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Platone le LEGGI. Legislazioni e costituzioni


Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.

Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:

1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.

PREMESSA A LE LEGGI

Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita, ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo. In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche (frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica, mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza. Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene, essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica: Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però, come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza. Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere: oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi. Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi: Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini stipulano fra loro. La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le normative sulle mallevadorie. Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il complesso delle virtù nello stato. Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE

LIBRO SETTIMO
ATENIESE: Una volta che i figli, maschi o femmine, sono nati, sarebbe assai giusto che di conseguenza noi parlassimo della loro formazione e dell'educazione, su cui non è assolutamente possibile tacere; e quel che diremo risulterà chiaro che somiglia di più ad una serie di insegnamenti e di consigli piuttosto che a delle leggi. In privato e all'interno delle case avvengono molte cose insignificanti che non sono evidenti a tutti, ed essendo facilmente determinate dal dolore, dal piacere, e dai desideri di ciascuno sono così diverse aspetto alle decisioni del legislatore che renderebbero assai vari e dissimili gli uni dagli altri i costumi dei cittadini. Ma questo è un male per gli stati: in ogni caso, a causa dell'insignificanza e della frequenza con cui avvengono queste cose, sarebbe inopportuno e sconveniente stabilire in questo campo leggi e relative pene, senza considerare che queste cose annientano le leggi scritte, dato che gli uomini sono soliti violare la legge proprio in quelle azioni insignificanti che avvengono di frequente. Sicché ci troviamo in difficoltà non sapendo se si deve legiferare intorno a queste cose, ma non potendo, d'altra parte, tacere. Bisogna che metta chiaramente in evidenza le cose che dico, portandole alla luce con degli esempi: perché ora sembra che queste parole rimangano nell'ombra. CLINIA: Verissimo. ATENIESE: Il fatto che una corretta formazione deve assolutamente mostrare di essere capace di rendere bellissimi e il più possibile virtuosi i corpi e le anime, è un'affermazione ben fatta. CLINIA: Certamente. ATENIESE: I corpi bellissimi, io credo, ed è la cosa più semplice, devono essere sviluppati il più regolarmente possibile sin da quando i bambini sono giovani. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Ebbene? Non abbiamo mai riflettuto su questo punto, e cioè che il primo sviluppo di ogni essere vivente è senz'altro il più importante e il più ampio, così da offrire a molti lo spunto per una disputa sul fatto che il corpo umano dai primi cinque anni per tutti i restanti vent'anni non si sviluppa in grandezza neppure del doppio? CLINIA: Vero. ATENIESE: E non sappiamo forse che quando interviene uno sviluppo eccessivo, privo di molti e convenienti esercizi fisici, questo sviluppo determina un'innumerevole serie di mali nei nostri corpi? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Dunque c'è bisogno di un maggior numero di esercizi fisici, nel momento in cui maggiore è la crescita dei corpi. CLINIA: Che cosa vuoi dire, straniero? Ai bambini appena nati e ai giovanissimi noi dovremo prescrivere un grandissimo numero di esercizi fisici? ATENIESE: Nient'affatto, ma ancor prima, quando ricevono il nutrimento dentro le loro madri. CLINIA: Che cosa vuoi dire, carissimo? Parli di quelli che sono nel grembo materno? ATENIESE: Sì. E non è per nulla incredibile che voi non conosciate la ginnastica di esseri così piccoli, che, anche se sembra assurda, vorrei illustrarvi. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Presso di noi sarebbe più facile comprendere una cosa del genere per il fatto che molti si dilettano in certi divertimenti più di quanto si dovrebbe: da noi infatti, non solo i giovani, ma anche certi anziani allevano certe specie di uccelli per farli combattere fra di loro. Essi sono ben lontani dal credere che in tali esercitazioni possano bastare quegli esercizi che gli fanno fare l'uno contro l'altro, nel corso dei quali li spingono ad allenarsi: e inoltre prendendo ciascuno di nascosto questi animaletti, i più piccoli fra le mani, e i più grandi sotto il braccio, se ne vanno a spasso percorrendo molti stadi, al fine di rinvigorire non i propri corpi, ma quello delle bestiole, e mettono in luce questo fatto, per chi è in grado di comprendere, e cioè che tutti i corpi, mossi instancabilmente da ogni sorta di scosse e di movimenti, ricevono giovamento, sia che si muovano da se stessi, o su di un'altalena, o per mare, o anche trasportati sui cavalli, o per effetto di qualsiasi altro corpo, e facendoci perciò digerire il nutrimento di cibi e di bevande, sono in grado di conferirci salute, bellezza, e tutte le altre forze. Che cosa potremmo dire, stando così le cose, che si deve fare dopo di ciò? Volete che spieghiamo, pur con il rischio di esporci al ridicolo, e stabiliamo per legge che le donne incinte devono passeggiare, e plasmare il bambino come se fosse di cera, finché è tenero, e avvolgerlo in fasce sino a due anni? E dobbiamo costringere le nutrici, punendole con la legge, a portare i bambini in campagna, o nei templi, o dai parenti, finché non stiano in piedi da soli, e anche allora, le obbligheremo a vigilare affinché, essendo ancora giovani e appoggiandosi con violenza, non si sloghino le membra, e poi ad assumersi la fatica di portarli in braccio sino all'età di tre anni? E bisogna prescrivere che esse siano le più forti possibile, e non una sola? E per ciascuna di queste regole, nel caso in cui non vengano rispettate, dobbiamo stabilire per iscritto una multa per i trasgressori? O siamo molto lontani da ciò? Perché quel che abbiamo appena detto, sarebbe davvero eccessivo. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Saremmo veramente assai ridicoli, oltre al fatto che le nutrici non vorrebbero ubbidire, per la loro indole di donne e di schiave. CLINIA: Ma per quale ragione dicevamo che bisognava parlarne? ATENIESE: Per questa ragione: i padroni, gli uomini liberi che vi sono nello stato, grazie all'indole che hanno, ascoltando tutte queste cose, giungerebbero alla giusta considerazione che senza una corretta amministrazione privata all'interno dello stato, invano si potrebbe pensare di avere, nell'amministrazione pubblica, una certa stabilità dal punto di vista legislativo, e in considerazione di queste cose, ci si potrà servire di quelle leggi di cui ora si è parlato, e servendosi di quelle, si potrebbe amministrare bene la propria casa ed insieme il proprio stato, ed essere felici. CLINIA: Parli in modo assolutamente verosimile. ATENIESE: Non potremo allora smettere di trattare questa legislazione, se prima non avremo assegnato la condotta che le anime dei bambini ancora piccoli devono tenere, così come abbiamo cominciato a fare sviluppando i discorsi relativi agli esercizi del corpo. CLINIA: è assai giusto. ATENIESE: Prendiamo dunque, come elemento fondamentale per l'una e per l'altra cosa, per il corpo e l'anima dei bambini ancora piccoli, il fatto che sono vantaggiosi per tutti, e soprattutto per i neonati, l'assistenza e il movimento quando siano il più possibile costanti per tutta la notte e per tutto il giorno, e se fosse possibile, essi dovrebbero vivere, come se navigassero continuamente: e ora noi dovremmo fare in modo di aderire il più possibile a questa regola riguardo ai neonati. Questa cosa noi possiamo argomentarla dal fatto che le nutrici dei bambini e quelle donne che hanno trovato un rimedio ai Coribanti hanno appreso questo metodo dall'esperienza riconoscendone la validità: quando infatti le madri vogliono mettere a dormire i loro bambini che non riescono ad addormentarsi, non li tengono fermi, ma al contrario li muovono, cullandoli di continuo fra le braccia, e non stanno in silenzio, ma cantano loro qualche melodia, ammaliandoli, così come vengono guariti coloro che sono fuori di sé per i furori bacchici, ricorrendo alla danza corale e alla musica. CLINIA: E qual è la causa di simili effetti per noi, straniero? ATENIESE: Non è difficile riconoscerla. CLINIA: Come? ATENIESE: Entrambe queste due condizioni rappresentano una situazione di timore, e questo timore è determinato da un particolare stato di debolezza dell'anima. Quando qualcuno dall'esterno imprime uno scossa a tali condizioni, il movimento che viene impresso dal di fuori supera il movimento della paura e della follia interna, e dominandolo, sembra determinare nell'anima una tranquilla serenità, e acquieta i molesti battiti del cuore: ed è cosa davvero desiderabile, perché agli uni permette di prendere sonno, e agli altri, che invece rimangono svegli, e danzano e suonano il flauto insieme a quegli dèi cui ciascuno ha innalzato sacrifici propiziatori, fa in modo di renderli sani di mente, da quella condizione di follia in cui si trovavano. Questa, anche se in breve, è la ragione plausibile di questi effetti. CLINIA: Senza dubbio. ATENIESE: Se queste cose hanno tale potere, occorre considerare, in relazione ad esse, che ogni anima che sin da giovane vive insieme alla paura, si abituerà ad essere timorosa: e chiunque potrebbe dire che questo è un esercizio di viltà e non di virilità. CLINIA: Come no? ATENIESE: Al contrario potremmo affermare che sin da giovani la pratica della virilità consiste nel vincere le paure e i timori che ci assalgono. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Possiamo allora dire che la ginnastica che i bambini praticano quando fanno movimento contribuisce grandemente a quella parte di virtù dell'anima. CLINIA: Certamente. ATENIESE: E la tranquillità o meno nell'anima riveste un ruolo non piccolo in relazione alla buona o cattiva disposizione dell'anima. CLINIA: Come no? ATENIESE: Bisogna spiegare in che modo possiamo allora ingenerare nel neonato uno dei due stati d'animo che vorremmo, quale che sia il modo e in che misura riusciamo a realizzarli. CLINIA: Come no? ATENIESE: Io dico che, secondo il nostro modo di vedere, la mollezza rende le indoli dei giovani inquiete, irascibili, ed eccessivamente mutevoli per delle piccolezze, mentre al contrario una soggezione troppo violenta, facendoli meschini, schiavi, e misantropi, li rende persone del tutto malevole. CLINIA: Come dunque lo stato deve educare chi non è ancora in grado di intendere parola e non può gustare il resto dell'educazione? ATENIESE: Così: ogni essere vivente, quando nasce, è solito emettere alte grida, e soprattutto la stirpe umana, che, oltre alle grida, è più degli altri esseri viventi incline al pianto. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Dunque, le nutrici che cercano di sapere quali sono i desideri dei bambini, lo deducono proprio da questi segni, nell'atto di offrire qualcosa: se quando offrono qualcosa il bambino sta in silenzio, credono che la loro offerta sia buona, se piange e grida, l'offerta non è buona. Per i bambini, i pianti e le grida sono una manifestazione di ciò che amano ed odiano, e non sono affatto segni di buon augurio: questo periodo di tempo non dura meno di tre anni, e non è una piccola parte della vita per essere vissuta bene o male. