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Platone le LEGGI. Legislazioni e costituzioni


Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.

Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:

1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.

PREMESSA A LE LEGGI

Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita, ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo. In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche (frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica, mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza. Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene, essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica: Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però, come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza. Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere: oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi. Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi: Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini stipulano fra loro. La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le normative sulle mallevadorie. Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il complesso delle virtù nello stato. Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato. ENRICO PEGONE

LIBRO QUARTO
ATENIESE: Coraggio, come dobbiamo pensare che sarà il nuovo stato? E la mia domanda non si riferisce al suo nome, e cioè a come si chiama adesso o a come si dovrà chiamare in avvenire: a questo proposito, probabilmente, la sua stessa fondazione, o un luogo particolare, o il nome di un fiume o di una fonte o degli dèi locali, possono dare il loro nome al nuovo stato che sorge. Quello che piuttosto voglio sapere riguardo ad esso, facendo questa domanda, è se sarà in prossimità del mare o all'interno, nel continente. CLINIA: All'incirca, straniero, lo stato di cui ora si sta parlando dista dal mare ottanta stadi. ATENIESE: E vi sono dei porti in quella zona vicino al mare o non ve ne sono affatto? CLINIA: Avrà porti bellissimi da quella parte, i più belli che ci possano essere, straniero. ATENIESE: Oh! Che cosa dici! E la regione intorno ad esso? Produce qualsiasi cosa o manca di alcuni prodotti? CLINIA: Non manca quasi di nulla. ATENIESE: E nelle vicinanze vi sarà qualche stato confinante con esso? CLINIA: No, affatto, e questo è anche il motivo per cui si fonda una colonia: in tempi antichi, infatti, si verificò un'emigrazione da quel luogo che lo lasciò deserto per un periodo di tempo incredibilmente lungo. ATENIESE: E le pianure, i monti, e le foreste? In quale proporzione ciascuna di esse ci toccò in sorte? CLINIA: La natura del luogo assomiglia all'intera regione cretese. ATENIESE: Dirai che è più accidentata che pianeggiante? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Non vi è nulla dunque che impedirebbe il procacciarsi della virtù. Se dovesse infatti sorgere presso il mare, e avere dei bei porti, e non essere del tutto fertile, ma anzi, mancante di molti prodotti, avrebbe bisogno di un grande salvatore e di legislatori divini, se per la sua stessa posizione naturale non volesse ricevere una gran varietà di malvagi costumi di vita. Ma ora ci confortano gli ottanta stadi dal mare. In verità è più vicino del necessario al mare, tanto più che tu dici che è fornito di buoni porti, e tuttavia questo ci può andare bene. Il fatto che il mare sia vicino ad una regione è cosa piacevole ogni giorno, ma in realtà si tratta di una salata ed amara vicinanza: infatti riempiendo lo stato di traffici e di affari dovuti al commercio, fa nascere negli animi modi di vita incostanti e infingardi, e rende lo stesso stato infido e nemico di se stesso, e allo stesso modo nei confronti degli altri uomini. A questo riguardo è confortante il fatto che esso è fertile per ogni specie di cultura, ma se il suo terreno è accidentato, è chiaro che non potrà portare varie ed abbondanti specie di prodotti: se avesse questa peculiarità potrebbe fare numerose esportazioni, e in cambio si riempirebbe di monete d'argento e d'oro, e di questo, per così dire, non c'è male più grande, preso uno per uno, per quello stato che voglia acquisire costumi nobili e giusti, come dicevamo, se ci ricordiamo, nei precedenti discorsi. CLINIA: Certo che lo ricordiamo, e anche adesso ci troviamo d'accordo nel dire che allora avevamo parlato in modo corretto. ATENIESE: Ebbene? In che modo il luogo della nostra regione è fornito di legname per costruzioni navali? CLINIA: Non vi sono né abeti né pini marittimi degni di considerazione, e neppure il cipresso è abbondante: si potrebbe trovare qualche pino, e pochi platani, di cui i costruttori di navi hanno bisogno ogni volta che fabbricano le parti interne delle navi. ATENIESE: Anche questo non è un male per la natura del luogo. CLINIA: Perché? ATENIESE: è un bene che uno stato non possa imitare facilmente i nemici nelle loro malvagie imitazioni. CLINIA: A quale delle cose dette pensi dicendo ciò che hai detto? ATENIESE: Divino amico, fai attenzione a me, e osserva quel che si è detto in principio, quando, a proposito delle leggi cretesi, si diceva che esse tendevano ad un unico scopo, e voi due dicevate che esso consisteva nella guerra, mentre io, intervenendo nella discussione, dicevo che era un bene il fatto che quelle leggi erano state stabilite in vista della virtù, ma che non ero per nulla d'accordo sul fatto che si riferissero ad una parte di essa e non a tutta quanta nel suo complesso: ora voi, a vostra volta, seguitemi e fate attenzione alla mia presente legislazione, per vedere se, nell'atto di stabilire le leggi, non miri a tutta la virtù piuttosto che ad una parte di essa. Io stabilisco infatti che è ben fondata soltanto quella legge che come un arciere mira ogni volta unicamente a qualcosa che abbia attinenza sempre ed in modo continuo con il bene, e trascuri tutto il resto, si tratti di una certa ricchezza, o di una qualsiasi altra cosa che è priva dei requisiti che sono stati detti. E dicevo che l'imitazione malvagia dei nemici avviene quando, vivendo in prossimità del mare, si è molestati dai nemici. Come ad esempio - e dico questo senza la volontà di rinfacciarvi alcunché - Minosse, che disponeva di una grande forza navale, obbligò una volta gli abitanti dell'Attica a pagare un gravoso tributo, e quelli, come ora, non avevano navi da guerra, né la loro regione era ricca di legname per costruire imbarcazioni, così da allestire facilmente una potenza navale: non furono allora capaci di cacciare immediatamente i nemici mediante l'imitazione della loro arte navale, e con il diventare essi stessi marinai. Sarebbe stato certamente più vantaggioso per loro perdere ancora molte volte sette fanciulli, prima che, diventati