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Platone le LEGGI. Legislazioni e costituzioni


Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.

Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:

1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.

PREMESSA A LE LEGGI

Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita, ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo. In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche (frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica, mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza. Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene, essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica: Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però, come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza. Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere: oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi. Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi: Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini stipulano fra loro. La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le normative sulle mallevadorie. Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il complesso delle virtù nello stato. Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE

LIBRO OTTAVO
ATENIESE: In relazione a queste cose bisogna ordinare e fissare per legge le feste, con l'ausilio dell'oracolo di Delfi, vedendo quali sacrifici sarebbe meglio e preferibile che lo stato eseguisse, e per quali dèi; e quando e quanti di numero. Credo che forse su alcune di queste cose sarebbe nostro compito legiferare. CLINIA: Probabilmente sul numero. ATENIESE: Parliamo per primo del numero: essi, i sacrifici, non dovranno essere di meno di trecentosessantacinque, in modo che un magistrato faccia sempre sacrifici a qualcuno degli dèi o dei demoni in favore dello stato, dei cittadini stessi, e delle loro ricchezze. Interpreti, sacerdoti, sacerdotesse, e indovini si riuniscano insieme ai custodi delle leggi e stabiliscano ciò che il legislatore deve necessariamente tralasciare: e dovranno essere essi stessi ispettori di ciò che viene tralasciato. La legge fisserà dodici feste in onore dei dodici dèi da cui trae il nome ciascuna tribù, e per ciascuno di questi ogni mese si faranno sacrifici, con cori e agoni musicali e altre gare ginniche, distribuendoli in modo conveniente agli dèi e ad ogni singola stagione e ripartendo le feste femminili in quelle che è conveniente celebrare senza gli uomini e in quelle che non è conveniente. E inoltre non bisogna confondere, ma, anzi, si devono tenere ben distinti i sacrifici in onore degli inferi e quelli in onore di quegli dèi che dobbiamo chiamare “celesti”, e quanti ad essi si accompagnano, assegnando per legge ai primi il dodicesimo mese, quello di Plutone. E questa divinità non sia odiata dagli uomini che si trovano in guerra, ma venga onorata come la divinità migliore per il genere umano: l'unione di anima e di corpo non è infatti migliore della loro dissoluzione, come vorrei dire parlando seriamente. Inoltre coloro che vorranno ripartire in modo adeguato queste feste devono avere in mente tale pensiero, e cioè che fra gli stati attuali non si troverebbe alcun altro stato come il nostro che abbia abbondanza di tempo libero e di occupazioni necessarie, così da poter vivere bene come vivrebbe un singolo individuo. Coloro che vogliono vivere felici non devono innanzitutto compiere essi stessi ingiustizia, né devono subirla da altri: la prima di queste due condizioni non è difficile da realizzare, mentre è assai difficile da ottenere la seconda, vale a dire avere tanta forza da evitare le ingiustizie, ed essa non si può perfettamente conseguire se non si diventa completamente buoni cittadini. La stessa cosa avviene per lo stato, che se sarà buono vivrà in pace, se sarà malvagio, vivrà in guerra dentro e fuori i suoi confini. Se le cose stanno press'a poco così, ognuno non deve esercitarsi alla guerra in guerra, ma in tempo di pace. Bisogna che lo stato che abbia intelligenza ogni mese si eserciti alla guerra, per un giorno almeno, o anche più, se i magistrati lo ritengono opportuno, senza tener conto del freddo e del caldo, e tutti, anche donne e fanciulli vi prendano parte, se ai magistrati parrà opportuno condurre fuori dallo stato tutto il popolo, ora separatamente, ora a turno: e alcuni bei divertimenti si devono allestire insieme ai sacrifici perché le battaglie della festa imitino le battaglie della guerra il più chiaramente possibile. Si distribuiscano premi e ricompense ai vincitori di ciascuna di queste gare, e ci si faccia reciprocamente elogi o critiche, a seconda di come ciascuno si è comportato negli agoni e nel corso di tutta la vita, esaltando chi si è ritenuto migliore e criticando chi non lo è stato. Poeta di questi componimenti non sia una persona qualunque, ma innanzitutto uno che non abbia meno di cinquant'anni, e non sia scelto fra coloro che posseggono in se stessi un'adeguata capacità poetica e musicale, ma non hanno mai composto alcuna opera bella ed illustre: si cantino invece le composizioni di coloro che sono buoni e onorati nello stato, e sono autori di nobili opere, anche se per natura non sono musicali. La scelta di questi poeti sia di competenza dell'educatore e degli altri custodi delle leggi, che assegneranno loro il privilegio di godere essi soli della libertà di parola in poesia, mentre nessun altro avrà mai questa libertà, né oserà cantare un canto che non sia passato al vaglio e non sia stato giudicato favorevolmente dai custodi delle leggi, neppure se si tratta di un canto più dolce di Tamiri e di quelli di Orfeo. Riceveranno l'approvazione solo i componimenti giudicati sacri e dedicati agli dèì, e quelli, opera di uomini valorosi, in cui si critica o si biasima qualcuno, e che, sempre secondo il giudizio generale, abbiano svolto adeguatamente questo compito. Lo stesso discorso che ho fatto sulle esercitazioni militari e sulla libertà poetica deve valere ugualmente per le donne e per gli uomini. Bisogna che il legislatore, rivolgendosi a se stesso, si proponga questo discorso: «Avanti, quali cittadini allevo, dopo che ho allestito tutto lo stato? Atleti preparati a gare impegnative, dinanzi ai quali stanno un numero incalcolabile di avversari?» «Certamente», risponderebbe giustamente qualcuno. Ebbene? Se allevassimo degli atleti per il pugilato o per il pancrazio o per qualche altra gara di questo genere, li faremmo scendere in gara senza averli precedentemente allenati con nessuno, giorno dopo giorno? E se noi stessi fossimo pugili, non cercheremmo di imparare a combattere molti giorni prima della gara, e non ci eserciteremmo ad imitare tutte quelle mosse di cui in seguito potremo aver bisogno quando gareggeremo per la vittoria? E avvicinandoci il più possibile alla verosimiglianza della gara non ci legheremmo delle palle al posto di cesti per allenarci a dare e a parare i colpi nel modo migliore? E se fossimo in grande difficoltà nel reperire compagni di allenamento, temendo il riso degli sciocchi, non avremmo il coraggio di appendere un fantoccio e di esercitarci con esso? E trovandoci in tale difficoltà da non riuscire a reperire né uomini, né fantocci, in assenza di compagni di allenamento non avremmo il coraggio di combattere contro noi stessi combattendo effettivamente contro la nostra ombra? O in quale altro modo si potrebbe dire che si svolge l'allenamento del pugile che mena le mani di qua e di là? CLINIA: Direi, straniero, in nessun altro modo se non in quello che tu ora hai enunciato. ATENIESE: Ebbene? La forza militare del nostro stato oserà ogni volta andare incontro alla più importante delle gare meno preparata di questa gente, quando si combatte per la propria vita, per quella dei figli, per le ricchezze, e per tutto lo stato? E il legislatore, temendo che gli esercizi in cui i cittadini