA: Quale?
ATENIESE: Chiunque, invecchia esita ogni volta di più a cantare, e gode sempre meno nel farlo, e, colto dalla necessità, tanto più si vergognerà quanto più è vecchio e saggio. O non è così?
CLINIA: Sì, è così.
ATENIESE: E ancora di più si vergognerà se deve cantare a teatro, stando dritto in piedi, dinanzi a persone di ogni genere: e ancora, se costoro fossero costretti a cantare estenuati per aver esercitato la voce, e a digiuno come i cori che gareggiano per la vittoria, non canterebbero senz'altro con un gran senso di fastidio, oltre che di vergogna, facendolo di mala voglia?
CLINIA: Quello che dici è assolutamente inevitabile.
ATENIESE: Come dunque potremo esortarli ad amare il canto? Stabiliremo prima di tutto una legge secondo la quale i giovani sino ai diciotto anni non debbano affatto gustare il vino, insegnando che non bisogna versare fuoco sul fuoco del loro corpo e della loro anima, prima che essi siano stati introdotti alle fatiche, in modo da tenere sotto controllo l'esuberante indole dei giovani: in seguito, sino ai trent'anni, potranno gustare il vino, ma con moderazione, perché un giovane deve stare alla larga dalle ubriacature e dal bere smodato. Giunti a quarant'anni, riuniti nei banchetti dei pasti in comune, potranno chiamare gli altri dèi ed invocare Dionisio perché sia presente a quelli che sono festosi riti di iniziazione dei più anziani: e in questa festa egli donò agli uomini la medicina del vino come rimedio all'asprezza della vecchiaia, sicché ci faccia ringiovanire, e, dimenticando le afflizioni, l'anima, da dura che era diventi più morbida, come lo diventa il ferro quando lo si mette nel fuoco, e sia così più facile da plasmare. Chiunque sia stato precedentemente preparato in questo modo non sarà più desideroso di cantare, provando minor vergogna, e, come prima spesso si è detto, di incantare non dico fra un pubblico numeroso, ma fra un numero conveniente di persone, che non siano estranee, ma familiari?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Questo sistema non sarebbe affatto sconveniente per spingerli a partecipare al nostro canto.
CLINIA: Nient'affatto.
ATENIESE: Quale canto tali uomini canteranno? Non è forse chiaro che dovranno usare una musa che sia loro adatta?
CLINIA: E come no?
ATENIESE: Qual è allora la musa che conviene a uomini divini? Forse quella dei cori?
CLINIA: Noi, straniero, e costoro, non saremmo in grado di cantare un altro canto che non sia quello che abbiamo appreso, per abitudine, nei cori.
ATENIESE: Naturalmente, dato che non siete ancora realmente partecipi del canto più bello. Voi avete la costituzione di un accampamento di soldati, non quella di chi abita nelle città, e come se fossero molti puledri radunati insieme in un gregge, possedete e fate pascolare i vostri giovani: nessuno di voi prende il proprio, e lo strappa ancora selvaggio e recalcitrante ai suoi compagni di gregge, e gli impone in privato un allevatore, e lo educa strigliandolo e addomesticandolo, e gli assegna tutto ciò che conviene all'allevamento dei figli, in modo che non solo diventi un valoroso soldato, ma sia anche in grado di guidare uno stato o una città, e in principio abbiamo detto che si trattava di un soldato più valoroso di quelli descritti da Tirteo, dato che onorerà sempre e dovunque il coraggio come la quarta virtù, e non come il primo bene, per i singoli cittadini e per tutto lo stato.
CLINIA: Straniero, non so perché disprezzi nuovamente i nostri legislatori.
ATENIESE: No, carissimo, non lo faccio intenzionalmente, se anche lo faccio: ma se volete, andiamo dove ci conduce il discorso. E se possediamo una musa più bella di quella dei cori e di quella che si trova nei pubblici teatri, cerchiamo di trasmetterla a coloro che diciamo che si vergognano di questa, e cercano di essere partecipi di quella, che è appunto la più bella.
