Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.
Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:
1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.
PREMESSA A LE LEGGI
Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase
finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita,
ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad
alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata
nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo.
In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche
(frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse
ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche
anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una
sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato
anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di
trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle
Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato
e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro
esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene
coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica,
mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così
l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche
sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati
da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente
l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei
personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una
colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero
quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni
volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre
con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi
prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano
Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso
conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire
alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le
consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della
conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in
vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è
d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle
relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della
guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza.
Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti
perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro
eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un
fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene,
essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente
impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le
danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in
genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro
giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma
anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre
tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i
sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui
Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da
persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica:
Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente
annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però,
come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia
reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per
delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni
delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi
dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere
moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in
esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo
fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita
all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla
costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben
presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza.
Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà
discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere:
oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più
possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e
d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni
storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che
difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di
giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine
dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto
minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge
vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare
l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e
deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del
nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno
di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato
viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto
vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si
procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per
gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per
la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed
un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si
affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per
tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica
per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto
per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre
discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi.
Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di
rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e
le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle
norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai
diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa
in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che
si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale
nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira
e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi
possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o
ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi:
Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si
prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito
non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche
affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini
stipulano fra loro.
La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il
commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più
significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo
ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le
normative sulle mallevadorie.
Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza
di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il
complesso delle virtù nello stato.
Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion
d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto
dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la
dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE
LIBRO QUINTO
ATENIESE Presti attenzione chiunque ha appena udito ciò che ho detto sugli dèi e sui cari antenati: infatti fra tutti i beni che si possiedono l'anima è quello più divino dopo gli dèi, il più intimo.
Tutte le cose che ognuno possiede si dividono in due generi.
Il primo genere, superiore e migliore, comanda, il secondo, inferiore e peggiore, serve: bisogna allora preferire quelle cose che dentro di noi comandano rispetto a quelle che servono.
Dicendo allora che dopo gli dèi, che sono i padroni, e dopo quelli che seguono gli dèi, bisogna onorare come seconda la propria anima, formulo una giusta esortazione: eppure nessuno di noi, per così dire, onora rettamente la propria anima, anche se lo pensa.
L'onore infatti è un bene divino, mentre nessuno dei mali è degno di onore, e chi crede di accrescere la propria anima mediante discorsi, o doni, o certe concessioni non la rende assolutamente migliore da peggiore che era, e anche se crede di renderle onore, non lo fa affatto.
Non appena ogni individuo diventa uomo ritiene di essere in grado di conoscere ogni cosa e pensa di onorare la propria anima elogiandola, e le permette volentieri di fare ciò che vuole; ma secondo quel che diciamo ora, comportandosi in questo modo, la si danneggia e non la si onora: bisogna allora, come diciamo, considerarla seconda per importanza dopo gli dèi.
E quando un uomo non ritiene di essere responsabile dei propri sbagli e di moltissimi e gravissimi mali, ma incolpa gli altri esimendosi sempre da ogni responsabilità, non rende certo onore alla propria anima, come crede, ma ne è ben lontano: la danneggia.
E quando trae godimento dai piaceri oltre la norma e l'approvazione del legislatore, allora non le rende affatto onore, anzi la disonora riempiendola di mali e di pentimenti.
E neppure quando, al contrario, non si esercita a resistere, ma cede dinanzi alle fatiche, alle paure, alle sofferenze e ai dolori che vengono elogiati, allora cedendo non la onora: non la rende degna di onori, dunque, quando compie tutte queste cose.
E neppure quando ritiene che il vivere sia sotto ogni aspetto un bene, la onora, anzi, la disonora: quando infatti l'anima ritiene che tutto ciò che si trova nell'Ade sia malvagio, l'uomo cede e non sa reagire, invece di insegnarle e di dimostrarle che essa non sa neppure se, al contrario, presso gli dèi in quel luogo, vi sono i beni più grandi per noi.
E se si preferirà la bellezza alla virtù, non sarà altro che un effettivo e assoluto disonore per l'anima.
Questo discorso dice infatti che il corpo è più degno di onori dell'anima, ed è fallace: perché nessun essere nato dalla terra è più degno di onori degli dèi olimpi, ma chi sull'anima ha un'opinione diversa, trascura il fatto di possedere un bene meraviglioso.
E quando si prova l'ardente desiderio di possedere disonestamente delle ricchezze e non ci si tormenta di tale possesso, con questi doni non si onora la propria anima - tutt'altro - dato che l'onore e la sua bellezza vengono venduti per poco oro: e tutto l'oro che si trova sulla terra e sotto terra non è equivalente alla virtù.
In sintesi, chi non voglia da un lato staccarsi in alcun modo dalle cose che il legislatore ha giudicato e sancito malvagie e turpi, cercando dall'altro di coltivare con ogni sforzo quelle che di contro sono belle e buone, ogni uomo che si comporta così non sa che tratta l'anima, il bene più divino, nel modo più disonorevole e più sconveniente.
E nessuno, per così dire, calcola la pena che viene definita come la più grave e che è da porre in relazione con la malvagità: è pena gravissima il rendersi simili a chi è malvagio, e una volta diventati simili, evitare gli uomini e i discorsi onesti, e separarsi da essi, e congiungersi invece a quegli altri inseguendoli e intrecciando con loro fitti rapporti; è inevitabile che chi frequenta questo genere di persone faccia e subisca ciò che quelle persone sono solite fare e subire fra loro.
E questa condizione in cui ci si viene a trovare non coincide con la giustizia - la giustizia e il giusto sono realtà belle - ma con la punizione, che è la condizione che si accompagna all'ingiustizia, ed è infelice sia chi s'imbatte sia chi non s'imbatte in tale punizione, questo perché non guarisce, quello perché si annienta affinché molti altri si salvino.
In sostanza, l'onore consiste per noi nel seguire il meglio, e di rendere il peggio, che contiene la facoltà di migliorarsi, il meglio possibile.
Nell'uomo non vi è dunque nessun bene che più dell'anima sia nato allo scopo di evitare il male, da un lato, e a mettersi sulle tracce e ad afferrare, dall'altro, l'ottimo bene, e una volta afferratolo, vivere con esso per tutto il resto della vita: perciò abbiamo stabilito che l'anima fosse seconda quanto ad onore, mentre il terzo posto spetta - e chiunque può intenderlo - all'onore che per natura si riserva al corpo.
Bisogna quindi prendere in esame gli onori, e di questi alcuni sono veritieri, ed altri illusori, ma questo compito spetta al legislatore.
Mi sembra che egli indichi gli onori e dica che sono questi e che alcuni siano così: il corpo è onorato non perché è bello, forte, veloce, grande, e sano - anche se molti lo pensano -, e neppure per le sue qualità opposte, ma ciò che partecipa del giusto mezzo di tutte queste proprietà è quanto di più saggio e sicuro possa esserci, poiché le une rendono le anime vanitose e sfrontate, le altre misere e senza libertà.
Lo stesso vale per il possesso di ricchezze e di beni, i cui onori vengono scanditi in egual modo: l'eccesso infatti di tutti questi beni determina inimicizie e sedizioni negli stati e fra i privati cittadini, e la loro mancanza la schiavitù, nella maggior parte dei casi.
