Sopportiamo, dunque, copn animo generoso tutto ciò che per legge dell'Universo ci tocca patire.
Seneca, Lettere a Lucilio
5. UNA LOGICA DI SISTEMA PER LA RIPRESA DELLO SVILUPPO
I dati e le analisi forniti nei paragrafi precedenti evidenziano come, dopo sei anni di crisi,
il Mezzogiorno rischi di veder depauperati talvolta in modo irrevocabile i propri asset di
capitale, materiale e immateriale, e le proprie risorse umane. L’imperativo, oggi, è tornare a
crescere: l’Italia cresce ormai da troppo tempo meno degli altri Stati dell’UE e, nell’ambito del
Paese, il Sud, a sua volta, cresce molto meno del Centro-Nord.
Di fronte alla grave crisi di competitività che da oltre un decennio è una caratteristica
della nostra economia, si impone l’esigenza di una strategia nazionale. Così come la SVIMEZ va
ribadendo con forza dal febbraio del 2013, quando, insieme agli altri Istituti meridionalisti,
pubblicammo il Documento Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere, nel
quale ponemmo tra le condizioni di una ripresa del Sistema Italia durevole nel tempo, la
necessità di riavviare nel Paese una dinamica di convergenza, affinché il Mezzogiorno realizzi
nei prossimi anni tassi di crescita più elevati rispetto a quelli del Centro-Nord, che, a sua volta,
deve rimettersi anch’esso su un robusto sentiero di crescita.
Invece, nel corso degli ultimi anni, in Europa come in Italia, si è privilegiato un
approccio di politica economica attento solo al risanamento dei conti pubblici e alla possibilità di
una ripresa congiunturale della crescita, nell’ambito di una politica dell’austerità fine a se stessa.
Si tratta di condizioni e sfide che possono trovare risposta nel campo dello sviluppo,
presupposto di qualsiasi ipotesi di crescita. Finora, invece, c’è stato nel Paese un grande silenzio
su questo tema, mentre l’attenzione è stata rivolta prevalentemente verso i pallidi segnali di una
ripresa congiunturale. Ripresa congiunturale che, come le previsioni che abbiamo illustrato
mostrano, inizierà a manifestarsi non prima del 2015. Riguarderà inoltre in tale anno solo il
Centro-Nord, con il Mezzogiorno ancora in recessione. E, soprattutto, si profila di intensità tale
da rendere non facile né scontato il recupero della caduta strutturale della nostra economia
rispetto ai livelli pre-crisi.
Il filo conduttore di una necessaria strategia nazionale, non può che essere una politica
attiva di sviluppo, nell’ambito di un disegno di cui lo Stato divenga responsabile come “regista”,
e non come pura entità di spesa o di sola regolamentazione dei mercati. Una politica che, in
particolare nel Mezzogiorno, punti prioritariamente sull’industria, come elemento catalizzatore
della crescita, consolidando e adeguando l’attuale sistema produttivo e riqualificandone il
modello di specializzazione, e che, al tempo stesso, favorisca la penetrazione in settori in grado
di creare nuove opportunità di lavoro.
Tale politica deve essere parte di un progetto di crescita differenziato, ma integrato, per
le due macro-aree del Paese; e richiede di essere alimentata da una necessariamente elevata
massa critica in termini di risorse, e da una recuperata, strutturale continuità e coerenza degli
interventi. Ciò che serve, dopo diversi decenni, è tornare a riproporre con forza una “logica di
sistema”, sia dal punto di vista dei soggetti che dei territori, che richiede investimenti strategici
anche a redditività differita e una progettazione a lungo termine.
Per realizzare questa politica, è fondamentale ripristinare a scala nazionale il ruolo degli
investimenti pubblici per la crescita. Ciò è tanto più necessario in attesa che l’Unione Europea
divenga finalmente un significativo fattore della ripresa, con un mutamento di approccio al quale
l’Italia deve autorevolmente concorrere in tema di coordinamento delle politiche fiscali e di
destinazione delle risorse destinate allo sviluppo e alle grandi infrastrutture. Un primo passo in
questa direzione sarebbe l’effettivo, rapido sblocco dei 300 miliardi promessi dal nuovo
Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che siano davvero aggiuntivi
rispetto all’attuale esiguo budget UE, a favore di grandi investimenti pubblici.