CLINIA: Senza dubbio.
ATENIESE: Innanzitutto dunque, non bisogna forse che ciò cui si accompagna un certo godimento abbia questa caratteristica, e cioè che abbia soltanto questo godimento come elemento essenziale, o abbia anche un certo valore, o, infine, una qualche utilità? Ad esempio dico che mangiare, bere, e il nutrimento in generale, sono strettamente legati a quel godimento che chiamiamo piacere: e per quanto riguarda il loro valore o la loro utilità, ciò che ogni volta diciamo che è l'elemento salutare dei cibi costituisce appunto quel valore presente in essi.
CLINIA: Senza dubbio.
ATENIESE: E anche all'apprendimento si accompagna una certa gioia, e cioè il piacere, ma il suo valore, la sua utilità, e ciò che in esso è bello e buono, gli deriva compiutamente dalla verità.
CLINIA: è così.
ATENIESE: E che dire della realizzazione di cose simili, che fa parte delle arti figurative? Non si deve a buon diritto chiamare godimento, quando si verifica, ciò che esse producono e che è legato al piacere?
CLINIA: Sì.
ATENIESE: Ma sarà l'uguaglianza, sia quantitativa che qualitativa così per dire in generale, che determinerà il valore di tali opere, e non il piacere.
CLINIA: Bene.
ATENIESE: Dunque secondo il criterio del piacere potrà essere giudicato rettamente soltanto ciò che, nell'atto della sua realizzazione, non offre utilità, né verità o somiglianza, e neppure danno, ma che esiste soltanto in funzione del godimento che è legato ad altri fatti, e che si può benissimo chiamare piacere, quando non si accompagni a nessuna di queste cose appena dette?
CLINIA: Tu parli soltanto del piacere che non reca con sé danno.
ATENIESE: Sì, e dico che questo piacere è divertimento, quando non reca con sé danno o vantaggio tali da meritare attenzione o discorso.
CLINIA: Quello che dici è verissimo.
ATENIESE: Non dovremmo allora dire, in base a quanto ora detto, che non conviene affatto giudicare ogni imitazione secondo il piacere e l'opinione non vera - e neppure ogni altra uguaglianza: infatti non è perché a uno sembri o a un altro piaccia che l'uguale è uguale e il proporzionato proporzionato, in genere - ma solo e soprattutto sulla base della verità e su nient'altro?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Non diciamo dunque che tutta la musica è rappresentativa e mimetica?
CLINIA: Ebbene?
ATENIESE: Se uno sostenga che la musica si debba giudicare in base al criterio del piacere, non dobbiamo per nulla al mondo accettare questo discorso, e non è affatto da ricercare tale musica come se fosse frutto di impegno, se mai esista, ma dovremo invece ricercare quella che possiede la sua somiglianza in rapporto all'imitazione della bellezza.
CLINIA: Verissimo.
ATENIESE: Quelli che ricercano il canto più bello non devono, a quanto pare, ricercare la musa che offre piacere, ma quella autentica: infatti il valore dell'imitazione, come dicevamo, consiste nel realizzare l'oggetto imitato secondo la sua esatta quantità e qualità.
CLINIA: Come no?
ATENIESE: E a proposito della musica chiunque si troverà d'accordo nel sostenere che tutte le sue opere sono imitazione e rappresentazione. Su questo punto non saranno tutti d'accordo, poeti, ascoltatori ed attori?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: A quanto pare bisogna conoscere, riguardo a ciascuna opera, ciò che costituisce la sua essenza, se non si vuole sbagliare: se infatti non si conosce l'essenza, che cosa mai essa vuole, ciò di cui essa è realmente immagine, difficilmente si potrà riconoscere se lo scopo che si era prefissato è stato correttamente raggiunto oppure non è stato colto.
CLINIA: Difficilmente: e come no?
ATENIESE: E se non si conosce l'effettivo valore, non è vero che non si potrà mai distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo? Ma non sto parlando in modo abbastanza chiaro: così forse mi esprimerò meglio.