Nessuno ami eccessivamente le ricchezze per i figli, per lasciarli quanto più ricchi è possibile, perché non è la cosa migliore né per loro, né per lo stato.
Un patrimonio lasciato ai giovani che non li renda intemperanti, e neppure bisognosi del necessario, è il più eccellente e il migliore, perché accordando e armonizzando tutti gli aspetti della nostra vita la rende priva di sofferenze.
Ai figli bisogna lasciare in grande misura il senso del rispetto, non l'oro.
Noi crediamo che castigando i giovani che mancano di rispetto lasceremo loro questa virtù: non si può però far questo con le esortazioni impartite oggi ai giovani, secondo le quali si dice al giovane che deve aver rispetto di ogni cosa.
Il legislatore assennato consigliere piuttosto i più anziani a rispettare i giovani, e a fare attenzione che, più di ogni altra cosa, nessun giovane li veda o li ascolti mentre fanno o dicono qualcosa di turpe, perché se i vecchi mancano del pudore, è inevitabile che anche i giovani siano più sfacciati: un'educazione eccellente per i giovani così come per noi non è costituita dall'impartire ammonizioni, ma nel comportarsi espressamente, nel corso della vita, secondo gli ammonimenti che vengono impartiti ad un altro.
E chi onora e venera la parentela e tutti quelli che con lui condividono gli dèi protettori della famiglia e la natura dello stesso sangue avrà ragionevolmente gli dèi tutelari della nascita benevoli verso il seme dei suoi figli. E si procurerà amici e compagni benevoli nelle relazioni della vita, se riterrà i servizi che quelli gli rendono più importanti e ragguardevoli di quanto quelli credano, e se, d'altro canto, considererà i favori ch'egli rende agli amici meno grandi di quanto li ritengano invece gli amici e i compagni.
Per lo stato e i cittadini sarà dunque di gran lunga migliore chi, invece di vincere nelle gare di Olimpia e in tutte le competizioni che si svolgono in guerra e in pace, preferirà vincere per la fama di aver servito le leggi della sua patria, e di averle servite più nobilmente di tutti gli altri uomini nel corso della sua vita.
Bisogna inoltre ritenere che i rapporti con gli stranieri sono sacri al massimo grado: infatti tutte le colpe commesse dagli stranieri e quelle commesse nei loro confronti dipendono da un dio vendicatore più di quelle che riguardano i cittadini.
Poiché infatti lo straniero è solo, senza compagni e parenti, merita più pietà da parte degli uomini e degli dèi: chi ha la possibilità di vendicarlo lo aiuta più volentieri, e chi ha questa speciale possibilità è un demone che protegge ogni straniero e un dio che si accompagna a Zeus Ospitale.
Con molta precauzione, anche per chi abbia una scarsa previdenza, si può trascorrere tutta la vita sino alla fine senza compiere alcuna mancanza nei confronti degli stranieri.
Ma fra tutte le colpe che riguardano gli stranieri e i conterranei, la più grave per ciascuno è quella che si commette contro i supplici: perché il supplice, attraverso le sue suppliche, chiama un dio a testimoniare i suoi voti, e questo dio diviene un protettore particolare di colui che ha subito, sicché chi ha sofferto non subirà mai senza vendetta ciò che ha sofferto.
Abbiamo allora passato in rassegna i doveri che bisogna osservare nei confronti dei genitori, di se stessi, e dei propri averi, quelli riguardanti lo stato, gli amici, e la parentela, e, ancora, quelli verso gli stranieri e anche i conterranei.
Quanto alla disposizione in cui ci deve trovare per trascorrere la vita nel modo migliore, lo esaminiamo qui di seguito: sul fatto, cioè, che non la legge, ma l'azione educativa della lode e del biasimo rendono ogni persona docile e ben disposta alle leggi che stanno per essere fissate, proprio questo diremo qui di seguito.
La verità dunque guida tutti i beni tanto per gli dèi, quanto per gli uomini: e possa subito in principio prenderne parte chi vuole diventare beato e felice, in modo che trascorra la maggior parte del tempo insieme ad essa.
Questi, infatti, è una persona sincera: infido invece chi ama mentire volontariamente, stolto chi lo fa contro la sua volontà.
Ne l'uno ne l'altro si devono invidiare.
Senza amici è infatti chiunque sia infido e stolto, e, con il passare del tempo, divenuto noto per i suoi difetti, riserva per sé una totale solitudine, quando alla fine della vita si appressa la difficile vecchiaia, sicché, siano ancora in vita i suoi compagni e i suoi figli o non lo siano più, vive quasi come un orfano la sua esistenza.
Degno di onori, invece, chi non commette ingiustizia alcuna, e chi non lascia agli ingiusti commettere ingiustizie è più del doppio degno di onori rispetto a quell'altro: l'onore del primo, infatti, equivale ad un solo uomo, quello del secondo a molti altri, poiché segnala ai magistrati l'ingiustizia degli altri. E chi concorre con i magistrati, nei limiti delle sue possibilità, ad infliggere punizioni, lo si consideri uomo grande e perfetto nell'ambito dello stato, e lo si proclami vittorioso nella gara della virtù.
Questo stesso elogio si deve dire anche riguardo alla temperanza e all'intelligenza e a tutti gli altri beni che uno non solo ha la possibilità di avere, ma di cui può anche rendere partecipi gli altri: e colui che rende partecipe dei propri beni dev'essere onorato come il più valente, mentre bisogna lasciare al secondo posto chi non è in grado di rendere partecipe gli altri, ma lo vorrebbe, infine, chi è invidioso, e di sua volontà non rende amichevolmente partecipi di alcun bene gli altri, allora costui bisogna biasimare; mentre non si deve affatto biasimare il bene per chi lo possiede, bisogna bensì con ogni sforzo cercare di possederlo.
Chiunque gareggi con noi per la virtù, ma senza invidia.
Un uomo come questo incrementerà gli stati, gareggiando lui stesso, senza ostacolare gli altri con la calunnia; chi invece è invidioso, credendo di dover superare gli altri con la calunnia, diminuisce la sua tensione verso la vera virtù e getta nello scoramento quelli che gareggiano con lui, biasimandoli ingiustamente, e per queste ragioni rende l'intero stato privo di allenamento alla gara per la virtù e sminuisce, per quel che è il suo contributo, la buona fama.
Ogni uomo dev'essere irascibile, ma anche, per quel che gli è possibile, mite.
Non vi è infatti altro modo di sfuggire alle cattiverie degli altri, se esse sono moleste e difficili a curarsi o addirittura del tutto incurabili, che quello di combattere e difendersi riportando la vittoria, e di punire senza fare alcuna concessione: e non è possibile che ogni anima compia questo se non ha un cuore nobile.
Quanto agli errori di quelli che compiono ingiustizie, e sono curabili, bisogna innanzitutto riconoscere che ogni persona ingiusta è involontariamente ingiusta: nessuno vorrà mai per nulla al mondo procurarsi spontaneamente alcuno dei mali più grandi, soprattutto fra i suoi beni più degni di onore.
L'anima, abbiamo detto, è in verità il bene per tutti più degno di onori: e dunque in ciò che è più degno di onori nessuno riceverà mai spontaneamente il male più grande vivendo tutta la vita nel suo possesso.