marinai da fanti e fedeli opliti, si abituassero a sbarcare di frequente dalle navi per saltarvi nuovamente sopra di corsa e rapidamente, e a credere che non si fa nulla di turpe se non si ha il coraggio di farsi uccidere rimanendo al proprio posto mentre i nemici avanzano, ma ad avere finti pretesti e sempre pronti per abbandonare le armi e darsi a quelle fughe che, come dicono quelli, non sono turpi. Queste sono le parole che solitamente giungono dai soldati della marina e non sono degni di quelle lodi che spesso gli si attribuiscono, ma tutto il contrario: non bisogna mai abituarsi a costumi di vita malvagi, e soprattutto non deve agire così la parte migliore dei cittadini. Anche da Omero si poteva capire che questa consuetudine non è bella. Presso Omero, infatti, Ulisse rimprovera Agamennone, quando, prevalendo i Troiani in battaglia sugli Achei, ordina di far scendere le navi in mare. Ed ecco che, adirato contro di lui, gli dice: «Tu ordini, e c'è ancora la battaglia, di trarre in mare le navi dai forti ponti, in modo che ancora di più si compiano le preghiere che hanno in cuore i Troiani, affinché terribile rovina piombi su di noi. Gli Achei infatti non resisteranno più la guerra, quando le navi vedranno tratte in mare, ma volgeranno indietro lo sguardo per fuggire e abbandoneranno la battaglia. Allora sarà deleterio il tuo consiglio, a coloro a cui lo dici». Conosceva dunque anche lui queste cose, e cioè che è un male la presenza in mare delle triremi per gli opliti in battaglia: anche i leoni si abituerebbero a fuggire dinanzi ai cervi, se coltivassero questi costumi. Inoltre, la potenza di quegli stati che si basano sulle flotte navali, e insieme la loro salvezza, non recano onori alla parte migliore dei soldati: essa infatti è ottenuta dall'arte dei timonieri, dall'arte di comandare cinquanta rematori, dall'arte dei rematori stessi, persone d'ogni razza e non certamente virtuose, e quindi non si potrebbero assegnare nel modo più giusto gli onori a ciascuno. Eppure come potrebbe una costituzione essere retta se mancasse questa possibilità? CLINIA: è quasi impossibile. Ma, straniero, noi Cretesi diciamo che la battaglia navale combattuta a Salamina dai Greci contro i barbari salvò la Grecia. ATENIESE: In effetti molti fra i Greci e i barbari vanno ripetendo queste cose. Noi invece, amico, io e costui, Megillo, diciamo che le battaglie combattute sulla terra ferma a Maratona e a Platea segnarono una l'inizio della salvezza per i Greci, l'altra la sua realizzazione finale, e che quelle resero migliori i Greci, mentre le altre no, per parlare di tutte le battaglie che allora ci trassero in salvo: e oltre alla battaglia di Salamina aggiungo la battaglia navale dell'Artemisio. Ma ora, considerando la virtù applicata alla costituzione politica, osserviamo la natura del luogo e l'ordinamento delle leggi, ritenendo che il mettersi in salvo e il solo fatto di esistere non rappresentano per gli uomini il bene più degno di onori, come molti pensano, ma il diventare il più possibili migliori e il mantenersi tali per tutto il tempo della propria vita: anche questo, credo, si è detto nei discorsi precedenti. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Prestiamo soltanto attenzione a questo, e cioè se stiamo percorrendo quella che è la strada migliore nella fondazione degli stati e nel fissare l'ordinamento delle leggi. CLINIA: Ed è davvero la migliore. ATENIESE: Proseguendo nel discorso dimmi: quale popolo fonderà la vostra colonia? Forse chi lo vorrà, giungendo da ogni parte di Creta, dato che in ciascuna città vi è una massa di abitanti superiore al nutrimento che proviene dalla terra? Non penso che accoglierete tutti i Greci che vogliono venire. Eppure vedo che stirpi provenienti da Argo, da Egina, e da altre parti della Grecia hanno fondato colonie nella vostra regione. Per il momento, però, dimmi da dove dici che arriverà questo vero e proprio esercito di cittadini di cui ora stiamo parlando? CLINIA: Per quel che mi sembra giungeranno da tutta Creta, e fra tutti gli altri Greci, mi pare che verranno accolti come abitanti soprattutto quelli che provengono dal Peloponneso. Infatti quando affermi che gli attuali abitanti giungono da Argo dici la verità, e infatti la stirpe che attualmente in questo luogo gode di maggior reputazione è quella di Gortina, che appunto venne ad abitare qui da quella Gortina che si trova nel Peloponneso. ATENIESE: In effetti non risulta ugualmente facile la fondazione di una colonia per gli stati, quando non avvenga come fanno gli sciami, e cioè quando vi sia una sola stirpe che colonizza e proviene da una sola regione - in sostanza, una stirpe amica che si separa dagli amici -, assediata dalla strettezza della terra o costretta da qualche altro simile evento. Talvolta una parte dello stato viene obbligata e costretta dalle sedizioni civili ad emigrare altrove, in un paese straniero: ed è già accaduto che un'intero stato fu costretto a fuggire, a causa di una guerra che lo sbaragliò completamente, in cui ebbero la meglio forze superiori. Sotto un certo aspetto queste cose facilitano la fondazione di una colonia e l'istituzione dell'ordinamento delle leggi, sotto un altro aspetto, esse sono un ostacolo. Perché il fatto di essere un'unica stirpe e di parlare la stessa lingua e di avere le stesse leggi implica certamente una concordia e una comunanza di pratiche religiose e di altre cose di questo genere, ma si finisce per non tollerare con animo sereno leggi diverse e costituzioni che non siano quelle interne allo stato. Talvolta, poi, accade che l'essersi ribellati alla malvagità delle leggi e il cercare di vivere, per abitudine, secondo quegli stessi costumi di vita che in precedenza furono causa di rovina, rappresenti un ulteriore ostacolo per chi vuole fondare la colonia e istituire le leggi, e sarà difficile persuaderli dell'opposto. Al contrario, una stirpe eterogenea che confluisce in un medesimo luogo sarà più ben disposta a prestare orecchio a nuove leggi, ma il trovarsi in sintonia, e, come in una pariglia di cavalli, lo sbuffare ciascuno in accordo con l'altro, come si dice, richiede molto tempo ed è assai difficile. Ma in effetti è compito di uomini che abbiano conseguito la perfezione nella virtù stabilire le leggi e fondare nuovi stati. CLINIA: è vero: ma spiegaci ancor più chiaramente in base a quali considerazioni hai detto questo. ATENIESE: Carissimo amico, tornando ad occuparmi e ad esaminare i legislatori dovrò dire, almeno mi pare, anche qualcosa di negativo: ma se lo diciamo opportunamente, questa fatto non costituirà alcun ostacolo. E allora perché questo dovrebbe rendermi scontento? Tutte le questioni umane avvengono, per quel che mi sembra, in questo modo. CLINIA: Di che cosa parli? ATENIESE: Volevo dire che mai nessun uomo stabilisce per nulla al mondo le leggi, ma sono la sorte ed ogni genere di eventi che, verificandosi in ogni modo, stabiliscono il complesso delle nostre leggi. Infatti o una guerra con la sua forza sconvolge la forma della costituzione e muta le leggi, oppure una difficile situazione determinatasi a causa di una molesta povertà: e molte volte sono anche le malattie che costringono a compiere delle innovazioni, e il verificarsi di pestilenze, e il frequente perdurare, in un ampio periodo di tempo e per molti anni, di stagioni cattive. E osservando tutte queste cose uno si sentirebbe autorizzato a dire, come faccio io adesso, che nessun mortale può legiferare in alcuna materia, ma che solo la sorte guida gli affari umani: e chi dice le stesse cose intorno alla navigazione, all'arte del pilotare, alla medicina, all'arte militare, sembra che dica bene, ma è ugualmente possibile, parlando di tali questioni, dire giustamente questa cosa. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Che è il dio, insieme alla sorte e all'occasione propizia, che guida tutti gli affari umani. Smorzando un po' i toni del discorso, si può convenire che un terzo elemento deve seguire queste cose, e cioè l'arte: il fatto di poter contare o meno, ad esempio, sull'arte del pilota quando si scatena una tempesta, secondo me costituisce un grande vantaggio. O no? CLINIA: è così. ATENIESE: Dunque anche per il resto vale lo stesso discorso, e questo stesso principio si può applicare allora alla legislazione: premesso che in una regione ci siano tutte le altre circostanze favorevoli tali da consentire ad uno stato di vivere felicemente, in uno stato come questo la sorte deve inviare un legislatore che possegga la verità. CLINIA: Quello che dici è verissimo. ATENIESE: E chi possiede l'arte in relazione a ciascuna delle cose dette non pregherebbe giustamente, se pregasse perché mediante la sorte si verifichi per lui quella condizione per cui abbia bisogno soltanto della sua arte? CLINIA: Certamente. ATENIESE: E tutti gli altri di cui ora abbiamo parlato, se li invitassimo ad esprimere la loro preghiera, la direbbero. Non è vero? CLINIA: Certamente. ATENIESE: La stessa cosa, io credo, farà anche il legislatore. CLINIA: Lo credo proprio. ATENIESE: «Avanti, legislatore», gli possiamo dire, «che cosa vuoi che abbia e come dev'essere costituito lo stato che ti affidiamo, perché, una volta che lo hai ricevuto, tu possa in seguito governarlo in modo soddisfacente?». CLINIA: Quale risposta corretta potremo dare dopo queste parole? ATENIESE: Diciamo questa risposta come fosse del legislatore, o no? CLINIA: Sì. ATENIESE: La risposta è questa: «Datemi uno stato che sia in mano ad un tiranno», dirà, «e questo tiranno sia giovane, dotato di memoria, intelligente, valoroso, e magnanimo per natura: e ciò che anche nei precedenti discorsi dicevamo che deve accompagnarsi a tutte le parti della virtù, anche ora si accompagni all'anima del tiranno, se vorrà che le altre doti abbiano una qualche utilità». CLINIA: Mi sembra, Megillo, che lo straniero affermi che sia la temperanza la qualità che deve accompagnarsi. O no? ATENIESE: Quella che si intende comunemente, Clinia, e non quella di cui qualcuno potrebbe parlare magnificandola e provando con il ragionamento che l'essere temperanti equivale all'intelligenza. Ma si tratta di quella qualità che fiorisce immediatamente nei fanciulli e in certi animali, ed è loro connaturata, per cui alcuni si abbandonano in modo disordinato ai piaceri, mentre altri ne fanno un uso regolato. E dicevamo che se viene divisa da tutti i molti altri beni non è degna di considerazione. Capite quello che dico. CLINIA: Certo. ATENIESE: Il nostro tiranno abbia dunque questa natura oltre a quelle altre, se lo stato vuole il più rapidamente possibile e nel migliore dei modi dotarsi di una costituzione, la quale, una volta ottenuta, gli permetterà di vivere assai felicemente. Non c'è infatti, e non ci sarà mai un modo più rapido e migliore di ordinare questa costituzione. CLINIA: Come e con quale criterio, straniero, chi sostiene questa cosa può convincersi di sostenerla a ragione? ATENIESE: è facile, Clinia, comprendere come questa cosa sia secondo natura. CLINIA: Come dici? Se vi fosse un tiranno, vuoi dire, giovane, temperante, intelligente, dotato di memoria, valoroso, magnanimo? ATENIESE: E fortunato, aggiungi, se non altro perché vi sia nel suo tempo un legislatore degno di lode e una sorte felice lo abbia condotto verso il medesimo fine. Quando questo avviene, si può dire che il dio abbia realizzato quasi tutto ciò che può fare, quando desidera che uno stato sia particolarmente prospero. Se ci sono due capi di questo genere, la prosperità passa in secondo piano, e quindi in terzo piano, e così, secondo la stessa proporzione, vi saranno condizioni più difficili nella misura in cui vi saranno più capi, e viceversa, il contrario. CLINIA: Tu dici che dalla tirannide deriva, a quanto sembra, la forma migliore di stato, insieme ad un valente legislatore e a un saggio tiranno, e che il passaggio dall'una all'altra forma di stato avviene nel modo più facile e più rapido possibile, una seconda forma di stato deriva dall'oligarchia - o come la chiami -, e una terza forma dalla democrazia. ATENIESE: Nient'affatto, ma dalla tirannide la prima forma dello stato, la seconda dalla costituzione regia, la terza da una specie di democrazia. La quarta forma, l'oligarchia, assai difficilmente potrebbe accogliere la nascita dello stato migliore: in essa sono moltissimi i principi che detengono il potere. E noi diciamo che tali cambiamenti possono avvenire quando nasce un vero legislatore che sia tale per natura e abbia in sorte una forza da spartire con quelli che detengono i massimi poteri nello stato: dove infatti questo potere sia in mano ad un numero assai ristretto di uomini, ma sia fortissimo, come nella tirannide, allora questi mutamenti sono soliti avvenire rapidamente e assai velocemente. CLINIA: Come? Non capiamo? ATENIESE: Ma noi abbiamo parlato di questo, e non una volta sola, ma, credo, spesso: forse voi non avete mai visto uno stato governato da un tiranno. CLINIA: Ed io non ho neppure desiderio di vederlo. ATENIESE: Eppure in quello stato vedresti proprio ciò di cui parlavo. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Un tiranno che voglia mutare i costumi di uno stato non ha bisogno di molte fatiche né di molto tempo, ma deve dapprima procedere in quella direzione lungo la quale desideri volgere i cittadini, sia alla pratica della virtù sia al suo contrario, delineando in un primo tempo egli stesso tutto ciò che si deve fare con il proprio agire, ora elogiando ed onorando, ora criticando, ora punendo chi non ha obbedito in ciascuna azione. CLINIA: E come possiamo pensare che gli altri cittadini ubbidiranno prontamente a chi adotta una simile forma di persuasione insieme ad una violenza del genere? ATENIESE: Nessuno ci persuada, amici, che uno stato possa mutare le sue leggi così rapidamente e facilmente con un altro mezzo che non sia il comando assoluto dei potenti, né che ora o in futuro possa mai avvenire diversamente. Per noi non è allora impossibile né difficile che ciò si realizzi. Quest'altra cosa, invece, è difficile che si realizzi, e in effetti si è verificata raramente e nell'arco di lunghi periodi di tempo, e quando avviene, produce innumerevoli beni nello stato in cui mai avvenga. CLINIA: A che cosa alludi? ATENIESE: Penso a quando un divino amore per le consuetudini sagge e giuste nasce in alcune grandi potenze, sia che il loro potere sia retto da governo monarchico, sia che quel potere si distingua per la sovrabbondanza di ricchezze o per la nobiltà di stirpe, oppure, ancora, se mai in qualcuno ritorni la natura di Nestore, il quale dicono che superasse tutti gli uomini nell'abilità retorica, ed ancor di più si distinguesse nella saggezza. Ma questo avvenne ai tempi di Troia, come dicono, e non ai nostri tempi: e se dunque c'è stato, o anche ci sarà, o è adesso fra noi un individuo simile, costui vive felicemente, e beati sono quelli che possono ascoltare le sue parole da una bocca tanto saggia! Lo stesso discorso vale allo stesso modo per ogni potere, e cioè quando in un uomo si vengano a trovare la massima forza unita all'intelligenza e alla saggezza, allora nascono la migliore forma di costituzione e le leggi migliori, altrimenti non può nascere nulla dì tutto questo. Ciò sia detto come un mito e valga come un oracolo, e si dica che se da un lato è difficile che uno stato abbia buone leggi, d'altro canto, se avvenisse ciò che diciamo, questa sarebbe la cosa di gran lunga la cosa più rapida e più facile di tutte. CLINIA: Come? ATENIESE: Cerchiamo di formare le leggi con il discorso, e, come vecchi diventati bambini, adattiamole al tuo stato. CLINIA: Procediamo allora, e non indugiamo oltre. ATENIESE: Invochiamo un dio in vista della costituzione di questo stato: e quello ci ascolti, e dopo averci ascoltati giunga presso di noi benevolo e ben disposto per contribuire all'ordinamento dello stato e delle leggi. CLINIA: E allora che giunga presso di noi. ATENIESE: E quale costituzione abbiamo in mente di dare a questo stato? CLINIA: Non capisco quello che vuoi dire. Spiega ancor più chiaramente. Alludi ad una democrazia, ad un'oligarchia, ad un'aristocrazia, ad una monarchia? Non vorrai pensare ad una tirannide, come noi crediamo. ATENIESE: Coraggio allora, chi di voi due vuole rispondere per primo, dicendo qual è fra queste la forma di governo che si trova nel suo stato? MEGILLO: Non sarebbe giusto che parlassi per primo io che sono il più vecchio? CLINIA: Forse. MEGILLO: A pensarci bene, straniero, non saprei dirti come si dovrebbe chiamare la costituzione spartana. Ora mi pare che assomigli ad una tirannide - è incredibile, infatti, come il potere degli efori sia diventato tirannico in essa -, ora invece mi sembra che più di ogni altro stato somigli ad una democrazia. D'altronde sarebbe del tutto assurdo non definirla un'aristocrazia: in essa esiste una monarchia a vita che da tutte le genti e da noi stessi è ricordata come la più antica. Io così, in questo momento, interrogato all'improvviso, come dicevo, non so effettivamente rispondere né stabilire a quale fra queste costituzioni appartenga. CLINIA: Mi sembra di trovarmi nella stessa condizione, Megillo: mi riesce infatti abbastanza difficile affermare e sostenere con sicurezza a quale forma di governo appartenga la costituzione di Cnosso. ATENIESE: Carissimi amici, voi infatti siete partecipi di costituzioni politiche realmente esistenti: per quanto riguarda invece quelle che abbiamo nominato ora, non sono costituzioni, ma strutture politiche in cui una parte di cittadini è dominata ed asservita da un potere assoluto, e ciascuna di esse prende il nome dal potere esercitato dal signore. E se lo stato dovesse prendere il nome da uno di quei signori, si dovrebbe citare il nome di quel dio che è veramente signore di quanti sono dotati dell'intelletto. CLINIA: E qual è questo dio? ATENIESE: Non dobbiamo forse servirci ancora un poco del mito, se vogliamo chiarire come si deve quel che ora è stato domandato? CLINIA: Dunque non bisogna comportarsi così? ATENIESE: Senza dubbio. Si dice dunque che molto tempo prima che sorgessero quegli stati dì cui in precedenza abbiamo esaminato la formazione fosse sorto, al tempo di Crono, un regno ed un governo assai felici, di cui i governi migliori che abbiamo noi oggi non sono che un'imitazione. CLINIA: è assolutamente necessario ascoltarti, a quanto pare, mentre parli di questa forma di governo. ATENIESE: Mi sembra di sì: ed è per questo che l'abbiamo condotta in mezzo ai nostri ragionamenti. CLINIA: Ti sei comportato nel modo più giusto: e se vorrai qui di seguito esporre il mito, sempre che si adatti al nostro discorso, farai ancor meglio. ATENIESE: Bisogna fare come dite. Accogliamo dunque per tradizione una notizia che ci riferisce di una vita beata degli uomini di allora e di come ogni cosa crescesse abbondante e si offrisse spontaneamente. Si dice anche che questa fosse la ragione di tali fatti. Sapendo Crono, come noi abbiamo visto, che la natura dell'uomo non è affatto capace di guidare autonomamente tutte le azioni umane, senza che si riempia di tracotanza e di ingiustizia, riflettendo su queste cose, mise a capo dei nostri stati, come re e governanti, non uomini, ma demoni appartenenti ad una stirpe più divina e migliore, come adesso noi facciamo con gli armenti e con tutte le mandrie di animali domestici: non mettiamo buoi a capo di buoi, né capre a capo di capre, ma siamo noi che li dominiamo, perché la nostra stirpe è migliore della loro. Allo stesso modo anche il dio, che amava gli uomini, mise a capo di noi la stirpe dei demoni, migliore della nostra, ed essi, con grande facilità per loro ed enorme sollievo per noi, si presero cura di noi e ci procurarono pace, pudore, buone leggi e giustizia in abbondanza, rendendo la stirpe degli uomini priva di sedizioni e felice. Come dice anche questo racconto, attingendo alla verità, in quegli stati in cui non sia al governo un dio, ma un comune mortale, non vi è scampo per essi ai mali e alle sofferenze: ma questo mito ritiene che noi dobbiamo imitare con ogni mezzo la vita che si racconta ai tempi di Crono, e che, prestando ascolto a tutto ciò che in noi vi è d'immortale guidiamo, in pubblico e in privato, le nostre famiglie e gli stati, dando il nome di legge a questa direzione dell'intelletto. Ma