CLINIA: Come?
ATENIESE: Vi sono innumerevoli rappresentazioni che possiamo cogliere con la vista.
CLINIA: Sì.
ATENIESE: Ebbene, se si ignora che cos'è ciascuno dei corpi imitati in tali rappresentazioni? Si potrà mai riconoscere se la loro esecuzione è ben fatta? Voglio dire, ad esempio, se si potrà sapere se sono state mantenute le proporzioni numeriche del corpo e la disposizione delle singole parti, e se, stando alcune sue parti in relazione con le altre, hanno conservato i loro reciproci rapporti secondo l'ordine conveniente - e anche i colori e le forme -, oppure se tutto ciò è stato fatto in modo confuso: vi sembra forse che possa mai comprendere tutto questo un tale che ignora come sia fatto l'essere vivente, oggetto di imitazione?
CLINIA: E come no?
ATENIESE: Se invece sapessimo che ciò che è stato raffigurato o modellato è un uomo, e che tutte le sue parti gli sono state assegnate dall'arte, i colori come i contorni? Non è forse necessario che chi conosce queste cose è anche pronto a riconoscere se la composizione è bella oppure se essa manca di bellezza?
CLINIA: Tutti, per così dire, straniero, in tale circostanza saremmo in grado di riconoscere la bellezza degli esseri viventi.
ATENIESE: Quello che dici è giustissimo. E allora chi vorrà essere un saggio giudice di ogni rappresentazione imitativa - pittorica, musicale, o qualsiasi altra -, non deve forse avere questi tre requisiti: primo, conoscere l'oggetto in questione, quindi il suo valore in rapporto alla sua rappresentazione, e terzo, capire se una rappresentazione qualsiasi risulta ben realizzata con le parole, le melodie, e il ritmo?
CLINIA: Pare così, dunque.
ATENIESE: Ma non possiamo rinunciare ad affermare quanto sia difficile tale giudizio quando riguarda la musica: poiché essa viene celebrata in modo particolare rispetto alle altre rappresentazioni, essa necessita di più attenzione rispetto a tutte le rappresentazioni. Chi infatti vi commette un errore può arrecare a se stesso un grandissimo danno abbracciando cattivi costumi, ed è difficilissimo che i poeti si rendano conto di questo, poiché sono assai inferiori rispetto alle stesse Muse. Mai le Muse sbaglierebbero in modo tale da comporre parole per gli uomini, assegnandovi colore e melodia che si adattano a donne, o così da comporre canto e movenze per uomini liberi armonizzandoli ai ritmi degli schiavi e di individui senza libertà, o, ancora, in modo da comporre ritmi e movenze da uomo libero assegnando loro canto o parole contrari a quei ritmi; ed inoltre mai metterebbero insieme voci di animali, di uomini, di organi, e rumori di ogni genere, come se volessero imitare una sola cosa: i poeti umani, invece, intrecciando e mescolando insieme queste cose senza criterio, farebbero ridere quegli uomini che, come dice Orfeo, ebbero in sorte la felice età del godimento. Infatti essi vedono queste cose mescolate, ed inoltre i poeti separano ritmo e movenza dal canto, mettendo in versi le nude parole, e d'altro canto compongono melodia e ritmo senza parole, usando la nuda cetra e il flauto, e in questo caso è assai difficile riconoscere che cosa vogliono rappresentare ritmo e armonia senza parole, e a quale delle imitazioni degne di considerazione siano somiglianti. Ma è necessario rendersi conto che è assai grossolana tale propensione alla rapidità, e ad omettere le pause che conviene porre, e alle voci di animali, così da usare il flauto e la cetra, senza che vengano accompagnati dal coro o dal canto, e l'uso dell'uno e dell'altro strumento, senza accompagnamento, è d'altra parte un prodigio che non riguarda l'arte. Queste cose stanno allora in questi termini. D'altronde noi non stiamo indagando le ragioni per cui chi abbia già trent'anni o abbia superato la cinquantina non debba coltivare le Muse, ma i motivi per cui debba coltivarle. E in base alle cose dette mi sembra che il nostro discorso indichi ormai questa cosa, e cioè che coloro che hanno cinquant'anni e ai quali convenga cantare debbano essere educati in modo migliore nell'arte del coro. è necessario che essi abbiano eccellente sensibilità e conoscano alla perfezione i ritmi e le armonie: o come potrebbero riconoscere l'autentico valore delle melodie, e a quale convenga il dorico e a quale non convenga, e se sia giusto o no il ritmo che il poeta vi ha adattato?
