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Rapporto SVIMEZ 2014. Aumenta il gap Nord-Sud.



Sopportiamo, dunque, copn animo generoso tutto ciò che per legge dell'Universo ci tocca patire.
Seneca, Lettere a Lucilio



5. UNA LOGICA DI SISTEMA PER LA RIPRESA DELLO SVILUPPO
I dati e le analisi forniti nei paragrafi precedenti evidenziano come, dopo sei anni di crisi, il Mezzogiorno rischi di veder depauperati talvolta in modo irrevocabile i propri asset di capitale, materiale e immateriale, e le proprie risorse umane. L’imperativo, oggi, è tornare a crescere: l’Italia cresce ormai da troppo tempo meno degli altri Stati dell’UE e, nell’ambito del Paese, il Sud, a sua volta, cresce molto meno del Centro-Nord. Di fronte alla grave crisi di competitività che da oltre un decennio è una caratteristica della nostra economia, si impone l’esigenza di una strategia nazionale. Così come la SVIMEZ va ribadendo con forza dal febbraio del 2013, quando, insieme agli altri Istituti meridionalisti, pubblicammo il Documento Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere, nel quale ponemmo tra le condizioni di una ripresa del Sistema Italia durevole nel tempo, la necessità di riavviare nel Paese una dinamica di convergenza, affinché il Mezzogiorno realizzi nei prossimi anni tassi di crescita più elevati rispetto a quelli del Centro-Nord, che, a sua volta, deve rimettersi anch’esso su un robusto sentiero di crescita. Invece, nel corso degli ultimi anni, in Europa come in Italia, si è privilegiato un approccio di politica economica attento solo al risanamento dei conti pubblici e alla possibilità di una ripresa congiunturale della crescita, nell’ambito di una politica dell’austerità fine a se stessa. Si tratta di condizioni e sfide che possono trovare risposta nel campo dello sviluppo, presupposto di qualsiasi ipotesi di crescita. Finora, invece, c’è stato nel Paese un grande silenzio su questo tema, mentre l’attenzione è stata rivolta prevalentemente verso i pallidi segnali di una ripresa congiunturale. Ripresa congiunturale che, come le previsioni che abbiamo illustrato mostrano, inizierà a manifestarsi non prima del 2015. Riguarderà inoltre in tale anno solo il Centro-Nord, con il Mezzogiorno ancora in recessione. E, soprattutto, si profila di intensità tale da rendere non facile né scontato il recupero della caduta strutturale della nostra economia rispetto ai livelli pre-crisi. Il filo conduttore di una necessaria strategia nazionale, non può che essere una politica attiva di sviluppo, nell’ambito di un disegno di cui lo Stato divenga responsabile come “regista”, e non come pura entità di spesa o di sola regolamentazione dei mercati. Una politica che, in particolare nel Mezzogiorno, punti prioritariamente sull’industria, come elemento catalizzatore della crescita, consolidando e adeguando l’attuale sistema produttivo e riqualificandone il modello di specializzazione, e che, al tempo stesso, favorisca la penetrazione in settori in grado di creare nuove opportunità di lavoro. Tale politica deve essere parte di un progetto di crescita differenziato, ma integrato, per le due macro-aree del Paese; e richiede di essere alimentata da una necessariamente elevata massa critica in termini di risorse, e da una recuperata, strutturale continuità e coerenza degli interventi. Ciò che serve, dopo diversi decenni, è tornare a riproporre con forza una “logica di sistema”, sia dal punto di vista dei soggetti che dei territori, che richiede investimenti strategici anche a redditività differita e una progettazione a lungo termine. Per realizzare questa politica, è fondamentale ripristinare a scala nazionale il ruolo degli investimenti pubblici per la crescita. Ciò è tanto più necessario in attesa che l’Unione Europea divenga finalmente un significativo fattore della ripresa, con un mutamento di approccio al quale l’Italia deve autorevolmente concorrere in tema di coordinamento delle politiche fiscali e di destinazione delle risorse destinate allo sviluppo e alle grandi infrastrutture. Un primo passo in questa direzione sarebbe l’effettivo, rapido sblocco dei 300 miliardi promessi dal nuovo Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che siano davvero aggiuntivi rispetto all’attuale esiguo budget UE, a