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Platone le LEGGI. Legislazioni e costituzioni


Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l'Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, il Sofista, il Politico, il Parmenide, il Filebo, il Fedro, il Minosse, mi dedico ora a Le leggi.

Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:

1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.

PREMESSA A LE LEGGI

Le Leggi furono scritte alcuni anni prima che la morte cogliesse il grande filosofo ateniese e costituiscono la fase finale della sua lunga riflessione politica sullo stato. E' impossibile riassumere il dibattito che la critica, sin dall'antichita, ha sviluppato intorno al problema della cronologia e dell'autenticità dell'opera, sicché in questa sede ci limiteremo ad alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto la data del 353 a.C., anno in cui avvenne verosimilmente la vittoria dei Siracusani sui Locresi ricordata nel libro 1, appare come il termine di riferimento cronologico più sicuro per datare la composizione del dialogo. In secondo luogo, un'attenta analisi dell'opera ha messo in luce alcune imperfezioni stilistiche (frequenti ripetizioni e omissioni, ad esempio) che hanno fatto pensare a un'opera non pienamente compiuta, ma forse ancora in fase di elaborazione e in attesa di revisione.
Si può allora concludere che dopo la morte del filosofo, avvenuta presumibilmente nel 348 a.C. - e quindi qualche anno dopo la composizione delle Leggi -, spettò al segretario del maestro, Filippo di Opunte, provvedere a una sistemazione, peraltro sommaria, dell'opera, nonché all'attuale divisione in dodici libri.
Le Leggi dunque, come si è appena detto, rappresentano la fase finale del pensiero politico di Platone ma è stato anche osservato che, prima ancora che indagine filosofica pura, possono essere quasi considerate come una specie di trattato storico sulla legislazione ateniese, spartana, e cretese del tempo.
Ed è forse proprio in questa storicità delle Leggi che si scorge un elemento di rottura rispetto ai dialoghi precedenti che avevano affrontato il problema, dello stato e delle costituzioni: nella Repubblica, ad esempio, si dovevano creare le fondamenta di uno stato che sarebbe peraltro esistito soltanto su di un piano ideale, razionale (dove la ricerca della Giustizia e le speculazioni sul Sommo Bene coincidevano con le fondamenta dello stato ideale), mentre l'intento delle Leggi è quello di tradurre nella realtà storica, mediante l'attività del legislatore e il suo sforzo normativo, lo stato ideale delineato in precedenza.
Si spiegano così l'analisi e la critica nei confronti delle legislazioni e delle costituzioni spartane e cretesi, le riflessioni storico-politiche sui fallimenti dell'impero persiano (determinato da un eccesso di dispotismo) e su quelli dello stato ateniese (determinati da un eccesso di libertà), il confronto, rigoroso e serrato, con il diritto positivo dell'epoca. Platone dichiara apertamente l'intento "pratico" del dialogo al termine del libro terzo, ricorrendo a un semplice espediente: Clinia, uno dei personaggi del dialogo, è stato incaricato dalla città di Cnosso di emanare quelle leggi che ritiene migliori per una colonia che i Cretesi hanno intenzione di fondare, ragion per cui rivolge un appello ai suoi due interlocutori, ovvero quello di fondare "con la parola", il nuovo stato. In altri termini, la riflessione puramente teorica sulle leggi dovrà ogni volta adattarsi alle esigenze pratiche della nuova colonia cretese.
I primi tre libri costituiscono dunque una lunga introduzione al vero e proprio trattato sulle leggi: il libro 1 si apre con la splendida descrizione della campagna cretese nelle prime ore del mattino di una calda giornata estiva. Tre vecchi prendono parte al dialogo: l'Ateniese, identificato sin dall'antichità con Platone stesso, il cretese Clinia e lo spartano Megillo.
L'Ateniese propone ai suoi compagni di discutere di costituzioni e di leggi lungo la strada che da Cnosso conduce all'antro di Zeus: essi incontreranno molti ed alti alberi che con la loro frescura permetteranno loro di sfuggire alla canicola estiva.
La discussione entra subito nel vivo: il cretese Clinia, dopo aver constatato che a Creta le consuetudini (l'uso dei pasti in comune, ad esempio) e la legislazione si ispirano alla guerra, a causa della conformazione geografica del luogo che è aspra ed accidentata, sostiene che il legislatore dovrebbe legiferare soltanto in vista della guerra, dal momento che la condizione umana si trova in uno stato di guerra permanente.
Ma l'Ateniese non è d'accordo con le posizioni del cretese: la guerra rappresenta senz'altro un evento necessario nel complesso delle relazioni umane, ma non costituisce certamente la norma, e dunque il legislatore non deve legiferare solo in vista della guerra, ma anche in vista della pace, realizzando le virtù della giustizia, della saggezza, e dell'intelligenza. Di qui sorge la critica verso l'eccessiva severità delle legislazioni spartane e cretesi: esse non sono solo carenti perché legiferano unicamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra, ma si caratterizzano anche per la loro eccessiva severità di costumi.