si esercitano reciprocamente appaiano ridicoli a qualcuno, non dovrà stabilire leggi in proposito, ordinando soprattutto di compiere ogni giorno piccole esercitazioni militari senza l'uso delle armi, orientando in questo senso i cori e tutta quanta la ginnastica? E non comanderà che si facciano più grandi e anche meno grandi esercitazioni militari non meno dì una volta al mese, lasciando che i cittadini facciano gare fra di loro in tutta la regione e si esercitino ad occupare luoghi e a tendere imboscate, ed imitino la guerra in ogni suo aspetto, lottando come nel pugilato e lanciando dardi che si avvicinino il più possibile a quelli veri, servendosi di pericolose armi da getto, in modo che il gioco che vede impegnati gli uni contro gli altri non sia del tutto privo di timore, ma susciti invece qualche preoccupazione, mettendo così in un certo senso in evidenza chi è coraggioso e chi non lo è? E distribuendo rettamente onori e disonori agli uni e agli altri, non preparerà lo stato intero perché nel corso di tutta la sua vita sia pronto ad affrontare la vera battaglia? E se qualcuno viene ucciso nel corso di queste esercitazioni, dato che l'uccisione è stata involontaria, il legislatore stabilirà che l'uccisore, dopo aver compiuto i riti purificatori previsti dalla legge abbia le mani pure, pensando che da un lato non sono molti gli uomini che muoiono, mentre d'altro canto altri nasceranno non peggiori di quelli, ma che se morirà il timore, non si riuscirà più a mettere alla prova, nel corso di tali esercitazioni, i migliori e i peggiori, e questo per lo stato sarebbe un male ben più grave di quell'altro. CLINIA: Anche noi siamo d'accordo, straniero, che tutto lo stato deve stabilire per legge tali pratiche e in esse deve esercitarsi. ATENIESE: Conosciamo tutti la ragione per cui ora in questi stati tali competizioni corali non abbiano affatto luogo, se non in piccola misura? O diciamo che ciò avviene a causa dell'ignoranza della maggior parte di persone e di coloro che stabiliscono le leggi? CLINIA: Forse. ATENIESE: Nient'affatto, caro Clinia: conviene affermare che due sono le ragioni di questi fenomeni, e sono ampiamente sufficienti. CLINIA: Quali sono? ATENIESE: La prima è costituita dall'amore per la ricchezza che occupa tutto il tempo, impedendo di curare altre faccende che non siano la cura dei propri beni, e dalla cura di questi beni dipende ogni anima di ogni cittadino che non può più occuparsi di altre cose che non siano il guadagno quotidiano: e se vi sia un qualche studio o anche una certa pratica che conduca a questi scopo, ogni cittadino privatamente è prontissimo ad apprenderla e ad esercitarsi in essa, facendosi beffe di tutto il resto. E conviene dire che tutto ciò è una sola cosa, e che questa è l'unica ragione per cui uno stato non vuole seriamente occuparsi di questa pratica né di nessun altra che sia bella e buona, ma ogni cittadino, per il desiderio insaziabile di oro e di argento si piega volontariamente a qualsiasi mestiere, a qualsiasi espediente, bello o disonorevole che sia, pur di diventare ricco, e accetta di compiere una qualsiasi azione, lecita o illecita che sia, o addirittura vergognosa, senza farsi remore alcune, solo perché possa avere la possibilità, come un animale, di mangiare ogni genere di cibi e allo stesso modo di bere tutto quel che vuole, e di saziare completamente il desiderio di sesso. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Questa ragione di cui parlo sia da noi stabilita come una delle cause che impedisce e non permette agli stati di esercitarsi in modo adeguato a nessun bene e neppure alla guerra, ma fa in modo che quegli uomini che sarebbero moderati per natura siano mercanti, imprenditori marittimi, e in genere servi, e rende gli individui coraggiosi ladri, scassinatori, profanatori di templi, attaccabrighe e tiranni, trasformandoli così in sventurati, anche se talvolta non sono privi di qualche dote naturale. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Come dovrei chiamare costoro se non assolutamente disgraziati, dal momento che trascorrono necessariamente tutta la vita con un'incessante fame nell'anima? CLINIA: Questa dunque è la prima ragione: qual è allora la seconda ragione di cui parli, straniero? ATENIESE: Me l'hai ricordata a proposito. CLINIA: Questa, come tu dici, è una delle due cause, e consiste in quell'insaziabile ricerca che dura tutta la vita, e non lasciando a nessuno neppure un momento di libertà, impedisce ai singoli di esercitarsi come si deve in relazione alla guerra. Ebbene, ora dicci la seconda. ATENIESE: Vi do l'impressione che invece di parlare stia indugiando, perché mi trovo in difficoltà? CLINIA: No, ma ci sembra che che tu abbia punito questo costume di vita più del dovuto, come se lo detestassi, con il discorso che ora si è presentato. ATENIESE: Avete fatto benissimo a rimproverarmi, stranieri: e ascoltate quel che segue, se vi pare. CLINIA: Parla. ATENIESE: Direi che la seconda ragione consiste in quelle non costituzioni di cui spesso ho parlato nei precedenti discorsi, e che sono la democrazia, l'oligarchia, e la tirannide. Nessuna di queste è una costituzione politica, ma si potrebbero più correttamente definire tutte quante “sedizioni”: nessuna di esse esercita volontariamente il suo potere su sudditi che volontariamente l'accettano, ma comanda deliberatamente contro la volontà dei sudditi, sempre con una qualche violenza, e poiché chi comanda teme coloro che sono governati non permetterà volentieri ch'essi diventino nobili, ricchi, forti, valorosi, e assolutamente non addestrati alla guerra. Queste sono dunque le due cause di tutti i mali in generale, e di questi in particolare. Ma l'attuale costituzione, della quale stiamo dicendo le leggi, sfugge all'una e all'altra: essa gode infatti del massimo tempo libero, e liberi sono i cittadini gli uni dagli altri, e sono assai poco amanti delle ricchezze, io credo, grazie a queste leggi, sicché verosimilmente e ragionevolmente una costituzione fondata in modo simile è l'unica, fra quelle attuali, capace di accogliere l'educazione che abbiamo appena esposto e insieme la formazione alla guerra, che è stata portata a termine dal nostro discorso. CLINIA: Bene. ATENIESE: E in conseguenza di queste cose, non dobbiamo ricordare, riguardo a tutte le gare ginniche, che bisogna praticare quante di esse costituiscono delle esercitazioni finalizzate alla guerra e bisogna stabilire dei premi per la vittoria, mentre quelle che non offrono tutto questo bisogna lasciarle perdere? Sarebbe meglio dire dal principio quali sono, e fissarle per legge. Non dobbiamo innanzitutto fissare quelle gare che riguardano la corsa e in genere la velocità? CLINIA: Dobbiamo fissarle. ATENIESE: L'agilità del corpo in genere, tanto dei piedi, quanto delle mani, è la qualità che più di tutte ha attinenza con la guerra: quella dei piedi serve per fuggire ed afferrare i nemici, mentre nella mischia la battaglia e lo scontro hanno bisogno di vigore fisico e di forza. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Nessuna delle due ha grande utilità se si è sprovvisti di armi. CLINIA: Come potrebbero averle? ATENIESE: In primo luogo il nostro araldo, secondo la consuetudine attuale, chiamerà in gara chi corre uno stadio, e questi entrerà in gara armato: non stabiliremo nessun premio per l'atleta che è sprovvisto delle armi. Per primo allora entrerà in gara colui che, armato, correrà lo stadio, per secondo quello che correrà il diaulo, terzo chi correrà la corsa a cavallo, quarto chi correrà la lunga corsa, quinto il corridore che, primo fra gli armati con armi pesanti, lasceremo partire perché percorra una distanza di sessanta stadi sino al tempio di Ares, ritornando indietro, e lo chiameremo “oplita”, proprio perché armato con l'armatura più pesante, ed effettuerà la sua gara percorrendo una strada più pianeggiante, un altro, infine, l'arciere, correrà, con tutta l'armatura propria dell'arciere, cento stadi sino al tempio di Apollo e di Artemide, superando nella gara le montagne e una gran varietà di regioni: e noi che abbiamo stabilito la gara li attenderemo finché non giungano al traguardo, e assegneremo il premio al vincitore di ogni gara. