Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.
Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:
1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.
PREMESSA A LE LEGGI
Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase
finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita,
ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad
alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata
nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo.
In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche
(frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse
ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche
anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una
sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato
anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di
trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle
Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato
e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro
esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene
coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica,
mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così
l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche
sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati
da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente
l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei
personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una
colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero
quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni
volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre
con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi
prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano
Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso
conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire
alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le
consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della
conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in
vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è
d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle
relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della
guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza.
Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti
perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro
eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un
fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene,
essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente
impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le
danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in
genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro
giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma
anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre
tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i
sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui
Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da
persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica:
Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente
annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però,
come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia
reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per
delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni
delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi
dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere
moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in
esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo
fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita
all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla
costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben
presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza.
Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà
discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere:
oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più
possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e
d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni
storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che
difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di
giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine
dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto
minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge
vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare
l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e
deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del
nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno
di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato
viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto
vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si
procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per
gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per
la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed
un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si
affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per
tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica
per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto
per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre
discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi.
Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di
rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e
le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle
norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai
diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa
in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che
si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale
nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira
e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi
possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o
ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi:
Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si
prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito
non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche
affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini
stipulano fra loro.
La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il
commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più
significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo
ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le
normative sulle mallevadorie.
Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza
di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il
complesso delle virtù nello stato.
Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion
d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto
dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la
dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE
LIBRO SESTO
ATENIESE: Dopo tutto quello che è stato detto ora, credo che tu possa istituire nel tuo stato le magistrature.
CLINIA: E' così.
ATENIESE: Vi sono allora due fasi nell'ordinamento dello stato: la prima fase riguarda l'istituzione delle magistrature e la nomina dei magistrati, quante devono essere e in che modo vengono istituite; in seguito si devono assegnare le leggi per ciascuna magistratura, e vedere quante e quali sono adatte a ogni singola magistratura. Ma prima di fare questa scelta fermiamoci un momento, e facciamo un certo discorso che si rivela adatto a questo proposito.
CLINIA: Quale?
ATENIESE: Questo. è chiaro a chiunque il fatto che, pur essendo di grande importanza l'opera legislativa, se uno stato ben costituito mettesse a capo delle sue leggi ben stabilite magistrati incapaci, non solo non si avrebbe alcun vantaggio da quelle leggi ben stabilite, derivandone anzi una grande risata, ma da esse credo che scaturirebbero i danni più ingenti e le vergogne più turpi per gli stati.
CLINIA: Come no?
ATENIESE: Dobbiamo pensare che questo è il rischio che ora può capitare nella tua costituzione e nel tuo stato, amico. Anche tu ti rendi conto che coloro che vogliono accedere correttamente alle cariche pubbliche devono prima di tutto aver fornito una prova adeguata, essi stessi e la famiglia di ciascuno, dalla giovinezza sino all'età dell'elezione, e in secondo luogo è necessario che coloro che dovranno compiere la scelta si siano formati nelle consuetudini delle leggi e siano stati ben educati in modo da essere in grado di scegliere ed escludere rettamente, con la loro disapprovazione o approvazione, chi sia degno dell'una o dell'altra sorte: e allora nel nostro caso, persone che si sono appena riunite e non si conoscono fra di loro, ancora prive di educazione, come potrebbero compiere una scelta eccellente dei magistrati?
CLINIA: Non sarebbe possibile.
ATENIESE: Ma dicono che la gara non ammette scuse: e ora io e te dobbiamo allora fare questa cosa, poiché tu hai dato la tua parola al popolo dei Cretesi per impegnarti, insieme ad altri nove, nella fondazione di quello stato, come ora dici, e io perché ti ho promesso che ti avrei aiutato in questo racconto che ora noi stiamo facendo. Dunque non lascerei volentieri senza una testa il discorso che sto facendo: infatti, vagando in ogni luogo in tali condizioni sembrerebbe senza forma.
CLINIA: Quello che dici è giustissimo.
ATENIESE: Non solo, ma farò così, per quanto mi è possibile.
CLINIA: Senza dubbio, facciamo così come diciamo.
ATENIESE: Sarà così, se il dio lo vuole e se vinceremo la nostra vecchiaia sino a tal punto.
CLINIA: è verosimile che il dio lo voglia.
ATENIESE: Sì, è verosimile. Seguiamolo e prendiamo in esame questo punto.
CLINIA: Quale?
ATENIESE: Il fatto che con coraggio e a costo di correre dei pericoli nella presente circostanza verrà da noi fondato questo stato.
CLINIA: A che cosa pensi, e come soprattutto hai ora potuto fare questa affermazione?
ATENIESE: Mi riferisco al fatto che con estrema facilità e senza timori noi stiamo legiferando per uomini inesperti, perché mai accolgano un giorno le leggi che ora sono state fissate. In ogni caso è chiaro a chiunque, Clinia, anche a chi non ha affatto sapienza, che in principio nessuno le accetterà facilmente, ma bisognerà che noi attendiamo che i giovani abbiano gustato le leggi, e cresciuti insieme a quelle e acquisita nei loro confronti una sufficiente familiarità, possano prendere parte all'elezione dei magistrati che si svolgono nello stato: avvenuta questa cosa di cui parliamo, sempre che avvenga secondo un certo meccanismo e in modo corretto, io credo che d'ora in poi vi saranno probabilità assai sicure che uno stato educato in questo modo sarà destinato a durare.
CLINIA: E questo è logico.
ATENIESE: Vediamo allora se procedendo lungo questa direzione troviamo una strada adatta alla nostra ricerca. Io sostengo, Clinia, che i Cnossi, diversamente dagli altri Cretesi, non debbano consacrare in maniera sbrigativa la regione che voi ora colonizzate, ma impegnarsi intensamente perché le principali magistrature, nei limiti del possibile, si basino sulle fondamenta più solide e migliori. Per quanto riguarda le altre, si tratta di un lavoro più breve, mentre è assai necessario che con ogni sforzo noi scegliamo per primi i custodi delle leggi.
CLINIA: Qual è la strada che porta a questo scopo, e quale criterio troveremo?
ATENIESE: Eccola. Io dico, o figli di Creta, che i Cnossi, per il fatto di avere una tradizione politica più antica rispetto agli altri stati, devono scegliere, insieme agli altri che sono giunti per fondare questa colonia, fra loro e fra quelli, trentasette uomini in tutto, diciannove fra i coloni, gli altri fra gli abitanti della stessa Cnosso: i Cnossi daranno al tuo stato questi uomini, e ti persuaderanno, facendoti una lieve violenza, ad essere cittadino di questa colonia, ed uno dei diciotto.
CLINIA: Perché anche tu e Megillo, straniero, non venite a far parte del nostro stato?
ATENIESE: Troppo orgogliosa, Clinia, è Atene, e troppo orgogliosa è anche Sparta, e le une e le altre sono troppo distanti: per te, invece, la cosa è ragionevole sotto tutti gli aspetti, e lo stesso discorso vale per gli altri abitanti della colonia. E se ciò che avviene adesso è quanto di più opportuno può avvenire in seguito a questi fatti, si dica come avverrà l'elezione dei magistrati, quando sarà passato un po' di tempo e la costituzione dello stato avrà consolidato le sue basi. All'elezione dei magistrati prendano parte tutti coloro che portano le armi come cavalieri o come fanti, e abbiano partecipato alla guerra, nei limiti delle forze consentite dalla loro età: l'elezione si tenga nel tempio che la città ritiene più degno di onori, e ciascuno porti all'altare del dio il suo voto, dopo aver scritto sopra una tavoletta il nome del padre del candidato, della tribù e del demo al quale appartiene, e abbia aggiunto accanto il proprio nome, secondo lo stesso procedimento.
Sia concesso a chi lo vuole di levar via una qualsiasi tavoletta che non appaia opportunamente scritta, e di collocarla sulla piazza per un periodo non inferiore ai trenta giorni. I magistrati mostrino pubblicamente a tutto lo stato le tavolette che saranno scelte fra le prime, sino al numero di trecento, e, secondo le stesse procedure, lo stato torni nuovamente a votare chi di questi ciascuno vorrà votare, e i primi cento candidati prescelti in questo secondo turno siano nuovamente mostrati a tutti. Si voti infine per la terza volta e si scelga il candidato che si vuole fra quei cento, facendo riti di giuramento: e i trentasette cui andranno la maggioranza dei voti, siano giudicati e dichiarati magistrati.
Ma quali uomini, Clinia e Megillo, organizzeranno tutto ciò nel nostro stato riguardo alle magistrature e alla valutazione dei magistrati? Non pensiamo che in stati appena uniti insieme si presenti la necessità che ci siano alcune persone preposte a tutte le magistrature, ma che in realtà non è possibile che ci siano? In un modo o nell'altro bisogna trovarli, e non uomini di scarso valore, ma assai validi. Nei proverbi si dice che il principio è a metà di tutta l'opera, e noi ogni volta elogiamo quando si comincia bene: ed anzi, per quel che mi sembra, cominciare bene è già più della metà, e nessuno lo ha mai elogiato abbastanza, quando si è ben realizzato.
CLINIA: Verissimo.
ATENIESE: Consapevoli di questo, non trascuriamo la questione lasciando che passi sotto silenzio, senza cercare di chiarire a noi stessi in quali termini si può risolverla. Quanto a me, non saprei trovare nessun altro discorso se non uno soltanto che in questo momento mi sembra necessario ed utile.
CLINIA: Quale?
ATENIESE: Io dico che questo stato che abbiamo intenzione di fondare non ha, per così dire, un padre o una madre che non sia lo stato stesso che lo fonda, pur non essendo ignaro del fatto che vi sono state e vi saranno sempre molte discordie fra gli stati che sono stati fondati e quelli fondatori. Ora, nella circostanza presente, il nostro stato, come un bambino, se anche un giorno entrerà in discordia con i suoi genitori, ama ed è amato dai genitori, venendosi ancora a trovare nelle difficoltà proprie della fanciullezza, e sempre si rifugia presso i familiari, trovando soltanto in essi i necessari alleati: e questi rapporti di cui ora parlo hanno immediatamente riguardato i Cnossi nei confronti del nuovo stato, grazie all'impegno che essi si sono assunti nei confronti di quella colonia, e il nuovo stato nei confronti dei Cnossi.
Io dico, come ho detto adesso - ma ripetere due volte la cosa ben detta non fa male - che i Cnossi devono insieme prendersi cura di tutte queste cose, scegliendo non meno di cento uomini fra coloro che sono giunti nella colonia, presi nei limiti del possibile fra i più anziani e i migliori; e ad essi si aggiungano altri cento presi tra gli stessi Cnossi. Bisogna che costoro, e lo ripeto, una volta giunti nel nuovo stato, uniscano i loro sforzi insieme a quei cento per istituire le magistrature secondo le leggi, e, dopo che sono state istituite, esaminare i magistrati: svolti questi compiti, i Cnossi torneranno ad abitare a Cnosso, mentre il nuovo stato cercherà da solo di mantenersi e di prosperare. Quelli che fanno parte dei trentasette magistrati, ora e in futuro, per tutto il tempo, siano eletti per queste funzioni: prima di tutto siano custodi delle leggi, e in seguito di quei registri sui quali ciascuno avrà denunciato per scritto ai magistrati l'entità del proprio patrimonio, fatta eccezione di quattro mine per chi appartiene alla prima classe, di tre per chi appartiene alla seconda, di due per la terza, e di una per la quarta. Se qualcuno risulterà possedere altro patrimonio oltre a quello che ha denunciato, gli venga confiscata questa eccedenza, ed inoltre chi vuole intenti una causa contro di lui, non bella e neppure onorata, ma turpe, se viene riconosciuto colpevole di disprezzare le leggi a causa dei guadagni che ha realizzato. Dopo averlo denunciato per turpe guadagno, chi vuole lo conduca in tribunale dinanzi agli stessi giudici custodi delle leggi: e se l'accusato viene riconosciuto colpevole, non prenda parte dei beni comuni, e se vi sia una distribuzione nello stato, rimanga escluso tranne per il lotto ricevuto in sorte, e sia scritta la sua condanna, finché vive, in un luogo dove chiunque vuole potrà prenderne conoscenza. Il custode delle leggi non rimanga in carica più di vent'anni, e non sia eletto a tale magistratura prima dei cinquant'anni: e chi viene eletto a sessant'anni rimanga in carica solo dieci anni, e così di seguito, secondo la stessa proporzione, in modo che chi oltrepassi i settant'anni, non pensi di esercitare una carica così autorevole fra questi magistrati.