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Non vi sembra che una persona scontenta e per nulla gioiosa pianga facilmente si lamenti, molto di più di quanto farebbe una persona valente? CLINIA: Mi sembra. ATENIESE: E allora? Se nel corso di quei tre anni si tentasse di proporre un qualsiasi mezzo perché il bambino che è oggetto delle nostre cure abbia a che fare il più raramente possibile con la sofferenza, le paure, e il dolore, non pensiamo di rendergli l'anima ilare e gioiosa? CLINIA: è chiaro, soprattutto nel caso, straniero, che gli si riesca a procurare un gran numero di piaceri. ATENIESE: Su questo punto non sarei d'accordo con Clinia, o uomo meraviglioso. Infatti un simile comportamento rappresenterebbe la più grande rovina, perché si verificherebbe al principio dell'educazione. Ma vediamo se quello che diciamo ha un senso. CLINIA: Dicci quale. ATENIESE: Il nostro attuale discorso non ha poca importanza. Considera anche tu, e giudica insieme a noi, Megillo. Ora il mio discorso vuole dire che una vita vissuta rettamente non deve inseguire i piaceri, e neppure, d'altro canto, evitare del tutto i dolori, ma deve invece prediligere quella via di mezzo che ora abbiamo definito “serenità”, disposizione che tutti senza sbagliarci, secondo la voce profetica di una divinazione, attribuiamo alla divinità. E dico che chiunque di noi voglia diventare un essere divino deve inseguire questa condizione, e non essere del tutto incline ai piaceri, come se potesse evitare i dolori, e non deve permettere ad un altro, giovane o vecchio, maschio o femmina, di subire questa stessa condizione, e soprattutto se si tratta di un bambino appena nato: in quella fase della vita, infatti, in ogni individuo si forma il carattere, e si forma grazie all'abitudine. Se non dessi l'impressione di scherzare, direi ancora che bisogna prendersi cura delle donne che sono incinte, in quell'anno in cui sono gravide, perché non abbiano a che fare con molti e smodati piaceri o dolori, ma trascorrano tutto quel tempo prediligendo la serenità, la benevolenza, e la mitezza. CLINIA: Non c'è bisogno, straniero, che tu chieda a Megillo chi di noi due ha detto meglio: io infatti sono d'accordo con te che tutti devono fuggire una vita di puro dolore e anche di puro piacere, e che bisogna sempre tendere alla via di mezzo. Dunque hai detto bene, e bene mi hai ascoltato. ATENIESE: Perfetto, Clinia. Adesso noi tre, sempre riguardo a queste cose, riflettiamo su questo punto. CLINIA: Quale? ATENIESE: Il fatto è che tutte queste norme che ora stiamo passando in rassegna sono definite da molti “leggi non scritte”: e quelle che alcuni chiamano “leggi patrie” altro non sono se non queste stesse norme. E inoltre la discussione da noi svolta ha detto bene che non si deve permettere di definire leggi queste cose, ma che non bisogna neppure tacerle: queste norme sono i legami di ogni costituzione, e stanno in mezzo fra le leggi scritte e stabilite e quelle che ancora devono esserlo, proprio come quelle norme patrie ed arcaiche, le quali, essendo ben stabilite e diventate ormai consuetudine, avvolgono e salvaguardano le leggi scritte; ma se invece si allontanano sconvenientemente dal bene, come se cadessero giù i puntelli centrali che sorreggono le costruzioni, fanno cadere insieme tutto il resto, e ogni cosa giace sotto l'altra, non solo quegli stessi puntelli ma anche le parti che in seguito erano state ben costruite, in seguito alla caduta dei primi. In considerazione di queste cose, Clinia, bisogna connettere insieme ogni parte del tuo nuovo stato, senza tralasciare, nei limiti del possibile, nessun particolare di grande o di scarsa importanza, nulla di ciò che viene chiamato con il nome di leggi, costumi, consuetudini: uno stato risulta connesso insieme attraverso tutti questi legami, e nessuno di quelli è stabilmente unito senza un sostegno reciproco, sicché non bisogna stupirsi se affluiscono molte consuetudini ed usanze che ci sembrano senza importanza e che conferiscono alle leggi una lunghezza eccessiva. CLINIA: Quello che dici è giusto, e anche noi siamo dello stesso parere. ATENIESE: Se dunque queste norme vengono scrupolosamente applicate ad un bambino e ad una bambina di tre anni, e non si ricorre superficialmente ai principi che abbiamo detto, deriva un non piccolo vantaggio per quei bambini che stiamo allevando: il carattere di un bambino di tre, di quattro, di cinque, e di sei anni ha bisogno di giochi, ma bisogna già tenerli lontani dalla mollezza mediante punizioni, e non con disprezzo, ma, come quando, parlando degli schiavi, si diceva che si deve evitare di punirli violentemente per non suscitare in coloro che sono stati puniti l'ira, e neppure lasciarli impuniti per non determinare in loro mollezza, questo stesso atteggiamento dev'essere mantenuto nei confronti di individui liberi. Per bambini di questa età vi sono giochi naturali che essi scoprono quando si riuniscono insieme. Bisogna allora che tutti i bambini di questa età, dai tre sino ai sei anni, si riuniscano nei luoghi sacri presso ogni villaggio, e quelli di ciascun villaggio presso lo stesso luogo: e, ancora, le nutrici si devono occupare di loro perché rispettino l'ordine e non siano indisciplinati, mentre a capo delle nutrici stesse e di tutto il loro gruppo sarà stabilita, al fine di mantenere l'ordine, una delle dodici donne di cui prima si parlava, una per ogni villaggio, e la stabiliranno ogni anno i custodi delle leggi. Le scelgano le donne che sono responsabili della cura delle nozze, una da ciascuna tribù, e della loro stessa età: e quella che assume la carica, la eserciti frequentando ogni giorno il luogo sacro, e punisca sempre chi commette ingiustizia, servendosi di qualche schiavo dello stato se si tratta di uno schiavo o di una schiava, e di uno straniero o di una straniera; conducendo invece al cospetto degli astinomi, perché lo giudichino, quel cittadino che contesti la punizione, e punendolo essa stessa se non vi è motivo di contestazione. Dopo che i bambini e le bambine avranno compiuto sei anni, si separino gli uni dagli altri: i fanciulli trascorrano il loro tempo con i fanciulli, e allo stesso modo le fanciulle stiano insieme fra di loro. Bisogna intanto che gli uni e gli altri si rivolgano agli studi: i maschi devono andare dai maestri di equitazione, d'arco, di giavellotto e di fionda, e le femmine, se acconsentono, si rivolgano pure a questi studi, almeno a livello di conoscenza, e apprendano soprattutto l'uso delle armi. E a tal proposito tutti hanno un pregiudizio di cui non riescono quasi a rendersi conto. CLINIA: Quale? ATENIESE: Il fatto, cioè, che in noi la destra e la sinistra sono per natura diverse rispetto al loro impiego in ciascuna azione che svolgiamo, relativamente alle azioni che compiamo con le mani, mentre per quanto riguarda i piedi e gli altri arti inferiori non risulta esserci alcuna differenza in relazione alla loro attività: ma per quel che riguarda le mani, a causa della stoltezza di nutrici e di madri, siamo diventati ciascuno come zoppi. E se per natura l'uno e l'altro arto si equivalgono, noi stessi, per abitudine, li abbiamo resi differenti, usandoli in modo scorretto. Vi sono alcune azioni in cui è irrilevante l'uso dell'una o dell'altra mano, come ad esempio il tenere la lira con la mano sinistra e il plettro con la destra, ed altre simili azioni: ma servirsi di queste cose come di modelli anche per altri casi dove non bisognerebbe servirsene, è quasi da stolti. La dimostrazione arriva dall'usanza degli Sciti che non usano soltanto l'arco con la sinistra, tirando verso di sé la freccia con la destra, ma usano indifferentemente entrambe le mani per l'una e l'altra operazione: e vi sono molti altri esempi del genere, come nel caso di tenere le redini e in a1tri ancora, in cui è possibile rendersi conto che agiscono contro natura coloro che rendono la sinistra più debole della destra. E queste cose, come dicevo, non rivestono grande importanza se si tratta di plettri di corno o di altri strumenti musicali come questi: ma quando si devono usare armi di ferro per la guerra, archi, giavellotti e ognuna di queste armi, la cosa riveste invece una grande importanza, ed è ancora più importante se bisogna usare armi contro armi. E vi è una grandissima differenza fra chi conosce l'arte e chi non la conosce, e fra chi è esercitato e chi non lo è. Come infatti chi è ben allenato al pancrazio, al pugilato, alla lotta è capace di combattere anche con la sinistra, e non zoppica, e non si trascina in modo sconveniente, nel caso in cui l'avversario lo costringa a spostare dalla parte opposta il peso della lotta, allo stesso modo io credo che anche nelle armi e in tutti gli altri casi bisogna correttamente preventivare che chi dispone di due braccia per difendersi e per assalire gli altri non deve lasciarli inattivi e privi di allenamento, per quanto è possibile: e se qualcuno nascesse con una natura simile a quella di Gerione o di Briareo bisognerebbe che con le cento mani fosse in grado di scagliare cento dardi. Bisogna che si occupino di queste cose magistrati uomini e donne: le donne sorveglieranno i giochi e la formazione dei bambini, gli uomini vigileranno sull'apprendimento delle varie discipline, perché tutti, maschi e femmine, abbiano piedi e mani robuste, e con le loro abitudini non danneggino le loro nature, nei limiti del possibile. Le discipline, per così dire, saranno di due specie, e dipenderanno dal loro uso: la ginnastica è in relazione al corpo; la musica alla fortezza d'animo. Vi sono poi due specie di ginnastica: la danza e la lotta. Della danza vi è una parte che rappresenta mimicamente la parola della Musa, cercando di custodire la magnificenza e la liberalità, un'altra è funzionale al benessere, all'agilità, alla bellezza delle membra e delle parti del corpo e studia come convenientemente quelle possono flettersi e distendersi, assegnando a ciascuna di esse un loro ritmico movimento che si diffonde e si accompagna adeguatamente per tutta la danza. Per quanto riguarda la lotta, non merita discorrere di ciò che Anteo o Cercione escogitarono nelle loro arti per un vano desiderio di competizione, o, nel pugilato, dei ritrovati di Epeo ed Amico, poiché non hanno alcuna utilità in vista della guerra: per quanto riguarda la lotta eretta, nella quale si cerca di liberare il collo, le mani, e i fianchi, e si combatte con ardore, determinazione, ed eleganza per procacciare forza e salute, essendo vantaggiosa sotto ogni aspetto, non si deve trascurare, ma bisogna imporla agli scolari e ai maestri, quando si giungerà a quel punto nella nostra legislazione, affinché i primi sappiano donare tutte queste cose con benevolenza, e gli altri perché ne facciano volentieri tesoro. Non si devono inoltre trascurare tutte quelle imitazioni che nella danza corale è conveniente imitare, come le danze armate dei Cureti che sono diffuse in questo luogo, o quelle dei Dioscuri a Sparta. Anche da noi la vergine e signora, dilettandosi nel divertimento della danza, non ritenne di doversi divertire a mani vuote, ma ornata dell'intera armatura, così svolge la danza: e questa cosa sarebbe bene che i ragazzi e le ragazze la imitassero completamente, rendendo onore alla benevolenza della dea, e preparandosi al bisogno della guerra ed alle feste. I bambini subito, e fino a quando non sia giunto per loro il tempo di andare in guerra, devono prendere parte alle processioni e ai cortei in onore di tutti gli dèi, sempre adornati di armi e di cavalli, e danzando e procedendo ora più rapidi, ora più lenti, nelle danze e nelle processioni, rivolgeranno supplici le loro preghiere agli dèi e ai figli degli dèi. Ed anche le gare e gli esercizi preliminari ad esse non devono avere nessun altro scopo se non questo: questi esercizi sono infatti utili tanto in pace quanto in guerra, sia allo stato, sia ai privati, mentre le altre fatiche, gli altri divertimenti, e le altre occupazioni riguardanti il corpo non sono proprie di uomini liberi, Megillo e Clinia. Quella ginnastica che nelle battute iniziali della discussione dicevo che bisognava trattare, l'abbiamo trattata ora, ed è terminata: e se voi ne avete una migliore di questa, esponetela e mettetela in comune. CLINIA Non è facile, straniero, andando oltre quanto è stato esposto, trovare altre cose migliori da dire riguardo alla ginnastica e alle gare. ATENIESE: Quanto a quello che viene dopo queste cose, i doni, cioè, delle Muse e di Apollo, allora, come se avessimo parlato di tutto, credevamo che rimanesse soltanto la ginnastica: ma ora è evidente ciò che si doveva dire e che viene prima di tutte le altre cose. E allora diciamolo qui di seguito. CLINIA: Dobbiamo senz'altro dirlo. ATENIESE: Ascoltatemi, così come mi avete ascoltato in precedenza: in ogni caso, chi parla e chi ascolta deve stare in guardia rispetto ad argomenti strani ed insoliti, e così deve essere anche per noi ora. Ora farò un discorso che non si può pronunciare senza timore, e tuttavia, facendomi coraggio, non rinuncerò a pronunciarlo. CLINIA: Qual è questo discorso che vuoi dire, straniero? ATENIESE: Io dico che in tutti gli