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Consideriamo queste gare divise in tre categorie, una per i bambini, un'altra per gli adolescenti, e un'altra ancora per gli uomini: per le gare degli adolescenti stabiliremo che la lunghezza della corsa sia di due terzi, per i bambini la metà di questi due terzi, sia che gareggino armati da opliti o da arcieri. Quanto alle donne, se sono bambine che non hanno ancora raggiunto la pubertà, stabiliremo che percorrano nude lo stadio, il diaulo, la corsa a cavallo, e la lunga corsa, gareggiando così nelle stesse corse, se hanno tredici anni devono continuare sino alle nozze, per un periodo di tempo che non vada oltre i vent'anni e non sia inferiore ai diciotto: e queste ultime dovranno gareggiare in tali corse con un armamento che sia loro adatto. Queste le norme circa le corse degli uomini e delle donne. Quanto alle gare di forza, invece della lotta e di altre simili gare, che oggi si considerano pesanti, si possono introdurre combattimenti armati, in cui si combatte uno contro uno, due contro due, sino a dieci avversari che combattono fra loro contro dieci avversari. Per definire che cosa si debba fare e che cosa non si debba subire, e quale sia il punteggio per vincere, così come attualmente nella lotta quelli che si occupano della lotta stessa hanno stabilito qual è l'attività del buon lottatore e quale quella di quello cattivo, allo stesso modo bisogna che, chiamando i migliori nel combattimento ad armi pesanti, ordiniamo a costoro di disporre insieme leggi per stabilire chi sia il legittimo vincitore di questi combattimenti, quali colpi deve infliggere o evitare, e così per chi perde, in base a quale ordinamento sia giudicato tale. Le stesse norme valgano anche per le donne sino all'età del matrimonio. Bisogna che al combattimento del pancrazio sia contrapposto l'arte del peltasta, e si gareggerà con archi, scudi leggeri, giavellotti, pietre scagliate a mano o con la fionda, e si stabiliranno leggi anche in tale ambito, e si debbono attribuire premi e vittorie a chi avrà osservato nel modo migliore tali norme. Dopo di che bisogna stabilire le norme relative ai concorsi ippici: noi non abbiamo un grande bisogno di molti cavalli, e non sono di grande utilità, data la conformazione fisica di Creta, sicché è inevitabile che anche l'interesse relativo al loro allevamento e alle gare che con essi si possono disputare sia minore. Qui da noi non c'è assolutamente nessuno che allevi cavalli da corsa, e nessuno nutre ragionevolmente questa ambizione, sicché non avrebbe senso e non parrebbe intelligente istituire simili gare, dato che non sono conformi all'usanza della regione: se stabilissimo invece gare per cavalli da sella - per puledri di prima dentizione, o per puledri adulti ma solo per metà, e per coloro che abbiano raggiunto la maturità - potremmo così fornire, in conformità con la natura della regione, il divertimento ippico che le spetta. Le gare e le contese di questi atleti abbiano luogo secondo la legge, e ai filarchi e agli ipparchi sia affidato in comune il giudizio di tutte queste corse e di tutti quelli che scendono in gara con le armi: non sarebbe invece opportuno stabilire per legge delle gare, né ginniche, né quelle dì cui ora stiamo parlando, per coloro che sono sprovvisti di armi. Gli arcieri a cavallo non sarebbero inutili a Creta, e neppure i lanciatori di dardi, sicché anche quelli abbiano le loro contese e le loro gare finalizzate al divertimento. Quanto alle donne, non si può costringerle a prendere parte a queste gare con la forza delle leggi e delle prescrizioni: ma se a causa della educazione ricevuta in precedenza esse vi si abituano, e la loro natura accetta tali gare e non è maldisposta, bambine e vergini non ancora sposate vi prendano parte, e non le si critichi. Per quanto riguarda le gare e la disciplina della ginnastica, quella relativa agli allenamenti nelle gare e quella che apprendiamo ogni giorno dai maestri di ginnastica, abbiamo ormai completato il discorso. Allo stesso modo, anche la parte relativa alla musica è già stata in buona misura trattata; mentre per quanto riguarda i rapsodi e quanti ad essi si accompagnano, e 1e gare dei cori che necessariamente si svolgono nelle feste, stabiliti i mesi, i giorni, gli anni dedicati agli dèi e alle altre divinità, si potranno allora ordinare, stabilendo che abbiano luogo ogni tre anni, oppure ogni cinque, e distribuendole a seconda dell'ordine che gli dèi intendano attribuire. Bisogna prevedere che in questi casi si terranno a turno anche le gare musicali, e saranno stabilite dai giudici di gara, dai sovrintendenti all'educazione dei giovani e dai custodi delle leggi, che si riuniranno insieme per decidere in proposito e diverranno legislatori, stabilendo quando, e chi, e con chi si terranno le competizioni relative a tutte le specie di coro e alla danza corale. Come debbano essere ciascuna di queste composizioni, secondo la parola, i canti, e le armonie combinati con i ritmi e le danze, è stato ripetuto più volte dal primo legislatore, e dunque i legislatori che verranno in un secondo tempo devono legiferare in conformità, e attribuiranno le gare convenienti a ciascun sacrificio nei tempi opportuni, assegnando allo stato le feste da celebrare. In ogni caso non è difficile sapere in che modo tutte queste cose ed altre simili ad esse devono assumere un ordine stabilito dalla legge, e neppure mutando qualcosa qua e là si potrebbe avere un grande vantaggio o un grande danno per lo stato: vi sono invece questioni che non hanno scarso rilievo, alle quali è difficile persuadere, e che dovrebbero essere soprattutto opera di un dio, se tali ordini provenissero mai da quello. Ora invece può darsi che occorra un uomo coraggioso, il quale, tenendo in particolar conto la libertà di parola, dirà quel che gli sembra meglio per lo stato e per i cittadini, ordinando ad anime corrotte ciò che conviene e si adatta al complesso della nostra costituzione, ed affermando il contrario di quel che suggeriscono i desideri più intensi, senza avere nessun uomo come aiutante, ma seguendo unicamente la sola ragione. CLINIA: Qual è il discorso che ora stiamo facendo, straniero? Non capiamo. ATENIESE: è naturale: ma cercherò di spiegarvelo più chiaramente. Non appena giunsi nel mio discorso alla questione riguardante l'educazione, vidi ragazzi e ragazze che si facevano reciprocamente manifestazioni d'affetto: e fui naturalmente colto dal timore, pensando che cosa si dovesse fare in uno stato simile in cui i giovani e le giovani sono bene allevati, liberi dalle fatiche più pesanti che attenuano il desiderio di eccessi, occupati tutti quanti, per tutta la vita, a fare sacrifici, feste, e cori. In che modo allora, in questo stato, si potrà stare lontani da quelle passioni che gettano la maggior parte delle persone in condizioni di estrema gravità, passioni da cui la ragione ordina di astenersi, se solo potesse diventare legge? E non c'è da stupirsi se le norme precedentemente stabilite tengono a freno la maggior parte di quelle passioni - il proibire infatti di arricchirsi eccessivamente costituisce un bene non piccolo per la temperanza; e tutto il complesso dell'educazione è stato ordinato secondo delle leggi che mirano a questi stessi scopi; ed inoltre l'occhio dei magistrati, obbligato a non guardare altrove, ma a controllare sempre e soprattutto i giovani, cerca di frenare, per quanto è umanamente possibile, le altre passioni -; ma come guardarsi dagli amori dei bambini, maschi e femmine, e da quelli delle donne che assumono il ruolo di uomini, o da quelli