Queste dunque sono le tre tre regole che riguardano i magistrati che custodiscono le leggi, e, procedendo innanzi la legislazione, sarà ciascuna delle leggi che prescriverà a questi uomini di che cosa essi dovranno occuparsi, oltre alle cose che sono state dette ora: adesso parliamo, qui di seguito, dell'elezione delle altre magistrature. Dopo i custodi delle leggi, bisogna eleggere gli strateghi, e assegnare loro, come aiutanti in guerra, gli ipparchi, i filarchi, e coloro che ordinano le schiere di fanti per tribù, ai quali si adatterebbe benissimo quel nome di “tassiarchi” con cui generalmente li chiamano. Fra tutti questi i custodi delle leggi propongano gli strateghi scelti da tutto il corpo dello stato, e fra coloro che sono stati proposti venga effettuata la scelta da parte di tutti quelli che hanno partecipato alla guerra in gioventù, e vi partecipano ogni volta che si presenti la necessità. Se a qualcuno sembri che uno degli esclusi sia migliore di qualcuno di quelli che invece sono stati proposti, faccia il nome di chi propone e di chi vuole sostituito, e dopo aver giurato faccia la contro proposta: chi dei due risulti eletto mediante alzata di mano, sia giudicato fra gli eleggibili. I tre che avranno ricevuto più voti per alzata di mano saranno strateghi, e amministreranno gli affari della guerra, dopo essere stati esaminati come i custodi delle leggi. Gli strateghi eletti proporranno i loro dodici tessiarchi, un tessiarco per ogni tribù, e la controproposta, la votazione, e l'esame avverranno per i tassiarchi secondo le stesse modalità seguite per gli strateghi. Questa assemblea, al momento attuale, prima che siano eletti i pritani e il consiglio, sarà convocata dai custodi delle leggi, nel luogo più sacro e più adatto, e vi siederanno gli opliti separati dai cavalieri, e in terzo luogo, tutto quanto il contingente militare: tutti eleggeranno per alzata di mano gli strateghi e gli ipparchi; per i tassiarchi votino coloro che portano gli scudi; tutta quanta la cavalleria elegga i filarchi; mentre gli strateghi eleggano i capi dei fanti armati alla leggera, degli arcieri e di qualche altro settore dell'esercito. Ci rimane ancora da parlare dell'elezione degli ipparchi. Questi siano proposti da coloro che proposero anche gli strateghi, e la scelta e la controproposta avvengano secondo le stesse modalità: la cavalleria li voterà alla presenza e sotto gli occhi della fanteria, e i due cui andrà la maggioranza dei voti saranno i comandanti di tutti i cavalieri. Le contestazioni per alzata di mano possono essere sino a due: se si farà una terza contestazione decideranno coloro cui è affidata l'enumerazione di ciascun voto. Il consiglio dev'essere composto di trenta dozzine - il numero di trecentosessanta membri si adatterebbe bene alle suddivisioni -: e si dividano allora questi membri in quattro parti di novanta membri ciascuna, in modo che in ogni classe si votino novanta consiglieri. In primo luogo dovranno tutti necessariamente votare per quelli della prima classe, e chi non obbedisca sia punito secondo la pena stabilita: concluse le votazioni, i voti siano contrassegnati, il giorno dopo si voti per quelli della seconda classe seguendo le stesse procedure di prima, il terzo giorno per quelli della terza classe, e voti chi vuole, ma il voto è obbligatorio per gli appartenenti alle prime tre classi, mentre quelli della quarta ed ultima classe siano liberi da pena se non vogliono votare. Il quarto giorno tutti votino per la quarta e ultima classe, e siano liberi da pena gli appartenenti alla quarta o terza classe che non abbiano intenzione di votare: ma chi non voti e appartiene alla seconda e alla prima classe sia punito, quelli della seconda classe con una pena tripla rispetto a quella del primo giorno, quelli della prima con una pena quadrupla. Il quinto giorno i magistrati renderanno pubblici i nomi contrassegnati, perché tutti i cittadini possano venirne a conoscenza, e tutti dovranno votare, altrimenti vi sarà la pena pari a quella del primo giorno: scelti così centottanta da ogni classe, ne verranno tratti a sorte la metà, e, una volta esaminati, saranno i consiglieri per quell'anno.
Il sistema elettorale che avvenga in questi termini si trova ad essere in mezzo fra la costituzione monarchica e quella democratica, e sempre in mezzo ad esse deve trovarsi la costituzione: infatti schiavi e padroni non potranno mai diventare amici, e neppure uomini di scarso valore e uomini valenti lo diventeranno in base ad un decreto sull'uguaglianza, dato che per gli ineguali l'uguaglianza diventa ineguaglianza, se non vi è la misura.
E a causa di questi due elementi, le costituzioni sono piene di sedizioni. è vero quell'antico detto, secondo cui l'uguaglianza produce amicizia, ed è un detto assai giusto e conveniente: ma poiché non si capisce con sufficiente chiarezza quale sia questa uguaglianza che è in grado di produrre questa cosa, questo dubbio ci mette in grande difficoltà. Vi sono infatti due specie di uguaglianza, che hanno sì lo stesso nome, ma in pratica sono quasi opposte, sotto molti aspetti: per quanto riguarda la prima specie, qualsiasi stato e qualsiasi legislatore può introdurla nella distribuzione degli onori, e riguarda l'uguaglianza nella misura, nel peso, e nel numero, e nelle suddivisioni si può regolare con il sorteggio; quanto alla seconda, essa è la più autentica e la migliore uguaglianza, e non tutti possono vederla facilmente. Solo Zeus è in grado di scorgerla, e agli uomini viene sempre raramente in soccorso, ma per quanto venga in aiuto a stati e a privati cittadini, realizza ogni sorta di beni: al maggiore distribuisce di più, al minore di meno, assegnando all'uno e all'altro quanto è conveniente secondo loro natura, e attribuisce onori maggiori a chi possiede maggiore virtù, mentre a coloro che si trovano nella condizione opposta per virtù ed educazione assegna ciò che loro conviene in proporzione. Questa giustizia riguarda secondo noi anche la sfera politica: e prendendo di mira e considerando questa uguaglianza, Clinia, noi dobbiamo costruire lo stato che ora sta nascendo. E se qualcuno mai fondi un altro stato, deve legiferare in vista dì questo stesso fine, e non nell'interesse di un piccolo numero di tiranni, o di uno solo, o del potere del popolo, ma sempre in vista della giustizia intesa nel senso che abbiamo detto adesso, e cioè capace di assegnare ogni volta agli ineguali l'uguaglianza, che spetta loro per natura. è necessario che ogni stato adoperi tali denominazioni, se non vuole partecipare in qualche sua parte delle sedizioni che talvolta possono nascere: l'equità, infatti, e l'indulgenza sono un'infrazione del significato compiuto e perfetto della giustizia autentica, quando ciò avviene, e perciò bisogna servirsi dell'uguaglianza della sorte per contrastare il malumore della folla, invocando allora, nelle nostre preghiere, il dio e la buona fortuna perché dirigano la sorte nella direzione di ciò che è più giusto. Così ci si deve necessariamente servire delle due forme di uguaglianza, ma il più raramente possibile della seconda, perché necessita della sorte.
Per queste ragioni, amici, uno stato che vuole conservarsi in modo duraturo deve comportarsi in questo modo: perché come una nave che traversa il mare ha bisogno sempre, giorno e notte, di protezione, così uno stato che passa in mezzo ai marosi degli altri stati e vive nel continuo pericolo di essere colto dalle insidie, ha bisogno che dal giorno sino alla notte, e dalla notte sino alla venuta del giorno, i magistrati si succedano ai magistrati, i guardiani sì sostituiscano ai guardiani, senza mai cessare di trasmettersi le consegne. E poiché la massa non sarà mai in grado di svolgere nessuna di queste operazioni con rapidità, è necessario che, mentre la maggior parte dei consiglieri viene lasciata riposare per lunghi periodi di tempo, attendendo ai propri affari e disponendo in ordine le proprie case, si assegni lo stato, nel corso dei dodici mesi, alla dodicesima parte di essi, in modo che, a turno, questi custodi sappiano trattare prontamente con chi viene da fuori o anche dallo stato stesso, sia che costui venga con l'intenzione di recare notizie, sia che voglia richiedere qualcuna di quelle informazioni che conviene che uno stato fornisca ad altri stati, o delle quali conviene che riceva risposta, se lo stato abbia interrogato altri stati; ed inoltre essi dovranno vigilare perché non si verifichino quelle insurrezioni politiche di ogni genere che ogni volta sono solite avvenire nello stato, e se accadono, dovranno informare il più presto possibile lo stato perché ponga rimedio a quanto è accaduto. Per tali ragioni questo corpo che è a capo dello stato deve sempre avere l'autorità di convocare o di sciogliere le assemblee, sia quelle che si svolgono secondo la legge, sia quelle che si tengono in situazioni di emergenza improvvisa per lo stato. Sarà la dodicesima parte del consiglio che disporrà tutte queste cose, mentre si riposerà negli altri undici mesi dell'anno: ma questa parte del consiglio deve esercitare tale vigilanza sullo stato in comune accordo con gli altri magistrati.
Tutto ciò che riguarda lo stato è stato ordinato come si doveva: quale cura, invece, e quale disposizione bisogna assegnare a tutto il resto della regione? E dal momento che tutta la città e tutta la regione sono state divise in dodici parti, non bisogna designare dei soprintendenti che si prendano cura delle strade della stessa città, delle case, degli edifici, dei porti, della piazza, delle fontane, dei luoghi sacri, dei templi, e di altre cose simili?
CLINIA: Come no?