Ma degno di pietà è l'ingiusto, come colui che ha in sé i mali, ed è lecito provare pietà per chi ha un male curabile e trattenendo la propria ira cercare di mitigarla, e non sdegnandosi ed inasprendosi come una donna, mentre verso chi assolutamente ed inesorabilmente si trova nell'errore e nel male bisogna dar libero corso alla propria collera: ecco perché diciamo che l'uomo onesto dev'essere ogni volta irascibile e mite.
Il più grande di tutti i mali è connaturato nell'anima di molti, e usando ognuno indulgenza nei propri confronti per questo male, non escogita alcun mezzo per sfuggirlo: questo è quel che si dice per sostenere che ogni uomo per natura è caro a se stesso, e che è giusto che debba essere così.
In verità, la ragione di tutti gli errori di ogni persona risiede ogni volta in un eccessivo amor proprio.
Chi ama infatti è cieco riguardo a ciò che ama, e giudica male il giusto, il buono, e il bello, ritenendo di dover sempre preferire alla verità ciò che lo riguarda: chi allora vuol essere un grande uomo non deve amare né se stesso, né le sue cose, ma il giusto, sia che venga compiuto da lui stesso, sia soprattutto che sia stato fatto da altri.
Da questo stesso errore è scaturito quell'errore per cui tutti pensano di identificare la propria ignoranza con la sapienza: per questa ragione, pur non sapendo nulla, per così dire, crediamo di sapere tutto, e non affidiamo ad altri ciò che non sappiamo fare, essendo così costretti a sbagliare facendolo da soli.
Bisogna perciò che ogni uomo eviti l'eccessivo amor proprio, e segua sempre ciò che è migliore di lui, senza porre innanzi il pretesto della vergogna che proverebbe in quel caso.
Vi sono cose meno importanti di queste e di cui spesso si parla, ma non meno utili, e di cui bisogna ricordarsi di parlare: come infatti bisogna che quando qualcosa scorre via, qualcos'altro al contrario affluisca, così il ricordo affluisce quando l'intelligenza vien meno.
Bisogna perciò trattenersi dalle risa e dai pianti eccessivi, ed ogni uomo deve ammonire un altro uomo, e nascondendo una grande gioia come un grande dolore bisogna cercare di mantenere un comportamento dignitoso, sia quando nella buona sorte il demone si mantiene stabile, sia quando nell'avversità alcuni demoni contrastano le nostre opere che vengono così a trovarsi come di fronte ad ostacoli altissimi ed insormontabili, e si deve sperare sempre che il dio, mediante i beni che ci dona, renderà più tenui invece che più pesanti le sventure che ci piombano addosso, e, ancora, che trasformerà in meglio la situazione presente, e che tutti i beni contrari a queste sventure sempre giungeranno insieme alla buona sorte.
Con queste speranze ciascuno deve vivere, ricordandosi di queste cose, senza astenersene affatto, e tanto nei divertimenti come nelle occasioni serie deve ricordarli espressamente a sé e agli altri.
Parlando dunque dei comportamenti che bisogna tenere e di come dev'essere ciascun individuo, ci siamo mantenuti in un ambito divino, mentre ora dobbiamo dire dei comportamenti umani: conversiamo infatti con uomini, non con dèi.
Connaturati in modo particolare alla natura umana sono i piaceri, i dolori, e i desideri, da cui è inevitabile che ogni essere mortale dipenda e sia come sospeso con i più grandi affanni.
Bisogna allora tessere l'elogio della vita più bella, non solo perché grazie alla sua forma esteriore ha la forza di procurarci buona fama, ma anche perché, se si vuole gustarne e non evitarla quando si è giovani, essa prevale anche sotto quell'aspetto che tutti cerchiamo, e cioè il godere di più e il soffrire di meno per tutta la vita.
E che sarà così, se si gusta rettamente, risulterà subito e assolutamente in tutta la sua evidenza.
Ma cos'è tale rettitudine? Questo dev'essere ormai esaminato attingendolo dal nostro discorso: sia che la nostra vita, disposta in un determinato modo, sia conforme a natura, sia che sia disposta in un altro e sia contro natura, confrontando un genere di vita con un altro, bisogna prendere in esame la vita più piacevole e quella più dolorosa in questo modo.
Noi da un lato vogliamo per noi il piacere, dall'altro non scegliamo e non vogliamo il dolore, mentre quando non vi sono né l'uno né l'altro, non vogliamo sostituire questa condizione con il piacere, ma desidereremmo scambiarla con il dolore: e se vogliamo minor dolore accompagnato da maggior piacere, non vogliamo minor piacere accompagnato da maggior dolore, mentre non saremmo in grado di dire con certezza se vorremmo che piacere e dolore si equivalessero.
Tutti questi casi differiscono o meno, a seconda della volontà che si ha nella scelta di ciascuna di queste cose, per numero e grandezza, per intensità e uguaglianza, e per quanto è ad essi contrario.
Essendo le cose inevitabilmente ordinate in questo modo, vogliamo vivere in quella vita in cui piaceri e dolori siano abbondanti, grandi, ed intensi, ma soprattutto i piaceri siano prevalenti, mentre non vogliamo vivere in una vita dove piaceri e dolori siano pochi, piccoli e quieti, e dove soprattutto siano i dolori a prevalere, e vogliamo vivere in una vita in cui vi sia tutto l'opposto.
Quanto al vivere in una vita in equilibrio fra piaceri e dolori, bisogna riflettere come si è fatto prima: vogliamo una vita equilibrata se prevale quel che ci è caro, non la vogliamo se prevale quel che ci è ostile.
Bisogna considerare tutti questi generi di vita come legati a queste proprietà, e bisogna vedere quali per natura vogliamo: se affermiamo di volere qualcosa di contrario a quel che si è detto, facciamo queste affermazioni per ignoranza e inesperienza della vita reale.
Quali e quanti sono i generi di vita, riguardo ai quali si deve preferire ciò che spontaneamente si desidera rispetto a ciò che non si vuole e non si desidera, considerandolo alla stregua di una legge stabilita in sé e preferendo così ciò che è caro e nello stesso tempo dolce, e ottimo e bellissimo, sicché l'uomo viva nel modo più beato possibile? Diciamo che un genere consiste nella vita temperante, un altro nella vita assennata, un altro ancora in quella valorosa, e stabiliamone ancora uno che coincide con la vita sana.
A questi generi di vita che sono quattro corrispondono altri quattro generi di vita opposti: la vita dissennata, quella vile, quella intemperante, e la malata.
Chi conosce la vita temperante ammetterà che essa è mite sotto ogni aspetto, ed offre quieti dolori e quieti piaceri, teneri desideri e amori che non sono furenti; mentre la vita intemperante è impetuosa sotto ogni aspetto, ed offre intensi dolori e intensi piaceri, forti e furibondi desideri e amori che sono il più possibile furenti; che nella vita temperante i piaceri prevalgono sui dolori, mentre nella intemperante i dolori superano i piaceri per grandezza, numero, e frequenza.
Di qui deriva necessariamente che, secondo natura, la prima è per noi la più piacevole delle vite, la seconda la più dolorosa, e non è possibile che chi voglia vivere piacevolmente viva volontariamente in modo intemperante, ma risulta invece ormai chiaro che, se è giusto quello che abbiamo detto ora, ogni uomo è di necessità intemperante contro la sua volontà: infatti o per ignoranza o per debolezza, o per entrambe le cose insieme, la maggior parte degli uomini vive senza la temperanza.