stati si disconosce generalmente l'enorme importanza che il genere del divertimento riveste nell'ordinamento delle leggi, riguardo al fatto, cioè, che esse siano più o meno stabili. Se questo genere di divertimento sia stabilito in modo che le stesse persone prendano sempre parte degli stessi divertimenti nello stesso modo e si dilettino degli stessi giochi, ciò permette allora che anche il complesso delle leggi, stabilito con serie intenzioni, sia stabile; se invece mutano e si rinnovano, essendo sempre soggetti ad altri cambiamenti, se i giovani non definiscono mai piacevoli le stesse cose, se non riescono mai a stabilire di comune accordo ciò che è conveniente e ciò che non lo è negli atteggiamenti del corpo e nel modo di vestirsi, mentre prediligono in modo particolare chi porta una qualche innovazione e introduce una novità diversa dal solito per quanto riguarda i loro atteggiamenti del corpo, nei colori e in tutte le altre cose di questo genere, noi possiamo allora dire senza sbagliarci che non vi sarebbe per lo stato rovina più grande di questa cosa. Tale cosa fa in modo che inconsapevolmente si mutino i costumi dei giovani, e ciò che è antico venga da essi disprezzato, mentre sia onorato ciò che rappresenta la novità. Ripeto di nuovo che per qualsiasi stato non vi è danno più grande di un discorso e di una simile credenza: ma ascoltate bene quanto è grave questo male. CLINIA: Intendi il fatto che negli stati si disprezzi l'antichità? ATENIESE: Certamente. CLINIA: Avrai allora ascoltatori non disinteressati nei confronti di questo discorso, ma il più possibile bendisposti. ATENIESE: è verosimile. CLINIA: Parla allora. ATENIESE: Avanti, prestiamo maggior attenzione nell'ascoltare noi stessi, e nel parlarci reciprocamente. Noi troveremo che il mutamento di qualsiasi cosa, fatta eccezione per ciò che è già malvagio di per sé, è assai pericoloso - come il mutamento nelle stagioni, nei venti, nelle diete dei corpi, nelle abitudini delle anime -, e non dico in alcune cose sì, in altre no, se non, come ho appena detto, per le malvagie: sicché, se uno prende in considerazione i corpi, può vedere come essi si abituano a tutti i cibi, a tutte le bevande, a ogni specie di fatica, e che, se in un primo tempo sono turbati da quelli, in seguito, con il passare del tempo, grazie all'azione di quei cibi e di quelle bevande, le loro carni si adattano naturalmente ad essi, e accettando e abituandosi e familiarizzandosi ad un tale regime, vivono ottimamente in vista del piacere e della salute; e se mai si è costretti a mutare uno qualsiasi di quei regimi di vita giudicati buoni, turbati in principio da malattie, a stento ci si riesce a rimettere, quando ci si abitui alla nuova alimentazione. Bisogna dunque pensare che la stessa cosa avvenga anche per la mente degli uomini e la natura delle anime. Se quelle leggi in cui sono cresciute le anime degli uomini sono rimaste immutate, per una sorte fortunata e divina, per molti e lunghissimi tempi, in modo che nessuno ricordi o abbia sentito dire che esse un tempo erano diverse da come sono ora, ogni anima nutre rispetto nei loro confronti e si mostra timorosa nel voler mutare ciò che è rimasto immutabile. Bisogna allora che il legislatore escogiti, in un modo o nell'altro, un mezzo perché queste condizioni si verifichino nel suo stato. E io lo trovo in questo modo: tutti pensano che anche se si mutano i giochi dei bambini, come dicevamo prima, rimangono effettivamente dei giochi, e ritengono che da questi cambiamenti non scaturisca un serio motivo di preoccupazione o un gravissimo danno, per cui non li dissuadono, ma li assecondano compiacenti; e non calcolano che questi bambini che innovano continuamente i loro giochi diventeranno necessariamente uomini diversi dai bambini che erano in precedenza, e diventando altre persone, ricercheranno un'altra vita, e ricercandola, saranno desiderosi di altre consuetudini e di altre leggi, e quindi alla fine si verificherà quel male gravissimo per lo stato di cui parlavo prima, e del quale nessuno di essi mostra di aver timore. Gli altri mutamenti che riguardano solo gli aspetti esteriori determineranno mali minori, ma quei frequenti mutamenti che riguardano l'elogio o la critica dei costumi di vita, io credo, sono i più gravi di tutti, e necessitano della più scrupolosa cautela. CLINIA: Come no? ATENIESE: Ebbene? Dobbiamo prestare fede ai nostri discorsi di prima, quando dicevamo che tutto ciò che riguarda i ritmi e la musica in genere è imitazione dei costumi migliori o peggiori degli uomini? O come? CLINIA: Quella nostra opinione non può essere affatto cambiata. ATENIESE: Dunque, diciamo, non si deve assolutamente escogitare un sistema perché i nostri bambini non abbiano desiderio di intraprendere altre imitazioni nelle danze e nel canto, e nessuno tenti di incantarli con piaceri di ogni sorta? CLINIA: Giustissimo. ATENIESE: E nessuno fra noi possiede un'arte migliore di quella che posseggono gli Egizi. Non è vero? CLINIA: Di quale arti parli? ATENIESE: Di quell'arte per cui si consacra ogni danza e ogni canto, stabilendo dapprima le feste e calcolando, anno per anno, quali feste e in quali tempi bisogna celebrarle, e a quali dèi e figli di dèi, e demoni devono devono essere dedicate. Dopo di che bisogna stabilire i canti che devono essere intonati in occasione dei singoli sacrifici in onore degli dèi, e vedere con quali danze bisogna celebrare i vari sacrifici. Alcuni dovranno stabilire tutto ciò, e una volta stabilito, tutti i cittadini, dopo aver celebrato sacrifici in onore delle Moire e di tutti gli altri dèi, e facendo libazioni, consacrino ciascun canto ai singoli dèi e agli altri esseri: se qualcuno introdurrà altri inni o canti contrari a questi già stabiliti, i sacerdoti e le sacerdotesse insieme ai custodi delle leggi glielo proibiscano, e tale proibizione sia dovuta a motivi di santità e sia conforme alle leggi, e se chi è stato impedito non accetta volontariamente questa proibizione, chiunque voglia potrà accusarlo di empietà per tutto il corso della sua esistenza. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Giunti ora a questo punto del discorso, disponiamoci nello stato d'animo più conveniente a noi stessi. CLINIA: Di che cosa parli? ATENIESE: Ogni giovane, e non solo, ma anche un vecchio, vedendo o ascoltando qualcosa di insolito e di strano, non correrebbe immediatamente per mostrare il suo assenso a quelle cose di cui è dubbioso, ma arrestandosi come se fosse giunto ad un incrocio di tre strade e non sapendo assolutamente quale strada prendere, sia che viaggi da solo o in compagnia di altri, interrogherà se stesso e gli altri sul suo dubbio, e non si muoverà prima di aver valutato con sicurezza dove conduce quella strada. E anche noi dobbiamo fare così nella presente circostanza: essendoci imbattuti in uno strano discorso sulle leggi, è necessario condurre un'attenta analisi, e alla nostra età non possiamo parlare con faciloneria di un argomento tanto importante, sostenendo di avere qualcosa di chiaro, non appena si presenta una questione. CLINIA: Vero. ATENIESE: Concediamo un po' di tempo a tale questione, e decideremo con sicurezza quando l'avremo adeguatamente esaminata: e per non impedire invano lo sviluppo dell'esposizione delle leggi che ora stiamo ordinando in sequenza, procediamo alla loro conclusione. Forse, se il dio lo vuole, la stessa esposizione delle leggi, una volta che sia adeguatamente conclusa, indicherà la via di uscita alla presente difficoltà. CLINIA: Benissimo, straniero, e facciamo come dici. ATENIESE: Rimanga stabilita, diciamo, questa stranezza, e cioè che per noi i canti sono divenuti leggi. E come gli antichi così chiamavano, a quanto pare, i canti che si accompagnavano con la cetra - in modo che forse neppure quelli si allontanavano del tutto da ciò che ora diciamo, e forse qualcuno nel sonno o anche da sveglio, come in un sogno, ebbe tale divinazione -, così dunque sia stabilito questo decreto riguardo a questo punto: nessuno canti, né danzi in modo contrario a quei canti che sono dello stato e sono sacri, e a tutte le danze dei giovani, e nessuno trasgredisca questo decreto più di qualsiasi altra legge. E chi farà in tal modo sia lasciato andare libero da pena, ma per chi disobbedisce, come si è detto ora, i custodi delle leggi, i sacerdoti, e le sacerdotesse lo puniscano. Dobbiamo introdurre ora tali regole nel nostro piano legislativo? CLINIA: Sì, introduciamole. ATENIESE: Ma come potrebbe un legislatore non esporsi completamente al ridicolo stabilendo tali norme? Vediamo ancora questa cosa a tal proposito. La cosa più sicura da fare è cominciare innanzitutto a formare con la parola alcuni esempi che si riferiscano a queste norme, e fra questi esempi ve n'è uno, il seguente, di cui voglio parlare: se, diciamo, dopo un sacrificio, bruciate le sacre offerte secondo la legge, qualcuno, figlio o fratello del sacrificante, stando insolitamente dinanzi agli altari e alle sacre offerte, proferisse ogni sorta di bestemmie, non diremmo che parlando così susciterebbe nel padre e negli altri famigliari uno scoramento, e un malvagio augurio, e un triste presagio? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Questo fatto si verifica, per così dire, nei nostri luoghi, in quasi tutti gli stati, salvo rare eccezioni: quando infatti un qualche magistrato ha compiuto pubblicamente un sacrificio, in seguito non un solo coro, ma una moltitudine di cori si avvicina, e stando non lontano dagli altari, ma vicinissimi agli altari, riversano ogni sorta di bestemmie sulle sacre offerte, e con parole, ritmi, e armonie lamentevoli stimolano l'anima degli ascoltatori, e vince il premio della vittoria che riesce a far piangere improvvisamente la città mentre compie sacrifici. Non aboliremo questa usanza? E se i cittadini devono ascoltare questi lamenti quando i giorni non siano puri ma nefasti, non bisognerebbe forse che vengano da fuori cori pagati per cantare, come avviene nei funerali dove alcuni vengono pagati per accompagnare il morto con nenie carie? Questo sarebbe adatto anche per i canti di questo genere: e come abbigliamento, non corone, non ornamenti d'oro sarebbero adatti a questi canti funebri, ma tutto il contrario, per non dilungarmi ancora su tali questioni. A questo punto torno di nuovo a interrogare noi stessi per vedere se, fra gli esempi, questo primo esempio che riguarda i nostri canti ci sia di nostro gradimento e possa essere stabilito fra le nostre leggi. CLINIA: Quale? ATENIESE: Che si pronuncino parole di buon augurio, e anche che il genere del canto sia per noi in ogni caso favorevole? O non dovrei fare questa domanda, ma stabilire così la cosa? CLINIA: Stabiliscila senz'altro: questa legge vince con tutti i voti. ATENIESE: E dopo la legge sul buon augurio, quale sarà la seconda legge della musica? E i canti non sono preghiere rivolte agli dèi cui ogni volta si fanno sacrifici? CLINIA: Come no? ATENIESE: La terza legge, io credo, consiste nel fatto che i poeti devono riconoscere che le preghiere sono richieste rivolte agli dèi, e che dunque essi devono prestare molta attenzione a non domandare inconsapevolmente il male al posto del bene: si verrebbe a verificare, io credo, una situazione ridicola, se le preghiere avvenissero in tal modo. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Ma non ci siamo persuasi, un poco sopra nel discorso, che né ricchezza d'argento, né d'oro deve abitare ed essere collocata nello stato? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Per quale ragione abbiamo mai riportato questo esempio nel presente discorso? Forse per questo motivo, e cioè perché la stirpe dei poeti non è del tutto idonea a riconoscere ciò che è buono da ciò che non lo è? Se dunque un poeta tanto nelle parole quanto nel canto commetterà tale errore, e quindi non formulerà preghiere in modo corretto, farà in modo che i nostri cittadini, per le loro questioni più importanti, rivolgeranno agli dèi preghiere opposte rispetto a ciò che desiderano. E senza dubbio, come dicevamo, non troveremo molti errori più gravi di questo. Stabiliamo anche questa norma fra le leggi attinenti alla musica e fra i suoi caratteri distintivi? CLINIA: Quale? Spiegacelo più chiaramente. ATENIESE: Il poeta non può comporre null'altro che sia contrario a quanto le leggi dello stato hanno stabilito come giusto. bello, e buono; le composizioni non devono essere mostrate a nessuno dei privati cittadini, se non sono state prima giudicate ed approvate dai giudici e dai custodi delle leggi che sono stati designati a questo scopo: e noi abbiamo designato quei giudici che abbiamo scelto per la musica e la cura dell'educazione. Ebbene? Come io domando di frequente, dobbiamo stabilire, come legge, anche questo terzo tratto distintivo, questo terzo esempio. O come è meglio fare? CLINIA: Dobbiamo stabilirla senz'altro. ATENIESE: Dopo di che si potranno assai rettamente intonare inni e canti di lode agli dèi insieme alle preghiere, e dopo gli dèi, allo stesso modo, si potranno innalzare preghiere, insieme ai canti di lode, i quali siano più convenienti per tutti questi, rivolte ai dèmoni e agli eroi. CLINIA: Come no? ATENIESE: Dopo di che seguirà immediatamente, senza suscitare invidia alcuna, la seguente legge: quei cittadini che siano giunti al termine della vita, avendo compiuto belle ed ardue opere con il corpo e con l'anima, e avendo obbedito alle leggi, sì ritenga opportuno di elogiarli. CLINIA: Come no? ATENIESE: Non è cosa sicura rendere onori con encomi e con inni a coloro che sono ancora in vita, prima che uno abbia percorso tutta la sua esistenza e sia arrivato alla conclusione in modo onorevole: tutti questi onori siano per noi comuni agli uomini e alle donne che si sono distinti per il loro valore. In tal modo si devono stabilire i canti e le danze. Vi sono delle belle e numerose composizioni musicali di antichi poeti, e così delle danze per i corpi; e fra queste, senza alcun problema, potremo scegliere quella che più conviene e si adatta alla costituzione che stiamo fondando. Il loro esame e la relativa scelta devono essere compiuti da persone che non abbiano meno di cinquant'anni selezionate per questo incarico; essi sceglieranno fra le opere antiche quelle che sembreranno essere più adatte, mentre respingeranno nel modo più assoluto quelle difettose o del tutto inadatte: quanto a quelle composizioni che sono da riprendere e correggere, le correggeranno, assumendo come collaboratori poeti e musici, e servendosi delle loro competenze artistiche, non concederanno nulla, o al limite ben poco, ai loro gusti o ai loro desideri, ma spiegheranno loro le intenzioni del legislatore, secondo le quali la danza, il canto, e tutta quanta l'arte corale devono essere composti in modo conforme allo spirito di quelle intenzioni. Ogni brano poetico che sia disordinato, quando assume un ordine, anche se non avrà in sé la dolcezza della musica, sarà mille volte migliore: in ogni caso il piacere è comune a tutte le opere. Chi da bambino fino all'età adulta della ragione è vissuto coltivando una musa saggia ed ordinata, ascoltando quella contraria, la detesta, e la definisce illiberale, mentre chi è stato allevato nella musa volgare e dolce, dice che quella opposta è fredda e sgradevole: sicché, come ora dicevo, relativamente al piacere e all'assenza di esso, nessuna delle due supera l'altra, se non che l'una rende, ogni volta, migliori, l'altra peggiori coloro che in essa sono stati allevati. CLINIA: Bene. ATENIESE: Inoltre bisognerebbe separare, stabilendo un certo criterio, i canti che sono convenienti per le donne e quelli per gli uomini, e occorrerebbe adattarli a ritmi ed armonie: sarebbe preoccupante infatti che si cantasse in disaccordo con l'intera armonia, o non si rispettassero i ritmi, senza assegnare a ciascuno di questi canti tali elementi che loro si adattano. Bisogna fissare per legge un progetto di massima anche in questo campo. è possibile assegnare l'uno e l'altro di questi elementi all'uno e all'altro sesso, perché necessariamente vi si adattino, ed è necessario distinguere con chiarezza ciò che appartiene all'uomo e ciò che appartiene alla donna, sulla base della distinzione stessa che passa fra la diversa natura dei due sessi. E quindi bisogna dire che la nobiltà d'animo e la tendenza al coraggio sono propri del maschio, mentre la propensione all'ordine e alla saggezza si devono riconoscere alla natura femminile, tanto nella legge, quanto nel nostro discorso. E questo è l'ordinamento generale della materia. Dopo di che si deve parlare dell'insegnamento e della trasmissione di tali cose, e in che modo vanno fatte ciascuna di queste cose, e da chi, e quando. Come ad esempio un costruttore di navi, quando comincia la sua opera, costruendo la carena, traccia quella che sarà la forma delle navi, anche a me pare di far la stessa cosa, quando cerco di tracciare i vari schemi delle vite, distinguendole a seconda dei tratti distintivi delle diverse anime, e mi sembra in effetti di fabbricare la loro carena, valutando correttamente con qual mezzo, e con quali costumi vivendo, compiremo questa navigazione della vita. Le questioni umane non sono degne di grande interesse, ma bisogna interessarsi ad esse: e non si tratta certo di una cosa fortunata. Ma dal momento che siamo giunti a questo punto, sarà forse per noi conveniente fare questa cosa come si deve. Che cosa mai voglio dire? Se qualcuno replicasse in questo modo al mio discorso, replicherebbe bene. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Io dico che dobbiamo occuparci di ciò che è serio, e non di ciò che serio non è: e per natura ciò che è divino è degno di ogni interesse, come un essere beato, mentre l'uomo, come dicevamo prima, è soltanto un giocattolo fabbricato dagli dèi, ed in effetti questa è la sua parte migliore. In conseguenza di questa concezione, ogni uomo e ogni donna devono vivere giocando al meglio possibile questo gioco, pensando il contrario di ciò che oggi si pensa. CLINIA: Come? ATENIESE: Oggi si pensa che le cose serie siano in funzione dei divertimenti: si ritiene, ad esempio, che le questioni riguardanti la guerra, che sono appunto cose serie, debbano essere ben stabilite in funzione della pace. Ma ciò che accade in guerra non è per natura un divertimento, e non ha e non avrà mai una funzione educativa che meriti la nostra attenzione, mentre questa diciamo che secondo noi è la cosa più impegnativa: ognuno deve trascorrere il più possibile e il meglio possibile la propria esistenza in pace. Quale sarà allora un retto criterio per vivere? Bisogna vivere giocando i propri giochi, facendo sacrifici, cantando e danzando, in modo da poter rendere benevoli a se stessi gli dèi, respingendo i nemici e vincendoli in battaglia. Quali siano i canti e quali le danze che bisogna compiere per realizzare questi due obiettivi, lo si è detto almeno nei suoi lineamenti generali, e le strade attraverso le quali si deve procedere sono state aperte, prevedendo che anche il poeta dirà bene quando afferma: «Telemaco, alcuni pensieri penserai tu stesso nel tuo animo, altri il tuo demone te li suggerirà: non credo infatti che tu sia nato e cresciuto contro il volere degli dèi». Le stesse cose dovranno pensare i nostri allievi, e dovranno ritenere che quanto è stato detto è sufficiente, e che quel che manca intorno ai sacrifici e alle danze sarà loro suggerito da un demone o da un dio: essi suggeriranno cioè a quali divinità bisogna fare sacrifici, e quando ciascuno deve essere celebrato, e quali renderanno propizi, in modo da poter vivere conformemente alla natura umana, essendo per lo più come delle marionette, e partecipando in piccola parte della verità. MEGILLO: Straniero, tu nutri nei confronti del genere umano un assoluto disprezzo. ATENIESE: Non stupirti, Megillo, e piuttosto perdonami: ho parlato con lo sguardo rivolto alla divinità, e in queste condizioni ho detto le cose che ho appena detto. Non sia di scarso valore il nostro genere, se ti piace, ma sia degno di un qualche interesse. Per quanto riguarda quel che segue, si è già parlato delle costruzioni dei ginnasi e delle scuole pubbliche che si troveranno nel centro della città in tre luoghi distinti; mentre all'esterno della città, in altri tre luoghi intorno ad essa, vi saranno dei maneggi e dei vasti campi adeguatamente allestiti per il tiro con l'arco e gli altri lanci, e saranno in funzione dell'istruzione e dell'allenamento dei giovani: se allora queste regole non sono state stabilite in modo adeguato, ripetiamole ora nel discorso insieme alle nostre leggi. In tutti questi edifici abiteranno in qualità di ospiti i maestri di ogni disciplina, attratti e convinti dal compenso, e insegneranno agli allievi che frequenteranno le lezioni tutte quante le discipline attinenti la guerra e la musica; e per quanto riguarda la frequenza, non si frequenteranno le lezioni se il padre lo vuole, mentre se non lo vuole, si trascurerà l'educazione, ma tutti, come si dice, uomini e ragazzi, nei limiti del possibile, dovranno necessariamente istruirsi, poiché appartengono di più allo stato che ai genitori. La mia legge direbbe per le donne le stesse cose dette per gli uomini, e cioè che anche le donne dovrebbero praticare gli stessi esercizi: e farei questo discorso senza temere neppure quel che si dice dell'equitazione e della ginnastica, e cioè che quegli esercizi sono più convenienti per gli uomini, e non lo sono per le donne. Mi sono convinto di queste cose ascoltando antichi racconti, e anche ora so, per così dire, che vi è un numero immenso di donne che vivono nel Ponto, e che chiamano Sauromatidi, alle quali non viene soltanto ordinato, come i maschi, di prendere confidenza con i cavalli, ma anche nell'uso degli archi e delle altre armi, e, allo stesso modo dei maschi, di esercitarsi in tali pratiche. Inoltre a tal proposito posso fare quest'altra riflessione: io dico che se queste cose possono avvenire in tal modo, la cosa più stolta di tutte che oggi avviene nei nostri luoghi è che uomini e donne non si applicano con ogni sforzo concordemente a queste pratiche. E in un certo senso uno stato che si trova o viene ad essere in tali condizioni, partendo con gli stessi fini e dovendo affrontare le stesse fatiche, ottiene la metà dei risultati, anziché il doppio: e questo sarebbe un incredibile errore del legislatore. CLINIA: Pare di sì. Però molte delle regole di cui stiamo parlando vanno in senso contrario alle consuete forme di governo. Ma tu hai detto di lasciare che il discorso si sviluppasse, e una volta sviluppato, si doveva scegliere quel che sembrava migliore, e hai detto così, parlando in modo assai conveniente, e ora hai fatto in modo che io rimproveri me stesso per aver detto queste cose: continua, allora, e parla di quello che preferisci. ATENIESE: Questo, Clinia, vorrei dire, e l'ho già detto prima, e cioè che se non si desse adeguata dimostrazione con i fatti che tali cose possono avvenire, solo allora si potrebbe contestarle col discorso; ma ora chi non voglia accettare questa legge, deve ricercarne un'altra, mentre la nostra esortazione a tal proposito non smetterà di sostenere che il genere femminile presso di noi deve prendere parte dell'educazione e di tutto il resto come il sesso maschile. Ed ecco la riflessione che a tal proposito si dovrebbe fare. Avanti, se le donne non partecipassero insieme agli uomini del loro modo di vivere, non sarebbe forse necessario predisporre per loro un altro ordinamento? CLINIA: Necessario. ATENIESE: Quale fra le regole che oggi si presentano noi preferiremmo al posto di questa comunanza di vita che ora noi abbiamo loro ordinato? Dovremmo comportarci come i Traci e molte altre genti che si servono delle donne per coltivare la terra, pascolare gli animali e le greggi, e compiere altri servizi, senza che vi sia alcuna distinzione con gli schiavi? O fare come facciamo noi e i nostri vicini? Presso di noi la cosa avviene in questo modo: dopo aver ammassato insieme, come si dice, tutti i beni in un'unica abitazione, affidiamo alle donne il compito di amministrarle, e di coordinare i lavori al telaio e tutta la tessitura in genere. Oppure, Megillo, proponiamo quel sistema che sta a metà fra questi, quello Laconico? E quindi le ragazze devono trascorrere la vita prendendo parte della ginnastica e della musica, mentre le donne, pur non occupandosi della tessitura, devono vivere secondo uno stile di vita severo, che non sia per nulla vile e volgare, e che raggiunga una via di mezzo fra la cura della casa, l'amministrazione domestica e l'allevamento dei figli, senza partecipare alla guerra? Sicché, se per caso vi fosse necessità di combattere in battaglia per lo stato e i figli, non sarebbero capaci di usare con l'arte l'arco, come le Amazzoni, o le altre armi da lancio, né di imitare la dea quando prende in mano lo scudo e la lancia, così da opporsi nobilmente al saccheggio della patria, ma, se non altro, sarebbero forse in grado di