ATENIESE: Diciamo allora che ai templi si devono assegnare guardiani, sacerdoti, e sacerdotesse. Quanto alle strade, agli edifici, e al loro ordine, affinché sia gli uomini, sia le bestie non causino danni, e perché venga mantenuto l'ordine che si conviene alle città tanto all'interno della stessa cinta muraria della città, quanto nei sobborghi esterni, bisogna eleggere tre specie di magistrati e chiamare “astinomi” quelli che si occupano di quanto si è appena detto, “agoranomi” invece coloro che si occupano dell'ordine relativo alla piazza. Non si devono toccare quei sacerdoti e quelle sacerdotesse dei templi che hanno ricevuto la dignità sacerdotale dai padri: ma se, com'è naturale che avvenga in tali stati che vengono fondati per la prima volta, non ve ne siano, o ve ne siano pochi, se non sono stati istituiti, bisogna istituire sacerdoti e sacerdotesse che siano guardiani degli dèi. Nell'atto di istituire tutte queste cariche, bisogna che alcune siano elette, altre tirate a sorte, mescolando, in vista della reciproca concordia, il demo con chi non appartiene al demo, in ogni regione e città, per giungere alla massima concordia. Quanto alle cariche sacerdotali, sia lasciata al dio stesso la facoltà di scegliere quello che più gli è gradito, e si proceda al sorteggio, affidando così l'elezione alla sorte divina: si esamini quindi il sorteggiato per vedere se in primo luogo sia fisicamente integro e di nobile stirpe, e se, in secondo luogo, proviene da una famiglia conservatasi il più possibile pura, e ancora, se lo stesso sorteggiato, e allo stesso modo suo padre e sua madre abbiano vissuto immuni da uccisione e da tutte le altre colpe del genere che si commettono dinanzi agli dèi. Bisogna che le leggi riguardanti tutte le cose divine provengano da Delfi, e si devono seguire, dopo che si sia ricorsi ad interpreti appositamente istituiti per esse. Ciascuna carica sacerdotale deve durare un anno e non più a lungo, e chi vuole adeguatamente esercitare i riti divini secondo le sacre leggi non deve avere, secondo noi, meno di sessant'anni: le stesse regole abbiano validità anche per le sacerdotesse. Gli interpreti siano eletti in tre tempi, e volta a volta quattro tribù eleggano quattro interpreti, e ciascuno provenga da una tribù. I tre ai quali andrà la maggioranza dei voti vengano esaminati, gli altri nove siano inviati a Delfi, dove il dio ne sceglierà uno per ogni terna: quanto alle procedure dell'esame e all'età valgano le stesse regole adottate per i sacerdoti. Costoro però siano interpreti per tutta la vita, e se uno viene a mancare, le quattro tribù eleggano un sostituto dalla tribù donde quello è mancato. Per ciascun tempio siano eletti, fra coloro che appartengono alla prima classe, in qualità di amministratori responsabili delle sacre ricchezze, dei luoghi sacri, dei frutti provenienti da questi, e degli affitti, tre amministratori per i tempi più grandi, due per quelli più piccoli, uno per i più modesti: quanto alla loro elezione e al relativo esame valgano le stesse norme seguite per gli strateghi.
Tali dunque siano le norme che regolano questi riti sacri.
Nulla per quanto è possibile rimanga incustodito. La sorveglianza dello stato sia di competenza degli strateghi, dei tassiarchi, degli ipparchi, dei filarchi, dei pritani, degli astinomi e degli agoranomi, dopo che siano da noi eletti e adeguatamente preparati.
Quanto al resto della regione sia interamente sorvegliato in questo modo. Noi abbiamo diviso l'intera regione in dodici parti il più possibile uguali: ogni tribù, cui è stata assegnata per sorteggio ciascuna di queste parti, offra ogni anno cinque persone in qualità di agronomi e di frurarchi; e a questi cinque sia consentito di scegliere dalla propria tribù dodici giovani che non abbiano meno di venticinque anni e non superino la trentina. Ad essi vengano assegnate mese per mese le parti di regione, ogni parte a ciascuno, affinché diventino tutti quanti esperti e competenti di tutta la regione.
Questo comando e questa sorveglianza abbiano la durata, per le guardie e i capi, di due anni. Quale che sia la parte ricevuta in sorte per la prima volta, vale a dire i diversi luoghi della regione, si trasferiscano sempre, ogni mese, spostandosi nel luogo adiacente, e siano guidati dai frurarchi circolarmente verso destra, e per destra si intende verso oriente.
Trascorso il primo anno, nel corso del secondo, affinché la maggior parte delle guardie non diventi soltanto esperta della regione per una sola stagione dell'anno, ma perché apprenda, oltre alla topografia, anche le peculiarità di ciascun luogo in ciascuna stagione, coloro che allora li guidano li conducano nuovamente verso sinistra, facendoli continuamente mutare luogo, fino a che sia trascorso il secondo anno. Nel corso del terzo anno si scelgano altri cinque agronomi e frurarchi che si prenderanno cura di dodici giovani. Ecco di che cosa dovranno occuparsi nel corso della loro permanenza in ciascun luogo: prima di tutto che il luogo sia il più possibile ben fortificato contro i nemici, scavando fossati, dove se ne presenti l'esigenza, e costruendo trincee e fabbricando fortificazioni per tenere il più possibile lontano qualsiasi tentativo di recar danno alla regione e alle sue ricchezze.
Per questi lavori potranno servirsi di bestie da soma e degli schiavi che incontreranno in ciascun luogo, e mediante quelli lavoreranno, dirigendoli durante il lavoro, e sceglieranno il più possibile quei momenti in cui essi saranno liberi dalle occupazioni domestiche. Si faccia in modo di rendere ogni parte del territorio inaccessibile ai nemici, mentre lo si renda accessibile agli amici, uomini, bestie da soma, ed armenti, prendendosi cura delle strade, perché siano, ciascuna di quelle strade, il più possibile tranquille, e delle acque piovane, perché non rechino danno alla regione, ma piuttosto sì rivelino utili scorrendo dalle alture verso le profonde valli fra i monti: allora tentino di convogliarle in canali rinchiudendole con sbarramenti e fossati, in modo che quelle valli, assorbendo l'acqua e imbibendosi, generino ruscelli e sorgenti per tutti i campi e i luoghi sottostanti, e rendano anche i luoghi più aridi ricchi e abbondanti di buona acqua.
Cerchino di abbellire le acque sorgive - fiumi o fonti che siano - con piante e costruzioni, rendendole più decorose, e facendo confluire le acque dei ruscelli mediante canali sotterranei rendano fertile ogni parte del luogo; e se vi sia un bosco o un luogo sacro nelle vicinanze, mediante le irrigazioni in ogni stagione dell'anno, lo abbelliscano indirizzando i corsi d'acqua verso i luoghi sacri degli dèi. Dovunque, in luoghi del genere, bisogna che i giovani allestiscano ginnasi per sé e per i vecchi, dotandoli di bagni caldi per i vecchi, e fornendoli abbondantemente di legna secca: tali ginnasi recheranno vantaggio a coloro che sono spossati dalle malattie e a quanti hanno il corpo consumato dalle fatiche dei campi, e vi troveranno benevola accoglienza, accoglienza che sarà di gran lunga migliore di un medico non troppo saggio.
Tutti questi lavori e gli altri simili a questi renderanno ordinati quei luoghi e saranno loro di utilità, offrendo nel contempo un divertimento che non sarà affatto privo di godimento: ma l'aspetto serio delle loro occupazioni sia il seguente.
I sessanta agronomi custodiscano ciascuno il proprio luogo non solo dai nemici, ma anche da coloro che assicurano di essere amici: se un vicino o un altro cittadino commette ingiustizia a danno di un altro, sia egli schiavo o libero, rendano giustizia a chi afferma di averla subita, e se si tratta dì cause di scarsa importanza siano gli stessi cinque capi a rendere giustizia, se invece si tratta di cause più importanti, sino a giungere al valore di tre mine, siano i diciassette a giudicare, vale a dire i cinque e i dodici giovani, e giudichino tutte le accuse che un cittadino avanza nei confronti di un altro.
Nessun giudice o magistrato deve giudicare o governare senza essere tenuto a rispondere delle proprie azioni, se non chi giudica in ultima istanza, come i re.
E se questi agronomi si mostrano prepotenti nei confronti di quelli di cui si prendono cura, dando ordini iniqui e tentando di prendere e portar via i prodotti dell'agricoltura senza domandare permesso, e se accettano qualcosa che viene donato loro per corromperli, o se amministrano ingiustamente la giustizia, per aver ceduto a tali lusinghe sopportino il peso del disonore in tutto lo stato; per le altre colpe commesse ai danni della gente del luogo fino al valore di una mina, si rimettano spontaneamente alla pena decisa dagli abitanti del luogo e dai vicini; per quelle più gravi, ogni volta che avvengono, o anche per quelle minori, nel caso in cui non vogliano sottomettersi, confidando nel fatto di potervi sfuggire dato che ogni mese si trasferiscono in un altro luogo, a tal proposito, dunque, chi ha subito l'ingiustizia si rivolga ai pubblici tribunali, e se vince la causa, esiga da questi che voleva sfuggire e non voleva sottomettersi spontaneamente alla punizione il doppio della pena.
Questi magistrati e questi agronomi, nel corso dei loro due anni, conducano un tenore di vita che sia il seguente: vi sia innanzitutto in ogni luogo l'istituzione dei pasti in comune, nei quali tutti devono prendere in comune il vitto.
Chi anche per un giorno solo non partecipa ai pasti in comune, o se ne vada via di notte, senza che i magistrati glielo abbiano permesso o senza che si sia presentata una stretta necessità, se i cinque lo denunciano e stabiliscono di esporre il suo nome scritto sulla piazza come di persona che ha trascurato il suo turno di guardia, subisca il disonore come se avesse tradito la costituzione, per quel che gli competeva, e sia punito impunemente con percosse da chi si imbatta in lui e voglia punirlo.
E se è uno degli stessi capi che compie qualcosa di simile, bisogna che si occupino del caso tutti i sessanta, e chi si accorge del fatto o ne viene informato e non intenti una causa sia sottoposto alle stesse leggi e sia punito con una pena più severa di quelle dei giovani: sia inoltre dichiarato indegno di esercitare ogni carica relativa ai giovani.
I custodi delle leggi sorveglino attentamente queste illegalità perché esse non avvengano, o nel caso avvengano, siano punite secondo la giusta pena.
Bisogna che ogni uomo consideri, estendendo la riflessione a tutti gli uomini, che chi non è stato schiavo non potrà neppure essere un padrone degno di lode, e che bisogna compiacersi maggiormente del fatto di avere servito bene che di aver ben comandato, prima di tutto le leggi, poiché questo è un servizio reso agli dèi, e in secondo luogo, se si è giovani, i più vecchi e coloro che hanno vissuto in modo onorevole.
Dopo di che bisogna che chi è stato agronomo in questi due anni abbia assaporato quel quotidiano tenore di vita frugale e rustico.
Non appena eletti i dodici, riuniti agli altri cinque, decidano, come fossero dei servi, che non avranno per sé altri servi e altri schiavi, e non utilizzeranno i servi degli altri contadini e degli abitanti del luogo per i loro servizi privati, ma solo per le faccende di carattere pubblico: per il resto devono pensare di vivere servendosi essi stessi reciprocamente, esplorando inoltre tutta la regione d'estate e d'inverno, girando armati, per sorvegliare e conoscere tutti i luoghi.
Probabilmente non c'è conoscenza migliore che conoscere con esattezza la propria regione.
Per questo un giovane deve dedicarsi alla caccia con il cane o ad altri generi di caccia, non meno che per il piacere e il vantaggio che tutti possono trarre da attività di questo tipo.
E sia che costoro - e la loro attività - li si chiami “cripti” o “agronomi”, o comunque li si voglia chiamare, ogni uomo, nei limiti delle sue possibilità, deve dedicarsi volentieri a quest'attività, almeno quelli che vogliono salvaguardare il loro stato in modo adeguato Dopo di che seguiva per noi, riguardo all'elezione dei magistrati, l'elezione degli agoranomi e degli astinomi.
Ai sessanta agronomi seguono tre astinomi, i quali, dividendo per tre le dodici parti della città, ad imitazione degli agronomi, si prendano cura delle vie della città e di quelle strade che dalla regione conducono sempre verso la città, e degli edifici, perché siano tutti conformi alle leggi, e delle acque che saranno loro consegnate ed affidate dalle guardie dopo essersene presi cura, in modo che giungano alle fonti in quantità sufficiente e pure, e abbelliscano e siano di utilità alla città.