favore di grandi investimenti pubblici. Invece, finora, il Sistema Italia, e specificamente il Mezzogiorno, sta subendo uno svantaggio concorrenziale, conseguenza degli squilibri acuitisi con l’ingresso nell’UE nel 2004 dei paesi ex comunisti, che godono di regimi fiscali molto più vantaggiosi, di un costo del lavoro più contenuto e dell’ulteriore leva competitiva offerta dall’eventuale svalutazione della propria moneta. Alla distorta pressione competitiva alla quale è sottoposto il sistema produttivo italiano, e meridionale in particolare, si aggiunge anche l’attuale meccanismo di funzionamento dei Fondi strutturali, che per quasi il 50% sono appannaggio dei paesi non aderenti all’euro, i quali aggiungono questo sostanzioso sostegno al richiamato duplice vantaggio della loro fiscalità e della loro relativa autonomia valutaria. Pertanto va ribadita con forza la proposta di introdurre forme di fiscalità compensativa per gli investimenti al Sud. Sul piano interno, le politiche di coesione vanno ripensate nel senso di un maggiore sforzo strategico, in coerenza con una rinnovata azione pubblica che possa offrire una reale garanzia dei diritti di cittadinanza. Occorre dare un’impronta meridionalistica alle politiche generali nazionali, dal funzionamento della P.A. a servizi essenziali come la scuola, la sanità e la giustizia, fino ad arrivare a una nuova politica “attiva” del lavoro, considerando ex ante l’impatto differenziato degli interventi a seconda delle condizioni di partenza dei territori. Allo stesso modo, sono urgenti e indifferibili politiche di welfare, che abbiano effetti non solo redistributivi di carattere sociale ma anche di sostegno anticiclico dell’economia, volte a favorire l’inclusione sociale e l’ampliamento delle opportunità, anche introducendo uno strumento specifico e universale di contrasto alla povertà estrema, che già esiste in tutta Europa e manca solo in Italia e in Grecia. L’accento sulle politiche ordinarie ha infatti un duplice risvolto: da un lato, è essenziale per offrire una garanzia reale dei diritti, che possa far fronte all’emergenza sociale che si è diffusa in tutto il Paese, ma che nel Mezzogiorno è davvero giunta a un punto di non ritorno; dall’altro, per offrire quei servizi alle imprese che sono una precondizione dello sviluppo. Una rinnovata azione pubblica, per il Mezzogiorno e per il Paese, non può che partire infatti da una rinnovata politica di investimenti pubblici tesi al superamento dei divari e al raggiungimento dei migliori standard qualitativi. Investimenti necessari ad attivare quelli privati, anche rendendo più “attrattivo” il territorio meridionale e puntando sulle potenzialità che esso può esprimere in una prospettiva di medio-lungo periodo, che assicuri uno sviluppo durevole. La persistente debolezza dell’azione pubblica al Sud è testimoniata dall’andamento della spesa pubblica nazionale in conto capitale. Più volte, la SVIMEZ, nel corso degli anni, ha messo in evidenza il nesso tra politiche speciali e aggiuntive e politiche ordinarie, come pilastri di una strategia complessiva. Se la politica di coesione deve essere un tassello – fondamentale, ma certo non sufficiente – di questa strategia, volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale, è soprattutto la strategia complessiva che è venuta meno, essendo le risorse ordinarie un vero e proprio “buco nero” dello sviluppo del Mezzogiorno. In questo contesto appaiono particolarmente preoccupanti i tagli effettuati agli investimenti in infrastrutture: i livelli di spesa per opere pubbliche hanno avuto, infatti, una sostanziale tenuta nel Centro-Nord mentre al Sud il crollo è evidente e tali investimenti valgono attualmente poco più di un quinto rispetto a quelli degli anni ‘70. Ciò che la SVIMEZ propone, dunque, è un complesso di politiche e di interventi legati da un’unica strategia di sistema, in cui gli interessi del Mezzogiorno, che resta la grande opportunità da cogliere per riavviare un percorso di sviluppo dell’economia italiana, siano coniugati in una prospettiva che guardi al riposizionamento competitivo dell’intero Sistema Italia.

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7 aprile 2015

Eugenio Caruso


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