provocare la paura nei nemici presentandosi schierate. Vivendo secondo questo stile di vita, esse non avrebbero affatto il coraggio di imitare le Sauromatidi, ma accanto ad altre donne queste donne sembrerebbero uomini. Colui che fra di voi voglia elogiare su questo punto i vostri legislatori, lo faccia pure; per quanto mi riguarda, invece, non muterò parere: il legislatore non deve lasciare le cose a metà, ma deve completarle; se egli permette che le donne si concedano alla mollezza, e le perde abbandonandole ad un tenore di vita sconsiderato, prendendosi cura solo dei maschi, egli lascia in eredità allo stato una vita che è felice solo a metà, e non doppia. MEGILLO: Che faremo, Clinia? Lasceremo che questo straniero assalti in questo modo la nostra Sparta? CLINIA: Sì. Poiché gli abbiamo lasciato libertà di parola, ora dobbiamo lasciarlo parlare finché non abbiamo esposto completamente e in modo adeguato le leggi. MEGILLO: Giusto. ATENIESE: Dunque devo cercare di spiegare quello che segue? CLINIA: Come no? ATENIESE: Quale sarà il tenore di vita di uomini che si sono procurati in giusta misura le cose necessarie, a vantaggio dei quali sono stati affidati ad altri i mestieri, e affidata agli schiavi la coltivazione dei campi, che offrono le primizie della terra sufficienti per vivere decorosamente, uomini per i quali sono stati preparati i pasti in comune, tenendo separati quelli dei maschi e avvicinando ad essi quelli delle loro famiglie, bambini, donne, e madri? Uomini per cui tutti i pasti in comune sono affidati ai magistrati di entrambi i sessi con il compito di scioglierli, dopo aver osservato e controllato ogni giorno la condotta dei commensali? E dopo aver assolto questi doveri, essi, i magistrati, e gli altri fanno libagioni agli dèi cui quella notte e quel giorno sono consacrati, e fatto ciò, se ne vanno a casa? Per uomini che vivono secondo un ordine simile non rimane nessun'altra attività necessaria e assolutamente opportuna se non quella di dover vivere, ciascuno di quelli, ingrassando come buoi? Noi diciamo che questo non è giusto e non è bello, e chi vive in questo modo non potrà sfuggire alla sorte che gli merita, così come l'animale pigro e che con noncuranza è ingrassato diventerà preda di un altro animale che il coraggio e le fatiche hanno reso magro ed agile. Se noi ricercassimo con sufficiente precisione queste cose, forse non raggiungeremmo mai lo scopo, finché avremo donne, figli, e abitazioni private, e privatamente avremo tutte le altre cose del genere, appositamente allestite per ciascuno di noi: ma se avessimo ciò che abbiamo detto che occupa il secondo posto dopo quelle cose, l'avremmo in misura del tutto conveniente. Agli uomini che vivono in questo modo diciamo che rimane un'attività non piccola, e neppure di scarso valore, ma anzi, forse la più importante di tutte che possa essere stabilita da una giusta legge: e infatti, in confronto a quella vita che non assicura tempo libero per tutte le altre attività, la vita cioè di chi cerca di conseguire la vittoria nelle gare Pitiche e Olimpiche, quella vita che con assoluta correttezza si è detto che si prende cura del corpo e dell'anima in funzione della virtù, è priva in misura doppia e anche di più di tempo libero. Nessun impegno superfluo in altre attività deve essergli d'impedimento durante l'apporto di quegli esercizi fisici e del nutrimento che convengono al corpo, o di nozioni e di abitudini all'anima; ma direi quasi che tutta una notte e un giorno non sono sufficienti, per chi voglia agire in questo modo, a realizzare in modo compiuto ed adeguato questo genere di vita: stando in questi termini la natura di tali cose, bisogna che tutti gli uomini liberi occupino il loro tempo secondo un ordine stabilito, cominciando dall'aurora, senza interruzione, sino all'altra aurora, e al sorgere del sole. Se un legislatore enunciasse quelle numerose, e frequenti, e piccole norme concernenti il governo di una casa, non apparirebbe dignitoso, e neppure apparirebbe dignitoso se enunciasse tutte quelle altre norme sulla veglia notturna e su coloro che desiderano prestare una completa e scrupolosa sorveglianza su tutto lo stato. Tutti però devono ritenere vergognoso e indegno di un uomo libero che un qualsiasi cittadino trascorra tutta la notte dormendo, e non si mostri dinanzi ai suoi servi sveglio e alzato per primo, in qualsiasi modo si debba chiamare questo fatto, “legge” o “consuetudine”: e che una padrona in una casa si faccia svegliare dalle ancelle, e non sia essa stessa la prima che svegli le altre, ebbene, lo schiavo, la schiava, il figlio, e se possibile, tutta l'intera famiglia devono denunciare questo fatto vergognoso. Bisogna che di notte tutti stiano svegli e ognuno svolga i propri compiti riguardanti lo stato e l'amministrazione dello stato, i magistrati nello stato, i padroni e le padrone nelle case private. Il sonno eccessivo non si adatta per natura né ai nostri corpi, né alle nostre anime, né alle azioni che essi devono compiere. Se uno dorme non è degno di alcuna considerazione, non di più, almeno, di chi non vive: ma chi di noi si preoccupa maggiormente di vivere e di riflettere, rimane sveglio il più a lungo possibile, custodendo soltanto quella parte di sonno che gli serve per mantenere la salute, e in realtà non è molto il sonno, se uno ha preso una buona abitudine. I magistrati che negli stati rimangono svegli di notte incutono paura nei malvagi, siano essi nemici o cittadini, ma sono amati e onorati dalle persone giuste e assennate, perché sono utili a se stessi e allo stato. Una notte trascorsa in tal modo, oltre a tutti i vantaggi di cui si è detto, infonde un certo coraggio nelle anime dei singoli cittadini: e quando si fa giorno bisogna mandare i ragazzi dai maestri, perché come nessun gregge e nessun altro animale può vivere senza il pastore, neppure i ragazzi possono fare a meno dei pedagoghi, né i servi dei padroni. Il bambino è senza dubbio il più difficile a trattare fra tutti gli altri animali: quanto più la sua fonte del pensiero non ha ancora raggiunto un suo ordine, tanto più diviene insidioso, scaltro, il più ribelle di tutti gli animali. Perciò bisogna tenerlo a freno con molti legami, come le briglie dei cavalli, e innanzitutto, quando si libera dalla sorveglianza di nutrici e di madri, bisogna affidarlo ai pedagoghi perché si prendano cura della loro giovane età, e poi ai maestri che insegneranno loro quelle discipline che si convengono ad un uomo libero. E qualsiasi uomo libero punisca, come se fosse uno schiavo, il ragazzo stesso, e il pedagogo, e il maestro, nel caso in cui uno di questi compiano un qualche sbaglio. E se pur presentandosi l'occasione non lo punisce secondo giustizia, diventi innanzitutto oggetto della più grave vergogna, e in seguito quel custode delle leggi che sia stato scelto in qualità di sovrintendente all'educazione dei bambini sorvegli questo individuo che, imbattendosi nelle persone di cui parliamo, non le punisce, pur dovendole punire, o le punisce in modo non corretto, e lo stesso custode, tenendo sotto stretta osservazione e curandosi in modo particolare della formazione dei ragazzi, cerchi di correggere le loro indoli naturali, rivolgendole sempre in vista del bene, conformemente alle leggi. Come la legge potrebbe adeguatamente istruire quel custode delle leggi? Sino a questo momento, infatti, non si è parlato per niente in modo esplicito ed esauriente, ma qualche volta sì, altre volte no: nei limiti del possibile, nulla si deve allora tralasciare, ma tutto il discorso dev'essergli spiegato, perché questi a sua volta diventi interprete ed educatore nei confronti di altri. Per quel che riguarda il complesso della danza corale, ovvero il canto e le danze, si è già detto, e così quali componimenti si debbano scegliere e quali tratti distintivi devono avere, e come devono essere corretti e consacrati: ma per quanto riguarda i componimenti in prosa, e cioè con quali componimenti devono avere a che fare, e in che modo, i giovani da te educati, non lo abbiamo ancora detto, o nobilissimo sovrintendente della gioventù. Eppure, mentre attraverso il nostro discorso sei venuto a conoscenza di quelle cose che essi debbono imparare per la guerra e nelle quali devono esercitarsi, per quanto riguarda le lettere innanzitutto, e in secondo luogo per quel che concerne la lira e quei calcoli di cui diciamo che ciascuno deve avere conoscenza per farne uso in guerra, e nell'economia domestica, e nell'amministrazione dello stato, e per quanto riguarda ancora quelle utili conoscenze, in vista sempre di questi stessi fini, sulle rivoluzioni dei corpi celesti, degli astri, cioè, del sole, e della luna, tutte cose che risultano necessarie per la guida di ogni stato, ebbene, che cosa voglio dire con queste cose? Mi riferisco cioè alla disposizione dei giorni nell'arco dei mesi, e dei mesi nell'arco di ogni anno, perché le stagioni, i sacrifici, e le feste, assumendo ciascuna un proprio ordine, siano condotti secondo natura, e rendano vivo e sveglio lo stato, e onorino gli dèi, e rendano gli uomini maggiormente saggi in tali cose. Tutto ciò, amico, non è stato ancora sufficientemente delineato dal legislatore: presta dunque attenzione a quel che sarà detto ora. Abbiamo detto che in primo luogo non sei stato sufficientemente istruito per quel che riguarda le lettere; ma che cosa rimproveravamo a quel che si disse? Questa cosa: non ti è stato ancora spiegato se chi aspira a diventare un buon cittadino deve procedere in direzione di una perfetta conoscenza di questa disciplina o se deve metterla da parte, e lo stesso si dica della lira. Noi sosteniamo che lo studio di queste discipline vadano affrontate. Tre anni sono un tempo ragionevole per apprendere la grammatica per un bambino di dieci anni, mentre possono cominciare a prendere in mano la lira a tredici anni, e potranno continuare per altri tre anni. E questi termini di tempo non siano allungati o ridotti dal padre o dall'allievo stesso; e all'allievo, che ami la disciplina o la detesti, non sia concesso di occuparsi di un tempo maggiore o minore di tali cose, andando contro la legge: e chi non obbedisce sia privato degli onori dell'educazione, di cui dovremo parlare fra poco. Prima di tutto impara che cosa i giovani devono apprendere e che cosa i maestri devono insegnare in questo periodo di tempo. I giovani devono esercitarsi nella grammatica, finché non siano capaci di leggere e scrivere: lasciamo stare se ad alcuni la natura non è venuta in aiuto, negli anni stabiliti, per perfezionare la scrittura e la lettura sotto l'aspetto della bellezza e della velocità. Quanto agli insegnamenti dei poeti che ci sono rimasti per iscritto ma che non sono adatti all'uso della lira, alcuni in versi, altri senza divisioni ritmiche, e che in ogni caso sono stati scritti con uno stile discorsivo, e sono privi di ritmo ed armonia, si tratta di opere che noi dobbiamo considerare pericolose, e ci sono state lasciate da molti uomini di questo genere: come vi regolerete, o voi che siete fra tutti i migliori custodi delle leggi? Come il legislatore potrà introdurle nello stato, secondo corrette disposizioni? Prevedo che si troverà in grande difficoltà. CLINIA: Perché mai, straniero, mostri di parlare a te stesso con così tanta incertezza? ATENIESE: Giusta osservazione, Clinia. E dato che insieme discutiamo sulle leggi, è necessario spiegare tanto quel che appare semplice, quanto quello che non lo è. CLINIA: Ebbene? Che cosa vuoi dire a proposito di quest'argomento e qual è il tuo stato d'animo a questo riguardo? ATENIESE: Lo dirò: non è affatto semplice fare delle affermazioni contrarie a quelle che escono da moltissime bocche. CLINIA: E dunque? Ti sembra che fra le cose che in precedenza abbiamo detto sulle leggi sono poche e di scarso interesse quelle che contrastano con l'opinione della maggioranza? ATENIESE: è proprio vero quello che dici: tu mi esorti, almeno così mi pare, a percorrere la stessa strada che a molti è ostile, ma che da altri, non inferiori di numero - e se inferiori, non per il loro valore - è invece prediletta. Insieme a costoro mi esorti allora a percorrere l'attuale via della legislazione che è stata aperta dai precedenti discorsi, affrontando i dovuti rischi e con animo coraggioso, senza arrendersi. CLINIA: Certamente. ATENIESE: E non mi arrenderò. Dico allora che noi abbiamo moltissimi poeti che hanno composto in esametri, in trimetri, e in tutti gli altri generi che si dicono “metri”, alcuni mossi verso serie intenzioni, altri tendenti al riso; e sono molti quelli che dicono che i giovani che aspirano ad essere educati rettamente devono essere allevati in mezzo a quelle composizioni e che bisogna renderli sazi, facendo sì ch'essi ascoltino con attenzione e si erudiscano nelle loro letture, imparando per intero i poeti a memoria. Alcuni poi, scegliendo fra tutte le composizioni quelle più importanti e radunando insieme alcuni passi per intero, dicono che si devono imparare a memoria, se uno vuole diventare buono e saggio, grazie ad una molteplice esperienza e a un lungo apprendimento. Tu mi consigli allora di mostrare a costoro, con franchezza, che cosa dicono o che cosa non dicono di buono? CLINIA: Come no? ATENIESE: Come potrei adeguatamente spiegare in una parola tutte queste cose? Questo, io credo, direi in linea di massima - e su questo punto chiunque potrebbe trovarsi d'accordo con me -, e cioè che ciascuno di loro ha detto molte cose buone, e molte cose che al contrario non lo sono: e se le cose stanno così, dico che un'erudizione approfondita è assai rischiosa per i giovani. CLINIA: Che cosa consiglieresti allora al custode delle leggi? ATENIESE: Riguardo a che cosa? CLINIA: Riguardo al modello cui dovrebbe rivolgere la propria attenzione, e in base a cui permette che tutti i giovani apprendano alcune cose, vietandone altre. Parla e non avere esitazioni. ATENIESE: Mio buon Clinia, può darsi che in qualche modo ci sia riuscito. CLINIA: In che cosa? ATENIESE: Nel fatto che non ho assolutamente difficoltà per il modello. Considerando ora i discorsi che noi abbiamo passato in rassegna dall'aurora sin qui - e mi pare che non sia mancata l'ispirazione divina - mi sembrano assolutamente simili ad un'opera di poesia. E così non si insinua in me alcun sentimento di meraviglia, quando, provando un certo piacere, getto uno sguardo su tutti questi discorsi, ormai familiari, riuniti insieme: e mi sembrano i più convenienti e i più adatti da fare ascoltare ai giovani, fra i molti che ho appreso e ascoltato in poesia e in prosa. Non avrei altro modello migliore di questo, credo, da esporre al custode delle leggi, all'educatore, se non appunto quello di esortare i maestri ad insegnare ai ragazzi queste stesse cose, ed altre simili a queste; e se avviene che, scorrendo le opere dei poeti e gli scritti in prosa, o anche semplici detti, giunti così, senza essere stati scritti, alcuni siano come fratelli di questi discorsi, in alcun modo li lascino sfuggire, ma li scrivano. E in primo luogo costringa i maestri ad apprenderli e a farne l'elogio, e non si serva della collaborazione di quei maestri cui queste opere non piacciono, mentre si deve valere del contributo di coloro che trova concordi nell'elogio, e a costoro affidi l'istruzione e l'educazione dei giovani. A questo punto e in tal modo abbia termine questo mio racconto sulle lettere e sui maestri di grammatica. CLINIA: Secondo le nostre premesse, straniero, non mi pare che ci siamo allontanati dai discorsi che avevamo stabilito di fare: se poi essi nel complesso siano corretti o meno, sarebbe difficile affermarlo con sicurezza. ATENIESE: Ma questo, Clinia, risulterà con maggior chiarezza, a quanto pare, quando, come abbiamo detto spesso, saremo giunti alla conclusione di tutto questo trattato sulle leggi. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Dunque dopo il maestro di grammatica, non dobbiamo parlare del maestro di cetra? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Se ci ricordiamo i discorsi precedenti, io credo che noi dobbiamo assegnare ai maestri di cetra ciò che è conveniente al loro insegnamento e a tutta l'educazione che è relativa a quest'ambito. CLINIA: Di che cosa parli? ATENIESE: Dicevamo, credo, che i sessantenni cantori di Dionisio devono possedere una spiccata sensibilità, sia nei ritmi sia nelle combinazioni delle armonie, perché ciascuno possa distinguere e scegliere l'imitazione musicale buona da quella malvagia, quando l'anima si trovi in tali passioni, e quei canti che assomigliano all'imitazione buona e a quella contraria, in modo da respingere gli uni e presentare gli altri, eseguendoli e incantando le anime dei giovani, ed invitando ciascuno di loro ad acquistare la virtù, accompagnandolo attraverso le rappresentazioni. CLINIA: Verissimo. ATENIESE: Bisogna che per queste ragioni il maestro di cetra e il suo allievo si servano dei suoni della lira, in virtù del suono puro delle sue corde, facendo in modo che i suoni della lira siano accordati con quelli della voce: quanto alle diversità di voci e alle variazioni sulla lira, e ai differenti suoni che le corde possono dare rispetto a quelli che ha stabilito il poeta quando ha composto il canto, e per quanto riguarda l'accostamento e l'opposizione di suoni frequenti e rari, rapidi e lenti, acuti e gravi, e, allo stesso modo, per l'adattamento ai suoni della lira di ogni sorta di variazione dei ritmi, ebbene, tutte queste cose non servono ai ragazzi, che in tre anni devono scegliere con rapidità quel che vi è di utile nella musica. Infatti elementi opposti fra di loro procurano turbamento e sono difficili da apprendere, mentre bisogna che i ragazzi possano imparare il più possibile con facilità: e le discipline che essi necessariamente hanno l'ordine di apprendere non sono poche, né di scarso valore, e le indicherà lo stesso discorso, procedendo nel tempo. In ogni caso l'educatore si prenda cura in questo modo di queste cose concernenti la musica. Quanto ai canti stessi e alle loro parole, in che modo e quali i maestri dei cori devono insegnare, anche questi punti noi li abbiamo tutti trattati nei discorsi che precedono, quando dicevamo che questi canti devono essere consacrati, adattando ciascuno di essi alla sua festa, in modo da procurare allo stato un fortunato e vantaggioso piacere. CLINIA: Anche queste cose che hai detto sono vere. ATENIESE: Verissime davvero. E quindi il magistrato scelto a sovrintendere la musica, ricevendo questa nostra verità, se ne prenda cura, accompagnandosi a una sorte benevola, mentre noi aggiungeremo qualche parola a quanto abbiamo detto prima sul complesso della danza e sulla ginnastica del corpo: come per la musica abbiamo detto ciò che restava da dire sul suo insegnamento, così facciamo anche per la ginnastica. Bisogna che ragazzi e ragazze imparino a danzare e a praticare la ginnastica. O no? CLINIA: Sì. ATENIESE: I ragazzi avranno rispettivamente i loro maestri e le loro maestre di danza perché si esercitino nel modo più opportuno. CLINIA: Sia così. ATENIESE: Chiamiamo di nuovo colui che ha la la maggior parte della responsabilità, il sovrintendente dell'educazione, il quale, occupandosi della musica e della ginnastica, non avrà molto tempo libero. CLINIA: Come sarà possibile che una persona così vecchia si occupi di questioni così importanti? ATENIESE: Facilmente, amico. La legge gli ha dato e gli darà facoltà di assumere, in vista di questo gravoso incarico, quei cittadini, uomini o donne che siano, ch'egli vorrà; e conoscerà chi deve scegliere, e non vorrà sbagliarsi in questa sua scelta, nutrendo saggiamente un senso di rispetto e riconoscendo l'importanza della carica, e rifletterà sul fatto che se i giovani sono stati e sono bene allevati, tutto nella nostra navigazione funzionerà correttamente, altrimenti… ma si tratterebbe di un discorso sconveniente, e noi non lo diremo parlando di un nuovo stato, per rispetto nei confronti di coloro che sono amanti delle profezie. Molte parole sono state spese su questi argomenti, sia riguardo alle danze, sia riguardo a ogni movimento della ginnastica: noi stabiliamo fra gli esercizi ginnici tutte quelle esercitazioni fisiche riguardanti la guerra, come l'arte di tirare con l'arco e l'arte del lancio in genere, l'arte di combattere con armi leggere e quella che nel suo complesso riguarda le armi pesanti, le evoluzioni tattiche, le marce, l'accamparsi, e tutte le nozioni riguardanti l'equitazione. I maestri di tutte queste arti devono essere pubblici, e saranno remunerati dallo stato, mentre i loro discepoli saranno non solo i ragazzi, ma anche gli uomini adulti che sono nello stato, e le ragazze e le donne che devono imparare tutte queste cose. Quando sono ancora ragazze, esse devono esercitarsi in ogni specie di danza armata e di combattimento, quando diventano donne, devono conoscere le disposizioni tattiche, l'ordine delle schiere, il deporre e il riprendere le armi, se non altro perché, se vi fosse mai la necessità di uscire in massa a combattere con tutto l'esercito abbandonando lo stato, coloro che custodiscono i bambini e il resto dello stato siano capaci di fare questo; o, nel caso contrario - ma si tratta di casi di cui è impossibile giurare che avvengano -, se dall'esterno i nemici, siano essi barbari o Greci, diano l'assalto con una grande forza militare ed una inaudita violenza, e mettano lo stato nella necessità di dover combattere per la sua stessa salvezza, sarebbe un grave male per il nostro stato che vi fossero delle donne allevate in modo così vergognoso da non essere pronte a morire e ad affrontare tutti i pericoli, così come fanno le femmine degli uccelli che per i figli combattono contro qualsiasi degli animali più feroci, ma capaci soltanto di correre immediatamente ai luoghi sacri, affollando tutti gli altari e i templi, e contribuendo così a diffondere la fama secondo la quale il genere umano sarebbe per natura la più vile fra tutti gli animali. CLINIA: No, per Zeus, straniero, questo fatto non sarebbe affatto conveniente per lo stato dove avvenisse, senza considerare che si tratterebbe di un male. ATENIESE: Dobbiamo allora stabilire questa legge, e cioè che sino a tal punto le donne non devono trascurare gli affari riguardanti la guerra, ma che anzi, tutti i cittadini se ne devono occupare, maschi e femmine indistintamente? CLINIA: Sono d'accordo. ATENIESE: Della lotta, dunque, abbiamo parlato, ma, io direi, non abbiamo detto la cosa più importante, che d'altra parte non è facile da dirsi a parole, senza mostrarla con i movimenti del corpo. Giudicheremo meglio questa cosa quando la parola, accompagnandosi al gesto, darà adeguata dimostrazione delle altre cose che abbiamo già detto e ci dimostrerà che questa stessa lotta è quella che si avvicina molto di più di tutti gli altri movimenti al combattimento bellico, e che deve essere praticata in funzione della guerra, mentre non si deve apprendere l'arte militare in vista della lotta. CLINIA: Dici bene. ATENIESE: E sia sufficiente quel che si è detto sin qui sul valore degli esercizi praticati nella palestra: per quanto riguarda gli altri movimenti del corpo, si potrebbe far rientrare la maggior parte di essi, secondo una giusta definizione, nella danza. Bisogna considerare che vi sono due aspetti della danza, la prima che rappresenta mimicamente i corpi più belli, rivolgendosi alla loro nobiltà, l'altra i corpi più deformi rivolgendosi alla loro viltà; e ancora vi sono due altre specie, a seconda che si imiti ciò che è vile o ciò che è nobile. L'imitazione di ciò che è nobile consiste, da un lato, nell'imitare i corpi belli in atteggiamenti di guerra, mentre si esercitano in fatiche impegnative, e nell'imitazione di un'anima virile, dall'altro nella rappresentazione di anime sagge e temperanti che vivono nella prosperità e in moderati piaceri: quest'ultima danza si potrebbe chiamare, secondo la sua natura, “danza di pace”. Si potrebbe invece correttamente definire “pirrica” la danza della guerra, che è diversa da quella della pace; essa rappresenta mimicamente come si evitano tutti i colpi inferti e quelli delle armi da getto, piegandosi, e retrocedendo in ogni modo, e saltando in alto e abbassandosi, e rappresenta i movimenti contrari a questi, quelli che portano alle movenze d'attacco, nei lanci delle frecce e dei dardi, cercando di rappresentare mimicamente ogni altro tipo di colpo. Se le danze sono eseguite correttamente e anche in modo energico, quando vi sia l'imitazione di corpi e di anime valorosi, una perfezione ritmica pervade tutte le membra del corpo, e allora tale danza è davvero corretta, in caso contrario, non possiamo accettarla come tale. Quanto alla danza di pace bisogna osservarla così in ciascuno dei due casi, e vedere cioè se, afferrando correttamente la bellezza della danza o muovendosi contro natura, tali danze si eseguono in modo conveniente a cittadini ben governati. Bisogna innanzitutto separare e distinguere la danza