è necessario che anche costoro siano uomini capaci e abbiano tempo disponibile per occuparsi dei pubblici affari: perciò ogni persona potrà proporre chi vuole purché provenga dalla prima classe, e dopo che siano stati eletti per alzata di mano e coloro che hanno ottenuto la maggioranza dei voti siano giunti al numero di sei, chi è preposto a queste operazioni estragga a sorte quei tre che, dopo essere esaminati, diventino magistrati secondo le leggi stabilite per essi.
Subito dopo si eleggano cinque agoranomi tratti dalla seconda e dalla prima classe, per il resto l'elezione segua le stesse procedure adottate per gli astinomi: fra i dieci che rispetto agli altri avranno ottenuto più voti per alzata di mano, si estraggano a sorte cinque, e dopo un esame siano dichiarati magistrati.
Chiunque deve votare per tutti: e chi non vuole, se viene denunciato ai magistrati, sia punito con una multa di cinquanta dracme, oltre a meritarsi la fama di cattivo cittadino.
Chiunque voglia può recarsi all'assemblea e alla pubblica adunanza, mentre sia obbligatorio per gli appartenenti alla prima e alla seconda classe, che saranno multati di dieci dracme se verrà provata la loro assenza alle riunioni: l'obbligo non sussiste per gli appartenenti alla terza e alla quarta classe, e non siano puniti con la multa, se non nel caso in cui i magistrati abbiano intimato a tutti di parteciparvi per una qualche necessità.
Gli agoranomi abbiano il compito di sorvegliare l'ordine relativo alla piazza stabilito dalle leggi, essi prendano cura dei templi e delle fontane che sorgono sulla piazza, perché nessuno rechi danno ad alcuna cosa; e chi causi danni sia punito, con percosse e catene se si tratta di schiavi o stranieri, se invece sia uno del luogo che commette tali disordini, sino a cento dracme siano gli stessi agoranomi ad avere l'autorità di infliggere la pena, mentre per una pena sino alle duecento dracme condannino il colpevole insieme agli astinomi.
Allo stesso modo anche agli astinomi sia consentito di multare e di punire nell'ambito della propria giurisdizione, ed essi possano multare sino ad una mina, mentre infliggano il doppio della multa insieme agli agoranomi.
Dopo di che converrà istituire i magistrati che si occupano di musica e di ginnastica, e dell'una e dell'altra vi siano due specie magistrati: quelli che si occupano dell'educazione e quelli relativi alle gare.
Quanto ai magistrati dell'educazione la legge intende riferirsi a coloro che si occupano dell'ordine e dell'educazione che viene impartita nei ginnasi e nelle scuole, prendendosi cura della frequenza in tali scuole e degli alloggi dei giovani e delle giovani; quanto ai magistrati delle gare, invece, la legge intende riferirsi a coloro che giudicheranno gli atleti che affrontano le gare ginniche e musicali, e questi si divideranno di nuovo in due specie, quelli che si occupano della musica e gli altri che si occupano della ginnastica.
Per le gare degli uomini e per le gare ippiche i giudici siano sempre gli stessi, per la musica, invece, converrebbe che alcuni fossero giudici del canto monodico e di quello imitativo, altri, dei rapsodi, ad esempio, dei citaredi, e dei flautisti, e di altri simili, altri dei canti corali.
In primo luogo bisogna eleggere i magistrati che sovrintendano a quel divertimento corale di fanciulli, di uomini, e di fanciulle che si realizza nella danza e in tutto ciò che viene ordinato dalla musica: in questo caso è sufficiente un solo magistrato che abbia non meno di quarant'anni.
E uno solo sia sufficiente anche per il canto monodico, il quale non abbia meno di trent'anni: costui abbia il compito di introdurre alle gare i concorrenti e sia in grado di giudicare in modo adeguato.
Ed ecco il modo con cui si dovrà eleggere il magistrato preposto all'ordine dei cori.
Quanti amano la danza corale si rechino insieme alla riunione, e siano puniti con una multa se non si recano - di questo fatto siano giudici i custodi delle leggi -, mentre non vi sia alcun obbligo per gli altri, se non hanno intenzione di parteciparvi.
Chi avanza la proposta deve farla scegliendo fra gli esperti dell'arte, e nel corso dell'esame l'unico argomento favorevole o contrario sia questo: per gli uni il candidato sarà inesperto, per gli altri esperto dell'arte.
E quell'unico che fra i dieci che hanno raccolto più voti per alzata di mano sia sorteggiato e sia sottoposto all'esame sia per un anno il magistrato dei cori secondo la legge.
Allo stesso modo e secondo le stesse procedure, chi viene sorteggiato fra coloro che si sono presentati per essere giudicati eserciti per quell'anno la magistratura sui canti monodici e sulla musica strumentale, dopo che il sorteggiato sia stato affidato al giudizio dei giudici.
Dopo di che è necessario eleggere dalla terza e anche dalla seconda classe coloro che presiedono le gare riguardanti le competizioni di uomini e quelle ippiche: vi sia l'obbligo di recarsi all'elezione per le prime tre classi, mentre l'ultima sia esente da pena.
Siano tre i sorteggiati fra i venti più votati per alzata di mano, e questi tre abbiano anche ottenuto il voto favorevole degli esaminatori che li valutano: se qualcuno viene respinto all'esame in relazione a qualsiasi carica, sia quando si sorteggia, sia quando si giudica, se ne elegga un altro con la stessa procedura, e allo stesso modo si conduca l'esame.
Rimane ancora un magistrato riguardo a quel che abbiamo detto prima: si tratta di chi sovrintende l'educazione maschile e femminile.
Uno solo sia, secondo le leggi, chi detiene questa carica, non abbia meno di cinquant'anni, sia padre di figli legittimi, se possibile figli maschi e figlie femmine, altrimenti dell'uno o dell'altro sesso.
Tanto chi viene preferito quanto chi lo preferisce nel giudizio rifletta sul fatto che questa carica è assolutamente la più importante fra le massime cariche che vi sono nello stato.
Infatti il primo germoglio di ogni pianta, se comincia a crescere bene, ha moltissime possibilità, in relazione al valore della sua natura, di compiere qualcosa di vantaggioso, e questo non vale solo per le piante in genere, ma anche per gli animali domestici e selvatici, e per gli uomini: e l'uomo, noi diciamo, è un essere domestico, e tuttavia se ha ottenuto in sorte una retta educazione e un'indole felice, è solito diventare il più divino e il più mite degli esseri viventi, ma se non è stato allevato in maniera adeguata o in modo non onorevole diventa il più selvaggio fra gli esseri che la terra fa nascere.
Per queste ragioni il legislatore non deve permettere che l'educazione dei fanciulli diventi un fatto secondario o puramente accessorio, ma bisognerà prima di tutto cominciare a scegliere bene chi dovrà occuparsi dei bambini, e, nei limiti del possibile, bisognerà far sovrintendere alla loro educazione colui che sotto ogni aspetto risulti il migliore fra quelli che vi sono nello stato.
Tutti i magistrati, allora, fatta eccezione per il consiglio e i pritani, si riuniscano presso il tempio di Apollo e votino in gran segreto, fra i custodì delle leggi, quello che ciascuno ritiene che possa detenere nel modo migliore questa carica che riguarda l'educazione: chi abbia avuto la maggioranza dei voti e sia stato esaminato dagli altri magistrati che abbiano preso parte all'elezione, fatta eccezione per i custodi delle leggi, detenga la carica per cinque anni; nel sesto anno, con la stessa procedura, si elegga un altro per questa carica.
Nel caso in cui chi detiene una carica pubblica muoia più di trenta giorni prima dello scadere del suo mandato, secondo la stessa procedura, chi si deve occupare di queste cose lo sostituisca con un altro nella magistratura.
E se muoia un tutore di orfani, i parenti che risiedono nello stato, da parte di padre e di madre, sino ai figli dei cugini, ne nominino un altro entro dieci giorni, o ciascuno sia punito con una multa di una dracma al giorno, finché non abbiano nominato un tutore ai bambini.
Uno stato in cui i tribunali non fossero istituiti come si deve non sarebbe più uno stato: un giudice che non parla, e che nelle fasi istruttorie non dice una parola in più di quanto dicono le parti in causa, come negli arbitrati, un giudice come questo non sarà mai in grado di giudicare nelle questioni concernenti la giustizia.
Per questi motivi non è facile giudicare bene se si è in molti, ma neppure se si è in pochi e di scarso valore.
Bisogna che ciò che costituisce il fulcro della controversia sia messo sempre in chiaro da una parte e dall'altra; e il tempo, e insieme la lentezza, e la serrata indagine preliminare servono a mettere in luce questa controversia.
Ecco perché prima di tutto bisogna che le parti in causa si rivolgano ai vicini, agli amici, a coloro che conoscono maggiormente i fatti che sono oggetto della controversia, e se non si ottenga in questi tribunali una sentenza soddisfacente, ci si rechi presso un altro tribunale.
Il terzo tribunale, se i primi due tribunali non siano in grado di portare ad una riappacificazione, ponga fine alla causa.
In un certo senso anche le istituzioni dei tribunali rappresentano una forma di elezione dei magistrati: è inevitabile infatti che ogni magistrato sia anche giudice di alcune questioni, ed il giudice, pur non essendo magistrato, in un certo senso lo diventi, e non un magistrato di scarso valore, nel giorno in cui, fornendo la sentenza, pone fine alla causa.
Considerando allora anche i giudici come magistrati, dobbiamo dire quali siano quelli adatti, in quale ambito possono giudicare, e quanti devono essere per ciascun ambito.
Il tribunale più autorevole sia dunque quello che ciascuna delle parti avrà indicato l'una all'altra, scegliendo in comune alcuni giudici.
Per il resto, vi siano due corti di giustizia: l'una quando un privato accusa un altro di aver commesso ingiustizia contro di lui, e lo porta in giudizio e vuole che sia giudicato; l'altra quando un cittadino ritiene che un privato abbia arrecato danno allo stato, e vuole venire in soccorso della comunità.
Bisogna ora dire chi devono essere i giudici e quale dev'essere la loro natura.
Prima di tutto dobbiamo avere un tribunale comune a tutti i privati che sono in controversia fra loro dopo aver fatto ricorso per la terza volta, e tale tribunale sia organizzato in questo modo.
Tutti i magistrati che sono in carica per un anno e anche più di un anno, il giorno prima dell'inizio del nuovo anno, nel mese seguente al solstizio d'estate, bisogna che si riuniscano tutti in un tempio, e dopo aver giurato in nome del dio, offrano al dio, come una primizia di ogni magistratura, un giudice che nella propria carica si stimi essere stato il più valente, e dia l'impressione di amministrare la giustizia per i cittadini, nell'anno seguente, nel modo migliore e più santo.
Non appena siano stati eletti, siano sottoposti all'esame da parte degli stessi che li hanno eletti, e se uno viene respinto, venga eletto un altro al suo posto seguendo le stesse procedure; quelli che risultano eletti e hanno ottenuto l'approvazione giudicheranno le cause di chi ha lasciato gli altri tribunali, e daranno il loro voto senza scrutinio segreto.
Uditori e spettatori di questi processi siano necessariamente i consiglieri, e gli altri magistrati che li hanno eletti, e tutti gli altri che lo desiderano.