se un singolo individuo, un'oligarchia, o anche una democrazia hanno un'anima che tende ai piaceri e ai desideri, e chiede di esserne riempita, e non solo è del tutto incapace di trattenersi, ma è anche oppressa da un male incessante ed insaziabile, se dunque persone come queste governeranno uno stato o un singolo individuo calpestando le leggi, come ora dicevamo, non ci sarà modo di salvarsi. Questo è dunque il racconto che noi ora dobbiamo prendere in esame, Clinia, per vedere se dobbiamo prestargli fede o che cosa dobbiamo fare. CLINIA: è senz'altro necessario prestargli fede. ATENIESE: Hai mai dunque considerato il fatto che alcuni affermano che vi sono tante specie di leggi quante sono le forme di costituzione, le forme di costituzione, per intenderci, che abbiamo passato in rassegna poco fa, e di cui parlano la maggior parte delle persone? E non ritenere che l'attuale questione sia di scarso valore, ma, al contrario, ritienila di importanza capitale: il problema, dunque, che siamo di nuovo tornati a dibattere, riguarda la direzione in cui dobbiamo rivolgerci per distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Si dice infatti che le leggi non devono mirare né alla guerra, né alla virtù nel suo complesso, ma a ciò che è vantaggioso alla costituzione, in qualunque modo essa sia stata formata, perché essa detenga sempre il comando senza venire abbattuta, e la naturale definizione di ciò che è giusto sarebbe detta benissimo in questo modo. CLINIA: Come? ATENIESE: Che il giusto consiste nel vantaggio del più forte. CLINIA: Parla ancora più chiaramente. ATENIESE: In questo modo, allora. Chi fissa le leggi nello stato, dicono, è colui che ogni volta detiene la forza. O no? CLINIA: Vero. ATENIESE: Forse pensi, dicono, che quando una democrazia, o una qualsiasi altra costituzione, o un tiranno, risultino vittoriosi fisseranno di loro spontanea volontà delle leggi che innanzitutto non mirino a nient'altro se non al vantaggio di mantenere a se stessi il comando? CLINIA: Come non potrebbe essere così? ATENIESE: E chi violerà queste leggi che sono state fissate, non sarà punito, come se avesse commesso ingiustizia, da chi le ha stabilite e le ha definite giuste? CLINIA: Pare. ATENIESE: E sempre in tal modo e così si regolerà ciò che è giusto. CLINIA: Lo dice il ragionamento stesso. ATENIESE: Questo è infatti uno dei princìpi che riguardano il comando. CLINIA: Quali princìpi? ATENIESE: Quelli che abbiamo già preso in esame, e che riguardano chi debba comandare e chi debba essere comandato. E risultò evidente che i genitori devono comandare i figli, i più vecchi i più giovani, i nobili chi nobile non è, e innumerevoli altri casi del genere, se ci ricordiamo, ed alcuni erano anche di ostacolo ad altri: e uno di essi era proprio questo, e cioè dicevamo che Pindaro giustifica la massima forza, come egli dice, riconducendola alla natura. CLINIA: Sì, questo è quello che allora si diceva. ATENIESE: Esamina a chi dei due il nostro stato dev'essere affidato. Infinite volte è accaduta una cosa del genere in alcuni stati. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Quando ci si è scontrati in battaglia per il potere, i vincitori si appropriano a tal punto degli affari dello stato che non permettono ai vinti di partecipare neppure in minima parte del potere, e non solo a loro, ma neppure ai loro figli, e vivono tenendosi d'occhio l'un con l'altro, perché nessuno mai giunga al potere e insorga contro, memore dei mali subiti in passato. Noi ora naturalmente diciamo che queste non sono costituzioni e non sono giuste quelle leggi che non sono stabilite nel comune interesse dello stato: e se le leggi vengono istituite nell'interesse di alcuni, noi diciamo che costoro sono uomini di parte, e non cittadini, e ciò che quelli chiamano giustizia è un termine vano. E parliamo in questi termini perché non intendiamo affidare le cariche nel tuo stato a un tale solo perché è ricco, o perché possiede un'altra di queste qualità, come la forza, la grandezza, la nobiltà: chi invece è assai obbediente alle leggi stabilite e riporta questa vittoria nello stato, a costui, diciamo, dev'essere affidato anche l'incarico di servire gli dèi, che è l'incarico più importante per lui che è primo, e quello che è secondo per importanza a chi è secondo per valore, e così, secondo questa proporzione, bisogna affidare ciascun incarico che viene dopo di questi a quelli che seguono. Ora questi governanti che sono stati appena definiti “servitori delle leggi”, non li ho chiamati così per la novità di creare termini nuovi, ma perché sono convinto che sia soprattutto questo fatto a determinare la salvezza dello stato o il contrario. In quello stato in cui la legge sia comandata e priva di autorità, in quel luogo vedo che la rovina è imminente: laddove invece detenga il potere assoluto sui governanti, e i governanti siano asserviti alla legge, intravedo la salvezza, e tutti quei beni che gli dèi affidarono agli stati. CLINIA: Sì, per Zeus, straniero, grazie all'età hai una vista acuta. ATENIESE: Un giovane vede infatti queste cose con la vista offuscata, mentre la vista di un vecchio si fa acutissima. CLINIA: Verissimo. ATENIESE: E che dire dopo di ciò? Non possiamo immaginare che i coloni siano giunti e siano qui presenti, e che dunque si debba loro esporre il discorso che segue? CLINIA: E come no? ATENIESE: «Uomini», diciamo allora rivolgendoci loro, «il dio, come recita anche l'antica tradizione, avendo in sé il principio, la fine, e il mezzo di tutte le cose che sono, compie perfettamente, secondo la sua natura, un moto circolare. Sempre lo accompagna la giustizia vendicatrice di coloro che hanno lasciato la legge del dio: e chi vuole essere felice segue questa facendosi umile e disciplinato, chi invece si inorgoglisce e si esalta per le ricchezze o gli onori, o anche si infiamma prepotentemente nell'anima per la bellezza e la giovinezza del corpo, e per la stoltezza crede di non aver bisogno né di una guida né di un capo, ma addirittura di essere capace di guidare gli altri, viene lasciato solo dal dio, e una volta abbandonato, accogliendo altri individui come lui salta in modo scomposto sconvolgendo tutto quanto, e a molti pare un gran personaggio, ma dopo non molto tempo subisce un giusto castigo da parte della giustizia, e allora distrugge completamente se stesso, la sua famiglia, e lo stato. Dinanzi ad una situazione del genere, come deve o non deve agire o pensare l'uomo assennato?» CLINIA: Questo, è chiaro: chiunque deve pensare di essere fra quelli che seguiranno il dio. ATENIESE: «Qual è il modo di agire che è caro e che è conforme al dio? Uno solo, e contiene un solo antico precetto: il simile ama il suo simile, quando è moderato, mentre le cose che non hanno