L'Ateniese dimostra ad esempio che il divieto di bere vino imposto dalla legislazione spartana non ha un fondamento logico: se la consuetudine del bere vino viene regolata all'interno dei simposi, così come accade ad Atene, essa non è affatto da respingere, ma, anzi, si rivela utile ai fini dell'educazione, in quanto, rendendo temporaneamente impudenti, contribuisce in seguito a contrastare l'impudenza stessa e ad acquistare di conseguenza la virtù del pudore.
Il libro 2 affronta il tema dell'educazione che verrà ripreso nel 7. L'educazione si raggiunge attraverso i cori, le danze, e la musica che ad essi è connessa. A questo proposito l'Ateniese avverte che le belle danze, i bei cori, e l'arte in genere non possono essere sottoposti al giudizio dei poeti perché fondano la loro arte sulla mimesi, e quindi il loro giudizio non sarebbe attendibile: l'arte infatti non dev'essere giudicata soltanto in base al piacere che essa procura, ma anche in base ai fini educativi che è in grado di realizzare. Tenendo conto di questi princìpi, il legislatore ordinerà tre tipi di cori, ovvero quello dei fanciulli, quello dei giovani sino ai trent'anni, ed infine quello degli uomini fra i trenta e i sessant'anni. Il terzo coro è quello dei cantori che cantano in onore di Dioniso: seguono così alcune pagine in cui Platone si abbandona ad una appassionata difesa del dionisismo, affermando che i cori di Dioniso, se sono guidati da persone sobrie, si rivelano vantaggiosi per l'educazione e per lo stato in generale.
Nel libro 3 si affronta la questione riguardante l'origine dello stato in una chiave che potremo definire storica: Platone ripercorre la storia del genere umano tornando ai suoi albori, quando un diluvio universale ciclicamente annientava uomini e cose. Ogni volta si salvavano soltanto quegli uomini che abitavano i luoghi più alti, i quali però, come in una sorta di età dell'oro, non avevano bisogno né di leggi né di legislatori, perché vivevano nella concordia reciproca.
In un secondo momento le famiglie scesero nelle pianure e presero a radunarsi: si innalzarono mura di siepi per delimitare e separare una proprietà dall'altra e vennero fondati i primi organismi politici. Seguì la fase delle costituzioni delle città che coincise con la fondazione e la distruzione di Troia. Dopo di che si apre una prima parentesi sull'analisi dei fallimenti delle esperienze politiche di Argo e di Micene: l'ignoranza degli affari umani e l'assenza di un potere moderato hanno causato la rovina di quegli stati.
Nel corso della seconda digressione storica si prendono invece in esame i mali della costituzione persiana e di quella ateniese: quando i Persiani raggiunsero, sotto Ciro, il giusto mezzo fra servitù e libertà, lo stato prosperava e dominava sugli altri popoli, ma in seguito una malvagia educazione, unita all'accentuato dispotismo di sovrani come Cambise, segnò il definitivo declino della potenza persiana; quanto alla costituzione ateniese, i poeti ingenerarono con le loro opere una temeraria trasgressione nel campo artistico che ben presto si estese ad ogni altro aspetto dello stato determinando la nascita dell'illegalità e della licenza. Conclusa dunque la lunga introduzione delle Leggi, si gettano le basi della costituzione del nuovo stato che verrà discussa dal libro 4 all'8.
Il libro 4 si apre con l'elenco dei requisiti che la geografia del nuovo stato deve possedere: oltre alla capitale situata nell'interno, esso deve avere abbondanza di porti, benché convenga in ogni caso limitare il più possibile i rapporti commerciali con gli altri stati, dato che il commercio rende infidi i cittadini e la gran quantità d'oro e d'argento corrompe i loro animi. Per quanto riguarda la scelta della costituzione, le varie forme di costituzioni storicamente esistenti (democrazia, oligarchia, aristocrazia, monarchia) presentano aspetti positivi e negativi che difficilmente si combinano in una costituzione ideale. Ci si deve dunque appellare alla divinità che indicherà i criteri di giustizia che si devono seguire nella realizzazione dello stato e delle leggi. Le ultime pagine del libro 4 sono infine dedicate all'esposizione del metodo con cui verranno redatte le leggi: in primo luogo esse non devono apparire soltanto minacciose, ma anche persuasive, e in secondo luogo occorre fornire ogni legge di un proemio che introduce alla legge vera e propria.
All'inizio del libro 5 troviamo ancora un proemio dal carattere squisitamente etico: dopo gli dèi si deve onorare l'anima, e dopo l'anima il corpo. L'uomo virtuoso deve conformarsi alla temperanza, all'intelligenza, e al coraggio, e deve combattere contro gli egoismi e gli eccessi delle gioie e dei dolori. Si entra quindi nel vivo della costituzione del nuovo stato: si fissano le norme relative alla distribuzione delle terre e il numero dei 5.040 cittadini che parteciperanno di diritto a questa distribuzione. I cittadini vengono divisi in quattro classi censuarie e tutta la popolazione dello stato viene ripartita in dodici tribù.