Se un tale accusa un giudice di aver emesso volontariamente una sentenza ingiusta, deponga la sua accusa presso i custodi delle leggi: e quello che sia ritenuto colpevole in tale processo sia condannato a pagare alla parte lesa la metà del danno recato, e se si ritiene che meriti una pena maggiore, i giudici che si sono occupati della causa facciano una stima delle pena che deve subire oltre a quella che gli è stata comminata, o quanto in più deve pagare alle casse dello stato o all'accusa.
Quanto alle imputazioni che riguardano i delitti contro lo stato, è in primo luogo necessario che il popolo partecipi al giudizio - tutti infatti hanno ricevuto ingiustizia quando uno ha recato danno allo stato, e quindi avrebbero ragione di sopportare a malincuore di essere esclusi da processi dì questo genere - ma bisogna che al popolo siano affidate la fase iniziale e quella finale di una simile causa, mentre la fase investigativa dev'essere lasciata alle tre magistrature più importanti sulle quali si metteranno d'accordo accusatore e accusato: se essi non saranno in grado di giungere ad un accordo, il consiglio giudicherà la scelta dell'una e dell'altra parte.
Bisogna che anche per le cause private tutti vi partecipino, nei limiti del possibile: e chi non partecipa di questa facoltà di giudicare, non si ritiene affatto partecipe della vita dello stato.
Per questi motivi è necessario che vi siano i tribunali per le tribù, e i giudici, estratti a sorte, giudichino immediatamente senza lasciarsi corrompere da nessuna richiesta; ma il giudizio finale di tutte queste cause spetta a quel tribunale di cui abbiamo parlato e che abbiamo cercato di rendere, nei limiti delle umane possibilità, il più incorruttibile possibile, in modo che sia in grado di risolvere le vertenze di coloro che non sono riusciti a riconciliarsi né presso i tribunali dei vicini, né presso quelli delle tribù.
Ora a proposito dei nostri tribunali - e in tal caso non è facile dire in maniera incontestabile se si tratta o no di magistrature - abbiamo tracciato uno schizzo e delineato i suoi contorni, precisando alcune cose e tralasciandone altre: infatti solo al termine della legislazione si possono esattamente stabilire e ripartire nel modo assolutamente più corretto le leggi che si occupano della giustizia.
E queste cose, dunque, ci attendono alla fine, mentre per quanto riguarda invece l'istituzione delle altre magistrature, possiamo dire che esse hanno assunto un ruolo assai esteso nella legislazione.
Naturalmente, una conoscenza complessiva e precisa di ognuna e di tutte quante le strutture che regolano lo stato e la vita civile, non può diventare del tutto evidente prima che la trattazione, che è partita dall'inizio e ha sviluppato una seconda parte e poi quella intermedia, sia completa di tutte le sue parti e giunga alla fine.
E ora, nella circostanza presente, si possa dare un'adeguata conclusione a quella parte che giunge sino all'elezione dei magistrati, e si cominci a fissare le leggi che non ammettono più ritardo o incertezze.
CLINIA: Sono pienamente d'accordo, straniero, con quel che hai detto prima: e ora il fatto di collegare l'inizio di ciò che dovrai dire con la fine di ciò che è stato detto mi soddisfa ancora di più.
ATENIESE: Sin qui ci siamo allora intrattenuti bene in questo saggio passatempo di vecchi.
CLINIA: Mi pare che alluda evidentemente ad una onorevole occupazione propria di uomini valenti.
ATENIESE: è vero: ma vediamo se anche tu sei d'accordo con me su questo punto.
CLINIA: Quale punto? E di che cosa si tratta?
ATENIESE: Tu sai che l'attività dei pittori, quando ritraggono un qualsiasi oggetto, non sembra avere mai fine, e pare che non finiscano mai di abbellire l'opera caricando o attenuando i colori, o come chiamano questa tecnica gli allievi dei pittori, sicché i dipinti non possano più evolversi in bellezza ed espressione.
CLINIA: Capisco anch'io quello che dici, almeno per quel che ho sentito dire, dato che non mi sono mai dedicato a tale arte.
ATENIESE: E non hai perso niente. Ma noi serviamoci di questo ragionamento sull'arte che ora si è presentato nella nostra discussione, e facciamo la seguente considerazione. Se un pittore pensasse di rappresentare l'opera più bella, tale da non perdere mai il suo valore, ma da migliorare continuamente con il passare del tempo, ti rendi conto che, essendo mortale, se non nascerà un successore che restauri i danni provocati dall'azione del tempo, capace inoltre di abbellirla colmando quelle mancanze determinate dalla sua stessa incapacità tecnica, questa fatica gli sopravviverà per ben poco tempo?
CLINIA: Vero.
ATENIESE: E allora? Non credi che questa sia l'intenzione del legislatore? Prima di tutto deve tracciare le leggi nel modo più preciso possibile e in quantità sufficiente; in seguito, con il passare del tempo, mettendo alla prova dei fatti le sue decisioni, credi che vi sarà un legislatore così stolto da non riconoscere che inevitabilmente ha lasciato molti aspetti incompiuti, e che quindi un successore dovrà correggerli, perché la costituzione non peggiori, ma migliori, e l'ordine regni sempre nello stato da lui fondato?
CLINIA: Questa - e come non potrebbe esserlo - potrebbe verosimilmente essere la volontà del legislatore.
ATENIESE: E se qualcuno possedesse un qualche sistema per giungere a questo fine, e con i fatti e con le parole insegnasse ad un altro, migliore o peggiore di lui, in che modo si acquisisce la nozione per custodire e correggere le leggi, non è vero che non finirebbe mai di spiegare questa cosa prima di giungere al fine proposto?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: E in questo momento io e voi non dobbiamo fare così?
CLINIA: Di che cosa parli?
ATENIESE: Dato che stiamo per legiferare, e abbiamo già scelto i custodi delle leggi, e poiché siamo al tramonto della vita, mentre quelli rispetto a noi sono giovani, come andiamo dicendo, dobbiamo legiferare, e nello stesso tempo tentare di rendere anche costoro legislatori e custodi delle leggi, nei limiti del possibile.
CLINIA: Certamente, sempre che siamo abbastanza capaci!
ATENIESE: Dobbiamo in ogni caso tentare e impegnarci.
CLINIA: E come no?
ATENIESE: Diciamo dunque loro: «Amici che salvaguardate le leggi, noi tralasceremo - ed è inevitabile - moltissimi elementi riguardanti ogni questione di cui si occupano le leggi che stabiliamo, ma ciò che è di importanza essenziale e tutto l'insieme non lasceremo che non venga spiegato, ma cercheremo di delinearlo: bisognerà che voi completiate quest'abbozzo. Ora dunque ascoltate che cos'è che dovete considerare nel compiere quest'impresa. Megillo, Clinia, ed io ne abbiamo parlato non poche volte fra di noi, e abbiamo convenuto che si è parlato bene: dunque vogliamo che anche voi siate dello stesso avviso e diventiate nostri discepoli, tenendo in considerazione quegli stessi princìpi sui quali abbiamo convenuto insieme che il custode delle leggi e il legislatore devono concentrare la loro attenzione. Il punto principale sul quale ci siamo trovati d'accordo era questo, e cioè che in qualunque modo un uomo possa diventare onesto, possedendo la virtù dell'anima che si addice ad un uomo, grazie ad una consuetudine, ad un costume di vita, ad un possesso, ad un desiderio, ad un'opinione, ad una qualche disciplina, siano coloro che vivono nello stato maschi o femmine, giovani o vecchi, egli deve tendere per tutta la vita con qualsiasi sforzo al fine di cui parliamo; e che nessuno, chiunque sia, deve mostrare di preferire, fra le altre cose, quelle che costituiscono un impedimento a questo scopo, e questo infine vale anche per lo stato, nel caso in cui risulti necessario che esso venga distrutto prima ch'esso accetti di piegarsi al giogo servile e di essere governato dalle persone più malvagie, o se sarà necessario abbandonarlo volontariamente con l'esilio. Bisogna sopportare tutte queste cose, prima di passare sotto una forma di governo che per sua natura rende gli uomini malvagi. Questi sono i punti sui quali noi ci siamo precedentemente messi d'accordo, e ora voi, in vista dell'uno e dell'altro fine che ci siamo proposti, elogiate e biasimate le leggi, e biasimate quelle che non sono in grado di perseguirli, mentre prediligete e accogliete benevolmente quelle che possono perseguirli, e in esse vivete: quanto alle altre consuetudini, che tendono ad altri cosiddetti beni, bisogna dire loro addio».
E il principio delle leggi che noi qui di seguito stabiliremo sia questo, e prenda avvio dalla materia sacra. Dobbiamo innanzitutto riprendere il numero cinquemilaquaranta, e tutte le utili suddivisioni che conteneva e che contiene, sia nella sua totalità, sia diviso per tribù; e abbiamo stabilito che questa tribù fosse la dodicesima parte dell'intero, la quale risulta esattamente dal prodotto di ventuno per venti. Come il numero intero è divisibile per dodici, dodici è anche il numero delle tribù: e ciascuna parte dev'essere considerata come sacra, dono del dio, poiché si accompagna ai mesi e alla rivoluzione annuale dell'universo.
Perciò l'innato principio divino guida tutto lo stato e rende sacre le divisioni stesse: altri forse avranno diviso più correttamente di altri, e le avranno consacrate al dio più felicemente. Noi ora in ogni caso diciamo di aver scelto nel modo migliore il numero cinquemilaquaranta, che ha per divisori tutti i numeri dall'uno al dodici, eccezion fatta per l'undici - ma si tratta di cosa facilmente rimediabile, e si risanerà in ambedue i casi se si tolgono due famiglie -; e che le cose stanno davvero così, se avessimo tempo, potremmo darne dimostrazione con un discorso neppure troppo lungo.
Prestando ora fede a questa voce e a questo ragionamento dividiamo lo stato, e dopo aver attribuito a ciascuna sua parte un dio o un figlio di dèi, assegnando loro altari e ciò che è conveniente per il culto, facciamo delle riunioni presso di essi due volte al mese per fare sacrifici: dodici nella frazione della tribù, e dodici nella suddivisione dello stato, in primo luogo per ottenere il favore degli dèi e di tutti quelli che hanno rapporti con essi, in secondo luogo per acquisire con essi familiarità, per favorire la conoscenza reciproca, come diciamo, e per stringere ogni sorta di relazione. Per quanto riguarda le relazioni e le unioni matrimoniali è necessario fare piena luce sulla famiglia da cui proviene la sposa, e su chi la prende in sposa, e a quali condizioni viene stipulato il patto, valutando con estrema attenzione il fatto di non commettere errori, nei limiti del possibile, in circostanze come queste. Per queste motivazioni così serie bisogna organizzare le feste corali in cui fanciulli e fanciulle danzino, e nello stesso tempo osservino e si lascino osservare, nudi tanto gli uni quanto le altre, nella misura in cui lo ammette un saggio senso del pudore che è in ciascuno, secondo criteri ragionevoli, e in quanto la loro età fornisce giustificazioni plausibili. Si prenderanno cura di tutte queste cose, e le ordineranno, i magistrati dei cori, e diventeranno legislatori, insieme ai custodi delle leggi, per quanto noi tralasciamo di ordinare: è necessario, come dicevamo, che il legislatore tralasci molti particolari di scarsa importanza come questi, mentre coloro che anno dopo anno diventano esperti di queste cose, apprendendole dalla pratica, stabiliscano regole, e, correggendole, le riformino di anno in anno, finché non si giunga ad un'adeguata definizione di tali norme e delle relative consuetudini. Pertanto un periodo di tempo giusto e sufficiente per acquisire esperienza potrà essere rappresentato da dieci anni di sacrifici e di danze corali, nel corso del quale si disporrà ogni cosa, in generale e in particolare: finché vive il legislatore che ha ordinato queste cose, bisogna accordarsi con lui, ma quando muore, le singole magistrature, presentando ai custodi delle leggi gli aspetti carenti della loro magistratura, li correggano, finché non si pensi che ogni cosa ha raggiunto il termine ultimo della perfezione; allora tali norme diventino immutabili, e si ricorra ad esse insieme alle altre leggi che in principio il legislatore aveva fissato stabilendole per le magistrature.