misura non si amano fra di loro e non sono amate da ciò che contiene la misura. Il dio è per noi misura di tutte le cose, e molto di più dell'uomo, come alcuni pensano: e chi vorrà diventare caro a un essere come questo, è necessario che per quanto gli è possibile diventi tale quale esso è, e secondo questo ragionamento colui che fra noi è temperante è caro al dio perché gli è simile, chi invece non lo è gli è dissimile, ed è nemico ed ingiusto, e lo stesso discorso vale così per le altre cose. Consideriamo inoltre questo precetto che segue a quelli già detti, e che, io credo, è il più bello e il più vero dì tutti i precetti, secondo cui per l'uomo buono far sacrifici in onore del dio ed innalzare sempre ad essi preghiere e fare offerte e venerarli in ogni modo, è il mezzo più bello, più nobile, e più efficace per conseguire la vita felice, e gli si addice in modo particolare, mentre al malvagio avviene per natura tutto il contrario. Il malvagio infatti non è puro nell'anima, mentre è puro chi ha qualità opposte, e non è bene che un uomo buono o un dio ricevano doni da parte di uno che si è macchiato di colpe: vano infatti è l'enorme sforzo compiuto dagli empi per pregare gli dèi, mentre è assai opportuno quello compiuto da tutte le persone pie. Questo è dunque il fine cui si deve mirare: ma quali sono i dardi per questo fine, e come si possono scagliare? E, ancora, quali cose possiamo portare fra le cose dette come le più giuste? Prima di tutto gli onori, diciamo, che dopo aver assegnato agli dèi Olimpici e a quelli che proteggono la città, assegniamo agli dèi sotterranei: e distribuendo loro in numero pari le parti sinistre delle vittime che sono di seconda qualità, si raggiungerà il fine della pietà nel modo più giusto, mentre le parti destre che a queste sono superiori, in numero dispari, agli dèi che poco fa abbiamo menzionato. Dopo questi dèi, l'uomo assennato celebrerà anche i demoni, e dopo di essi gli eroi. Seguiranno gli omaggi che verranno tributati alle statue proprie degli dèi patri, secondo la legge, e, dopo di che, gli onori ai genitori ancora in vita: perché per volontà divina il debitore deve regolare i primi e più grandi debiti, e i più antichi fra tutti, e deve ritenere che tutte le cose che si è procurato e che possiede sono tutte quante di proprietà di chi lo ha generato ed allevato, e deve metterle al servizio di questi con ogni sforzo, a cominciare dalla ricchezza, e quindi, in secondo luogo, i beni del corpo, e infine quelli dell'anima, e bisogna che saldi così i debiti con chi anticamente ha prestato le proprie cure, sin dalla gioventù, sopportando pene e sacrifici, dando pertanto ai vecchi ciò di cui si ha bisogno durante la vecchiaia. Per tutta la vita è opportuno mantenere e aver mantenuto parole assai rispettose nei confronti dei propri genitori, perché è gravissimo il castigo per quelle parole pronunciate con leggerezza d'animo e che volano via - Nemesi, nunzio della giustizia, è stata posta come custode di tutte quelle mancanze che si riferiscono a quest'ambito -; mentre si deve cedere ai genitori che si adirano e che danno libero sfogo alla loro collera, sia che lo facciano con le parole o con i fatti, riconoscendo che quando un padre crede di essere stato offeso dal figlio, è naturale che si adiri con particolare veemenza. E quando i genitori moriranno, la tomba più sobria sarà la più bella, senza superare da un lato i fasti abituali, e senza essere inferiori, dall'altro, a quelle che gli antenati posero per i loro genitori; e allo stesso modo ogni anno, nell'anniversario della loro morte, si paghi il tributo d'onore. E se non si trascurerà di conservare la loro perenne memoria, si potrà così onorarli sempre di più, e si assegnerà ai defunti quella giusta porzione di spesa che fu concessa dalla sorte. Compiendo queste cose e vivendo in questo modo ciascuno si guadagnerà ogni volta la stima degli dèi e di quelli che fra noi hanno più valore, trascorrendo il resto della vita in mezzo alle buone speranze». Per quel che riguarda i doveri verso i figli, i parenti, gli amici, e i concittadini, e tutte quelle attenzioni volute dagli dèi nei confronti degli ospiti e i rapporti che si hanno con tutti questi - e chi riesce ad assolvere questi doveri secondo la legge dovrà rendere splendente e nobile la propria vita - vi sono le leggi stesse che ora esporremo, le quali, ora persuadendo, ora punendo con la forza e la giustizia chi non sa piegarsi alla persuasione dei costumi, rendono il nostro stato, sempre che gli dèi lo vogliano, beato e felice. Vi sono altre cose che il legislatore dovrebbe dire e che coincidono con il mio pensiero, ma che non converrebbe dire sotto forma di legge: mi sembra che a proposito di queste cose dovrebbe recare una prova a se stesso e a coloro per i quali egli legifera, esaminando tutto quel che rimane, per quanto è possibile, e dopo di che cominciare a stabilire le leggi. E sotto quale forma si potranno trattare meglio simili cose? Non è certamente facile dirle in una sola parola come in uno schizzo, ma cerchiamo di coglierle così, se riusciamo a fissare per quelle dei sicuri punti di riferimento. CLINIA: Dicci quali. ATENIESE: Vorrei che i cittadini fossero il più possibile obbedienti alla virtù, ed è chiaro che il legislatore tenterà di far ciò nell'approntare la sua legislazione. CLINIA: Come no? ATENIESE: Mi pare allora che quanto è stato detto serva a fare in modo che i moniti che sono stati espressi siano ascoltati con più dolcezza e benevolenza, se non vengano colti da un animo del tutto rozzo: sicché, anche se non di molto, ma di poco, renderanno colui che ascolta ciò che dice il legislatore più sereno e più ben disposto, questo ci renderà già contenti. Non si trovano facilmente e non sono molti quei cittadini che desiderano diventare il più possibile e il più rapidamente migliori, e molti dichiarano che è saggio Esiodo quando afferma che la strada che porta al vizio è piana e si può percorrere senza sudore, perché è assai breve, mentre egli dice, «dinanzi alla virtù gli dèi immortali hanno posto il sudore e lunga e ripida la strada che porta ad essa, aspra all'inizio: ma quando tu sia giunto al punto estremo è facile allora, anche se prima è stata dura». CLINIA: Mi pare che dica bene. ATENIESE: Senza dubbio. Voglio però esporvi ciò che il precedente discorso ha determinato in me. CLINIA: Esponi pure. ATENIESE: Diciamo allora al legislatore conversando con lui: «Dicci, legislatore: se tu sapessi che cosa noi dobbiamo fare e dire, non è chiaro che tu lo diresti?». CLINIA: Necessariamente. ATENIESE: «Non ti abbiamo sentito dire un momento fa che il legislatore non deve permettere che i poeti facciano ciò che a loro piace? Non saprebbero infatti che cosa mai direbbero così da risultare