La materia trattata nel libro 6 è meramente tecnica e riguarda la nomina e l'istituzione dei magistrati. Innanzitutto vengono istituiti i custodi delle leggi che rivestono un'importanza fondamentale all'interno del nuovo stato. Quindi si procede all'elezione degli strateghi, dei tassiarchi, dei filarchi, e dei pritani. Seguono le magistrature degli astinomi (per gli affari interni alla città), degli agoranomi (per quel che accade sull'agorà), dei sacerdoti, ed infine degli agronomi (per la custodia e la sorveglianza delle campagne). Assai importanti sono i due ministri dell'educazione, uno per la musica ed un altro per la ginnastica.
Ed è proprio il libro 7 che riprende e sviluppa il tema dell'educazione di cui s'era fatto un rapido cenno nel libro 2: si affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Dodici donne, una per tribù, si occuperanno dell'educazione. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La questione si sposta quindi sul problema dell'istruzione e della scuola: essa dev'essere obbligatoria tanto per le donne quanto per gli uomini, e a scuola si devono studiare le lettere e i componimenti dei poeti. Fra le altre discipline che si devono apprendere vi sono la matematica, la geometria, e l'astronomia.
Con il libro 8 ci avviamo ormai verso la parte finale delle Leggi. Gettate le fondamenta del nuovo stato bisogna ora dotarlo di un vero e proprio codice di leggi che siano in grado di rispondere alle esigenze più diverse che sorgono in uno stato. Si stabiliscono innanzitutto le festività del nuovo stato, e le varie esercitazioni che si devono compiere in tempo di pace e di guerra. Vi sono poi alcune pagine interessanti sulle norme che regolano i costumi sessuali dei cittadini in cui Platone condanna esplicitamente l'omosessualità, pratica assai diffusa nel suo tempo, e fissa una legge che regola i rapporti eterosessuali e l'astinenza. L'ultima parte del libro 8 passa in rassegna i problemi legati all'agricoltura e alle attività degli artigiani.
Nel libro 9, dopo l'esame dei casi di spoliazione dei beni, si apre un'interessante digressione sull'origine del male che si genera all'interno di una società umana: viene ribadito in questo caso il vecchio principio socratico secondo il quale nessuno compie il male volontariamente, ma per ignoranza del bene. Ed è proprio l'ignoranza del bene, insieme all'ira e al piacere, che determina i crimini peggiori in uno stato. Si passano allora in rassegna le varie specie di omicidi - essi possono essere commessi volontariamente ed involontariamente, e i moventi possono essere l'ira, o la passione, o ancora la legittima difesa -, e analogamente i casi di ferimenti e di violenze.
Il libro 10 è una lunga riflessione filosofica sull'ateismo che interrompe la dettagliata esposizione del codice di leggi: Platone condanna fermamente l'ateismo e confuta le tesi di chi sostiene che gli dèi non esistono, o esistono ma non si prendono cura degli affari umani, o, ancora, crede che essi si possano corrompere con doni votivi. A questo proposito non soltanto si può adeguatamente dimostrare l'esistenza degli dèi attraverso l'esistenza dell'anima, ma si può anche affermare l'esistenza della provvidenza divina. Seguono le pene relative ai reati commessi per empietà e per ateismo.
Nel libro 11 riprende l'esposizione delle leggi, in gran parte dedicata alle norme relative ai contratti che i cittadini stipulano fra loro. La materia è assai vasta e complessa e spazia dalla normativa riguardante gli schiavi e i liberti a quella che regola il commercio degli artigiani, dalla spinosa questione dei testamenti al divorzio dei coniugi, per citare soltanto i casi più significativi.
L'esposizione del codice delle leggi prosegue ancora in tutta la prima parte del libro 12, e fra queste leggi possiamo ricordare, a titolo di esempio, la diserzione dei soldati, l'istituzione dei magistrati inquisitori, le leggi sul giuramento, le normative sulle mallevadorie. Il dialogo giunge così alle sue battute finali. Nelle ultime pagine Platone, per bocca dell'Ateniese, avverte l'esigenza di ribadire il fine cui mira tutto il corpo delle leggi oggetto della lunga esposizione, vale a dire quello di realizzare il complesso delle virtù nello stato. Un'intelligenza superiore a tutte le altre istituzioni dello stato dovrà quindi essere in grado di cogliere la ragion d'essere di ogni legge, e come la testa è a capo del corpo, così un consiglio n otturno, supremo organo politico composto dai dieci più anziani custodi delle leggi - custodi-filosofi, dunque, che hanno appreso l'arte della politica attraverso la dialettica - dovrà sorvegliare e presiedere le leggi e la costituzione del nuovo stato.