CLINIA: In nessun modo, è chiaro.
ATENIESE: Davvero ridicola è la gran folla che crede di riconoscere a sufficienza ciò che nel ritmo e nell'armonia è regolare e ciò che non lo è, e si tratta di coloro che sono stati costretti a cantare accompagnati dallo strumento e a muoversi secondo il ritmo, ma non si accorgono che fanno queste cose senza conoscerne i singoli elementi. Ogni melodia è infatti corretta se possiede ciò che deve possedere, errata se possiede ciò che non è conveniente.
CLINIA: Necessariamente.
ATENIESE: E chi non conosce neppure gli elementi che compongono una melodia, potrà mai riconoscere, come dicevamo, il loro intrinseco valore?
CLINIA: E in che modo?
ATENIESE: Adesso mi pare che siamo giunti alla scoperta di questo fatto, e cioè che questi nostri cantori che ora invitiamo, e, in un certo senso, costringiamo a cantare con animo ben disposto devono essere stati educati fino al punto in cui ciascuno di essi sia in grado di seguire la cadenza dei ritmi e le note della musica, in modo che esaminando le armonie e i ritmi, sappiano scegliere quelli che sono convenienti e che devono essere eseguiti da persone della loro età e della loro condizione, e così cantino, e cantando provino immediatamente innocui piaceri, e divengano guida per i più giovani verso un giusto amore di onesti costumi. Raggiunto questo livello di educazione, avranno in mano un'educazione più accurata di quella che possiede la massa e di quella dei poeti stessi. Non vi è alcun bisogno che il poeta conosca quel terzo requisito, e cioè se una rappresentazione è bella oppure no, ma soltanto l'armonia e il ritmo: quanto agli altri, invece, essi devono conoscere tutti e tre i requisiti per scegliere l'opera più bella, preferendola a quella che per bellezza è seconda, perché altrimenti non potranno mai incantare i giovani come si deve, guidandoli lungo la via della virtù. E così abbiamo detto, nei limiti delle nostre possibilità, ciò che il discorso si proponeva all'inizio, e cioè dimostrare che valeva la pena venire in soccorso al coro di Dionisio: verifichiamo se questo è avvenuto. Capita che un'adunanza del genere, quanto più si procede nel bere, diventi di necessità sempre più turbolenta: e in principio abbiamo premesso che ciò fosse inevitabile riferendoci a quelle riunioni di cui parliamo.
CLINIA: Necessariamente.
ATENIESE: Ed ognuno si sente più leggero, si esalta, è allegro, ha molta voglia di parlare e non vuole ascoltare i vicini, e crede di essere diventato capace di guidare se stesso e gli altri.
CLINIA: Ebbene?
ATENIESE: E non dicevamo che, quando si verificano fatti del genere, le anime dei bevitori, diventando incandescenti come ferro, si fanno più morbide e più tenere, sicché avviene che si concedano docili a chi possa e sappia educarle e plasmarle, proprio come quand'erano giovani? E questo scultore non è lo stesso di allora, il buon legislatore, che deve stabilire leggi in materia di simposi le quali siano capaci di far sì che colui che è pieno di buone speranze, e audace, e più sfrontato del necessario, e che non vuole sottostare all'ordine di fare silenzio, e di parlare, e di bere e di cantare quando è il suo turno, divenga desideroso di fare tutto il contrario? Leggi che, con l'ausilio della giustizia, oppongono a quell'audacia non bella che sempre si insinua la più bella paura, quel divino timore che chiamammo pudore e vergogna?