degli uomini che assumono il ruolo di donne, donde scaturisce tutta una serie di mali sia per gli uomini in privato, sia per gli stati interi? E quale farmaco, adatto in ciascuno di questi casi, si potrebbe trovare per sfuggire ad un simile rischio? Non è per nulla facile la questione, Clinia. E infatti, se tutta Creta e Sparta ci vengono non poco in aiuto in tutte le altre cose, quando fissiamo delle leggi che sono diverse dalle comuni consuetudini, intorno agli amori - diciamolo con franchezza dato che siamo fra di noi - ci sono assolutamente contrarie. Se qualcuno allora, conformandosi alla natura, ristabilisse la legge in vigore prima di Laio, affermando che è giusto che i maschi non si uniscano con i maschi o con i ragazzi, come se fossero donne, nell'unione sessuale, e chiamasse a testimone la naturale inclinazione degli animali, dimostrando a tal proposito che nessun maschio ha relazioni con un altro maschio perché questo è contro natura, ricorrerebbe forse a un'argomentazione persuasiva, ma in totale disaccordo con i vostri stati. Inoltre, proprio quel fatto su cui diciamo che il legislatore deve riporre la massima attenzione, non si accorda con questa materia. Noi infatti cerchiamo sempre quale, fra le leggi stabilite, conduce alla virtù e quale no: coraggio, allora, se fossimo d'accordo nel stabilire per legge che le consuetudini attuali sono buone o, in ogni caso, nient'affatto vergognose, quale contributo potrebbero darci per incrementare la virtù? Forse esse susciteranno nell'anima di chi viene persuaso l'inclinazione al coraggio, o in quella di chi persuade il genere della temperanza? O nessuno dovrebbe mai lasciarsi persuadere da queste cose, facendo, piuttosto, tutto il contrario? E non biasimerà ognuno la mollezza di chi cede ai piaceri e non è in grado di resistervi? E non criticherà quell'uomo che imita la donna e cerca di farsi simile ad essa? Chi fra gli uomini stabilirà per legge questo costume di vita? Nessuno, credo, se ha in mente che cos'è la vera legge. Ma come possiamo dire che quello che diciamo è vero? In effetti è necessario osservare qual è la natura dell'amicizia, della passione, e dei cosiddetti amori, se si vogliono comprendere rettamente tali questioni: due sono le specie di questi stati d'animo, e da queste due specie scaturisce un'altra terza specie, ma poiché vi è un solo nome che tutte le comprende, nascono difficoltà di ogni genere che rendono oscura l'intera materia. CLINIA: E come è possibile? ATENIESE: Noi diciamo che il simile ama il suo simile, riguardo ad una qualche virtù, e l'uguale il suo uguale, ma diciamo anche che l'indigenza ama la ricchezza, che è di genere opposto: ora quando l'una o l'altra di queste inclinazioni si fanno intense, diamo il nome di amore. CLINIA: Giusto. ATENIESE: L'attrazione che scaturisce dai contrari è terribile e selvaggia, e spesso non trova in noi rispondenza, mentre quella che scaturisce dai simili è dolce e trova tutta la vita rispondenza: quella che nasce dalla combinazione delle due innanzitutto non è da intendersi, né è facile comprendere che cosa vuole che accada chi ha in sé questa terza specie d'amore; e poi si è perplessi, perché uno è trascinato in opposte direzioni, e uno stato d'animo lo incita a cogliere la stagione della giovinezza, e l'altro glielo vieta. Chi infatti ama il corpo, e ha fame della giovinezza come di un frutto maturo, incita se stesso a saziarsene, e non attribuisce alcun onore alla disposizione dell'anima della persona amata: chi invece assegna un valore secondario al desiderio del corpo, osservandolo piuttosto che amandolo, mentre la sua anima concupisce un'altra anima, ritiene oltraggioso che un corpo voglia saziarsi di un altro corpo, e rispettando e venerando la temperanza, il coraggio, la nobiltà d'animo, l'intelligenza, vorrebbe sempre vivere castamente insieme al casto oggetto del suo desiderio. Questa è la terza specie d'amore che risulta dalla mescolanza di quelle due, e che ora abbiamo trattato per terza. E se tale è la natura di queste tre specie d'amore, forse bisogna che la legge le impedisca tutte e tre, vietando che nascano in noi, o non è chiaro che vorremmo che nel nostro stato vi fosse l'amore per la virtù, quell'amore che desidera che il giovane diventi il migliore, mentre impediremmo, nei limiti del possibile, gli altri due? Come dobbiamo parlare, caro Megillo? MEGILLO: Quello che hai detto ora intorno a queste cose è assolutamente giusto, straniero. ATENIESE: Dunque, a quanto pare, sei d'accordo con me, amico, e del resto lo pensavo: non ho bisogno di esaminare che cosa la vostra legge pensi a tal proposito, ma mi è sufficiente accettare il fatto che tu in questo discorso sia d'accordo con me. Dopo di che, più avanti, cercherò di persuadere anche Clinia, incantandolo. Questa è dunque una concessione che fate a me, ma ora torniamo a dare completa esposizione delle leggi. MEGILLO: Giustissimo. ATENIESE: Dovendo stabilire questa legge, posseggo in questo momento un'arte, per certi versi facile, ma che, in un certo senso, è in assoluto la più difficile. MEGILLO: Come dici? ATENIESE: Noi sappiamo che anche ora la maggior parte degli uomini, benché viva illegalmente, evita a proposito e diligentemente le relazioni intime con le belle persone, e non lo fa involontariamente, ma il più possibile di sua spontanea volontà. MEGILLO: E quando? ATENIESE: Quando un tale abbia ad esempio un bel fratello o una bella sorella. E allo stesso modo la stessa legge non scritta che riguarda il figlio e la figlia osserva in modo assai conveniente che non ci si corichi con loro, né apertamente, né di nascosto, o che non si abbiano contatti con costoro per un affetto inteso diversamente da come lo si dovrebbe intendere: e in ogni caso non si insinua affatto nella maggior parte delle persone il desiderio di simili relazioni. MEGILLO: Vero. ATENIESE: Dunque un piccolo discorso spegne tutti i piaceri come questi? MEGILLO: Quale discorso? ATENIESE: Affermare cioè che queste sono azioni assolutamente empie, odiose alla divinità, e le più turpi fra tutte le azioni vergognose. E non è forse questo il motivo, cioè che a tal proposito tutti dicono la stessa cosa, e ciascuno di noi come nasce sente sempre e ovunque raccontare le stesse cose, tanto nella commedia destinata a suscitare riso, quanto in ogni rappresentazione seria che viene detta “tragedia”, quando vengono introdotti in scena i Tieste, gli Edipi, o i Macarei, inconsapevoli amanti delle loro sorelle, che, avendo visto la verità dei fatti, infliggono prontamente a se stessi la morte come castigo della loro colpa? MEGILLO: Quel che dici è giustissimo, vale a dire che questa fama tramandata ha un'incredibile potenza, se nessuno emette in alcun modo neppure un soffio che sia contrario alla legge. ATENIESE: è dunque giusto ciò che si diceva un momento fa, e cioè che il legislatore che vuole assoggettare quella passione che rende particolarmente schiavi gli uomini può vedere facilmente come trattarla: rendendo sacra presso tutti questa tradizione, allo stesso modo presso gli schiavi e i liberi, i fanciulli e le donne, e così presso tutta la città, darà solidità a questa legge. MEGILLO: Certamente. Ma come sarà possibile far sì che tutti sostengano volentieri una cosa di questo genere? ATENIESE: Giusta osservazione: e proprio questo ho detto prima, e cioè che ero in grado di possedere un'arte in vista di questa legge che regola secondo natura le unioni carnali finalizzate alla procreazione, evitando che ci si astenga dall'unione fra maschi, in modo che non si elimini premeditatamente il genere umano disperdendo il seme sulle pietre e sui sassi, dove mai il seme potrà mettere le sue radici e trovare una natura feconda, e lo si possa tenere lontano da ogni grembo di donna nel quale tu non vorresti che nascesse. Se questa legge avrà durata e potere, così come ora ha potere sulle unioni carnali con i genitori, se