Le stesse considerazioni si possono fare a proposito della vita malata e di quella sana, e cioè che hanno in sé piaceri e dolori, e che i piaceri superano i dolori nella vita sana, mentre i dolori superano i piaceri nelle malattie.
Nell'atto di scegliere i generi di vita non vogliamo affatto che la parte di dolore sia eccessiva, ma anzi, giudichiamo più piacevole quella vita in cui il dolore sia superato.
Possiamo dunque dire che la vita temperante, quella assennata, quella valorosa hanno in sé piaceri e dolori meno numerosi, più deboli, e più rari della vita intemperante, dissennata, e vile, e che poiché le prime prevalgono sulle seconde per il piacere, e le seconde prevalgono sulle prime per il dolore, il valoroso vince il vile e l'assennato vince lo stolto, sicché vi è una vita più piacevole delle altre, vale a dire la vita temperante, valorosa, assennata e sana sono più piacevoli della vita vile, stolta, intemperante, e malata: in sintesi, allora, la vita che possiede la virtù relativamente al corpo e all'anima è più piacevole di quella vita che contiene la perversità, e sotto ogni altro aspetto eccelle per bellezza, rettitudine, virtù e buona fama, sicché in tutto e per tutto chi vive questa vita è più felice di chi segue quella opposta.
E qui abbia fine il proemio sulle leggi che abbiamo pronunciato.
Dopo il proemio segue di necessità la legge, o meglio, in verità, si devono tracciare le leggi della costituzione.
E come dunque per un tessuto o una qualsiasi opera di intreccio non è possibile che la trama e l'ordito siano realizzati con lo stesso materiale, ma è necessario che ciò che costituisce l'ordito sia di valore differente - infatti è forte ed ha una certa resistenza quando lo si piega, mentre la trama è più morbida e presenta una giusta pieghevolezza - così in un certo senso, allo stesso modo, si devono ogni volta dividere coloro che eserciteranno il potere negli stati da quelli che, secondo alcune prove, risultano avere una scarsa educazione.
Vi sono infatti due forme di costituzione: l'istituzione delle magistrature con la conseguente nomina di ciascun magistrato, e l'assegnazione delle leggi alle magistrature.
Ma prima di affrontare queste cose conviene fare le seguenti riflessioni.
Il pastore, o il bovaro, o l'allevatore di cavalli o di qualsiasi altra specie di animali che abbia ricevuto un intero gregge, non comincerà mai ad occuparsene se prima non lo abbia purificato secondo quelle purgazioni che convengono a ciascun gruppo, separando quelli sani da quelli che non lo sono, quelli di razza e quelli bastardi, e spedirà in altre greggi gli uni e si occuperà degli altri, pensando che vana e inefficace sarebbe quella fatica riguardante quei corpi e quelle anime che, corrotte dalla natura e da una malvagia educazione, corrompono inoltre quella parte che in ciascun gregge è sana e integra tanto nell'indole quanto nei corpi, se nessuno, appunto, operasse una purificazione degli animali posseduti.
L'allevamento degli altri animali richiede uno sforzo minore, e si è creduto opportuno di inserirlo nel discorso soltanto come esempio: quanto all'allevamento degli uomini, invece, esso richiede il massimo sforzo da parte del legislatore per esaminare ed indicare l'epurazione che convenga in ciascun caso e tutti gli altri metodi da seguire.
Per venire subito a noi, l'epurazione dello stato dovrebbe avvenire secondo questa modalità: fra i molti sistemi di purificazione alcuni sono più blandi, altri più duri, e questi ultimi che sono duri sono anche i migliori, ma solo un tiranno che sia nello stesso tempo legislatore potrebbe usarli, mentre un legislatore che privo di quel potere tirannico istituisca una nuova costituzione e nuove leggi, se riuscisse a operare purificazioni secondo la più blanda delle epurazioni, facendo così dovrebbe già ritenersi soddisfatto.
È doloroso il sistema migliore, come tutti medicamenti di questo genere, poiché conduce alla punizione mediante il giusto castigo applicando alla fine la pena della morte e dell'esilio: esso è solito disfarsi di coloro che hanno commesso i più gravi reati, e che sono ormai incurabili e rappresentano un gravissimo danno per lo stato.
Il sistema di epurazione più blando, secondo noi, avviene così: tutti quelli che per mancanza di cibo si dimostrano pronti e preparati a seguire i loro capi per assaltare, essi che non hanno alcun bene, quelli che invece possiedono i beni, costoro dunque, che sono come un morbo sviluppatesi nella città, vengono allontanati il più benevolmente possibile con un eufemismo, stabilendo il nome di “colonia”.
Questo in principio, in un modo o nell'altro, deve fare il legislatore, ma noi ora ci troviamo in una situazione meno penosa di quelle che adesso abbiamo esaminato: nella circostanza presente non si deve infatti escogitare il sistema della colonia né operare una selezione, ma come le acque che scorrono da molte fonti e da molti fiumi in un solo lago, è necessario prestare attenzione e sorvegliare affinché l'acqua che scorre sia la più pura possibile, attingendo una parte di essa, deviandone un'altra e facendola refluire altrove.
E la fatica, a quanto pare, e il rischio sono connessi alla costituzione dello stato.
Ma poiché ora noi compiamo queste operazioni solo con la parola e non nei fatti, sia già avvenuta questa raccolta di uomini, e, secondo il nostro progetto, anche l'epurazione: dopo che infatti avremo messo alla prova con ogni sistema di persuasione e per tutto il tempo necessario i malvagi fra quanti tentano di venir ad essere cittadini del nostro stato, impediremo loro di entrarvi, mentre con benevolenza e con gioia introdurremo, nei limiti delle nostre possibilità, le persone oneste.
Non dobbiamo ignorare la buona sorte che ora ci tocca e che, abbiamo detto, accompagnò la formazione delle colonie degli Eraclidi, secondo cui è possibile evitare quella terribile e pericolosa contesa riguardante la remissione dei debiti e la distribuzione delle terre.
E quando uno stato fondato in tempi antichi si vede costretto a fissare leggi su tale materia non può da un lato lasciare la situazione immutata, ma neppure mutarla secondo un certo orientamento: allora gli rimane solo, per così dire, una preghiera e il desiderio di una piccola e cauta riforma che operi gradualmente e in un lungo arco di tempo le novità seguenti.
Se ci sono sempre dei riformatori che dispongono di un'abbondanza di terra, e hanno molti debitori, e se desiderano venire incontro alle loro difficoltà rendendoli partecipi dei loro beni, grazie ad un loro sentimento di equità, ora rimettono i debiti, ora distribuiscono le ricchezze, usando un criterio di moderazione e ritenendo che la povertà consista non nella diminuzione della ricchezza, ma nell'aumento dell'insaziabilità.
Questo è allora il principio più importante della salvezza dello stato, e su questo principio come su una solida base è possibile per chiunque edificare in seguito quell'ordinamento politico che si adatta ad una simile formazione dello stato: ma se questa base è marcia, non vi sarà in alcun stato azione politica successiva che sia praticabile.
E a tale inconveniente, come diciamo, noi riusciamo a sfuggire: e tuttavia sarebbe assai giusto dire, nel caso non fossimo riusciti a sfuggire, dove mai potremmo trovare un modo per evitare un simile inconveniente.