ENRICO PEGONE

LIBRO DECIMO
ATENIESE: Dopo i maltrattamenti, diciamo la seguente norma che riguarda in generale gli atti di violenza: nessuno porti via, né sottragga ciò che è di altri, né adoperi alcuna cosa del vicino, se non ha l'autorizzazione del proprietario; da questa norma dipendono tutti i mali di cui si è detto, i mali che sono stati, che sono, che saranno. Per quanto riguarda le altre colpe, le più gravi sono le intemperanze e le insolenze dei giovani, e sono tanto più gravi quando coinvolgono la sfera sacra, e sono gravi, in particolare, quando riguardano le istituzioni religiose dello stato, o quelle istituzioni che soltanto in parte sono pubbliche, di cui fanno parte i membri delle tribù, o alcune altre comunità del genere: vengono al secondo posto, e sono di secondaria importanza, quelle che sono contro la religiosità dell'individuo e le tombe, al terzo posto si collocano le colpe verso i genitori, quando, fatta eccezione per i casi visti prima, si sia tracotanti nei loro confronti. Il quarto genere dell'insolenza si verifica quando uno, senza curarsi dei magistrati, sottrae, porta via, usa cose di proprietà di quelli senza aver ottenuto l'autorizzazione; al quinto posto vi sono gli attentati ai diritti politici di ciascun cittadino, per cui si richiede l'intervento della giustizia. Per ogni singolo caso si deve assegnare una legge comune. Si è già parlato in sintesi del furto sacrilego, quando viene commesso con la violenza o con la frode, e abbiamo detto quale pena si deve subire: per quanto riguarda gli oltraggi che a parole o nei fatti, vengono compiuti a danno degli dèi, quando uno parla o agisce appunto, bisogna dire ciò che si deve subire, ma premettendo l'esortazione che segue. Eccola: nessuno che crede nell'esistenza degli dèi, secondo la legge, commetterà volontariamente un'azione empia, né emetterà discorso contrario alla legge, ma se si comporterà così, significa che egli si trova in una di queste tre condizioni, e cioè, o non ritiene vero ciò che ho detto, o, ed è il secondo caso, pur credendo che esistano gli dèi pensa che non si prendano cura degli uomini, o, terzo caso, crede che gli dèi possano essere placati con sacrifici e preghiere. CLINIA: Che cosa dobbiamo fare o che cosa dobbiamo dire a costoro? ATENIESE: Caro, ascoltiamo prima di tutto quello che essi ci dicono - mi aspetto - disprezzandoci o prendendoci in giro. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Probabilmente scherzando direbbero queste cose: «Straniero Ateniese, e tu, Spartano, e tu di Cnosso, voi dite la verità. Alcuni di noi non credono affatto che esistano gli dèi, altri pensano che siano così come voi dite. Noi crediamo allora che, come voi avete ritenuto opportuno fare per le leggi, prima di minacciarci duramente, proviate in un primo tempo a persuaderci e ad insegnarci che gli dèi esistono, portando prove adeguate, e dimostrando pure che sono troppo superiori per lasciarsi allettare da certi doni così da volgersi contro la giustizia. Ora, ascoltando queste ed altre argomentazioni del genere da coloro che sono detti ottimi poeti, retori, indovini, sacerdoti e innumerevoli altre persone, la maggior parte di noi non si orienta a non commettere azioni ingiuste, ma cerca poi di porre rimedio all'operato. Da parte allora di legislatori che dichiarano di essere non spietati, ma miti, riteniamo che innanzitutto sappiano usare la persuasione nei nostri confronti, parlando degli dèi esistenti, se non in maniera di gran lunga migliore, in modo migliore, almeno, rispetto alla verità; e così riuscirete forse a persuaderci. E se quello che diciamo ha un senso, provate a rispondere sulle cose sulle quali vi abbiamo invitato a parlare». CLINIA: Dunque, straniero, non credi che sia facile dire la verità sostenendo che gli dèi esistono? ATENIESE: Come? CLINIA: Prima di tutto la terra, il sole, gli astri, e tutti gli altri corpi celesti, e così l'ordine perfetto delle stagioni, diviso in anni e in mesi, e il fatto che tutti i Greci e i barbari ritengono che gli dèi esistono. ATENIESE: Temo, mio caro, che i malvagi - e non potrei mai dire che nutro rispetto per loro - ci disprezzeranno. Voi infatti non conoscete la ragione del loro differente punto di vista, ma pensate che soltanto per l'incapacità di dominare i piaceri e le passioni le loro anime siano spinte verso un'esistenza empia. CLINIA: Quale altra ragione, straniero, ci può essere oltre a queste? ATENIESE: Una ragione che voi, vivendo fuori dal mondo, non conoscete, ed anzi, proprio vi sfugge. CLINIA: Qual è questa ragione che ora stai cercando di spiegare? ATENIESE: Essa consiste in quell'ignoranza così grave da sembrare la più importante forma di intelligenza. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Vi sono presso di noi certi discorsi scritti che presso di voi non esistono, grazie al valore della vostra costituzione, come ho appreso, ed alcuni in versi, altri in prosa, parlano degli dèi. I discorsi più antichi spiegano come è sorta la prima natura del cielo e degli altri corpi, e procedendo non molto oltre il problema dell'origine, espongono la nascita degli dèi, e quali erano i loro reciproci rapporti dopo la loro nascita. Non è facile biasimare questi antichi discorsi, valutando se per coloro che li ascoltano sotto un altro punto di vista fanno bene o no, ma certamente, per quanto riguarda il rispetto e gli onori che si devono ai genitori, non potrei usare parole di elogio nei loro confronti dicendo che essi sono di utilità, e neppure che dicono cose assolutamente vere. Questi discorsi sulle origini, allora, lasciamoli andare e salutiamoli, e riguardo ad essi si parli nel modo che è gradito agli dèi: noi dobbiamo accusare i nuovi sapienti di oggi che sono causa di mali. Ed ecco ciò che vogliono ottenere i discorsi di questa gente: quando tu ed io portiamo delle prove sull'esistenza degli dèi, e aggiungiamo queste stesse cose, e cioè il sole, la luna, gli astri, e la terra, come fossero dèi e cose divine, allora quelli che si sono lasciati ingannare da questi sapienti affermano che queste cose non sono altro che terra e pietre, incapaci di curarsi delle questioni umane, e queste loro opinioni sono rivestite ben bene di belle parole così da essere persuasive. CLINIA: Grave discorso, straniero, quello che hai dovuto pronunciare, e sarebbe già grave se fosse uno soltanto: ma ora sono moltissimi, e la questione si fa ancora più grave. ATENIESE: Ebbene? Che cosa diciamo? Come dobbiamo comportarci? Forse dovremo difenderci come se qualcuno ci accusasse dinanzi a questi uomini empi, ed essendo accusati di fare delle leggi, dicessero che stiamo facendo qualcosa di terribile, poiché stabiliamo per legge che gli dèi esistono? Oppure, lasciandoli perdere, ci rivolgeremo di nuovo alle leggi, perché il nostro proemio sulle leggi non sia troppo lungo? Infatti non sarebbe un breve discorso, una volta sviluppato, se a costoro che desiderano commettere empietà dimostrassimo innanzitutto, con argomentazioni adeguate, ciò di cui dicevano che doveva essere spiegato, quindi facessimo loro paura, ed infine, dopo aver fatto in modo ch'essi provino avversione verso quelle cose che non devono essere stimate, passassimo in seguito a legiferare su quella materia su cui è conveniente legiferare. CLINIA: Ma, straniero, abbiamo di frequente affermato in così poco tempo, che nella circostanza presente non si deve affatto preferire la brevità del discorso alla lunghezza - nessuno infatti ci insegue, incalzandoci, come si dice -, mentre sarebbe ridicolo e sciocco mostrare di preferire ciò che è più breve a ciò che è migliore. Non ha certo scarsa importanza il fatto che i nostri discorsi abbiano la capacità di persuadere che gli dèi esistono, e sono buoni, e onorano la giustizia in misura maggiore degli uomini: e questo, direi, è il proemio più bello e più nobile che possiamo premettere a tutto il complesso delle leggi. Senza essere maldisposti e senza perdere la pazienza, non lasciamo affatto da parte quella forza che noi possediamo per dare persuasione a questi discorsi, ma esponiamoli, se possibile, in modo adeguato. ATENIESE: Il discorso che hai appena fatto mi pare che voglia evocare una preghiera, dal momento che è animato da una vivace tensione; in ogni caso non possiamo più aspettare a parlare. Coraggio, come si potrebbe parlare dell'esistenza degli dèi senza non essere presi dall'ira? è infatti inevitabile sopportare a malincuore ed anzi, odiare, quelli che sono stati, e anche ora lo sono, causa di questi nostri discorsi, non prestando essi fede a quei miti che fin da bambini, quando ancora erano allevati con il latte, ascoltavano da nutrici e da madri, miti che, come un incantesimo venivano raccontati un po' per scherzo e un po' sul serio, e che quelli ascoltavano nelle preghiere insieme ai sacrifici, e vedevano le visioni che ad essi si accompagnavano - e queste visioni, messe in atto durante i sacrifici, il giovane vede ed ascolta con grandissimo piacere - e allora osservano i propri genitori, impegnati con estrema serietà per se stessi e per loro, dialogare con preghiere e con suppliche agli dèi come assolutamente esistenti, e infine ascoltano e osservano che al sorgere del sole e della luna e al loro tramontare tutti i Greci e i barbari si prosternano e si inginocchiano, tanto nei diversi momenti di difficoltà quanto nella buona sorte, non come se gli dèi non esistessero, ma come se esistessero nel modo più assoluto, non insinuandosi affatto in essi il sospetto che gli dèi non esistano. Quelli che in sostanza disprezzano tutte queste cose senza basarsi neppure su un solo argomento che sia adeguato, come direbbe chi ha anche soltanto un po' di intelligenza, ora ci costringono a dire quello che stiamo dicendo: come allora, si potrebbe esortarli con miti discorsi ed insieme insegnare che innanzitutto gli dèi esistono? Bisogna