che è oggetto di contestazione da quella che invece non lo è. Quali sono allora queste danze? E come si devono separare le une dalle altre? Tutte le danze bacchiche e quelle che ad esse si accompagnano, che prendono il nome, come dicono, da Ninfe, Pan, Sileni e Satiri, rappresentano uomini ebbri, e vengono eseguite nel corso di alcuni riti di purificazione e di iniziazione: tutto questo genere di danze, dunque, non si può facilmente definire né di pace, né di guerra, e non è facile dire qual è il loro intento. Mi sembra allora che la cosa più giusta da fare sia quella di tenere appunto distinto questo genere di danze, separandolo sia da quello della guerra, sia da quello della pace, e affermare che questo genere di danza non ha attinenza con lo stato, e quindi lo si può lasciare qui dove lo si è trovato: ora possiamo ritornare alle danze della pace e a quelle della guerra delle quali dobbiamo indiscutibilmente occuparci. Il genere della musica non di guerra di coloro che nelle danze onorano gli dèi e i figli degli dèi forma un unico genere e si sviluppa nella convinzione della prosperità. Possiamo dividerlo in due specie: la prima specie, quando si sfugge da certe fatiche e da certi pericoli per giungere ad una situazione migliore, produce piaceri più intensi, l'altra specie, mantenendo il benessere conquistato precedentemente e accrescendolo, procura piaceri meno intensi dei primi. In queste danze ogni uomo si muove secondo un numero maggiore di movimenti del corpo, se i piaceri sono più intensi, secondo un numero minore, se sono meno intensi; e l'uomo ben regolato e che è soprattutto ben esercitato al coraggio si muove secondo un numero minore di movimenti, mentre l'individuo meschino che non si è esercitato alla temperanza muta in misura maggiore e in modo eccessivo i suoi movimenti. In generale, chi si esprime sia con il canto, sia con le parole, non è certamente in grado di stare fermo con il corpo; ecco perché la rappresentazione delle parole compiuta attraverso i gesti ha permesso di realizzare tutto il complesso dell'arte della danza. Dunque fra di noi, vi è chi in tutti questi casi si muove con grazia e armoniosamente, chi invece scompostamente. E se pensiamo ai nomi che gli antichi hanno dato alle cose, siamo costretti ad elogiarne molti in quanto sono convenienti e conformi alla natura delle cose: e fra questi ve n'è uno, e riguarda le danze di coloro che si trovano nella buona sorte, e che sono moderati nei confronti dei piaceri, e con questo nome appropriato e attinente al campo musicale, un tale, chiunque fosse, chiamò tutte queste danze “emmelie”, ed esso fu imposto ad esse secondo il procedimento analogico. Egli stabilì così due forme di nobili danze, quella “pirrica” propria della guerra, e quella “emmelia” propria della pace, assegnando così a ciascuna il nome più conveniente ed adatto. Il legislatore dovrà allora illustrare i tratti distintivi di tali danze, mentre il custode delle leggi dovrà ricercarle, e una volta scoperte, dovrà ordinare la danza insieme al resto della musica, e assegnandola a tutte le feste, distribuirà quella adatta per ogni sacrificio. Dopo aver consacrato così tutto quanto e disposto secondo un preciso ordine, non deve mutare più nulla per il resto del tempo, né per quel che riguarda la danza, né per quel che riguarda il canto, e parimenti lo stesso stato e i cittadini, trascorrendo il loro tempo nei medesimi piaceri, saranno sempre simili a se stessi nei limiti del possibile, e vivranno bene e felicemente. Abbiamo dunque portato a termine quella parte riguardante le danze proprie di bei corpi e di nobili anime, dicendo come queste danze devono essere; ora occorre osservare e conoscere meglio le rappresentazioni imitative di corpi e di pensieri deformi, e ciò che si orienta verso le canzonature ridicole, per mezzo della dizione, del canto, della danza, e delle imitazioni comiche che si realizzano in tutti questi casi. Non è possibile infatti comprendere ciò che è serio senza il ridicolo, e ogni cosa senza il suo relativo contrario, se si vuole essere persone assennate, ma non si può fare l'una e l'altra cosa, se si vuole partecipare, anche in piccola parte, della virtù: si devono dunque apprendere anche queste cose di per se stesse, e cioè proprio perché mai si compia o si dica, a causa dell'ignoranza, quanto è ridicolo, senza alcuna necessità. Bisogna invece che sia ordinato a schiavi e a stranieri stipendiati di fare tali rappresentazioni, senza mai interessarsi direttamente di nessuna di tali occupazioni; e nessun individuo libero, uomo o donna che sia, faccia sapere pubblicamente di apprendere tali cose, e sempre nuove appaiano queste rappresentazioni. Queste dunque siano le disposizioni che stabiliamo secondo la legge e il nostro ragionamento per quel che riguarda quei giochi che hanno come fine quello di suscitare il riso. Quanto ai nostri poeti seri, come si dicono, quelli che si occupano della tragedia, se alcuni di loro venissero da noi e ci interrogassero così: «Stranieri, possiamo frequentare il vostro stato e la vostra regione oppure no? E possiamo portare ed introdurre la nostra poesia, o come avete stabilito che dobbiamo comportarci a questo riguardo?». Quale risposta daremo alle domande di questi uomini divini? Una risposta del genere, mi pare: «Ospiti nobilissimi, noi stessi siamo poeti di una tragedia che, nei limiti del possibile, è la più bella e la più nobile: tutta la nostra costituzione politica si è formata sull'imitazione della vita più bella e più nobile, e in questo noi diciamo che consiste in realtà la tragedia più vera. Poeti siete voi, poeti lo siamo anche noi, poeti della stessa materia, vostri rivali nell'arte, vostri antagonisti nel comporre il dramma più bello che soltanto la vera legge può per natura compiere, come noi ora speriamo: non pensate che vi lasceremo tanto facilmente venire da noi a piantare le vostre scene nella piazza, e di introdurvi attori con una bella voce, che strepitano più di noi, non pensate che vi lasceremo parlare da demagoghi ai bambini, alle donne, e a tutta la folla di persone, lasciando che voi diciate, riguardo agli stessi costumi, cose diverse dalle nostre, ed anzi, per lo più e nella maggior parte dei casi, contrarie. Saremmo, per così dire, completamente pazzi, noi e tutto lo stato, se vi lasciassimo fare ciò che abbiamo appena detto, prima che i magistrati abbiano giudicato se le vostre composizioni possono essere rese pubbliche oppure no. Ora dunque, figli delle tenere Muse, mostrate prima di tutto i vostri canti ai magistrati confrontandoli con i nostri, e se risulterà evidente che voi dite le stesse cose che diciamo noi, e in maniera anche migliore, noi vi daremo un coro, altrimenti, amici, non potremo affatto». Queste dunque siano le norme, stabilite per legge, riguardanti il complesso della danza corale e l'insegnamento di queste materie, e una parte, se vi sembra opportuno, riguarderà gli schiavi ed un'altra i padroni. CLINIA: Come ora non potrei essere d'accordo con te? ATENIESE: Vi sono ancora tre discipline che le persone libere devono apprendere: la prima è costituita dai calcoli e dalla scienza dei numeri, la seconda dall'arte di misurare le lunghezze, le superfici, e i solidi, la terza studia le rivoluzioni degli astri e la natura dei loro percorsi reciproci. La maggior parte delle persone non sarà tenuta ad esercitarsi in tutte queste discipline, il cui studio richiede una certa precisione, ma soltanto alcuni pochi - e di questi, procedendo nel discorso, parleremo alla fine, quando sarà conveniente -. Quanto alla massa, vi sono tutte quelle nozioni relative a queste discipline che, come si dice assai giustamente, sono necessarie e per i molti è una vergogna non sapere, anche se non è facile e non è assolutamente possibile ricercarle tutte con estrema precisione. Non si può in ogni caso rigettare quel che di queste scienze è necessario, e pare che a questo pensasse chi per primo parlò per proverbi sulla divinità, dicendo che neppure il dio risulta combattere la necessità, quelle necessità, io credo, che sono divine: parlare infatti delle necessità umane, alle quali molti pensano quando dicono questo proverbio, sarebbe il discorso di gran lunga più stolto fra tutti. CLINIA: Quali sono, straniero, le necessità non umane ma divine nell'ambito di tali discipline? ATENIESE: Ritengo che siano quelle necessità per cui, se uno non le pratica o non le conosce affatto, non potrà mai essere per gli uomini né un dio, ne un demone, né un eroe capace di prendersi seriamente cura degli uomini: sarebbe assai lontano dal divenire uomo divino chi non conosce l'uno, e il due, e il tre, né il complesso dei numeri pari e dispari, se non sa affatto contare, se non è in grado di calcolare i giorni e le notti, se si trova in difficoltà sulle rivoluzioni delle orbite della luna, del sole, e degli altri astri. Se si ritenesse che tutte queste nozioni non fossero necessarie per chi aspira a conseguire qualsiasi delle scienze più belle, ebbene, questa sarebbe una considerazione assai sciocca. Ma quali di ciascuna di queste nozioni, e quante, e quando si devono apprendere, e quali insieme ad altre e quali separatamente dalle altre, e come si possono combinare tutte insieme, queste sono le prime cose che dobbiamo correttamente comprendere, e quindi, passare ad apprendere le altre sotto la guida di quelle. Questa è la necessità stabilita dalla natura contro la quale noi diciamo che nessun dio può né potrà mai combattere. CLINIA: Mi pare, straniero, che le parole che ora hai detto siano giuste e conformi alla natura delle cose. ATENIESE: Ed è così, Clinia, soltanto che è difficile legiferare nell'ambito di questa materia che è stata precedentemente ordinata in tal modo: ma in un'altra occasione, se vi pare, potremo legiferare in modo più preciso. CLINIA: Ci sembra, straniero, che tu abbia paura della nostra consueta inesperienza in materia. Ma si tratta di una paura sbagliata: prova a parlare senza nascondere le vere ragioni delle cose. ATENIESE: In effetti ho paura di queste cose che tu ora dici, ma temo ancora di più coloro che si sono avvicinati a queste discipline, e si sono avvicinati malamente. La totale ignoranza non è affatto un male terribile, e neppure il più grave o il più grande, ma l'esperienza e l'erudizione che si rivolgono in molteplici direzioni, insieme ad una cattiva guida, rappresentano un danno molto più grande. CLINIA: Vero. ATENIESE: Va dunque affermato che gli uomini liberi devono apprendere di ciascuna di queste discipline tutto quanto in Egitto apprende anche una gran massa di bambini, insieme alle lettere. In primo luogo si sono ritrovate, riguardo al calcolo, delle nozioni semplici da insegnare ai bambini, che si accompagnano a piacevoli divertimenti, come le distribuzioni di mele o di corone ad un numero più grande e più piccolo di bambini, adattando sempre gli stessi numeri, o l'attesa dei pugili e dei lottatori, che sono già accoppiati, cui viene assegnato il turno e la successione per il combattimento, come per natura avviene in queste cose. E giocando ora a mescolare coppe d'oro, di bronzo, e d'argento, e di altri materiali in genere, ora a separarli tutti, devono necessariamente, come dicevo, usare i numeri per adattarli al loro gioco, e questo serve agli allievi per apprendere le disposizioni degli eserciti, e a guidare le marce e le spedizioni militari, ma anche per condurre l'amministrazione della propria casa, e rendono gli uomini più utili a se stessi e più desti: e inoltre, la capacità di misurare tutto ciò che ha lunghezza, larghezza, profondità, libera tutti gli uomini da quell'ignoranza ridicola e vergognosa che si insinua in essi e che riguarda tutte queste cose. CLINIA: Di quale ignoranza parli e in che cosa consiste? ATENIESE: Caro Clinia, ho sentito io stesso molto tardi parlare di questa nostra condizione e mi sono assolutamente stupito: mi sembrò che essa non fosse degna di uomini, ma piuttosto di maiali, e provai vergogna non solo per me, ma anche per tutti i Greci. CLINIA: Di che cosa? Dillo, straniero. ATENIESE: Te lo dico, o piuttosto te lo dimostrerò con delle domande. E rispondimi un po': sai che cos'è la lunghezza? CLINIA: Certo. ATENIESE: E la larghezza? CLINIA: Ma certamente. ATENIESE: E che queste sono due dimensioni, e la terza è la profondità? CLINIA: Come no? ATENIESE: E non ti sembra che tutte queste dimensioni sono commensurabili fra loro? CLINIA: Sì. ATENIESE: La lunghezza, secondo quel che pensiamo, si