CLINIA: è così.
ATENIESE: Custodi di queste leggi e loro collaboratori saranno gli uomini che non si lasciano condizionare dai tumulti, e i sobri guideranno quelli che sobri non sono, senza i quali è più pericoloso combattere l'ubriachezza che i nemici, se non si hanno delle guide capaci di mantenere la calma. E chi non è in grado di voler obbedire a costoro e alle guide di Dionisio, che hanno oltre i sessant'anni di età, recherà con sé uguale e maggior vergogna di chi non obbedisce alle guide di Ares.
CLINIA: Giusto.
ATENIESE: Dunque se tale fosse l'ubriachezza, tale il divertimento, non trarrebbero vantaggio questi bevitori, e non si separerebbero gli uni dagli altri più amici di prima, e non come oggi, nemici, dopo che sono stati insieme per tutta la riunione secondo le leggi, seguendo i sobri quando guidavano coloro che non lo erano?
CLINIA: Giusto, se fosse così come ora dici.
ATENIESE: Non disprezziamo più allora con tanta semplicità il dono di Dionisio, come fosse malvagio e indegno di essere accolto in uno stato. Altre cose, infatti, si potrebbero passare in rassegna: ma si ha qualche esitazione a parlare alla massa del più grande bene di cui ci fa dono, per timore che sia male interpretato dagli uomini e non capiscano ciò che di esso viene detto.
CLINIA: Che cosa vuoi dire?
ATENIESE: Si tratta di una leggenda, e nel contempo di una voce che in qualche modo si è diffusa, secondo la quale egli fu privato del senno dalla matrigna Era, e che allora come vendetta suscita le orge e ogni folle danza: e che quindi, proprio per questo motivo, ci avrebbe donato il vino. Ma lascio che queste cose le dicano coloro che credono che si possa parlare con sicurezza degli dèi, mentre, per quanto mi riguarda, io so che ogni essere vivente, quando nasce, non è a quel livello di ragione che dovrebbe raggiungere quando giunge al compimento della sua maturità: e in quel tempo in cui non possiede ancora quell'intelligenza che è propria e la sua natura, è completamente folle, e grida in modo scomposto, e se riesce a sollevarsi in piedi, salta in modo scoordinato. Ora ricordiamo che questi, come dicemmo, sono i princìpi della musica e della ginnastica.
CLINIA: Lo ricordiamo. E come no?
ATENIESE: E non dicevamo che tali princìpi suscitavano in noi uomini la percezione del ritmo e dell'armonia, e che fra gli dèi furono causa Apollo, le Muse, e Dionisio?
CLINIA: Come no?
ATENIESE: E il vino, a quanto pare, fu dato, secondo la comune credenza, agli uomini per vendetta, per farci impazzire. Noi ora invece diciamo che ci venne dato per una ragione opposta, perché l'anima acquistasse pudore, e il corpo la salute e la forza.
CLINIA: Hai ricordato benissimo il discorso che abbiamo fatto.
ATENIESE: E dunque abbiamo condotto a termine metà della trattazione riguardante la danza corale: per quanto riguarda l'altra metà possiamo trattarla o lasciarla perdere, a seconda di come voi volete fare.
CLINIA: Che cosa vuoi dire, e come distingui le due parti?
ATENIESE: Il complesso della danza corale rappresentava per noi l'educazione nella sua interezza, di cui fanno parte, per quanto riguarda la voce, i ritmi e le armonie.
CLINIA: Sì.
ATENIESE: D'altro canto, ciò che si riferisce al movimento del corpo aveva in comune con il movimento della voce il ritmo, come elemento proprio la movenza. Il movimento della voce, invece, aveva come elemento caratteristico la melodia.
CLINIA: Verissimo.
ATENIESE: Alla voce che giunge sino all'anima educandola alla virtù, non so in che modo abbiamo dato il nome di musica.