E ora possiamo dire che non c'è altra via di scampo, né larga, né stretta, che non sia quel mezzo per cui si rinuncia ad amare in modo eccessivo le ricchezze secondo giustizia: e questo ora noi dobbiamo porre come base su cui poggia lo stato.
Bisogna che le ricchezze non diano luogo in un modo o nell'altro a litigi fra i cittadini, e non è opportuno per coloro che abbiano un po' di cervello procedere volontariamente in nuovi affari se prima non abbiano regolato le antiche questioni concernenti i dissidi reciproci: e per quanti, come per noi ora, il dio diede un nuovo stato da abitare senza che vi fossero inimicizie reciproche, il fatto di diventare causa di odio reciproco per la distribuzione della terra e delle case costituirebbe una totale malvagità e un'ignoranza non concepibile in termini umani.
Qual è dunque il modo di procedere ad una giusta spartizione? In primo luogo bisogna stabilire il numero dei cittadini e vedere quanto dev'essere grande, quindi bisogna convenire sulla distribuzione dei cittadini in classi, e cioè in quante classi bisogna dividerli e quanto numerose devono essere: in base a queste divisioni si devono spartire la terra e le case nel modo più equo possibile. Quanto al numero ideale degli abitanti, esso non può essere scelto secondo nessun'altra corretta procedura che non sia quella di rapportarlo alla terra e agli stati delle regioni vicine. La terra sarà tanto grande quanto può nutrire adeguatamente i cittadini che vivono secondo uno stile di vita temperante, e non dev'essere più grande; quanto al numero di cittadini, essi devono essere in un numero tale da poter scacciare le popolazioni vicine che cercano di aggredirli e venire in loro aiuto nel caso in cui fossero aggrediti, sempre che non si trovino in una condizione di assoluta necessità. E queste cose noi possiamo stabilire non solo in pratica, ma anche in teoria, dopo aver osservato la regione e i vicini: ed ora come se volessimo completare una figura o un disegno, il nostro discorso si sposti sulla legislazione.
Se si deve fissare un numero conveniente, siano stabiliti nel numero di cinquemilaquaranta i proprietari terrieri che siano anche in grado di difendere la loro porzione di terra: terra e case, allo stesso modo, siano divisi in altrettanti lotti, e ad ogni uomo corrisponda perfettamente un lotto.
Si divida dapprima il numero complessivo in due parti, e poi in tre parti: per natura è divisibile in quattro, in cinque, e così di seguito sino a dieci.
Riguardo ai numeri ogni legislatore deve fare una considerazione di questo genere, e cioè quale numero e di qual natura possa essere più utile per gli stati.
Dobbiamo dire che quel numero è quello che contiene in sé più divisori e che siano soprattutto uno di seguito all'altro.
Il numero nel suo complesso implica ogni sorta di divisione in vista di ogni fine: e il numero di cinquemilaquaranta, per quel che riguarda la guerra e tutti i contratti e gli affari che si stipulano in tempo di pace, e relativamente ai tributi e alle distribuzioni, non può essere diviso da più di cinquantanove divisori, di cui il numero dall'uno al dieci sono consecutivi.
Bisogna che con tutta tranquillità comprendano stabilmente queste divisioni coloro cui la legge ha affidato il compito di riceverle: non può essere infatti che così, ma bisogna ora che queste cose siano dette a chi fonda uno stato per questi motivi.
Sia che un tale edifichi un nuovo stato dal principio, sia che ricostruisca un antico stato che era stato distrutto, per quanto riguarda gli dèi e i templi che in uno stato devono essere eretti in onore di ciascuna divinità, e riguardo alle denominazioni che si devono assegnare agli dèi e ai demoni, nessuno che abbia un po' di intelligenza tenterà di mettere in scompiglio quanto hanno rivelato gli oracoli di Delfi, di Dodona, e di Ammone, o quelle antiche leggende che sono diventate oggetto di credenza e che hanno svolto la loro opera di persuasione con la nascita di visioni o grazie alla cosiddetta ispirazione divina; e una volta prestata fede a questi fenomeni, infatti, si istituirono sacrifici combinati insieme a cerimonie religiose, e sia che fossero sorti nella regione, sia che giungessero dalla Tirrenia, dalla Cipria, o da qualsiasi altra regione, in virtù di tali racconti si consacrarono oracoli, statue, altari, templi, e un recinto cinse ciascuno di queste costruzioni sacre.
Ora, il legislatore non deve mutare neppure il particolare più insignificante di queste cose sacre, ma a ciascuna parte dello stato dovrà assegnare un dio, o un demone, o un eroe, e nella divisione della terra darà a queste parti per prime gli appezzamenti scelti e tutto ciò che loro convenga, in modo che in periodi di tempo prefissati avvengano riunioni di cittadini di ciascuna parte dello stato le quali forniscano loro delle agevolazioni in merito ad ogni cosa di cui hanno necessità, ed essi si trattino amichevolmente fra loro durante i sacrifici, e acquisiscano familiarità e si conoscano; e in uno stato non vi è alcun bene più grande di questo, e cioè dell'acquisire appunto familiarità reciproca.
Dove non c'è la luce, ma ombra nelle loro relazioni reciproche, nessuno potrà mai ottenere rettamente quell'onore di cui è degno, né le cariche, né mai quella giustizia che gli spetta: bisogna che ogni uomo in ogni stato si sforzi di far questo, e cioè di non mostrarsi mai ingannevole verso alcuna persona, ma sempre schietto e sincero, e faccia in modo che nessun altro lo inganni essendo tale.
Dopo queste cose operiamo uno spostamento nell'ordinamento delle leggi, come se spostassimo delle pedine dalla linea sacra, spostamento certamente inconsueto, e che forse meraviglierà chi lo ascolta per la prima volta: ma ad un tale che rifletta con attenzione e abbia un po' di esperienza apparirà come una seconda fondazione dello stato dopo quello ideale.
Probabilmente qualcuno non vorrà accettarlo in quanto non adatto ad un legislatore che non sia tiranno: ma la cosa più giusta che si può fare è quella di esporre la costituzione migliore, poi la seconda, ed infine la terza, e esponendole, concedere la scelta a ciascuna persona che abbia l'autorità di fondare uno stato.
Secondo questo ragionamento facciamo così anche noi adesso, dicendo la forma di costituzione che è prima per virtù, la seconda e la terza: a Clinia concediamo ora la scelta, e anche a qualcun altro che sempre volesse, procedendo lungo una scelta del genere, riservarsi secondo il suo costume ciò che gli è caro della sua patria.
La prima forma di stato, e la costituzione e le leggi migliori, si ritrovano laddove si realizzi quanto più è possibile quell'antico detto che dice: davvero comuni sono le cose degli amici.
Se dunque questo detto trovi ora attuazione o la troverà un giorno - avere cioè in comune le donne, in comune i figli, in comune tutte quante le ricchezze -, se con ogni mezzo sia dovunque estirpato dalla vita ciò che si considera privato, se si escogiti il sistema che renda possibile di mettere in qualche modo in comune ciò che per natura è personale, come se ad esempio occhi, orecchi, e mani sembrino vedere, ascoltare, e agire sempre in comune, in modo che tutti quanti insieme, per quanto è possibile, facciano elogi o biasimi e per le stesse cose provino gioia o dolore, se, in sostanza, si voglia stabilire un altro criterio per giudicare la superiorità, rispetto alla virtù, di quelle leggi che cercano di unificare quanto più possono uno stato, non se ne troverebbe un altro più giusto e migliore di questo.