avere il coraggio di farlo: non bisogna infatti che come alcuni di noi diventano folli per il piacere provocato dalla ghiottoneria, altri lo diventino per l'ira che li muove contro questa gente. Con l'animo sgombro dall'ira rivolgiamo tale avvertimento a questi individui che hanno la mente così corrotta, e diciamo serenamente, smorzando ogni forma di risentimento, come se conversassimo con uno di loro: «Figliolo, sei giovane, ed il tempo, con il suo procedere, farà in modo che molte delle opinioni che hai ora mutino e diventino opposte: attendi allora quel tempo per diventare giudice delle questioni più importanti, e la cosa più importante, alla quale tu ora non dai alcun valore, consiste nel vivere più o meno nobilmente, avendo un'idea corretta degli dèi. Prima di tutto non mentirei se a tal proposito ti indicassi una cosa che riveste grande importanza. Ed è questa. Non sei l'unico, e neppure lo sono i tuoi amici, che nutri per la prima volta tale opinione sugli dèi, ma sempre vi sono delle persone, e ora sono di più, e ora di meno, che sono affetti da questa malattia: ti potrei allora spiegare, per il fatto di averne incontrati molti, che non vi è nessuno il quale, dopo aver accolto questa opinione sugli dèi secondo la quale essi non esistono, giunga sino alla vecchiaia mantenendosi fedele a questo pensiero; non molti invece, e solo alcuni, si sono mantenuti fedeli agli altri due atteggiamenti nei confronti degli dèi, quello cioè, secondo il quale gli dèi esistono, ma non si curano affatto delle faccende umane, e quello che segue a questo, per cui gli dèi si prendono certamente cura, ma bisogna placarli con sacrifici e preghiere. Dovrai allora attendere che questa credenza intorno a tali argomenti si faccia più chiara dentro di te, per quanto è possibile, se mi vuoi obbedire, osservando se le cose stanno in questi termini o diversamente, e informandoti da altri e soprattutto dal legislatore: e in questo tempo non devi avere il coraggio di compiere alcuna empietà contro degli dèi. E chi stabilisce per te le leggi deve cercare di insegnarti ora e in avvenire come stanno queste cose». CLINIA: Quello che hai detto sin qui va benissimo, straniero. ATENIESE: Certamente, Megillo e Clinia: ma non dobbiamo nascondere a noi stessi che siamo capitati in un discorso singolare. CLINIA: Di quale discorso parli? ATENIESE: Alludo a quel discorso che molti ritengono come il più saggio di tutti i discorsi. CLINIA: Spiega ancor più chiaramente. ATENIESE: Alcuni affermano che tutte le cose che sono, che sono state, e che saranno, sono opera alcune della natura, altre dell'arte, altre ancora del caso. CLINIA: E non va bene? ATENIESE: Può essere che gli uomini saggi che si esprimono così parlino rettamente: seguendo costoro, vediamo come la pensano quelli che si trovano su quelle posizioni. CLINIA: Senza dubbio. ATENIESE: Mi pare che dicano che fra quelle cose le opere più grandi e più belle sono realizzate dalla natura e dalla sorte, quelle più piccole dall'arte, la quale, prendendo dalla natura il principio delle grandi e delle prime opere, modella e fabbrica tutto ciò che ha dimensioni più piccole, e che noi tutti chiamiamo «artistico». CLINIA: Come dici? ATENIESE: In questo modo parlerò più chiaramente. Essi dicono che il fuoco, l'acqua, la terra, e l'aria sono tutti dovuti alla natura e al caso, mentre nessuno di questi elementi è prodotto dall'arte, e che i corpi che vengono dopo di questi, quelli della terra, del sole, della luna, e degli astri, sì sono assolutamente generati da questi elementi inanimati: e ciascuno di questi elementi, mosso a caso a seconda della proprietà di ciascuno, incontrandosi ed accordandosi intimamente insieme - caldo con freddo, secco con umido, molle con duro, e così tutti quanti i contrari che sono costretti dalla sorte a mescolarsi insieme - hanno dato origine in questo modo all'intero cielo e a tutto quanto è compreso nel cielo, a tutti gli animali e a tutte le piante, e da queste cause presero origine tutte le stagioni, e tutto ciò dicono non sia opera di una mente ordinatrice, né di un qualche dio o di una qualche arte, ma, come diciamo, della natura e del caso. L'arte è nata in seguito e si è sviluppata da queste cose, ed essendo essa stessa mortale nata da cause mortali, ha dato origine a certi giochi che non prendono affatto parte della verità, ma consistono in certe immagini affini alle arti stesse, come quelle che genera la pittura, la musica, e tutte quante le altre compagne di queste: ma fra le arti vi sono quelle che danno luogo a qualcosa di valido, ed esse sono quelle che uniscono la propria forza con la natura, come la medicina, l'agricoltura, e la ginnastica. E dicono che anche la politica partecipa in piccola parte della natura, mentre è connessa in larga misura con l'arte; e così tutto il complesso della legislazione non ha attinenza con la natura, ma con l'arte, e quindi le sue fondamenta non si basano sulla verità. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Innanzitutto essi dicono, amico mio, che gli dèi sono opera dell'arte, e non esistono per natura, ma grazie a certe leggi, e questi dèi sono diversi a seconda della diversità del luogo, e a seconda degli accordi che ciascun popolo prese con se stesso quando cominciò a legiferare: e così per ciò che è bello, vi è una bellezza per natura e una bellezza per legge, mentre la giustizia non è affatto opera della natura, ma poiché gli uomini passano tutta la vita a litigare fra di loro, mutando sempre le regole di quella, hanno valore di volta in volta quelle singole regole che vengono mutate e nel momento in cui vengono mutate, e quindi sono frutto dell'arte e delle leggi, ma non della natura. Queste, amici, sono tutte quelle parole che vengono pronunciate da quegli uomini ritenuti saggi dagli uomini di oggi, privati cittadini e anche poeti, i quali affermano che la giustizia riesce ad avere la meglio con la violenza: per questa ragione le varie forme di empietà colpiscono gli uomini contemporanei, che non credono che gli dèi esistono così come la legge ordina che dovrebbero pensare, e per questa ragione vi sono le rivolte di coloro che trascinano verso la giusta vita secondo natura, che in realtà consiste nel dominare gli altri e nel non asservirsi agli altri secondo la legge. CLINIA: Quale discorso hai esposto, straniero, e quanto è grande la vergogna degli uomini di oggi, sia pubblicamente per gli stati, sia privatamente all'interno delle famiglie! ATENIESE: Quel che dici è vero, Clinia. Come credi allora che dovrà comportarsi il legislatore, dinanzi ad una situazione che si presenta in questo modo sin dai tempi antichi? Dovrà solo minacciarli, imponendosi nello stato, dinanzi a tutti i cittadini, che se essi non ammetteranno l'esistenza degli dèi e non li penseranno ritenendoli così come la legge dice che sono - e lo stesso vale per la bellezza, la giustizia, e tutte le altre questioni di grande rilievo che tendono tanto alla virtù quanto al vizio, e cioè che bisogna agire e pensare così come il legislatore consiglia quando scrive le leggi - e dovrà dire che se qualcuno non si offrirà docile alle leggi, l'uno dovrà morire, un altro sarà frustato e incarcerato, un altro ancora privato dei diritti civili, ed altri, infine, saranno puniti con la povertà o l'esilio? Non unirà ai suoi discorsi alcuna forma di persuasione per gli uomini, nel momento in cui stabilisce per loro le leggi, in modo da renderli il più possibile docili? CLINIA: Nient'affatto, straniero, ma se è possibile usare anche in piccola parte la persuasione riguardo a tali cose, bisogna che il legislatore, anche quello di scarso valore, non sì stanchi affatto di usarla, ma emettendo tutta la sua voce, come si dice, deve venire in soccorso con il discorso a quell'antica legge che afferma l'esistenza degli dèi e tutto quanto tu ora hai esposto, e deve venire in aiuto alla legge stessa e all'arte, sostenendo che sono tutte due opera della natura e non sono inferiori rispetto ad essa, se è vero che sono generate dall'intelletto, secondo un corretto ragionamento, come mi pare che tu voglia dire e come io ora voglio credere, prestandoti fede. ATENIESE: Clinia, uomo assai premuroso, non è difficile seguire questi discorsi, se vengono pronunciati in questo modo per la massa, discorsi che hanno anche un immensa lunghezza? CLINIA: Ebbene, straniero? Siamo stati a sentire pazientemente i discorsi così lunghi che abbiamo tenuto sull'ubriachezza e sulla musica, e adesso non abbiamo la pazienza di trattare quegli argomenti che riguardano gli dèi e le altre questioni di questo genere? E si avrebbe un grandissimo vantaggio anche per la legislazione che si accompagna all'intelligenza e alla prudenza, perché i precetti delle leggi messe per iscritto, dando ragione di sé in ogni tempo, sono assolutamente stabili, sicché non bisogna aver paura se in principio sono difficili da ascoltare, ma sarà possibile anche a chi li apprende con difficoltà riprenderli di frequente ed esaminarli; e neppure bisogna aver paura della loro lunghezza, perché sono utili, e per questo motivo non ha alcun senso e non mi sembra cosa santa che ogni uomo, nei limiti delle sue possibilità, non venga in soccorso di questi discorsi. MEGILLO: Mi sembra ottimo quello che ha detto Clinia, straniero. ATENIESE: E bisogna fare davvero come dice, Megillo. E infatti se i discorsi che abbiamo visto non fossero disseminati, per così dire, in tutti gli uomini, non ci sarebbe bisogno di intervenire con questi nostri discorsi per difendere la tesi dell'esistenza degli dèi; ma ora è necessario. Chi più del legislatore deve venire in soccorso delle leggi più importanti che vengono corrotte dalla malvagità degli uomini? MEGILLO: Nessun altro. ATENIESE: Ma dimmi di nuovo, Clinia, anche tu - bisogna che anche tu prenda parte di questi discorsi -: può darsi che chi