E queste ultime norme, per nulla al mondo, nessuno deve mai riformare di sua spontanea volontà, e se mai sembra che se ne presenti una qualche necessità, bisogna consultare tutti i magistrati, tutto il popolo, e tutti gli oracoli degli dèi, e se tutti sono d'accordo, si potrà così procedere alla riforma, altrimenti mai, in alcun modo, sarà possibile, ed anzi avrà sempre la meglio, secondo la legge, chi impedirà le riforme.
Quando un uomo, compiuti venticinque anni, osservando ed essendo osservato dagli altri, è convinto di aver trovato una persona che corrisponda ai suoi propositi, e gli sembri adatta alla comune procreazione dei figli, chiunque, allora, si sposi, entro i trentacinque anni, ma prima ascolti come si deve ricercare ciò che risulta conveniente ed adatto: prima della legge, infatti, come dice Clinia, bisogna premettere quel proemio che si adatta a ciascuna.
CLINIA: Ricordi benissimo, straniero, e nel discorso hai colto un'occasione che mi sembra assai adatta.
ATENIESE: Dici bene. «Figlio», diciamo allora a chi proviene da valorosi antenati, «bisogna sposarsi secondo le nozze approvate dai saggi, i quali ti consiglieranno di non evitare le nozze dei poveri, e neppure di inseguire con particolare desiderio quelle dei ricchi: se invece tutte le condizioni si equivalgono, conviene sempre preferire di unirsi in nozze con chi è leggermente inferiore.
Tali matrimoni saranno vantaggiosi tanto per lo stato, quanto per le famiglie che si verranno a formare: infatti l'omogeneità e la misura sono per la virtù mille volte superiori dell'intemperanza.
Chi sa di essere più impetuoso e di lasciarsi trasportare con più veemenza del dovuto in ogni sua azione deve sforzarsi di diventare genero di padri equilibrati, mentre chi per natura è il contrario bisogna che vada a cercare parenti opposti. E in generale una sia la regola sul matrimonio: bisogna che ciascuno aspiri a nozze che risultino vantaggiose per lo stato, e non a quelle che procurano il massimo piacere a se stessi. Ogni individuo viene sempre attratto, per natura, verso chi gli è simile, per cui l'intero stato risulta eterogeneo per ricchezze e modi di vita: di qui nascono quei mali che non vogliamo che accadano presso di noi, mentre accadono assai frequentemente presso la maggior parte degli stati. Il fatto di prescrivere e di redigere queste norme sotto forma di legge, per cui il ricco non sposi il ricco, e chi è in grado di compiere molte azioni non sposi un'altra persona che gli sia simile, ma si costringa la natura esuberante ad unirsi in nozze con chi è più tranquillo, e chi è più tranquillo con chi ha natura esuberante, oltre a suscitare risa, in molti potrebbe risvegliare l'ira: non è facile capire che lo stato dev'essere mescolato secondo giuste proporzioni come una coppa, nella quale il vino, appena versato, è forte e ribolle, ma se viene moderato da un altro dio temperante, ottiene una buona mescolanza e diventa una buona e temperata bevanda. Nessuno, per così dire, è in grado di vedere che una cosa del genere accade nell'unione per la procreazione dei figli: per questi motivi è necessario che si lascino perdere tali aspetti dal punto di vista della legge, ma bisogna tentare di persuadere ciascuno, quasi con un incantesimo, a stimare più importante il conseguire l'omogeneità nell'avere figli piuttosto che contrarre nozze uguali che portano verso un insaziabile desiderio di ricchezze, e a dissuadere, mediante il rimprovero, chi nel proprio matrimonio si occupa esclusivamente di ricchezze, senza però costringerlo con una legge scritta».
Queste siano le esortazioni riguardanti il matrimonio, e così quelle che si sono dette in precedenza, secondo cui bisogna attenersi alla natura che spinse continuamente a procreare lasciando dopo di sé i figli dei figli in qualità di servitori al dio che prendano il nostro posto. Tutte queste ed altre cose ancora si potrebbero dire riguardo alle nozze, e su come bisogna sposarsi, se si vuole comporre correttamente un proemio: e se qualcuno non obbedisce volentieri, e vive nello stato come uno straniero, e non prende parte ad alcun legame sociale, e giunge a trentacinque anni senza essersi sposato, paghi ogni anno cento dracme se appartiene alla prima classe, settanta, se alla seconda, sessanta, se alla terza, e trenta, se è alla quarta. Questo danaro sia sacro ad Era.
E chi anno dopo anno non paga, sia condannato a pagare il decuplo: e questa operazione venga compiuta dall'amministratore della dea, e se non la compie, sia condannato a pagare lui stesso, ed ognuno, nel rendiconto, risponda di questo danaro. Chi non vuole sposarsi sia allora condannato a pagare una multa come questa, e sia privato degli onori che i più giovani gli dovrebbero tributare, e nessuno dei giovani voglia mai spontaneamente obbedirlo in qualcosa: se tenta di punire qualcuno, ognuno venga in soccorso di chi è vittima dell'ingiustizia e lo difenda, ma chi non presta aiuto, pur trovandosi presente al fatto, sia dichiarato dalla legge cittadino vile e malvagio.
Della dote abbiamo già parlato anche prima, ma si ripeta ancora che i poveri non hanno minori possibilità, per la mancanza di ricchezze, di unirsi in matrimonio o di sposare la propria figlia, quando invecchiano: infatti in questo stato tutti possiedono il necessario, e quindi minore sarà l'insolenza delle donne, e minore quella meschina e servile schiavitù che a causa delle ricchezze può sorgere nei mariti.
Chi segue queste norme, farà del bene: ma chi non obbedisce, e dà, o riceve, più di cinquanta dracme per il vestito della sposa, se appartiene all'ultima classe, più di una mina, se appartiene alla terza, più di una mina e mezza, se è della seconda, e più di due mine, se è della prima, versi altrettanto alle casse dello stato, e la somma data o ricevuta sia sacra a Era e a Zeus, e sia riscossa dagli amministratori delle due divinità, secondo quanto si è detto che gli amministratori di Era ogni volta debbono fare riguardo a coloro che non si possono sposare, se non vogliono pagare la multa di tasca propria.
La promessa di matrimonio più autorevole sia in primo luogo quella del padre, seconda per autorità sia quella del nonno, terza quella dei fratelli nati da uno stesso padre; e se mancano queste persone, sia ugualmente autorevole la promessa fatta da parte materna, secondo lo stesso ordine; se poi si verificherà una sorte del tutto inconsueta, valga sempre l'autorità dei parenti più prossimi, insieme ai tutori.
Quanto ai riti preliminari delle nozze, e ad ogni altro sacrificio che devono compiere coloro che si devono sposare, quelli che si stanno sposando, e quelli che sono sposati, bisogna che ognuno pensi che tutto può avvenire in modo conveniente, se interroga gli interpreti e da quelli si lascia guidare.
Per quanto riguarda i banchetti nuziali, bisogna invitare non più di cinque amici dello sposo e non più di cinque amici della sposa, e altrettanti devono essere i rispettivi parenti ed amici. Nessuno faccia una spesa superiore al proprio patrimonio, e quindi per chi è della prima classe il massimo della spesa è una mina, mezza mina per chi è della seconda, e così via, secondo la classe cui appartiene ciascuno. Tutti devono avere parole di elogio per chi obbedisce a questa legge, mentre i custodi delle leggi puniscano chi disubbidisce come persona rozza che non è stata formata dalle leggi delle Muse nuziali. Non conviene bere sino ad ubriacarsi, se non nelle feste in cui il dio offre il vino, e questo atteggiamento non garantisce sicurezza alcuna, soprattutto per chi si impegna seriamente nell'esperienza delle nozze, nel corso delle quali conviene invece che lo sposo e la sposa siano assai assennati, dal momento che compiono un cambiamento di vita non piccolo, e perché i figli, nei limiti del possibile, nascano sempre da genitori assennati: non è mai chiaro, infatti, in quale notte o in quale giorno il figlio venga concepito con l'aiuto del dio.
E inoltre bisogna che il concepimento dei figli non avvenga da corpi disgregati dall'ubriachezza, ma il figlio deve formarsi robusto, solido, e tranquillo. L'uomo in preda al vino si muove in ogni direzione, e tutto mette in movimento, essendo furioso nel corpo e nell'anima: l'ubriaco depone incerto e malamente il suo seme, sicché genera figli anormali, infidi, senza un'indole retta, né un corpo lineare, com'è verosimile che sia. Perciò piuttosto per tutto l'anno e per tutta la vita, ma specialmente in quel tempo in cui si genera, bisogna prestare attenzione perché non si agisca in modo da contrarre malattie e non si faccia nulla che contenga in sé violenza o ingiustizia: è inevitabile, infatti, che l'ubriaco imprima l'impronta del proprio male nelle anime e nei corpi dei suoi figli, e dia in ogni caso alla luce esseri inferiori.
In modo particolare quel giorno e quella notte gli sposi devono astenersi da quel che si è detto: il principio della vita che è collocato negli uomini è un dio che mette in salvo ogni cosa, se riceve il dovuto onore da parte di ciascuno di quelli che se ne servono.
Bisogna che l'uomo che si sposa consideri una delle due case che sono nel suo lotto come luogo in cui nasceranno e verranno allevati i suoi figli, e qui, separato dal padre e dalla madre celebrerà le nozze, e abiterà e nutrirà sé e i figli. Se nelle relazioni amichevoli vi sia un certo desiderio, esso cementa e lega insieme tutti i rapporti affettivi: ma una molesta compagnia, che non tenga vivo attraverso il tempo il desiderio, fa in modo di allontanare gli uni dagli altri a causa di un'eccessiva sazietà. Per queste ragioni bisogna lasciare al padre, alla madre, e ai parenti della moglie le loro case, e come se fossimo giunti in una colonia, qui bisogna abitare, facendo loro visite e ricevendole, e generare e allevare i figli, e consegnare gli uni agli altri la vita, come una fiaccola, prendendosi cura degli dèi, secondo le leggi.
Dopo tale questione, passiamo al possesso dei beni: quali sono le sostanze più adatte che un tale può possedere? Pensare o possedere molte di esse non è difficile, mentre è in ogni caso difficile possedere i servi. E la ragione risiede nel fatto che di essi si dicono cose giuste e cose che in un certo senso sono sbagliate: i nostri discorsi infatti ora vanno nel senso opposto agli usi che ne facciamo, ora sono conformi ad essi.
MEGILLO: Che cosa stiamo dicendo? Non capiamo, straniero, che senso ha quello che ora stai dicendo.
ATENIESE: Ma è del tutto verosimile, Megillo: fra tutti i Greci, infatti la condizione degli Iloti a Sparta potrebbe dare adito a molte perplessità e fornire occasione di disputa fra chi ritiene che si tratta di una buona istituzione e chi la disapprova - minori occasioni di disputa offre la schiavitù che gli abitanti di Eraclea esercitano sui Mariandini che hanno asservito, o sulla servitù dei Penesti presso i Tessali -; e dunque, considerando tutti questi casi ed altri simili, come dobbiamo comportarci riguardo al possesso dei servi? Ecco quello che di sfuggita mi è capitato di dire nel discorso, e di cui tu mi hai giustamente domandato spiegazioni: come sappiamo, tutti noi diciamo che bisogna acquistare schiavi assolutamente ben disposti e ottimi; e molti di essi, in effetti, furono per qualcuno più che fratelli e figli, per quel che concerne la virtù, e hanno messo in salvo padroni, beni, e tutte le loro case. Sappiamo che questo si dice degli schiavi.