In tale stato, dove sia dèi, sia figli di dèi lo abitano e sono più di uno, i suoi abitanti vivono felici conformandosi a queste regole: perciò non bisogna cercare altrove un modello di costituzione, ma prendendo questa come punto di riferimento, bisogna ricercare quella che le si avvicini il più possibile.
Quanto allo stato cui ora abbiamo messo mano, esso sarà vicinissimo all'immortalità e secondo quanto ad unità: per quanto riguarda il terzo, se il dio lo vuole, lo prenderemo in esame in seguito.
Ma ora come definiremo questa seconda forma di stato e quale diremo che è la sua formazione?
Innanzitutto i cittadini si dividano terra e case, e non lavorino i campi in comune, dato che si è già detto che una cosa del genere sarebbe superiore a uomini che hanno ricevuto l'attuale nascita, formazione, ed educazione: ma si divida in ogni caso tenendo presente questa considerazione, e cioè chi ha ricevuto in sorte questa porzione deve considerarla come proprietà comune di tutto lo stato, e poiché sua patria è la terra deve venerarla di più di quanto i figli devono venerare la madre, ed essendo una dea, è signora degli esseri mortali; e bisogna avere le stesse opinioni riguardo agli dèi locali e ai demoni.
Perché questo assetto si conservi per tutto il tempo si deve considerare che il numero dei focolari che ora noi abbiamo distribuito deve rimanere sempre invariato, e non deve ne aumentare, ne diminuire.
Tale ordinamento può essere mantenuto stabilmente in tutto lo stato in questo modo: chi abbia ricevuto in sorte un lotto lasci fra i figli uno solo erede di questo patrimonio, quello che gli è più caro, che gli succederà e si occuperà degli dèi, della famiglia, dello stato, di quanti vivono e di quanti hanno ormai raggiunto il termine della vita.
Quanto agli altri figli, per quelli che ne hanno più di uno, diano in spose le femmine secondo la legge che stabiliremo in materia, e distribuiscano i maschi come figli a chi manca di discendenza, soprattutto per fare un favore, ma se ad alcuni manchino le occasioni per fare i favori, o se i figli maschi o femmine siano più del dovuto, o anche, al contrario, siano in numero minore, per una crisi delle nascite, di tutti questi problemi dovrà occuparsi l'autorità che abbiamo stabilito come la più importante e la più degna di onori, la quale, valutando che cosa si debba fare in caso di eccesso o di mancanza di figli fornisca un sistema grazie al quale le famiglie saranno sempre e soltanto cinquemilaquaranta.
I sistemi sono molti: si può vietare di procreare a quelli che nella procreazione sono troppo fecondi, e così al contrario si possono attuare le cure e le sollecitudini per incrementare le nascite mediante onori, castighi, e precetti formulati dai più vecchi e rivolti ai più giovani sotto forma di discorsi di esortazione, che permettono di raggiungere lo scopo di cui parliamo.
E se alla fine ci troveremo nell'assoluta difficoltà di mantenere invariato il numero di cinquemilaquaranta famiglie, verificandosi un esubero di cittadini a causa dell'amore reciproco dei coniugi, per questo imbarazzo esiste l'antico rimedio di cui spesso abbiamo parlato, cioè l'invio di colonie, ovvero amici che si separano da amici, formate secondo il criterio dell'opportunità: se al contrario avviene una sciagura che porta con sé un'ondata di malattie, o una rovina a seguito di guerre, e, rimanendo orfana, la popolazione diminuisce rispetto al numero stabilito, non bisogna introdurre volontariamente come cittadini coloro che hanno ricevuto un'educazione illegittima, e neppure il dio, si dice, può fare violenza sulla necessità.
Giunti a questo punto, supponiamo che il discorso che ora stiamo facendo ci esorti con queste parole: «O voi che siete i migliori di tutti gli uomini, non cessate mai di onorare secondo natura la somiglianza e l'uguaglianza, l'identità e ciò che viene stabilito di comune accordo, sia in relazione al numero, sia in relazione alla determinazione propria delle azioni belle e nobili: e anche adesso conservate innanzitutto per tutta la vita il numero di cui si è detto, e quindi non disprezzate l'importanza e la grandezza di quel patrimonio che precedentemente vi siete divisi secondo la giusta misura con la reciproca compravendita - perché in tali azioni non è vostra alleata né la sorte che fece quelle divisioni e che è un dio, né il legislatore -. Ora infatti la legge comanda per la prima volta al trasgressore, premettendo che chi vuole può o no partecipare alle distribuzioni per sorteggio della terra, che, essendo la terra prima di tutto cosa sacra a tutti gli dèi, e quindi dovendo i sacerdoti e le sacerdotesse fare voti nei primi, nei secondi, e anche nei terzi sacrifici, chi effettui compravendite di case o terre ricevute in sorte subisca pene adeguate per operazioni di questo genere. Questi sacerdoti collocheranno nei templi tavole di cipresso che essi avranno scritto, memorie scritte per il tempo futuro, e inoltre come custodi di queste norme, affinché siano attuate, saranno nominati quei magistrati che sembrino possedere vista assai acuta, in modo che non sfuggano loro le trasgressioni che ogni volta avvengono contro quelle, ma puniscano chi disobbedisce alla legge e insieme al dio.
Quanto grande sia il bene dell'attuale legge per tutti gli stati che la accettano, e l'ordinamento corrispondente che ad essa si aggiunga, secondo l'antico proverbio, nessuno che sia malvagio potrà saperlo, ma solo chi è esperto e possiede nobili costumi.
In tale ordinamento non c'è spazio per gli affari, e ad esso segue la norma per cui nessuno deve e può accumulare ricchezze facendo affari propri di persone che non sono libere, in quanto un mestiere considerato così vergognoso devia l'indole libera, ragion per cui non si ammetterà affatto un tale modo di raccogliere ricchezze».
A tutte queste regole segue inoltre la legge secondo cui non è possibile ad alcun privato cittadino possedere oro o argento, ma solo la moneta per gli scambi giornalieri che sono necessari agli artigiani e a tutti coloro che svolgono simili mansioni e devono pagare lo stipendio ai salariati, schiavi e stranieri.
Per questi motivi diciamo che essi devono possedere una moneta che abbia un valore interno, ma che non abbia alcun valore presso le altre genti: si può pensare ad una moneta comune a tutta la Grecia coniata per spedizioni militari e viaggi all'estero presso altre genti, come le ambascerie o qualche altra missione diplomatica di cui abbia bisogno lo stato, quando, in sostanza, si debba danaro straniero che aveva importato.
Chi prende moglie o sposerà la figlia non dia né riceva affatto dote di alcun genere; nessuno poi depositi danaro presso una persona che non sia di sua fiducia, né presti danaro ad interesse, poiché è consentito a chi ha ricevuto il prestito non pagare gli interessi né restituire il capitale.
Queste sono le consuetudini migliori che uno stato possa coltivare, se le si osservi in tal modo e le si giudichi rettamente, riferendole sempre ai principi e alle intenzioni che sono alla base del nostro discorso.
L'intenzione di un uomo politico che abbia un po' di intelligenza, noi diciamo, non è quella che molti ricordano, secondo cui il valente legislatore deve proporsi uno stato che sia il più esteso possibile, al quale rivolga il suo pensiero per stabilire buone leggi, e assai ricco e fornito di oro e di argento, e capace di comandare il maggior numero possibile di popoli per terra e per mare: e forse aggiungerebbero che chi legifera rettamente deve desiderare che lo stato sia il migliore e il più felice possibile.