contrario alle leggi, e quindi danneggerebbero lo stato». CLINIA: Quello che dici è vero. ATENIESE: E se invece dei poeti gli parlassimo in questo modo, non risulterebbero opportune queste parole? CLINIA: Quali parole? ATENIESE: Eccole: «Vi è un antico mito, legislatore, che viene sempre narrato da noi e che molti altri approvano, secondo il quale il poeta, quando siede sul tripode della musica, non è più in se stesso, ma come una fonte lascia scorrere subito ciò che gli affluisce, e dato che la sua arte consiste nell'imitazione, si vede costretto, quando rappresenta uomini che hanno stati d'animo opposti gli uni agli altri, ad affermare spesso il contrario di quello che pensa, e non sa neppure se fra le cose dette siano vere queste o quelle altre. Ma il legislatore non può far così nell'abito della legge, vale a dire stabilire due norme intorno ad un unico caso, ma deve sempre mostrare un solo criterio intorno ad un unico fatto. Vedi un po' questo ricavandolo dalle stesse cose che hai detto ora. Se vi è una sepoltura troppo sfarzosa, un'altra troppo povera, e un'altra media, scegliendo una sola di queste, quella media, questa prescrivi e lodi senza giri di parole: ma io, se dovessi rappresentare una donna che si distingue per la sua ricchezza, che mi ordinasse nel corso del poema di seppellirla, tesserei l'elogio della sepoltura eccessivamente sfarzosa, se invece l'ordine arrivasse da un uomo economo e povero, elogerei la forma di sepoltura povera, ed infine chi possegga una ricchezza in proporzioni moderate e sia egli stesso moderato, elogerebbe quel tipo di sepoltura che è come lui. Ma tu non devi dire così come hai detto adesso quando hai detto “medio”, ma devi dire in che cosa consiste questo medio e quantificarlo, altrimenti non pensare che un discorso come questo possa mai diventare legge». CLINIA: Quello che dici è verissimo. ATENIESE: Forse dunque chi ha ricevuto da noi l'incarico di redigere le leggi non formulerà alcuna avvertenza all'inizio delle leggi, ma spiegherà subito quel che si deve e quel che non si deve fare, e dopo aver minacciato la pena, rivolgerà le sue attenzioni ad un'altra legge, senza aggiungere a quanto è stato fissato per legge neppure un'esortazione o una parola di persuasione? Potrebbe a questo riguardo valere l'esempio di un medico: uno è solito curarci ogni volta in questo modo, un altro in quell'altro modo. Ricordiamoci allora l'uno e l'altro metodo, per pregare il legislatore proprio come bambini che domandano al medico di curarli nel modo più dolce. Che cosa vogliamo dire? Vi sono dei medici, diciamo, e certi collaboratori dei medici, ed anche questi li chiamiamo medici. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Che siano liberi o schiavi, apprendono l'arte conformandosi agli ordini dei padroni, e all'osservazione, e all'esperienza, ma non secondo la loro natura, così come invece gli individui liberi hanno imparato l'arte e la insegnano ai propri figli. Ammetti che queste siano due categorie di quelli che si chiamano medici? CLINIA: E come no? ATENIESE: Dunque ti rendi anche conto del fatto che, essendoci negli stati malati che sono schiavi e malati che sono liberi, gli schiavi curano gli schiavi, correndo spesso a casa loro o aspettandoli negli ambulatori, e nessuno di tali medici fornisce o accoglie ragione alcuna intorno alle singole malattie di ciascuno, ma prescrive ciò che gli sembra opportuno in base all'esperienza che ha, come se fosse perfettamente competente, con vanagloria come un tiranno, e quindi se ne va da un altro schiavo malato, e allevia così al padrone la cura dei malati: il medico libero, invece, cura e studia nella maggior parte dei casi le malattie dei liberi, esaminandole sin dal principio e secondo la loro natura, e rende partecipe l'ammalato stesso e i suoi amici della sua indagine e lui stesso apprende qualcosa dai malati, e, nello stesso tempo, per quanto gli è possibile, insegna al malato; e non prescrive nulla prima di averlo convinto, e allora, rendendo docile e preparando il paziente mediante la persuasione, tenta di riportarlo perfettamente alla salute. è migliore allora quel medico che procede nel primo modo o nel secondo? E quale maestro di ginnastica nel praticare la ginnastica? è migliore chi esprime la propria capacità con due metodi o chi si serve di uno solo, e per giunta del peggiore e del più rozzo dei due? CLINIA: è assai superiore, straniero, il doppio metodo. ATENIESE: Vuoi che osserviamo come questo doppio metodo e quello semplice si realizzano nella legislazione? CLINIA: E come non vorrei? ATENIESE: Coraggio, per gli dèi, quale sarà la prima legge che il legislatore stabilirà? Non stabilirà, per natura, nelle sue disposizioni, il principio riguardante l'origine degli stati? CLINIA: Certamente. ATENIESE: E il principio della nascita di ogni stato non consiste forse nell'unione e nella relazione coniugale? CLINIA: E come no? ATENIESE: Probabilmente allora, se si stabiliscono per prime le leggi coniugali, risultano ben stabilite ed orientano lo stato nella giusta direzione. CLINIA: Senza dubbio. ATENIESE: Formuliamo in primo luogo la forma semplice della legge, che può suonare così: «Ognuno si deve sposare, tra i trenta e i trentacinque anni; in caso contrario, sia punito con una multa o con la privazione dei diritti civili, e la multa ammonti a tanto e a tanto, e in questo e in quel modo avvenga la privazione dei diritti civili». Sia tale la formulazione semplice della legge riguardante i matrimoni, mentre quella doppia sia così: «Ognuno si deve sposare, tra i trenta e i trentacinque anni, considerando che in certo modo il genere umano per una certa sua natura prende parte dell'immortalità, di cui ognuno ha innato e profondo desiderio: e questo desiderio consiste nel diventare celebri, evitando dì rimanere senza nome una volta che si è morti. La stirpe degli uomini è connaturata con il tempo nella sua totalità, perché lo accompagna e lo accompagnerà sino alla fine, e in tal modo è immortale, per cui, lasciando i figli e i figli dei figli e restando sempre identica ed una, mediante la generazione dei figli prende parte dell'immortalità: privarsi allora volontariamente di ciò non è cosa affatto pia, e deliberatamente agisce così chi trascura moglie e figli. Chi dunque rispetta la legge non sarà oppresso dalla punizione, chi al contrario non obbedisce, e non si è ancora sposato pur avendo raggiunto l'età di trentacinque anni, sia punito ogni anno con una multa che ammonta a tanto e a tanto, in modo che non pensi che il celibato gli porti qualche guadagno o sollievo, e non prenda parte di quegli onori che in uno stato i più giovani rendono ogni volta ai più anziani». Ascoltata la legge formulata in questo modo e messala a confronto con quell'altra, è