MEGILLO: Certamente.
ATENIESE: E non si dice forse anche il contrario, e cioè che un'anima servile non ha nulla di sano, e che chi ha un po' di intelligenza non deve mai fidarsi di una razza come questa? Il più sapiente dei nostri poeti ha anche dichiarato, parlando di Zeus, che «Metà della mente, Zeus dall'ampio sguardo toglie agli uomini, sui quali si abbatte il giorno della schiavitù». Ciascuno può considerare in modo diverso queste riflessioni, e così alcuni non prestano fede alcuna nella categoria dei servi, e come se avessero natura di bestie col pungolo e la frustra rendono non solo tre volte, ma infinite volte schiava la loro anima, altri, invece, fanno tutto il contrario.
MEGILLO: Certamente.
CLINIA: Come dobbiamo allora comportarci, straniero, dato che ci sono opinioni così diverse, riguardo al possesso e alla disciplina degli schiavi che vi sono nella nostra regione?
ATENIESE: Che cosa faremo, Clinia? Dal momento che è evidente che l'uomo è un animale difficile a trattarsi e non sembra affatto prestarsi a quella necessaria divisione secondo la quale dividiamo lo schiavo, il libero, e il padrone, si tratta di un difficile possesso: e questo nei fatti viene spesso dimostrato dalle frequenti ed abituali rivolte dei Messeni, e da quei mali che avvengono in quegli stati dove si possiedono molti servi che parlano la stessa lingua, e, ancora, da quei furti di ogni specie e da quelle sventure causate da coloro che vengono chiamati vagabondi e sono in Italia. Considerando tutti questi fatti, si potrebbero nutrire non poche perplessità sul comportamento da assumere in casi del genere. Non restano che due sistemi: chi vuole possedere senza difficoltà gli schiavi faccia in modo, per quanto è possibile, che non siano dello stesso paese e non parlino la stessa lingua, in secondo luogo li allevi come si deve, non solo nel loro interesse, ma preoccupandosi soprattutto per se stessi; e allevare questa gente significa non usare violenza verso i servi, e, se possibile, essere nei loro confronti meno ingiusti di quanto lo si sarebbe verso i propri eguali. Chi per sua natura, e non con la finzione, venera la giustizia e detesta realmente l'ingiustizia, apparirà evidentemente tale nei rapporti con quelle persone con le quali sarebbe facile per lui commettere ingiustizia. E chi nelle sue consuete relazioni e nel suo modo di comportarsi con gli schiavi non è contaminato dall'empietà e dall'ingiustizia, sarà perfettamente capace di seminare quei semi che faranno germogliare la virtù, e lo stesso discorso sì può giustamente fare a proposito di un signore, di un tiranno, e di chiunque detiene la sua signoria su chi è più debole di lui. Bisogna giustamente punire gli schiavi, ma non si deve fare in modo di svigorirli ammonendoli come si fa con gli individui liberi: bisogna che la parola che si rivolge al servo sia quasi un comando, e non si deve mai scherzare, per nulla al mondo, con i servi, femmine o maschi che siano. Molti amano instaurare con i propri servi rapporti di questo genere, e assai sconsideratamente li svigoriscono, rendendo a quelli più difficile la vita e l'obbedienza, e a se stessi il comandarli.
CLINIA: Quello che dici è giusto.
ATENIESE: Quando allora un cittadino si sia procurato dei servi che, nei limiti del possibile, per numero e per capacità siano in grado di prestare aiuto al padrone in ogni suo lavoro, non bisogna allora, dopo di ciò, fare una descrizione delle abitazioni?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Parlando di uno stato nuovo e disabitato in precedenza, bisogna, a quanto pare, prendersi cura di tutto l'aspetto, per così dire, riguardante gli edifici, per vedere quale sarà la disposizione di ciascuno di quelli, sia rispetto ai templi, sia rispetto alle mura. Queste cose andavano dette prima dei matrimoni, Clinia, ma, poiché lo stato nasce solo in teoria, è assolutamente possibile trattarle ora in questo modo: quando invece esso si realizzerà concretamente, prima dei matrimoni bisognerà occuparci di questa materia, se il dio lo vuole, e quindi con i matrimoni ultimeremo tali cose. Adesso, però, brevemente, cerchiamo di delinearle almeno in un abbozzo.
CLINIA: Certo.
ATENIESE: Bisogna edificare i templi tutt'intorno alla piazza, e costruire la città intera in cerchio presso i luoghi elevati per ragioni di difesa e di igiene: presso i templi vi siano gli edifici dei magistrati e i tribunali, dove, come in luoghi quanto mai sacri, si riceveranno e si emaneranno le sentenze, sia perché in questi luoghi ci si occupa di cose sacre, sia perché vi sono le dimore degli dèi, e fra queste vi saranno i tribunali, in cui si celebreranno quei processi che riguardano gli omicidi, e tutte quante le azioni delittuose che meritano la pena di morte. Per quanto riguarda le mura, Megillo, sarei d'accordo con Sparta: lasciare cioè che dormano distese a terra, e non alzarle, ed ecco le ragioni.
è bello quel canto che i poeti intonano a tal proposito, dicendo che le mura devono essere di bronzo e di ferro piuttosto che di terra: ed inoltre ci esporremmo giustamente al ridicolo, se, da un lato, ogni anno inviassimo i giovani nella regione a scavare fossati, a costruire trincee, e a fermare i nemici attraverso fortificazioni, per non permettere loro di varcare i confini della regione, e intanto costruissimo, dall'altra, delle mura che in primo luogo non sono affatto utili alla salute degli stati, e in secondo luogo rendono solitamente effeminati gli animi degli abitanti, invitandoli a rifugiarsi al loro interno senza respingere i nemici, e a non cercar salvezza, collocando alcune guardie che sorvegliano di notte e durante il giorno, ma a pensare che, protetti in questo modo da mura e da porte, anche quando dormono avranno realmente dei mezzi per stare al sicuro, così da essere nati per non faticare, senza sapere che è dalle fatiche che in realtà nasce la comodità, mentre, io credo, da una vergognosa comodità e dall'indolenza derivano nuovamente le pene. Ma se le mura sono necessarie agli uomini, bisogna che sin dal principio si gettino le basi delle case private, perché tutta la città sia come un solo muro, e tutte le case siano disposte, secondo criteri di uniformità e somiglianza, lungo le strade, in modo da essere adatte alla difesa: e non è spiacevole vedere uno stato che abbia la forma di un'unica casa, ed essendo più semplice la sorveglianza esso si distinguerebbe totalmente e sotto ogni aspetto per la sicurezza.
E proprio di queste cose, di mantenere cioè l'assetto urbanistico originario, sarebbe bene che si occupassero soprattutto gli abitanti, ma in ogni caso sono gli astinomi che se ne devono occupare, costringendo a mettersi in regola con delle multe colui che non si dà pensiero, e devono curarsi di tutto quello che attiene alla pulizia della città, perché nessun privato invada il terreno pubblico né con costruzioni, né con scavi di ogni genere. Essi devono anche preoccuparsi affinché le acque piovane scorrano agevolmente, e devono curare quanto conviene regolare dentro e fuori la città: diventando consapevoli di tutto ciò grazie all'esperienza, i custodi delle leggi stabiliranno a questo proposito le norme relative, e su tutto quanto il resto la legge ha tralasciato per le difficoltà che si presentano. Ora però che questi edifici, quelli che sorgono sulla piazza, i ginnasi, e tutte le scuole sono stati costruiti e attendono i loro frequentatori, e così i teatri i loro spettatori, procediamo verso la materia che vien dopo i matrimoni, e occupiamoci della legislazione successiva.
CLINIA: Certo.
ATENIESE: Supponiamo che le nozze siano già avvenute, Clinia: vi è, in seguito, un periodo di vita, precedente alla nascita di bambini, che dura non meno di un anno, e la cosa più difficile fra tutte - e ciò si riferisce a quel che si diceva adesso - è proprio dire in che modo uno sposo e una sposa devono vivere questo periodo all'interno di uno stato che vuole superare tutti gli altri. E poiché non sono poche le norme di questo genere di cui prima abbiamo parlato, questa ancor più difficilmente di quelle verrà accettata dalla massa. Ma ciò che sembra giusto e vero bisogna in ogni caso dirlo, Clinia.
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Chi pensa di emanare leggi per gli stati sul modo in cui esse devono regolare la vita civile e compiere gli affari pubblici e di comune interesse, e ritiene che non vi sia necessità di fare la stessa cosa nell'ambito degli affari privati, pensando che ciascuno debba avere libertà di vivere la giornata come vuole; e tutto non debba per forza avvenire secondo un determinato ordine, e lascia che gli affari privati non siano regolamentati dalle leggi, credendo che i cittadini vorranno vivere secondo le leggi nella vita pubblica e nell'adempimento degli affari comuni, non pensa in modo corretto. Perché mai ho detto questo? Perché noi affermeremo che i nostri sposi devono prendere i pasti in comune non meno di come facevano nel tempo precedente le nozze.
E questa usanza, che provocò stupore quando in principio entrò in vigore per la prima volta presso di voi, fu una qualche guerra che la fissò verosimilmente come legge, o qualche altro fatto di grande valore, per chi si trovò ad avere penuria di uomini, trovandosi in gravi difficoltà. E dopo che si assaggiarono quei pasti in comune e ci fu la necessità di servirsene, l'istituzione di quella consuetudine sembrò diventare assai importante per la salvezza dello stato, e in questo modo venne fondata la pratica dei pasti in comune.
CLINIA: Mi pare di sì.
ATENIESE: Quello che volevo dire è che se allora tale usanza destò stupore e timore in alcuni, ora non dovrebbe essere ugualmente difficile stabilirla come legge per chi volesse fissarla: quell'usanza che invece verrebbe immediatamente dopo questa, e che se si attuasse sarebbe ottima cosa, ma che oggi non trova attuazione da nessuna parte e che per poco costringerebbe il legislatore, come si dice per scherzo, a cardare il fuoco, e a compiere molte altre cose ma senza risultato, non è facile a dirsi, né, una volta che si è detta, a realizzarsi.
CLINIA: Che cos'è, straniero, questa cosa che cerchi di dire, pur sembrando in grande esitazione?
ATENIESE: Ascoltate, perché non si indugi troppo a lungo ed invano su una materia come questa. Tutto ciò che avviene nello stato e partecipa dell'ordine e della legge produce ogni sorta di beni, mentre ciò che è privo di ordine o è disposto in cattivo modo dissolve molte altre di quelle cose che erano state ben disposte. E proprio la questione sulla quale ci siamo fermati riguarda quello che sto dicendo. Presso di voi, Clinia e Megillo, i pasti in comune, riguardo agli uomini, sono stati istituiti giustamente, e, come dicevo, destando stupore, per una qualche necessità divina, ma per quanto riguarda lo stile di vita delle donne si è permesso che del tutto ingiustamente non fosse regolato da legge alcuna, e per loro non è venuta alla luce la consuetudine dei pasti in comune: e così questo genere umano che rispetto al nostro tende maggiormente, per natura, alla dissimulazione e all'astuzia, il genere femminile appunto, a causa della sua debolezza, il legislatore, facendo un'ingiusta concessione, rinunciò ad ordinarlo.