Di tutte queste cose alcune sono possibili, altre no: e chi ordina uno stato potrà dunque volere ciò che è possibile, mentre sarà una sua velleità volere e tentare l'impossibile.
È quasi una necessità che chi è felice sia nel contempo onesto - e questo potrà volerlo -, ma è impossibile essere assai ricchi ed onesti ad un tempo, almeno se penso a quelli che la maggior parte delle persone considera ricchi: la maggior parte delle persone, infatti, considera ricchi i pochi uomini che dispongono di ricchezze quantificabili in grandi quantità di danaro; ricchezze, queste, che anche un malvagio vorrebbe avere.
Se la questione sta in questi termini, non potrò mai trovarmi d'accordo con chi sostiene che il ricco può diventare davvero felice anche se non è onesto: è impossibile che un tale sia superiore per onestà e per ricchezza nel contempo.
«Perché?», domanderà qualcuno.
«Perché», risponderemmo noi,«l'entrata che proviene da un'azione giusta e da una ingiusta è più del doppio di quella che proviene solo dall'azione giusta, e le spese di chi non vuole spendere né bene né male sono doppiamente minori di chi desidera fare spese oneste e per onesti motivi: non può allora diventare più ricco chi si comporta esattamente all'opposto di coloro che hanno doppie le entrate e dimezzate le spese».
Fra questi l'uno è onesto, l'altro non è malvagio se è economo, anche se talvolta può essere assai malvagio, in ogni caso non può essere mai onesto nel senso in cui lo si è inteso ora.
Chi si è arricchito in modo giusto o ingiusto e non spende né in modo giusto, né in modo ingiusto, se è anche economo, è ricco, chi invece è assai malvagio, essendo scialacquatore sotto molti aspetti, sarà assolutamente povero: ma chi fa spese oneste e chi si procura ricchezza solo attraverso giusti guadagni non potrà facilmente distinguersi per ricchezza e neppure diventare troppo povero.
Sicché è corretto il nostro ragionamento, secondo il quale, appunto, coloro che sono assai ricchi non possono essere onesti, e, di conseguenza, se non sono onesti, non possono neppure essere felici.
Il progetto delle nostre leggi si orientava in questa direzione: fare in modo cioè che i cittadini siano il più possibile felici e quanto più concordi fra di loro.
E i cittadini non saranno mai concordi dove molti saranno i processi celebrati gli uni contro gli altri e molte le ingiustizie, ma lo saranno dove queste cose saranno di scarsa importanza e ridotte ad un numero piccolissimo.
Noi diciamo allora che nello stato non devono esserci né oro, né argento, né un eccessivo volume di affari procurato mediante vili mestieri, usura, e turpe commercio di bestiame, ma quanto offre e produce la coltivazione della terra, e anche di questi non ci si deve arricchire in misura tale da trascurare il fine per cui nascono le ricchezze: mi riferisco all'anima e al corpo, che senza la ginnastica ed il resto dell'educazione non possono diventare degni di considerazione.
Perciò abbiamo detto più di una volta che bisogna riservare alla cura delle ricchezze l'ultimo posto negli onori: poiché fra tutte le cose sono tre quelle intorno a cui si concentrano le attenzioni degli uomini, la cura delle ricchezze occupa l'ultimo e terzo posto, se è correttamente inteso, le cure del corpo la posizione intermedia, e la cura dell'anima il primo posto.
E anche adesso, a proposito della costituzione che stiamo trattando, se si rispetta questa scala di valori, essa risulterà perfettamente costituita: ma se qualcuna delle leggi che sono stabilite risulterà nello stato rendere onore alla salute prima che alla temperanza, o alla ricchezza prima che alla salute e alla temperanza, è evidente che questa legge non sarà concepita in modo giusto.
Bisogna che il legislatore sottolinei frequentemente questo punto: «Che cosa intendo compiere?», e «Mi accade che questo si verifichi, oppure mi allontano dallo scopo?».
Così probabilmente potrà realizzare la legislazione, liberando gli altri da questa responsabilità, mentre non potrà mai fare in altro modo.
Chi dunque abbia ricevuto in sorte il proprio lotto, diciamo, lo possegga secondo le condizioni di cui prima si è detto.
Sarebbe bello che ciascuno giungesse nella colonia avendo uguali anche tutte le altre cose: e dato che ciò non è possibile, ma vi giungerà chi possiede più ricchezze e chi ne possiede di meno, bisogna che per molte ragioni, e specialmente perché vi sia una certa uguaglianza nelle diverse fasi della vita dello stato, ci siano classi di cittadini disuguali per censo, in modo che cariche, tributi, e distribuzioni, che vengono rapportati al valore di ciascuno, non siano regolati soltanto in base all'onore degli antenati o al proprio, né in base alla forza o alla bellezza dei corpi, ma anche secondo l'uso della ricchezza e la povertà, per cui, ricevendo onori e cariche nel modo più equo possibile proprio grazie a questa proporzionata disuguaglianza, non nascano discordie.
Per queste ragioni bisogna costituire quattro classi censuarie in base all'entità del patrimonio, assegnando ai componenti delle singole classi i nomi di primi, secondi, terzi, e quarti, o con quali altri nomi li si vogliono chiamare, sia che rimangano nella stessa classe, sia che - diventati più ricchi da poveri che erano, o poveri da ricchi - passino ciascuno nella classe che loro si adatta.
Su queste basi, io stabilirei il seguente progetto di legge: bisogna che in uno stato, diciamo, che non vuole convivere con quel gravissimo male che sarebbe più giusto chiamare “divisione” piuttosto che “sedizione”, non vi sia né una molesta condizione di povertà presso alcuni suoi cittadini e neppure la ricchezza, perché l'una e l'altra condizione determinano rispettivamente questi due mali: ora dunque il legislatore deve definire il limite di questi due mali.
Come limite della povertà sia fissato il valore del lotto ricevuto in sorte, il quale deve rimanere così com'è, e nessun magistrato e allo stesso modo nessuno fra gli altri che sia ambizioso di conseguire la virtù permetterà ad alcuno di renderlo minore.
Fissato quel limite come unità di misura, il legislatore permetterà che si possegga il doppio, il triplo, sino al quadruplo di quel lotto: e se uno possiederà sostanze oltre questi limiti, o perché le ha trovate, o perché gli sono state donate, o perché le ha guadagnate, o perché ne è venuto in possesso per altre circostanze di questo genere, distribuendo le ricchezze in eccesso allo stato e agli dèi che reggono lo stato, godrà di buona fama e non sarà punito; ma se qualcuno disobbedisce a questa legge, chiunque lo voglia potrà denunciarlo con la condizione di avere la metà di quel patrimonio in eccesso, e il colpevole stesso pagherà un'altra parte corrispondente all'intero suo acquisto, mentre l'altra metà sarà versata agli dèi.
Ogni acquisto che superi il lotto che tutti hanno ricevuto in sorte sia iscritto in un pubblico registro tenuto in custodia dai magistrati incaricati dalla legge, in modo che i processi riguardanti gli arricchimenti illeciti siano facili e assolutamente chiari.