CLINIA: Giusto.
ATENIESE: Per quanto riguarda quel movimento del corpo che abbiamo definito danza di uomini che si divertono, se tale movimento si svolge con l'intento di educare il corpo alla virtù, possiamo chiamare ginnastica quell'arte di guidarlo verso tale mèta.
CLINIA: Giustissimo.
ATENIESE: Per quanto riguarda la musica, si dica anche ora ciò che adesso dicevamo che è stato trattato e svolto come quasi metà della danza corale: quanto all'altra metà, dobbiamo dirla, o come dobbiamo comportarci?
CLINIA: Carissimo, stai discorrendo con Cretesi e Spartani, e dunque, dopo aver trattato la musica, tralasciando la ginnastica, in quale modo pensi che potremo rispondere alla tua domanda?
ATENIESE: Direi che hai già risposto con sufficiente chiarezza interrogandomi in questo modo, e capisco che questa domanda vale adesso come una risposta, anzi, un ordine, perché si esponga l'argomento relativo alla ginnastica.
CLINIA: Hai capito benissimo. Allora fai così.
ATENIESE: Bisogna dunque fare così: d'altra parte non è affatto difficile parlarvi di una questione che conoscete bene, dato che avete molta più esperienza di quest'arte che di quell'altra.
CLINIA: è vero quello che dici.
ATENIESE: Dunque il principio di questo divertimento si basa su quella naturale abitudine, propria di ogni essere vivente, di saltellare. E l'uomo, come dicemmo, dopo aver acquisito la percezione del ritmo, fece nascere e generò la danza, e poiché la melodia richiamava e risvegliava il ritmo, la combinazione reciproca di questi due elementi diede luogo alla danza corale e al divertimento.
CLINIA: Verissimo.
ATENIESE: E, diciamo, una parte di essa è già stata trattata, quanto all'altra cercheremo di trattarla in seguito.
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Prima stabiliamo una conclusione sull'uso smodato del vino, se anche voi siete d'accordo.
CLINIA: Cosa vuoi dire? E qual è questa conclusione di cui parli?
ATENIESE: Se uno stato praticherà con serie intenzioni la consuetudine di cui si è appena parlato, secondo le leggi e l'ordine, come se praticasse un esercizio di temperanza, e non si asterrà dagli altri piaceri allo stesso modo e per la stessa ragione, e cioè per trovare un mezzo per dominarli, quella consuetudine, coltivata in questo modo, potrà risultare utile per tutti: ma se per divertimento sarà possibile bere vino a chiunque lo vuole, e quando lo vuole, e con chi vuole, accompagnandosi a qualsiasi altra consuetudine, non darei il mio consenso, e non riterrei che un cittadino o uno stato come questi debbano far uso del vino, e, andando oltre l'usanza di Creta e di Sparta, aderirei alla legge dei Cartaginesi, per cui nessuno in guerra deve assaggiare tale bevanda, ma durante tutto questo tempo bisogna bere acqua, e in città né serva né servo mai deve assaggiare vino, né i magistrati nel corso dell'anno in cui sono in carica, né i nocchieri, né i giudici nell'esercizio delle loro funzioni, né chiunque si reca ad un importante consiglio per prendere una decisione, e nessuno durante il giorno, se non per esercizio fisico o per malattia, e neppure di notte quando, uomo o donna, si ha intenzione di concepire dei figli. E si potrebbero citare molti altri casi in cui chi ha un po' di intelligenza e una legge giusta non deve bere vino: sicché, in base a questo ragionamento, uno stato non ha bisogno di molte viti, e si dovranno regolamentare anche tutte le altre colture nonché il tenore di vita dei cittadini, e la produzione di vino sarà quella che fra tutte subirà le limitazioni più considerevoli e sarà prodotta in minima quantità. Questa, stranieri, se siete d'accordo, sia la conclusione del discorso sul vino che prima si è svolto.
CLINIA: Bene, siamo d'accordo.
Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020