Invece, finora, il Sistema Italia, e specificamente il Mezzogiorno, sta subendo uno
svantaggio concorrenziale, conseguenza degli squilibri acuitisi con l’ingresso nell’UE nel 2004
dei paesi ex comunisti, che godono di regimi fiscali molto più vantaggiosi, di un costo del lavoro
più contenuto e dell’ulteriore leva competitiva offerta dall’eventuale svalutazione della propria
moneta. Alla distorta pressione competitiva alla quale è sottoposto il sistema produttivo italiano,
e meridionale in particolare, si aggiunge anche l’attuale meccanismo di funzionamento dei Fondi
strutturali, che per quasi il 50% sono appannaggio dei paesi non aderenti all’euro, i quali
aggiungono questo sostanzioso sostegno al richiamato duplice vantaggio della loro fiscalità e
della loro relativa autonomia valutaria. Pertanto va ribadita con forza la proposta di introdurre
forme di fiscalità compensativa per gli investimenti al Sud.
Sul piano interno, le politiche di coesione vanno ripensate nel senso di un maggiore
sforzo strategico, in coerenza con una rinnovata azione pubblica che possa offrire una reale
garanzia dei diritti di cittadinanza. Occorre dare un’impronta meridionalistica alle politiche
generali nazionali, dal funzionamento della P.A. a servizi essenziali come la scuola, la sanità e la
giustizia, fino ad arrivare a una nuova politica “attiva” del lavoro, considerando ex ante l’impatto
differenziato degli interventi a seconda delle condizioni di partenza dei territori. Allo stesso
modo, sono urgenti e indifferibili politiche di welfare, che abbiano effetti non solo redistributivi
di carattere sociale ma anche di sostegno anticiclico dell’economia, volte a favorire l’inclusione
sociale e l’ampliamento delle opportunità, anche introducendo uno strumento specifico e
universale di contrasto alla povertà estrema, che già esiste in tutta Europa e manca solo in Italia e
in Grecia.
L’accento sulle politiche ordinarie ha infatti un duplice risvolto: da un lato, è essenziale
per offrire una garanzia reale dei diritti, che possa far fronte all’emergenza sociale che si è
diffusa in tutto il Paese, ma che nel Mezzogiorno è davvero giunta a un punto di non ritorno;
dall’altro, per offrire quei servizi alle imprese che sono una precondizione dello sviluppo.
Una rinnovata azione pubblica, per il Mezzogiorno e per il Paese, non può che partire
infatti da una rinnovata politica di investimenti pubblici tesi al superamento dei divari e al
raggiungimento dei migliori standard qualitativi. Investimenti necessari ad attivare quelli privati,
anche rendendo più “attrattivo” il territorio meridionale e puntando sulle potenzialità che esso
può esprimere in una prospettiva di medio-lungo periodo, che assicuri uno sviluppo durevole.
La persistente debolezza dell’azione pubblica al Sud è testimoniata dall’andamento della
spesa pubblica nazionale in conto capitale. Più volte, la SVIMEZ, nel corso degli anni, ha messo
in evidenza il nesso tra politiche speciali e aggiuntive e politiche ordinarie, come pilastri di una
strategia complessiva.
Se la politica di coesione deve essere un tassello – fondamentale, ma certo non
sufficiente – di questa strategia, volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale, è
soprattutto la strategia complessiva che è venuta meno, essendo le risorse ordinarie un vero e
proprio “buco nero” dello sviluppo del Mezzogiorno. In questo contesto appaiono
particolarmente preoccupanti i tagli effettuati agli investimenti in infrastrutture: i livelli di spesa
per opere pubbliche hanno avuto, infatti, una sostanziale tenuta nel Centro-Nord mentre al Sud
il crollo è evidente e tali investimenti valgono attualmente poco più di un quinto rispetto a quelli
degli anni ‘70.
Ciò che la SVIMEZ propone, dunque, è un complesso di politiche e di interventi legati
da un’unica strategia di sistema, in cui gli interessi del Mezzogiorno, che resta la grande
opportunità da cogliere per riavviare un percorso di sviluppo dell’economia italiana, siano
coniugati in una prospettiva che guardi al riposizionamento competitivo dell’intero Sistema
Italia.
7 aprile 2015
Eugenio Caruso