giustamente vincerà anche nelle altre unioni illecite, allora determinerà una serie infinita di beni. Prima di tutto si fonda sulla natura, e, quindi, fa in modo di tenere lontani gli uomini dal furore e dalla follia erotica, da tutti gli adulteri, da tutti gli eccessi nel bere e nel mangiare, e li rende affettuosi verso le loro mogli: ma molti altri beni potrebbero nascere, se si riuscirà ad essere padroni di questa legge. Forse potrebbe comparire dinanzi a noi un uomo energico e giovane, pieno di molto sperma, e ascoltando la legge che abbiamo stabilito ci insulterà aspramente come se avessimo stabilito delle norme sciocche e impossibili, e urlerà dappertutto: in considerazione di queste cose io feci quel discorso, e cioè che possedevo un'arte, da un lato la più facile di tutte, e dall'altro la più difficile, che controllasse che questa legge, una volta stabilita, durasse nel tempo. è infatti assai facile comprendere quale legge è possibile applicare, e come - diciamo infatti che se questa norma verrà adeguatamente consacrata renderà schiava ogni anima e farà in modo che con senso di timore obbediscano alle leggi stabilite -, ma ora siamo giunti ad un punto che sembra che ciò non possa verificarsi, così come non si crede possibile che uno stato intero trascorra tutta la vita praticando la consuetudine dei pasti in comune. Ma i fatti provano che anche presso di voi avviene così, benché neppure nei vostri stati viene ritenuto conforme a natura il fatto che Le donne vi prendano parte. Per questa ragione, allora, e cioè per la forza dell'incredulità, ho detto che era assai difficile stabilire per legge queste due consuetudini. MEGILLO: Quello che tu dici è giusto. ATENIESE: Volete che io faccia il tentativo di dirvi un certo discorso, che ha in sé un certo grado di persuasione, dicendo qualcosa che non è al di sopra delle umane possibilità, ma può avvenire? CLINIA: Come no? ATENIESE: Si asterrà più facilmente dai piaceri d'amore e si conformerà volentieri e in modo conveniente alla norma stabilita intorno a questa materia chi ha un bel corpo e non trascura di esercitarlo, oppure chi ha un corpo debole? CLINIA: Molto dì più chi non trascura di esercitare il proprio corpo. ATENIESE: E non abbiamo mai sentito parlare del Tarantino Icco a proposito della gara olimpica e di altre competizioni? Per l'ambizione di vincere queste gare, possedendo tanto l'arte quanto il coraggio, insieme alla temperanza, nel suo animo, secondo quanto si racconta, non toccò mai donna o bambino in tutto quel periodo in cui l'allenamento era più intenso: e lo stesso discorso vale per Crisone, Astio, Diopompo, e molti altri. Eppure erano educati, per quanto riguarda le anime, in maniera di gran lunga peggiore rispetto ai miei e ai tuoi concittadini, Clinia, mentre pieni di vigore erano i loro corpi. CLINIA: Quello che dici è vero. Anche gli antichi sostengono con forza, parlando di questi atleti, che allora le cose avvennero effettivamente così. ATENIESE: Ebbene? Costoro per conseguire una vittoria nella lotta, nelle corse, e in altre gare del genere ebbero il coraggio di astenersi da quella pratica che molti definiscono felice, mentre i nostri figli non riusciranno a resistere in vista di una vittoria molto più nobile, vittoria di cui noi parleremo loro sin da bambini nei miti, e nei racconti, e nei canti, come della più bella che si possa conseguire, e della quale, incantandoli, li affascineremo? CLINIA: Di quale vittoria parli? ATENIESE: Della vittoria sui piaceri, per cui, se si riesce a dominarli, si vive felici, mentre se si è dominati, accade tutto il contrario. Ed inoltre la paura di compiere qualcosa che non sia affatto lecito non avrà, secondo noi, una forza tale che li farà dominare su quelle passioni sulle quali altri, inferiori a loro, hanno dominato? CLINIA: è naturale. ATENIESE: Poiché siamo giunti a questo punto parlando di questa legge, e siamo caduti in difficoltà a causa della malvagità dei molti, io dico che la nostra legge deve assolutamente procedere, dicendo, riguardo a queste stesse questioni, che i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di molti altri animali, i quali, generati in grandi frotte, sino all'età della procreazione, non ancora accoppiati, vivono casti e puri, e quando giungono all'età giusta, il maschio si accoppia con la femmina che più gli è gradita, e la femmina con il maschio, e vivono tutto il resto del tempo nella santità e nel rispetto della giustizia, mantenendo stabili i primi accordi del loro amore: bisogna che i nostri cittadini siano appunto migliori delle bestie. E se si lasciano corrompere dagli altri Greci e dalla maggior parte dei barbari, vedendo e anche sentendo dire che quell'Afrodite che è detta priva di ordine ha grande potere presso di loro, e così quelli non siano più capaci di dominarsi, bisogna che i custodi delle leggi, diventando legislatori, cerchino di escogitare una seconda legge. CLINIA: Quale legge hai deciso di stabilire per loro, se la legge che ora è stabilita sfugge loro di mano? ATENIESE: è chiaro che è quella che viene per seconda, subito dopo questa, Clinia. CLINIA: Di quale parli? ATENIESE: Parlo di una legge che renda quanto più è possibile senza allenamento la forza dei piaceri, volgendo in altre parti del corpo, attraverso le fatiche, l'afflusso e il nutrimento di quella forza. Questo potrebbe avvenire, se nel comportamento riguardante i piaceri sessuali non vi fosse una totale mancanza di pudore: se per vergogna, infatti, quelli facessero scarso uso dei piaceri sessuali, anche la padrona che hanno in sé risulterà indebolita. Ritengano dunque nobile compiere tali pratiche di nascosto, e questa consuetudine, considerata come usanza e legge non scritta, diventi legge, mentre sia turpe il non nascondersi, ma non il non agire affatto in tal modo. E così questo comportamento vergognoso e nobile sia stabilito nella nostra legge secondariamente, avendo un valore di secondaria importanza, e comprendendo in tre generi quell'unico genere formato da quelli che sono corrotti nella loro natura, e che diciamo che sono inferiori a se stessi, li si costringerà a non andare contro la legge. CLINIA: Quali sono questi generi. ATENIESE: La pietà verso gli dèi, l'amore per gli onori, e il desiderio non di bei corpi, ma delle nobili indoli dell'anima. Queste cose che abbiamo detto come in un mito sono delle preghiere che, se si realizzassero, rappresenterebbero un gran bene per tutti gli stati. Forse, se il dio vorrà, riusciremo con la forza ad ottenere l'una o l'altra di queste due condizioni riguardo ai piaceri d'amore: o che nessuno abbia il coraggio di toccare nessun cittadino libero e legittimo che non sia, per il marito, la sua sposa, e che nessuno sparga semi illegittimi e bastardi su concubine, o, essendo sterile, sui maschi, andando contro natura; oppure che si eliminino del tutto le relazioni intime fra maschi, e riguardo alle donne, se qualcuno avrà relazioni intime con qualcuna che non sia entrata in casa sua con l'auspicio degli dèi e con le sacre nozze, sia essa comprata o sia stata acquistata in qualche modo, e questo fatto non sia nascosto a nessuno, uomini e donne, risultino da noi fissate correttamente, a quanto pare, le leggi, se stabiliamo la norma per cui egli sia privato dei diritti civili, come fosse realmente uno straniero. Questa legge, sia che si debba dire che è una, o anche che sono due, sia stabilita a proposito dei piaceri sessuali e di tutti i piaceri d'amore in genere che, mossi da questi desideri, fanno in modo che noi intrecciamo delle relazioni, comportandoci più o meno rettamente. MEGILLO: Per quanto mi riguarda, straniero, accetto molto volentieri questa legge, e lo stesso Clinia esprima il suo parere in merito. CLINIA: Questo avverrà, Megillo, quando mi sembrerà che sia giunta l'occasione propizia: ma ora lasciamo che lo straniero proceda ancora nella sua esposizione delle leggi. MEGILLO: Giusto. ATENIESE: E ora procedendo innanzi siamo ormai giunti all'istituzione dei pasti in comune - e abbiamo detto che altrove tale consuetudine è difficile da realizzare, mentre a Creta nessuno penserebbe di dover fare diversamente -: quanto alle modalità con cui devono avvenire, se come in questo luogo, o come a Sparta, o se vi è una terza specie di pasti in comune che sia diversa e migliore di queste due, questo non mi sembra difficile da scoprire, anche se non penso che, una volta scoperta, possa determinare grandi vantaggi, dato che anche adesso essi hanno una buona organizzazione. Ai pasti in comune segue l'organizzazione pratica della vita, e il modo in cui essa debba conformarsi a quelli. La vita negli altri stati è organizzata nei modi più diversi e le rendite provengono da molte parti, e anzi, sono doppie rispetto a quelle di questo stato: il nutrimento viene fornito alla maggior parte dei Greci dalla terra e dal mare, mentre ai nostri cittadini viene solo dalla terra. Questo fatto rappresenta una facilitazione per il legislatore: basteranno infatti non soltanto la metà delle leggi, ma molte di meno, e solo quelle che si adattano agli uomini liberi. Dunque il legislatore si libera dalle leggi che riguardano armatori, commercianti all'ingrosso e al minuto, albergatori, riscossori di imposte, minatori, e quanti fanno prestiti e cercano di realizzare interessi su interessi, e da altre leggi che riguardano molte altre questioni come queste, dicendo loro addio, mentre fisserà leggi per gli agricoltori, per i pastori, per gli apicultori, per coloro che custodiscono i loro prodotti, e per quanti fabbricano i loro strumenti di lavoro, avendo già del resto stabilito leggi sulle questioni più importanti, ovvero sulle nozze, e sulla generazione e sull'allevamento dei figli, e ancora sulla loro educazione, e sull'istituzione delle magistrature nello stato: ora sarebbe dunque necessario che il legislatore si volgesse a legiferare per quelli che procurano il nutrimento e per i loro aiutanti. Vi siano in primo luogo le leggi che prendono il nome di “agrarie”. Prima legge sia quella dì Zeus, dio dei confini, e reciti così: nessuno rimuova i confini della terra, né se è di un vicino che è suo concittadino, né se è di uno straniero di uno stato confinante, nel caso in cui abbia acquistato un terreno ai confini dello stato, pensando che questo vorrebbe dire muovere veramente ciò che non si può muovere. Chiunque preferisca tentare di muovere la pietra più grande, ma che non costituisca un confine, piuttosto che una piccola pietruzza che delimita l'inimicizia e l'ostilità stabilita dai giuramenti degli dèi: e dell'uno è testimone Zeus protettore di chi è della stessa tribù, dell'altro Zeus protettore degli stranieri, i quali si risvegliano con le guerre più feroci. E chi obbedirà alla legge non subirà alcun male proveniente da essa, ma chi la disprezza sarà sottoposto a doppia punizione, una derivante dagli dèi, ed è la prima, e la seconda dalla legge. Nessuno allora rimuova volontariamente i confini della terra dei suoi vicini: e se qualcuno invece li rimuove, chiunque lo voglia, lo segnali agli agricoltori, e quelli lo conducano in tribunale. Se in questa causa viene riconosciuto colpevole di invalidare la suddivisione delle terre con la frode e la violenza, il tribunale decida quale multa o pena egli deve pagare. Vi sono poi molti e piccoli torti che avvengono fra vicini, ma che a causa della loro frequenza determinano una mole considerevole di inimicizia e rendono assai molesta la vicinanza. Perciò bisogna che il vicino eviti nel modo più assoluto di fare qualcosa di spiacevole al vicino, evitando sempre in modo particolare, fra il resto, di non coltivare il campo altrui: danneggiare infatti non è affatto cosa difficile da fare, ed anzi ogni uomo è capace, mentre il recare vantaggio non è affatto semplice per nessuno. Chi allora, superando i confini, lavora nel campo del vicino, paghi il danno, e per rimediare alla sua impudenza e alla sua illiberalità, paghi al danneggiato il doppio del danno: di questi e di tutti gli altri delitti di questo genere siano arbitri, giudici, ed estimatori dell'entità della pena gli agronomi; per quelli più gravi, come si diceva in precedenza, il giudizio spetti all'intero ordine di ciascuna delle dodici parti, per i meno gravi ai frurarchi. E se qualcuno fa pascolare sul terreno di un altro il suo bestiame, constatando l'entità del danno, essi giudichino e stabiliscano la pena. E se qualcuno si appropria degli sciami d'api di un altro, e, adattandosi a quello che le api avvertono come un piacere, produce un rumore metallico e così se le porta a casa, paghi il danno. E se un tale bruciando il bosco non ha riguardi per i beni del vicino, sia punito in base alla multa decisa dai magistrati. E se uno piantando delle piante non rispetti le misure di distanza dai terreni del vicino, subisca quelle pene che sono già state formulate adeguatamente da molti legislatori, legislatori di cui si possono utilizzare le leggi, e non è affatto necessario che il più importante ordinatore dello stato venga a legiferare su tutte le numerose questioni di scarso interesse, che possono essere benissimo di competenza di un qualsiasi legislatore: poiché infatti anche per quanto riguarda le acque sono stabilite delle antiche e belle leggi che interessano gli agricoltori, non è il caso di farle scorrere nei nostri discorsi. Ma chi vuole condurre l'acqua nel suo terreno, la conduca pure facendola derivare dalle pubbliche fontane, e senza intercettare le fonti che appartengono chiaramente ad un privato; conduca allora l'acqua per dove vuole, ma non attraverso case, luoghi sacri, e monumenti, limitando i danni alla sola costruzione del canale. Se un'aridità connaturata a certi luoghi, per le caratteristiche specifiche della terra, trattiene l'acqua piovana, e viene così a mancare l'acqua potabile necessaria, si faccia uno scavo nel proprio terreno sino a trovare l'argilla, e se a questa profondità in alcun modo si incontra l'acqua, la si attinga dai vicini, sino a giungere alla quantità necessaria d'acqua per ciascun familiare. E se anche i vicini dispongono di una quantità limitata entro precisi termini, gli agronomi stabiliscano la quantità d'acqua, in modo che ogni giorno ciascuno si porti via quanto gli spetta, e in tal modo si prenda parte con i vicini dell'acqua. E se quando piove, un contadino, stando più in basso, reca danno a chi sta più in alto o anche a chi gli è attiguo, non lasciando che l'acqua defluisca, o, al contrario, chi sta in alto danneggia chi sta in basso lasciando che i corsi d'acqua scorrano a caso, e su tali cose non ci si voglia mettere d'accordo vicendevolmente, chiunque lo voglia chiami in città l'astinomo, in campagna l'agronomo, e si stabilisca che cosa bisogna fare per l'una e per l'altra parte in causa. E chi non si sottomette alla decisione sia denunciato come persona invidiosa e malevola, e l'accusato paghi il doppio del danno alla parte lesa, poiché non ha voluto obbedire ai magistrati. Bisogna che tutti partecipino della stagione dei frutti maturi nel modo che segue. La dea di questa stagione ci offre due graditi doni: uno è costituito dal divertimento dionisiaco, che non può essere custodito, l'altro per natura nasce per essere riposto. E questa sia la legge riguardante i frutti autunnali: chi degusti frutta selvatica, uva o fichi, prima che sia giunta la stagione della raccolta che si accompagna al sorgere della stella di Arturo, sia che si trovi nel suo terreno, sia che si trovi in quello altrui, paghi a Dionisio cinquanta dracme se ha colto i frutti dal suo campo, una dracma se ha colto da quello dei vicini, e due parti di mina, se da altri ancora. Chi vuole cogliere l'uva che ora si dice pregiata o i fichi pregiati, e li coglie nel suo terreno, li colga come e quando vuole, se li coglie da altri senza autorizzazione, sia