A causa di tale rinuncia, molte cose vi sfuggirono di mano, e sarebbero andate molto meglio di come vanno ora, se vi fosse stata una legge: il fatto di permettere che le donne siano prive di ordine non rappresenta solo metà del danno, come parrebbe, ma nella misura in cui la natura femminile è peggiore, sotto l'aspetto della virtù, di quella maschile, di tanto, ed è più del doppio, è il danno che ne deriva. Sarebbe allora meglio, pensando alla felicità dello stato, riprendere, rivedere, e riordinare insieme tutta la materia che regola l'insieme delle consuetudini riguardanti le donne e gli uomini: ma ora il genere umano è stato condotto verso una sorte così sventurata che in altri luoghi e in altri stati dove i pasti in comune non sono affatto entrati a far parte delle consuetudini dello stato, non è proprio di persona assennata neppure farne menzione. E allora come qualcuno potrà tentare, senza essere ridicolo, di costringere praticamente le donne ad assumere cibi e bevande sotto gli occhi di tutti? Non c'è alcuna cosa che quel genere sopporterebbe più difficilmente di quella: abituate come sono a vivere ritirate e nell'ombra, trascinate con violenza alla luce, si opporrebbero con ogni resistenza, e avrebbero di gran lunga la meglio sul legislatore.
Altrove, come dico, non sopporterebbero neppure di sentirne parlare, quand'anche si facesse un discorso giusto, senza sollevare grida, qui forse ci ascolterebbero. Se vi sembra che il ragionamento che abbiamo affrontato sulla costituzione, così, per il desiderio di discorrere, sia riuscito, voglio spiegarvi come quello che dico è buono e conveniente, se voi siete d'accordo ad ascoltarmi, altrimenti lasciamo perdere.
CLINIA: Ma, straniero, noi siamo straordinariamente d'accordo sul fatto che ti vogliamo ascoltare.
ATENIESE: Ascoltiamo. E non stupitevi se vi sembrerò ricominciare da un poco indietro: noi abbiamo il vantaggio di aver tempo a disposizione, e nessuna urgenza ci impedisce di esaminare sotto ogni aspetto la materia concernente le leggi.
CLINIA: Giusto.
ATENIESE: Torniamo nuovamente alle cose che abbiamo detto prima. Conviene che ogni uomo comprenda bene questo fatto, e cioè che la generazione degli uomini o non ha mai avuto alcun principio, e non avrà mai una fine, ma era e sarà sempre in ogni caso, oppure dev'essere trascorso un periodo di tempo incredibilmente lungo dal principio della sua nascita.
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: Ebbene? Non pensiamo che vi furono fondazioni e distruzioni di stati, e ogni sorta di consuetudini ordinate e prive di ordine, infiniti modi di cibarsi, e ogni sorta di desideri di bere e di mangiare, dappertutto in ogni regione della terra, e, ancora, ogni specie di rivolgimenti delle stagioni, nel corso delle quali è naturale che gli animali subissero moltissimi mutamenti?
CLINIA: E come no?
ATENIESE: E allora? Crediamo che le viti siano apparse in un certo momento, e che prima non ci fossero? E così anche gli ulivi e i doni sacri a Demetra e a Core? E che un Trittolemo era stato scelto dalla dea Demetra perché andasse ad insegnare le tecniche dell'agricoltura. Trittolemo divenne servo di questi doni? E non crediamo che in quel tempo in cui queste cose non c'erano, gli animali si volgessero a divorarsi l'un l'altro, come adesso?
CLINIA: Certamente.
ATENIESE: E ancora oggi vediamo che presso molti popoli si è conservata l'usanza dei sacrifici umani: e, al contrario, sentiamo che presso altri popoli non vi era, un tempo, neppure il coraggio di gustare la carne di bue, e agli dèi non si sacrificavano animali, ma focacce, e frutti inzuppati nel miele, e simili altre incontaminate offerte, e non si toccava carne, quasi fosse empio mangiarne, e così macchiare di sangue gli altari degli dèi, ma quelli che di noi allora vivevano seguivano le cosiddette regole orfiche, nutrendosi di esseri inanimati e astenendosi al contrario da tutto ciò che era animato.
CLINIA: Hai parlato di cose che sono state ripetute frequentemente e degne di essere credute.
ATENIESE: Per quale motivo, qualcuno potrebbe chiedere, vi ho detto tutte queste cose ora?
CLINIA: Giusta supposizione, straniero.
ATENIESE: Allora, se posso, cercherò di spiegare le cose che seguono, Clinia.
CLINIA: Parla.
ATENIESE: Vedo che tutto presso gli uomini dipende da tre specie di bisogni e desideri, per cui, se sono opportunamente guidati, scaturisce la virtù, se sono guidati male, deriva tutto il contrario.
Essi sono il mangiare e il bere che sono presenti non appena si nasce, e per i quali ogni essere vivente nutre un amore innato, ed è pieno di ardente furore, e non presta ascolto a chi gli dice di fare qualcos'altro che non sia il soddisfare i piaceri e i desideri legati a tutte queste cose, e che è necessario liberarsi da tutti quei tormenti: vi è quindi il terzo desiderio che è in noi, la necessità più urgente, l'amore più violento che per ultimo rompe, e rende gli animi degli uomini del tutto ardenti di follia, e bruciando costringe gli uomini con la sua smisurata violenza a spargere il seme della generazione. Bisogna cercare di arrestare questi tre mali, volgendoli in meglio contrariamente a quello che viene definito come il massimo piacere, mediante tre grandi mezzi, che sono la paura, la legge, e il veritiero ragionamento, valendosi della collaborazione delle Muse e degli dèi presenti nelle gare, mitigando lo sviluppo e il dilagare di quelle passioni.
Dopo i matrimoni, definiamo ora la questione riguardante la nascita dei bambini, e dopo la loro nascita, il problema della loro formazione ed educazione: e forse, procedendo così nei discorsi, ciascuna nostra legge verrà sviluppata, andando avanti, quando giungeremo ai pasti in comune - e vedremo meglio, mescolandoci da vicino ai partecipanti, se in tali riunioni devono partecipare le donne o solo gli uomini - e quanto precede queste cose, e ancora adesso non è disciplinato dalla legge, noi ci proporremo di ordinarlo per tutelarlo, e quindi, come si diceva adesso, esamineremo con maggior precisione i pasti in comune, e assegneremo loro le leggi convenienti ed adatte.
CLINIA: Giustissimo.
ATENIESE: Conserveremo nella memoria quello che abbiamo appena detto: forse avremo bisogno di tutto questo.
CLINIA: Che cosa ci esorti a conservare nella memoria?
ATENIESE: Quelle cose che abbiamo distinto con tre termini: mangiare, dicevamo, e per secondo bere, e terzo un forte impulso sessuale.
CLINIA: Cercheremo di ricordare assolutamente, straniero, quanto tu ci consigli di ricordare.
ATENIESE: Bene. Ritorniamo ai nostri sposi, insegnando loro come e in qual modo bisogna avere figli, e se non obbediscono, minacciamoli con alcune leggi.
CLINIA: Come?
ATENIESE: Bisogna che la sposa e lo sposo si convincano di offrire allo stato i figli più belli e i migliori possibili. Tutti gli uomini che insieme prendono parte ad un'azione, quando controllano se stessi e riflettono sull'azione che stanno compiendo, realizzano ogni cosa bella e buona, se invece non riflettono o non prestano attenzione, fanno tutto il contrario. Lo sposo allora presti attenzione alla sposa e alla procreazione dei figli, e allo stesso modo la sposa, soprattutto in quel periodo in cui non si hanno ancora figli. Controllino queste cose quelle donne che scegliamo, e che saranno ora di più, ora di meno, a seconda di quante e di quando sembrerà opportuno ai magistrati stabilire: ogni giorno esse si riuniranno nel tempio di Ilitia per almeno venti minuti, e una volta riunite insieme, si informeranno l'una con l'altra, nel caso in cui, ad esempio, abbiano visto un uomo, o anche una donna, che stanno per avere figli, che si orientano in direzioni diverse rispetto a ciò che era stato stabilito dai sacrifici e dai riti sacri nel corso delle nozze.
La procreazione dei figli e la sorveglianza su quelli che li concepiscono sia di dieci anni, e non oltrepassi questo periodo di tempo, quando il matrimonio sia risultato fecondo: quelli che invece in questo periodo di tempo sono rimasti senza figli si separino, consigliandosi con i parenti e con le donne preposte a questo compito sul meglio da farsi per l'uno e per l'altra. Se sorgono delle controversie intorno a ciò che è conveniente o più utile per l'uno e per l'altra, dopo aver scelto dieci custodi delle leggi ai quali affideranno la vertenza, gli sposi dovranno attenersi alle prescrizioni che essi hanno ordinato.
Le donne, entrando nelle case dei giovani, ora per ammonire, ora per minacciare, li facciano desistere dall'errore e dall'ignoranza: e se non riescono, si rechino dai custodi delle leggi per spiegare la questione, e siano allora questi a trattenerli dall'errore. E se neppure quelli sono in grado di far ciò, lo denuncino pubblicamente, scrivendo i nomi degli sposi, e assicurando con un giuramento di non essere stati in grado di renderli migliori. Chi abbia il proprio nome affisso pubblicamente, a meno che in tribunale non vinca la causa contro i suoi accusatori, sia privato dei seguenti diritti: non può assistere alle nozze, né alle cerimonie per la nascita dei bambini, e se si reca ugualmente, chiunque voglia lo punisca impunemente con percosse. Le stesse regole valgano anche per la donna: non potrà uscire insieme alle altre donne, non potrà godere di onori, e non potrà prendere parte alla frequentazioni in occasione di nozze e della nascita dei figli, se per la sua indisciplina sia stato affisso pubblicamente il suo nome e non abbia vinto la causa.
Se si generano i figli secondo le leggi, ed un tale abbia rapporti sessuali con la donna di un altro per un simile scopo, o una donna con un altro uomo, nel caso in cui possano ancora avere figli, subiscano le stesse pene che si sono già dette per chi è ancora in età da generare: dopo questo termine, chi, uomo o donna, sia saggio e temperante, goda di buona reputazione in tutto questo campo, chi si comporta in modo opposto, goda di onori opposti, anzi, venga disonorato.
E dove la maggior parte delle persone si comporti in maniera moderata intorno a questa materia, non si stabiliscano delle leggi e si mantenga il silenzio, se invece regni l'indisciplina si stabiliscano delle leggi e si agisca secondo le leggi stabilite. Il primo anno di vita sia considerato per ciascuno il principio di tutta la vita: e bisognerebbe scriverlo nei templi dei padri come principio della vita. Al bambino e alla bambina venga scritto, sopra una parete bianca in ogni fratria, il numero degli arconti da cui si calcola il numero degli anni: i membri viventi della fratria siano sempre scritti vicini, e si cancellino quelli che lasciano la vita. Per una ragazza i limiti di tempo per sposarsi siano compresi fra i sedici e i vent'anni, per un ragazzo tra i trenta e i trentacinque anni. Per l'accesso alle cariche pubbliche le donne devono avere quarant'anni, e gli uomini trenta.
Alla guerra siano abili gli uomini compresi fra i venti e i sessant'anni di età: alla donna, se si ritiene che debba risultare di qualche utilità alle necessità della guerra, dopo aver generato i figli, si ordini, nei limiti delle sue possibilità e dell'opportunità di ciascuna, di prestare servizio sino ai cinquant'anni.
Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020