possibile considerare, riguardo a ciascuna forma, se le leggi debbano essere in tal modo doppie, anche se di lunghezza limitata, e facciano ricorso alla persuasione e insieme alla minaccia, oppure se debbano servirsi della sola minaccia e siano semplici per quel che riguarda la lunghezza. MEGILLO: Per il costume laconico, straniero, la brevità è sempre da preferirsi: in ogni caso se mi si invitasse ad essere giudice di questi due testi di legge per scegliere quale preferirei stabilire nello stato, la mia scelta ricadrebbe sul più lungo, e anche per quanto riguarda ogni legge, secondo questo modello, se ve ne fossero due, sceglierei sempre lo stesso. E a questo nostro Clinia non devono dispiacere le leggi che adesso abbiamo stabilito: è suo infatti lo stato che ora pensa di servirsi di tali leggi. CLINIA: Hai detto bene, Megillo. ATENIESE: Discorrere allora sulla lunghezza e sulla brevità dei testi delle leggi è davvero opera vana: credo infatti che bisogna stimare ciò che è migliore, non ciò ciò che è più breve o più lungo. E fra le leggi di cui ora si è parlato, non solo vi è un genere che è due volte migliore dell'altro in relazione all'utilità pratica, ma come ora dicevo, è stato assai opportuno presentare due categorie di medici. A questo proposito pare che nessuno dei legislatori abbia mai preso in considerazione questo fatto, e cioè che essendo possibile servirsi di due mezzi per stabilire le leggi, la persuasione e la forza, secondo quello che si può fare con la massa inesperta di educazione, essi si servono soltanto di uno solo: infatti nell'atto di legiferare non mescolano l'impetuosità con la persuasione, ma si servono solo della pura forza. Quanto a me, o beati, vedo che c'è bisogno di una terza via che sinora non si è mai seguita. CLINIA: A quale via alludi? ATENIESE: Essa è scaturita, grazie ad un dio, dalle cose che ora abbiamo detto nel corso della nostra discussione. Direi che da quando abbiamo cominciato a discorrere delle leggi - ed era l'alba, mentre ora si è fatto mezzogiorno e noi abbiamo raggiunto questo splendido luogo di riposo - pur non avendo fatto altro che conversare di leggi, mi sembra che solo un momento fa abbiamo cominciato a parlarne, mentre tutto quanto abbiamo detto prima valeva come proemio ad esse. Perché ho detto ciò? Quello che intendevo dire è che di tutti i discorsi e di tutto ciò che ha attinenza con la voce vi sono dei proemi e quasi dei preludi che rappresentano un abile punto di partenza utile per ciò che si dovrà sviluppare. E per le cosiddette leggi del canto citaredico e per ogni altro genere di musica vi sono proemi realizzati con mirabile cura: mentre per quelle che sono leggi a tutti gli effetti, come appunto affermiamo che siano quelle politiche, nessuno disse mai che vi fosse un proemio, e neppure venne composto e dato alla luce, come se non potesse esistere per natura. Ma la discussione che noi ora abbiamo affrontato, per quel che mi sembra, indica che il proemio esiste, e che quelle leggi che poco fa mi sembrarono e chiamai doppie, non erano doppie così, semplicemente, ma erano effettivamente due realtà distinte, la legge e il proemio della legge: e la prescrizione che abbiamo definito tirannica e che assomiglia alle prescrizione dei medici che abbiamo chiamato non liberi è la vera e propria legge allo stato puro, mentre ciò ciò che fu detto prima di questo, e che fu da costui definito persuasivo, è in effetti persuasivo, e ha il valore di un proemio dei discorsi. Mi pare evidente che tutto questo discorso - e chi lo tiene lo pronuncia per persuadere - sia detto proprio per questa ragione, e cioè perché colui al quale si rivolge l'attività legislativa del legislatore accolga benevolmente quell'ordine che è appunto la legge, e grazie alla benevolenza, diventi più docile ad apprenderla: perciò secondo il mio ragionamento, bisognerebbe più giustamente chiamare questa cosa proemio, e non testo di legge. Detto questo, che cosa vorrei quindi aggiungere? Questo, e cioè che il legislatore, badando a tutte quante le leggi, non deve lasciarle prive di proemio, ma deve assegnarlo a ciascuna, in modo che le leggi differiscano da se stesse nella misura in cui differivano le due leggi di cui ora si è detto. CLINIA: A mio avviso dovremmo comandare chi conosce queste cose di non legiferare diversamente. ATENIESE: Mi sembra, Clinia, che tu dica bene quando affermi che ogni legge deve avere il suo proemio e che, cominciando a stabilire il complesso delle leggi, bisogna premettere a tutto il testo il proemio che si adatti naturalmente a ciascuna parte - non è di scarso valore ciò che si dirà in seguito, e neppure riveste scarsa importanza ricordarsi chiaramente o no queste cose -, ed è fuor di dubbio che se comandassimo di premettere ugualmente proemi tanto dinanzi a leggi di grande importanza quanto a quelle di scarsa importanza, non diremmo bene. Non bisogna farlo né prima di un discorso o di un canto qualsiasi - anche se per natura essi sono in tutti i componimenti, non sono però necessari in tutti i casi - ma bisogna ogni volta affidare tale compito di comporli al retore, al musicista, e al legislatore. CLINIA: Quello che dici mi pare verissimo. Ma, straniero, non stiamo qui a perdere più tempo, e ritorniamo al discorso, cominciando da quelle cose, se vuoi, che tu allora hai detto senza la precisa intenzione di voler fare un proemio. Ritorniamo dunque nuovamente indietro, dato che, come dicono i giocatori, la seconda prova è migliore della prima, svolgendo quindi il proemio, non un discorso a caso, come abbiamo fatto poco fa: riprendiamo dall'inizio, e accordiamoci sul fatto che facciamo il proemio. Per quel che riguarda l'onore verso gli dèi e il rispetto verso i genitori, quanto si è appena detto può bastare: proviamo a dire quel che segue, finché non ti sembri che il proemio sia stato detto in modo adeguato. Dopo di che passerai ad esporre le leggi stesse. ATENIESE: Dunque sugli dèi e su coloro che li seguono, sui genitori ancora in vita e su quelli già morti, si è già fatto un adeguato proemio, come ora abbiamo detto: ora mi sembra che tu mi comandi di portare quasi alla luce quella parte di proemio che ancora resta da esporre. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Ma dopo tali cose, sarebbe conveniente e di grande interesse per tutti riflettere sul modo con cui bisogna tendere o allentare la tensione nei confronti delle anime, dei corpi, e delle sostanze, così che chi parla e chi ascolta consegue, per quanto gli è possibile, l'educazione: e queste sono le cose che noi dobbiamo effettivamente dire ed ascoltare dopo di quelle. CLINIA: E' giustissimo quello che dici.

Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020

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