punito in conformità alla legge secondo cui non si deve toccare ciò che non è stato deposto: se uno schiavo, senza l'autorizzazione del padrone tocca questi prodotti della terra, sia frustato con un numero di colpi pari agli acini d'uva e ai fichi che ha preso. Lo straniero immigrato colga, se vuole, la frutta pregiata, ma deve pagarla, e se lo straniero di passaggio ha desiderio, strada facendo, di mangiare frutta, prenda quella pregiata, se vuole, insieme ad uno che lo accompagni, senza pagarla e ricevendola come dono ospitale, ma la legge vieti qui da noi agli stranieri di prendere parte della frutta selvatica e di prodotti simili: e se lo straniero o uno schiavo, ignorando tale disposizione, tocca questa frutta, lo schiavo sia punito con la verga, mentre il libero sia spedito via dopo che lo si è ammonito e gli si è insegnato di cogliere l'altra frutta che non è adatta ad essere conservata per farne uva passa, vino, e fichi secchi. Non sia ritenuto vergognoso cogliere di nascosto pere, mele, melagrane e tutti gli altri frutti del genere, ma chi viene colto e abbia meno di trent'anni, sia battuto e allontanato senza ferite, e anche ad un uomo libero non sia affatto consentito ricorrere alla giustizia per tali percosse. Allo straniero sia consentito di prendere parte di questi prodotti così come si è visto per i frutti maturi: se un cittadino più vecchio di trent'anni tocca questa frutta, e se la mangia sul posto senza portarsela via, prenda parte di questi frutti come lo straniero; ma se non obbedisce alla legge, corra allora il rischio di non partecipare alle competizioni per la virtù, nel caso in cui si ricordino ai giudici della gara i precedenti che lo riguardano. L'acqua è assai indicata per nutrire gli orti, ma si inquina facilmente: né la terra, né il sole, né i venti, che con l'acqua concorrono al nutrimento dei vegetali che crescono dalla terra, si possono facilmente inquinare con i veleni, o deviare, o rubare, mentre per quanto riguarda la natura dell'acqua, è possibile che avvenga tutto questo; ecco perché essa ha bisogno dell'aiuto della legge. Questa sia dunque la legge sull'acqua: se uno inquina volontariamente con veleni l'acqua di un altro, sia di fonte o anche raccolta, o con scavi la devia e la ruba, il danneggiato lo denunci agli astinomi, mettendo per iscritto la stima del danno. E se quel tale risulti colpevole di aver danneggiato con dei veleni, oltre alla multa purifichi la fonte o la riserva d'acqua, a seconda delle modalità indicate dalle norme degli interpreti delle leggi secondo le quali deve ogni volta avvenire la purificazione per ciascuno. Per quanto riguarda il trasporto di tutti i prodotti agricoli, sia consentito a chi vuole di trasportare i propri prodotti in ogni luogo, facendo però in modo da non danneggiare nessuno in alcun modo, o che il suo guadagno sia triplo rispetto al danno arrecato al vicino: arbitri di tali questioni siano i magistrati, e così di tutti gli altri danni che vengono volontariamente arrecati, con la violenza o con la frode, a chi non vuole subirli - alla persona e al suo patrimonio - nell'uso dei propri beni; in tutti questi casi la parte lesa segnali la situazione ai magistrati e sporga denuncia, per ottenere la punizione della controparte, se il danno non supera le tre mine. Se uno accusa un altro di aver subito un danno maggiore, portando la causa dinanzi ai pubblici tribunali, si punisca chi ha arrecato l'offesa. E se uno dei magistrati sembra giudicare il danno con un'ingiusta sentenza, sia condannato a pagare il doppio alla parte lesa: e a proposito delle ingiustizie dei magistrati, chiunque lo voglia denunci ogni singola ingiustizia dinanzi ai pubblici tribunali. E poiché vi sono tutta una serie di piccole norme che stabiliscono come devono avvenire le punizioni, e riguardano le querele, l'istituzione dei processi, le citazioni in giudizio, la convocazione dei testimoni, se bisogna convocarne due o quanti, e tutte le altre questioni di questo genere, esse non possono non essere disciplinate dalla legge, e non sono neppure degne di un legislatore anziano. Sono dunque i giovani che devono regolare questa materia con delle leggi imitando la normativa dei precedenti legislatori, le norme piccole ad imitazione delle grandi, e devono ricorrere all'esperienza che gli deriva dalla pratica necessaria con tali cose, finché tutto non risulti essere adeguatamente disposto: allora le renderanno immobili, e finché vivono si serviranno di esse che risponderanno finalmente a dei criteri ben precisi. Quanto agli artigiani, conviene comportarsi così. In primo luogo nessuno indigeno, o nessun servo di uomo indigeno, si accosti alle attività degli artigiani. Il cittadino infatti è già sufficientemente impegnato in un'attività che richiede molto esercizio e molto studio, al fine di salvaguardare e mantenere l'ordine nello stato, ed è un'impresa che non richiede un impegno marginale: nessuna natura umana può coltivare con sufficiente precisione due occupazioni o due professioni, e non è in grado di esercitarsi in una di queste, e di controllare che un altro si eserciti nell'altra. Questa condizione deve innanzitutto realizzarsi nel nostro stato: nessun fabbro eserciti il mestiere di falegname, e a sua volta nessun falegname si prenda cura degli altri fabbri più che del suo mestiere, con il pretesto secondo cui, dovendo occuparsi di molti servi che lavorano per lui, sarà naturalmente più impegnato nel seguire costoro, dato che guadagnerà di più facendo in quel modo che occupandosi della propria arte; mentre nello stato ciascuno abbia un solo mestiere e tragga da quello il necessario per vivere. Sarà cura degli astinomi salvaguardare questa legge, e l'indigeno, se ripiega verso un certo mestiere piuttosto che verso la cura della virtù sia punito con pubblici biasimi e privazioni di diritti, finché non lo abbiano ricondotto sulla retta strada; e se uno straniero esercita due mestieri, lo puniscano con carcere, con multe, con l'espulsione dallo stato, costringendolo ad essere un solo uomo, e non molti. Per quanto riguarda il loro pagamento e i lavori che si incaricano di compiere, se qualcuno commetta ingiustizia nei loro confronti, o siano essi stessi che la compiono nei confronti di qualcun altro, sino a cinquanta dracme giudichino gli astinomi, oltre a questa somma siano i pubblici tribunali a giudicare secondo la legge. Nessuno paghi alcuna tassa nello stato né per i beni esportati, né per quelli importati: per quanto riguarda l'incenso e tutti i profumi stranieri, simili a quello, che si usano nei sacrifici agli dèi, e per quanto riguarda la porpora e tutte le tinture che non sono prodotte nella regione, o qualsiasi altra materia prima di cui si richieda l'importazione per una qualche arte, se non vi è reale necessità, non li si dovranno importare, né si esporti ciò che necessariamente deve rimanere nello stato: arbitri e sovrintendenti di tutte queste questioni siano, con l'eccezione dei cinque anziani, i dodici custodi delle leggi che seguono per età. Per quanto riguarda le armi e tutti gli strumenti che servono per la guerra, se c'è bisogno di importare o una qualche arte, o una pianta, o metalli, o una lega, o animali, proprio per quest'uso, gli ipparchi e gli strateghi siano i responsabili dell'importazione e dell'esportazione di queste cose, come se fosse lo stato a dare e a ricevere, mentre i custodi delle leggi fisseranno delle leggi convenienti ed adeguate alla materia: e in ogni caso non si faccia commercio al minuto di queste cose né di nient'altro, a scopo di lucro, sia in tutta la regione, sia nella nostra città. Circa l'alimentazione e la distribuzione dei prodotti della regione, mi pare che sarebbe giusto aderire in un certo senso alla legge cretese. Bisogna dividere tutti i prodotti della regione in dodici parti, e bisogna consumarli così: ogni dodicesima parte - ad esempio di frumento o d'orzo, e