Dopo di che bisogna che innanzitutto la città sia collocata al centro della regione, avendo prima scelto il luogo che offre tutti quei vantaggi che può offrire ad una città, e che non è affatto difficile pensare o dire: bisogna quindi che il legislatore divida la città in dodici parti, dopo aver stabilito innanzitutto il luogo sacro a Estia, a Zeus, e ad Atena, e che prenderà il nome di “acropoli”.
Quindi, dopo averlo recintato tutt'intorno, da quel luogo prenderà avvio la divisione in dodici parti della città stessa e di tutta la regione.
Le dodici parti dovranno essere equivalenti, e cioè più piccole quelle che hanno terra buona e più grandi quelle che hanno terra peggiore.
Bisognerà dividere cinquemilaquaranta lotti, e a sua volta ciascuno di questi andrà diviso in due porzioni, e le due porzioni verranno assegnate a sorte perché una delle due sia vicina alla città, l'altra lontana: il primo lotto sarà formato dalla porzione più vicina alla città con quella che si trova presso gli estremi confini, il secondo lotto dalla seconda porzione partendo dal centro della città con quella seconda porzione partendo dai confini, e così per tutti gli altri.
Anche in queste divisioni in due bisogna escogitare il sistema che ora si è detto sul valore o meno del terreno, facendo equivalere la grandezza o la piccolezza della parte assegnata.
Anche i cittadini dovranno essere divisi in dodici parti, e così il resto del patrimonio si dovrà ordinare in dodici parti che siano il più possibile uguali, dopo averle tutte inventariate: e dopo aver dedicato dodici lotti a dodici dèi, si dia a ciascuna parte il nome di ciascun dio cui essa è stata assegnata in sorte e gliela si consacri, e si chiami ciascuna “tribù”.
Allo stesso modo la città dev'essere divisa in dodici parti così come si è diviso anche il resto della regione: e ciascuna avrà due case, una vicina al centro, l'altra vicino agli estremi confini.
E abbia così termine la fondazione dello stato.
Bisogna che facciamo in ogni caso questa considerazione, e cioè che tutto ciò che ora abbiamo detto non può avvenire sempre in circostanze tali che si verifichi tutto secondo il nostro ragionamento: cittadini, per intenderci, che non siano maldisposti verso una comunità organizzata in questo modo, ma, anzi, che tollerino di avere ricchezze limitate e modeste per tutta la vita, e di generare figli secondo le prescrizioni che abbiamo detto per ciascuno, e di essere privati dell'oro e delle altre cose che espressamente il legislatore proibirà secondo quanto si è detto prima, e poi ancora, il rapporto fra il centro della città e la regione circostante, e le abitazioni tutt'intorno, come il legislatore ha detto, parlando come fosse in un sogno, o plasmando uno stato e i suoi cittadini come sulla cera.
Tali osservazioni non sono malvagie, e bisogna che il legislatore le riprenda in se stesso in questo modo.
Ecco che dunque il legislatore parla nuovamente così: «Non pensate, amici, che in questi discorsi non mi sfugga che proprio quanto si è detto ora ha riguardato in un certo senso l'esposizione di cose vere.
Ma in ogni progetto per il futuro ritengo che sia assai giusto che chi presenta un modello, spiegando come l'opera intrapresa deve realizzarsi, non deve trascurare ciò che è più bello e più vero.
Se poi gli risulta impossibile che una di queste cose si realizzi, deve lasciarla perdere e non cercare di compierla, mentre deve trovare il sistema di realizzare quella che fra le restanti cose le è più vicina ed è più affine a ciò che conviene realizzare.
Al legislatore si conceda di portare a termine quanto intende fare, e una volta che lo ha portato a termine, allora si dovrà valutare insieme a lui che cosa è utile delle cose dette e che cosa è molesto della sua legislazione: d'altra parte, anche l'artigiano che godrà della più scarsa considerazione deve rendere in ogni caso la sua opera coerente a se stessa».
Ed ora, dopo aver convenientemente diviso lo stato in dodici parti, dobbiamo sforzarci di vedere in che modo le dodici parti, che contengono al loro interno moltissime divisioni, e quelle che ad esse si accompagnano, e altre ancora che nascono da quest'ultime, sino a giungere al numero di cinquemilaquaranta - di qui le fratrie, i demi, i villaggi, e il disporre e il condurre gli eserciti in battaglia, e ancora il sistema monetario e le misure di solidi e liquidi, e i pesi - in che modo allora la legge debba evidentemente fissare le proporzioni di tutte queste cose e i loro reciproci accordi.
Non si abbia inoltre paura di essere accusati di pedanteria, dato che, secondo le disposizioni impartite, tutti quanti gli utensili che si posseggono non possono superare le misure consentite, e si ritiene comunemente che in ogni circostanza siano utili le divisioni e le combinazioni di numeri, sia che avvengano in se stesse, sia che si combinino con la lunghezza e la profondità, e nei suoni e nei movimenti diretti verso l'alto, verso il basso, e nei movimenti circolari: tenendo in considerazione tutte queste cose il legislatore deve ordinare a tutti i cittadini di non trascurare, nei limiti del possibile, un simile ordinamento.
In vista dell'economia domestica, della costituzione, e di qualsiasi altra arte, nessuna disciplina appresa da bambini ha un'importanza così grande come lo studio dei numeri: ma la cosa più importante è che questo studio sveglia chi è indolente e ha naturali difficoltà di apprendimento, rendendolo ben disposto ad apprendere, capace di ricordare, e perspicace, e lo fa progredire oltre la sua natura in virtù di un artificio divino.
In seguito, se con altre leggi e con altri metodi si riesca ad estirpare l'illiberalità e l'amore sfrenato per le ricchezze dall'anima di chi vuole studiare queste discipline in modo adeguato e vantaggioso, allora esse potrebbero diventare un nobile e conveniente metodo educativo: in caso contrario, si compie inconsapevolmente quella che si definisce un'operazione astuta al posto della sapienza, come ora si può vedere presso gli Egiziani e i Fenici, e molti altri popoli che sono stati formati dall'illiberalità propria di altri costumi e di altri generi di ricchezze, ridotti a tale livello da un legislatore di scarso valore, o per una sorte sventurata, o per un altro caso simile voluto dalla natura.
E infatti, Megillo e Clinia, non dobbiamo dimenticarci che ci sono luoghi differenti rispetto ad altri per la generazione di uomini migliori o peggiori, e la legge non deve opporsi a questi fattori: alcuni infatti si rivelano prodigiosi e propizi grazie alle varie influenze dei venti e all'azione del sole, altri per le acque, altri ancora per lo stesso nutrimento che proviene dalla terra, che non solo è in grado di fornire ai corpi alimenti migliori o peggiori, ma è non meno capace di sortire gli stessi effetti sulle anime.
Fra tutti questi luoghi saranno assolutamente superiori quelli in cui spira un certo soffio divino e che sono stati assegnati in sorte a demoni, che possono accogliere benevolmente o meno quelli che sempre verranno ad abitarli.
E un legislatore che abbia un po' di intelligenza, sulla base dell'osservazione di questi fattori, per quanto un uomo è capace di osservare tali cose, tenterà di stabilire in questo modo le leggi.
E questo è quello che devi fare tu, Clinia, dato che questa è la prima cosa cui deve pensare chi vuole colonizzare una regione.
CLINIA Quello che dici è giustissimo, straniero di Atene, ed io devo fare così.
Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020