può allora misurare con la lunghezza, la larghezza con la larghezza, e ugualmente la profondità con la profondità. CLINIA: Assolutamente sì. ATENIESE: E se alcune dimensioni non sono né molto né poco commensurabili, ma alcune sì, altre no, mentre tu le ritieni tutte, come credi che ti disporrai nei loro confronti? CLINIA: Male, è evidente. ATENIESE: E quanto alla lunghezza e alla larghezza in relazione alla profondità, o alla larghezza e alla lunghezza nelle loro relazioni reciproche? Non pensiamo tutti noi Greci che sono commensurabili fra di loro in un modo o nell'altro? CLINIA: Certamente. ATENIESE: E se vi sono dei casi in cui è impossibile fare queste misurazioni, mentre tutti noi Greci, come dicevo, pensiamo che sia possibile, non dovremmo forse vergognarci di tutti loro e dire: «O nobilissimi fra tutti i Greci, questa non è forse una di quelle cose di cui dicevamo che è turpe non conoscere, e non è affatto un bene conoscere le cose necessarie?» CLINIA: Come no? ATENIESE: E inoltre ci sono altri casi affini a questi in cui noi cadiamo in errore, e in errori che sono fratelli di questi. CLINIA: Quali? ATENIESE: La natura delle relazioni reciproche fra grandezze commensurabili ed incommensurabili. E queste cose vanno analizzate e studiate con attenzione, se non si vuole essere persone di scarso valore, e proponendoci sempre uno all'altro la questione, passeremo il tempo in modo molto più piacevole di quanto faremmo giocando al tavoliere, come, fanno i vecchi, e potremo così gareggiare in dispute che sono all'altezza dì questi problemi. CLINIA: Può essere. Ma mi pare che non bisogna poi tenere così distinti fra loro il gioco del tavoliere e queste discipline. ATENIESE: Io dico, Clinia, che i giovani devono apprendere queste cose: e infatti non sono dannose né difficili, e se si apprendono con il gioco, saranno utili e non danneggeranno affatto il nostro stato. se qualcuno dice in modo diverso, bisogna ascoltarlo. CLINIA: Come no? ATENIESE: Se queste discipline risultano essere così come si è detto, è chiaro che le giudicheremo opportune per il nostro stato, altrimenti le respingeremo. CLINIA: è chiaro. ATENIESE: Dunque, stranieri, dobbiamo stabilirle fra le discipline necessarie, perché non vi siano lacune nel nostro sistema di leggi? Stabiliamole allora, ma come un pegno che si può staccare dal resto della costituzione, se a noi che le abbiamo poste o anche a voi per cui sono state stabilite non soddisfacessero più. CLINIA: Questa è una giusta proposta. ATENIESE: Vedi se dopo queste cose dobbiamo approvare o meno lo studio degli astri per i giovani, che ora esporremo. CLINIA: Parla! ATENIESE: Riguardo a tali questioni si verifica un fatto assai strano e per nulla tollerabile. CLINIA: Quale? ATENIESE: Noi solitamente affermiamo che non si deve ricercare l'essenza della divinità suprema o dell'intero universo, né ci si deve preoccupare di indagarne le ragioni - non sarebbe un'azione pia - ma pare che sarebbe meglio fare tutto il contrario. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Quel che dico è assai singolare, e si potrebbe pensare che non sia adatto a dei vecchi: ma se uno crede che si tratti di una disciplina nobile e vera, e inoltre vantaggiosa per lo stato e cara al dio, non potrà in alcun modo rinunciare ad esporla. CLINIA: Quello che dici è giusto: ma quale disciplina simile troverai fra gli astri? ATENIESE: Carissimi, noi tutti Greci affermiamo oggi il falso, per così dire, quando ci riferiamo alle divinità supreme, il Sole e la Luna. CLINIA: E qual è questa menzogna? ATENIESE: Diciamo che essi non percorrono mai la stessa strada, e così alcuni altri astri che sono insieme a questi, e che chiamiamo appunto “pianeti”. CLINIA: Per Zeus, straniero, quello che dici è proprio vero: spesso infatti, nel corso della mia vita ho visto io stesso che Lucifero, Vespero, e alcuni altri astri non percorrono mai la stessa orbita, ma planano in ogni luogo, e che il sole e la luna si comportano come tutti sappiamo. ATENIESE: Queste sono le cose, Megillo e Clinia, che ora dico che i nostri concittadini e i giovani devono sapere sugli dèi del cielo, e per quel tanto che non debbano bestemmiare su di essi, ma possano invece dire parole di buon augurio quando compiono sacrifici ed innalzano religiose preghiere. CLINIA: Questo è giusto, se in primo luogo si può apprendere ciò di cui parli: in secondo luogo, se ora non diciamo nulla di giusto riguardo ad essi, ma lo diremo quando lo apprenderemo, sono d'accordo sul fatto che si deve imparare nel modo che tu hai detto. Se le cose stanno allora in questi termini, prova a darne completa spiegazione, mentre noi ti seguiremo e impareremo. ATENIESE: Ma non è facile apprendere quello che dico, e neppure del tutto difficile, e non richiede neanche un tempo lunghissimo. Ecco la prova: benché né da giovane, né anticamente, io abbia avuto notizia di queste cose, ora sarei in grado di mostrarvele in non molto tempo. Se fossero difficili, non sarei mai capace, all'età che ho, di mostrarle a voi che avete raggiunto una veneranda età. CLINIA: Vero. Ma qual è questa disciplina che definisci così singolare, e che sarebbe opportuno che i giovani imparassero e noi non conoscessimo? Cerca di fornire di essa la spiegazione più chiara possibile. ATENIESE: Ci proverò. Intanto non è giusta, carissimi, quella credenza secondo la quale la luna, il sole, e gli altri astri sono erranti, ma se mai tutto il contrario: ciascuno di essi compie infatti la stessa strada, e non molte, ma una sola e sempre circolarmente, così da sembrare di percorrerne molte. E non è neppure corretto pensare che il corpo più veloce sia il più lento, e viceversa. Se tale è la natura delle cose, ma le nostre convinzioni non si conformano ad essa, se pensiamo allo stesso modo dei cavalli che corrono ad Olimpia e degli uomini che corrono la lunga corsa, definendo più lento il più veloce, e più veloce il più lento, se nel comporre gli elogi cantiamo il vinto come se fosse vincitore, credo che la nostra attribuzione degli elogi ai corridori, che sono uomini, non risulterebbe né giusta, né gradita: ora noi facciamo gli stessi errori nei confronti degli dèi, e non pensiamo che ciò che allora, in quell'esempio che abbiamo fatto, risultava ridicolo e ingiusto, ora, in questo caso, e in questioni così importanti, non è affatto ridicolo, ma sgradito agli dèi, poiché innalziamo inni agli dèi affermando false dicerie. CLINIA: Verissimo, se le cose stanno così. ATENIESE: E se dimostreremo che stanno effettivamente così, non si dovranno apprendere tutte queste cose sino al punto che abbiamo indicato, mentre se non riusciremo a darne dimostrazione, dovremo lasciar perdere? Anche su questo siamo d'accordo? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Possiamo ormai dire di aver terminato la legislazione riguardante l'educazione e l'insegnamento: e allo stesso modo si deve pensare riguardo alla caccia e a tutte le altre cose simili. Può essere che quanto viene ordinato al legislatore non si limiti soltanto al compito di stabilire le leggi, ma ci sia qualche altra cosa in più che, oltre le leggi, sta naturalmente in mezzo fra l'ammonimento e le leggi stesse, e si tratta di una cosa in cui ci siamo imbattuti spesso nei nostri discorsi, come ad esempio riguardo all'allevamento dei bambini piccoli. Noi diciamo che queste cose non si debbono tacere, ma quando si dicono, sarebbe assai stolto che si pensasse di stabilirle come leggi. E supponendo che tutte le leggi siano già state scritte e così l'intera costituzione nel modo in cui noi le abbiamo concepite, risulta imperfetto l'elogio del cittadino che vuole distinguersi per la sua virtù, se si dirà che il cittadino onesto è colui che serve nel modo migliore le leggi e ad esse assolutamente obbedisce: sarebbe infatti più completo dire così, e cioè che cittadino onesto è colui che abbia trascorso un'esistenza all'insegna della purezza obbedendo non solo alle leggi scritte, ma anche ai consigli del legislatore, sia quando approva, sia quando critica. Questo è il più giusto discorso con cui si possa elogiare un cittadino, e chi è effettivamente un legislatore non deve soltanto scrivere le leggi, ma, oltre alle leggi, deve scrivere ed intrecciare insieme ad esse ciò che gli pare buono e ciò che non gli pare buono, e il cittadino perfetto si sentirà vincolato da questi giudizi non meno che dalle pene che sono state stabilite dalle leggi. E se chiamiamo a testimone il discorso che in questo momento stiamo facendo, potremmo dimostrare meglio ciò che vogliamo dire. La caccia è un'attività che si presenta in modo assai vario, che ora è compresa sotto un unico nome. Una buona parte di essa riguarda gli animali acquatici, un'altra i volatili, e molti sono i tipi di caccia che riguardano anche gli animali terrestri, e non solo animali, perché anche la caccia agli uomini si può pensare come caccia, come quella che si svolge in guerra o come buona parte di quella che avviene in amore, l'una degna di lode, l'altra di critica. E anche i furti commessi da predoni o da eserciti a danno di altri eserciti sono delle cacce. Un legislatore che deve legiferare in materia di caccia non può non chiarire questi aspetti, e neppure può stabilire su tutte le cacce indiscriminatamente ordini e punizioni, fissando delle norme che contengano minacce. Come dunque deve comportarsi a tal proposito? Il legislatore, da un lato, deve elogiare e criticare quel che riguarda la caccia, in vista degli esercizi e delle pratiche che i giovani devono seguire, mentre il giovane, dall'altro, ascoltandolo, deve obbedire, e né il piacere né la fatica gli devono essere d'impedimento, e renda onore agli ammonimenti che il legislatore enuncia insieme a parole di elogio ancora di più che alle norme che per ogni singolo caso sono fissate per legge e che si accompagnano alle minacce delle pene, ed esegua quanto gli viene ordinato. Dette queste premesse, potrebbe seguire un conveniente elogio e un conveniente biasimo della caccia, lodando quella caccia che rende migliori le anime dei giovani, e biasimando quella opposta. Diciamo dunque quel che segue rivolgendoci ai giovani sotto forma di preghiere: «Amici, non vi colga mai la passione e l'amore per la caccia in mare, né per la pesca con l'amo, né in generale per la caccia di animali acquatici, e non esercitatevi in quella caccia che si pratica pigramente con le reti, sia da svegli che addormentati. Non vi prenda il desiderio di cacciare gli uomini sul mare, né quello della pirateria, che vi renderebbe cacciatori crudeli e fuori legge: e non vi sfiori neppure nell'anticamera del cervello il fatto di compiere dei furti nella regione e nello stato. E mai assalga alcuno dei giovani il seducente desiderio di cacciare i volatili, che non è degno di uomini liberi». Ai nostri atleti rimane soltanto la caccia e la cattura degli animali terrestri, fra le quali ve n'è una che è chiamata “notturna”, praticata da cacciatori che dormono a turno, uomini pigri, che non è degna di lode, né degna di lode è quella caccia che offre pause di riposo in quantità non minore di quante sono le fatiche e che consiste nel dominare la forza selvaggia delle fiere non con la vittoria di un'anima che ama la fatica, ma con reti e con lacci: rimane una per tutti, ed è la migliore, la caccia ai quadrupedi che si effettua con i cavalli, con i cani, e con le proprie forze, ma su tutte queste cose dominano i cacciatori che con le proprie mani corrono, colpiscono, scagliano frecce, e mi riferisco a quanti coltivano il divino coraggio. Il discorso che abbiamo appena esposto sarà un punto di riferimento per la lode o il biasimo di queste cose; questa invece sia la legge: nessuno impedisca a questi che sono effettivamente i cacciatori sacri di cacciare dove e come vorranno, e nessuno mai permetta al cacciatore notturno di cacciare in alcun luogo, fidando nelle reti e nei lacci. Non si impedisca al cacciatore di uccelli di cacciare nei campi selvatici e sui monti, ma nei campi coltivati e nei boschi sacri lo impedisca chiunque vi s'imbatte. Quanto al cacciatore di animali acquatici, gli sia consentito di cacciare in tutti gli altri luoghi fatta eccezione per i porti, i fiumi sacri, gli stagni e i laghi, e non si serva di veleni. Ora conviene dire che che tutto il complesso della legislazione che riguarda l'educazione è terminato. CLINIA: Puoi ben dirlo.

Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020

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