di tutti gli altri prodotti che ad essi si accompagnano e che devono essere distribuiti, e così di tutti gli animali da vendere che sono nei singoli luoghi - sia suddivisa in tre parti, secondo una proporzione, e cioè una parte per i liberi, una per i loro servi; la terza per gli artigiani e per gli stranieri in genere, sia quelli che, venuti ad abitare stabilmente da noi hanno bisogno del nutrimento necessario, sia quelli che ogni volta giungono per trattare un qualche affare con lo stato o con un privato. Di tutti questi generi di prima necessità, questa terza parte, una volta distribuita, è l'unica che si dovrà obbligatoriamente vendere, mentre non vi sia alcun obbligo di vendere le altre due parti. Ma come si potranno vendere nel modo più giusto queste cose? Prima di tutto è chiaro che per certi versi si dividerà in parti uguali, mentre per certi altri disuguali. CLINIA: Come dici? ATENIESE: è inevitabile che la terra faccia nascere e nutra ciascuno di questi prodotti, in modo peggiore o migliore. CLINIA: Come no? ATENIESE: Sotto questo aspetto nessuna delle parti, che sono tre, abbia nulla in più, né quella assegnata ai padroni o ai servi, né quella degli stranieri, ma la distribuzione assegni a tutti una parte che risponda a criteri di uguaglianza: una volta che ciascuno dei cittadini abbia ricevuto le due parti, abbia facoltà di distribuirle a schiavi e liberi, quanto e come vuole. Quel che avanza bisogna distribuirlo così, secondo le misure e il numero: calcolato il numero di tutti gli animali che necessitano del nutrimento che proviene dalla terra, si divida in base a quel numero. Dopo di che bisogna che le case di queste persone siano disposte separatamente: questo è l'ordine che si adatta a tali cose. Bisogna che vi siano dodici villaggi, ciascuno al centro di ognuna delle dodici parti dello stato; in ciascun villaggio si scelga innanzitutto il luogo per i templi e per la piazza, luoghi sacri agli dèi e ai demoni che seguono gli dèi, sia che siano divinità locali dei Magneti, sia che siano costruzioni sacre di antiche divinità di cui si sia conservata memoria, cui si dovranno rendere gli onori già loro tributati dagli antenati; e ovunque sorgano costruzioni sacre in onore di Estia, Zeus, Atena, e a qualsiasi altra divinità che sia a capo di ciascuna delle dodici parti. I primi edifici costruiti siano situati intorno a queste costruzioni sacre, dove il luogo sia più elevato, e servano da ricovero fortificato per le guardie, ed esso sia il più possibile munito: il resto della regione sia tutto quanto fornito di artigiani divisi in tredici gruppi, e uno di questi gruppi si stabilisca in città, diviso anche questo a sua volta nelle dodici parti della città intera; ed essi siano distribuiti all'esterno e circolarmente; in ciascun villaggio avranno sede quelle categorie di artigiani che sono utili ai contadini. Responsabili di tutta questa gente siano i capi degli agronomi che decideranno di quanti e di quali artigiani ciascun luogo ha bisogno, e dove andando ad abitare procureranno i minori fastidi e il vantaggio più grande ai contadini. Allo stesso modo saranno gli astinomi che si prenderanno cura degli artigiani che risiedono in città. Gli agoranomi devono occuparsi di ogni cosa che riguarda l'agorà. Dopo aver controllato che nessuno rechi danno ai templi che sono presso l'agorà, si prendano cura in secondo luogo delle relazioni fra gli uomini, vigilando sulla temperanza e sull'insolenza, e punendo secondo il necessario. Quanto alle cose che sono messe in vendita, e soprattutto riguardo a ciò che i cittadini devono vendere agli stranieri, controllino in primo luogo se tutto avviene secondo la legge. Ed ecco la legge per ogni caso: il primo giorno del mese gli incaricati, gli stranieri per i cittadini o anche gli schiavi, portino al mercato quella parte di derrate che devono essere vendute agli stranieri, prima di tutto la dodicesima parte del grano, e gli stranieri in quel primo giorno facciano provvista di frumento e delle altre granaglie per tutto il mese; il decimo giorno del mese gli uni vendano e gli altri acquistino i liquidi, che siano in quantità sufficiente per tutto il mese. Il ventitreesimo giorno avvenga la vendita degli animali: si dovranno vendere e comprare a seconda delle esigenze di ciascuno, e si effettuerà la vendita agli agricoltori di tutti gli utensili e di tutti i beni, come ad esempio pelli e vestiti di ogni genere, tessuti, feltri, e altre cose simili che gli stranieri sono necessariamente costretti a comprare da altri. Per quanto riguarda il commercio al minuto di queste cose, dell'orzo o delle farine, o anche per tutto il resto del nutrimento, non si deve vendere ai cittadini e ai loro schiavi, e non si deve comperare da questa gente; mentre lo straniero, all'interno dei mercati riservati agli stranieri, possa vendere agli artigiani e ai loro schiavi, scambiando vino e grano e vendendoli, ed è appunto questa operazione che i più definiscono “commercio al minuto”. I macellai, tagliata a pezzi la carne degli animali, la vendano agli stranieri, agli artigiani, e ai loro servi. Lo straniero che lo voglia potrà comprare ogni giorno all'ingrosso tutta la legna da ardere da coloro che localmente sono incaricati della vendita di tale merce, e potrà rivenderla agli stranieri, quanta e quando vuole. Quanto a tutti gli altri beni ed utensili che possono essere necessari a ciascuno, si vendano portandoli al mercato comune e sistemando ogni cosa nel luogo dove i custodi delle leggi e gli agoranomi, insieme agli astinomi, avranno indicato come la sede adatta; quindi si stabiliranno i confini del luogo dove la merce viene venduta, e all'interno di tali confini si possono scambiare danaro con merci e merci con danaro, purché uno non faccia credito all'altro: chi, fidandosi, fa credito, che sia pagato o no, si rassegni pure perché non si può intentare alcuna azione giudiziaria per dei contratti simili. Per quanto riguarda la merce comprata o venduta in quantità maggiore o ad un prezzo più alto di quello consentito dalla legge, poiché la legge ha già stabilito quali sono i due parametri al di sotto o al di sopra dei quali non si devono effettuare queste due operazioni, presso i custodi delle leggi sia annotata l'eccedenza, mentre sia cancellata la differenza. Le stesse norme siano valide anche per gli stranieri per quel che riguarda l'iscrizione del patrimonio. Chiunque lo voglia può venire ad abitare nel nostro stato, ma a determinate condizioni: la residenza viene concessa a quegli stranieri che vogliono e possono venire ad abitare, purché abbiano un mestiere e rimangano per non più di vent'anni da quando sono stati registrati, e non dovranno pagare neppure la più piccola tassa di residenza se non la buona condotta, né alcuna altra tassa sulla compravendita. Trascorso il tempo stabilito, prendano le proprie cose e se ne vadano. E se in questi vent'anni è accaduto che uno di questi si sia distinto per aver reso qualche importante beneficio allo stato, e confida dì persuadere il Consiglio e l'Assemblea, credendo di avere tutto il diritto di avere una dilazione della sua partenza, o anche la possibilità di fermarsi per tutta la vita, si rechi dinanzi al consiglio, e quel che in seguito alle sue richieste gli viene accordato abbia valore definitivo. Per i figli degli stranieri, se artigiani e giunti ai quindici anni d'età, il periodo della loro residenza comincerà dall'età di quindici anni, e, in aggiunta a questi anni, chiunque potrà rimanere per vent'anni ancora, e quindi se ne vada dove vuole; e se vuole rimanere, rimanga pure ma con l'autorizzazione richiesta secondo le stesse procedure di prima: chi se ne va, se ne vada pure, ma dopo essere stato cancellato dai registri sui quali i magistrati lo avevano precedentemente iscritto.

Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020

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