sostiene queste teorie ritiene che fuoco, acqua, terra e aria siano gli elementi primi di tutte le cose, e li chiama con il termine di natura, sostenendo che l'anima è venuta dopo questi elementi. Anzi, mi pare che non può essere che la pensi così, ma che proprio questo ci indichi effettivamente con il discorso. CLINIA: Certamente. ATENIESE: E dunque, per Zeus, non abbiamo trovato la fonte, per così dire, di quella stolta opinione di tutti gli uomini che si occupano di ricerche riguardanti la natura? Considera ed esamina il discorso da tutti i suoi punti di vista: non sarebbe infatti un particolare di scarsa importanza se risultasse che coloro che si occupano di questi empi discorsi e che guidano altri lungo questa strada, fanno un uso erroneo, e non buono, della ragione. Mi sembra che le cose stiano così. CLINIA: Dici bene, ma cerca di spiegarci dove sbagliano. ATENIESE: Pare che dobbiamo affrontare discorsi alquanto insoliti. CLINIA: Non dobbiamo esitare, straniero. Mi rendo conto che tu pensi che se affrontiamo questi discorsi, si finisce per sconfinare dalla legislazione: eppure, se non vi è altro modo se non questo per mantenerci coerenti con quel che si è detto, e cioè che gli dèi devono essere definiti così come dice la legge e che questo è il modo corretto di intenderli, bisogna allora parlare in questo modo, straordinario amico. ATENIESE: Dirò allora, a quanto pare, un certo insolito discorso. I discorsi che formano l'anima degli empi dichiarano che la causa prima della generazione e della corruzione di tutte le cose non è nata prima, ma dopo, mentre quel che è nato dopo, quelli pensano che sia nato prima. Perciò essi si ingannano sulla reale essenza degli dèi. CLINIA: Non ho ancora capito. ATENIESE: Quasi tutti corrono il rischio, amico, di non riconoscere la vera essenza dell'anima e la sua proprietà, non solo in relazione a tutto il resto, ma anche relativamente alla sua genesi, poiché essa esiste sin dai primi tempi, essendo nata prima di tutti i corpi, e più di ogni altra cosa presiede ad ogni loro mutamento e ad ogni loro trasformazione: se allora le cose stanno così, non è inevitabile pensare che tutto ciò che per genere è affine all'anima è nato prima di ciò che ha parentela con i corpi, dato che quella è più vecchia del corpo? CLINIA: Inevitabile. ATENIESE: L'opinione, le occupazioni, l'intelletto, l'arte, la legge sono venuti prima del duro e del molle, del pesante e del leggero: e allora anche le prime e grandi imprese ed azioni sono frutto dell'arte, essendo nate prima, mentre quelle cose che sono opera della natura, nonché la natura vera e propria, la quale non è corretto chiamarla con questo nome, sono venute dopo, e scaturiscono dall'arte e dall'intelletto. CLINIA: Perché non è corretto chiamarla così? ATENIESE: Essi intendono chiamare con il termine di «natura» la genesi relativa alle prime realtà: ma se apparirà chiaro che l'anima è venuta prima, e non il fuoco né l'aria, che l'anima è nata fra le prime realtà, si potrà dire assai giustamente che essa è in modo particolare opera della natura. Ma le cose stanno in questi termini se si dimostra che l'anima è anteriore al corpo, in caso contrario, non è possibile. CLINIA: Verissimo. ATENIESE: Dopo di che non dobbiamo allora prepararci proprio a questa cosa. CLINIA: Certamente. ATENIESE: Prestiamo allora attenzione ad un discorso assolutamente ingannevole, perché, essendo adatto a giovani, non tragga in inganno noi che siamo vecchi, e sfuggendoci di mano, non ci renda ridicoli, così da sembrare di non cogliere neppure questioni di poco conto, proprio nel momento in cui aspiriamo a quelle di maggiore importanza. Vedete un po'. Se ad esempio noi tre dovessimo attraversare un fiume dalla corrente impetuosa, ed io, che sono il più giovane di noi e quello che ha maggiore esperienza di correnti, dicessi che spetta a me per primo controllare, lasciandovi in un luogo sicuro, se anche a voi che siete più vecchi sia possibile attraversarlo, o come si possa fare, e se, risultando possibile il guado, allora vi chiamassi e vi aiutassi ad attraversarlo grazie alla mia esperienza, ma se invece non fosse possibile per voi attraversarlo, mi assumessi tutto il pericolo, sembrerei fare un discorso ragionevole. Dunque anche adesso il discorso che stiamo per fare è piuttosto impetuoso, e si potrebbe dire che probabilmente non è percorribile con le sole vostre forze: perché allora il discorso non vi faccia venire capogiro e vertigini, confondendovi con domande cui non siete abituati a rispondere, e non faccia nascere in voi un misero e spiacevole senso di vergogna, bisogna che anch'io faccia così, in primo luogo rivolgendo domande a me stesso, mentre voi mi ascoltate standovene al sicuro, e dandomi in seguito le risposte, esponendo così il discorso, finché non si sia completato l'argomento relativo all'anima, e non si sia dimostrato che è nata prima l'anima del corpo. CLINIA: Mi sembra ottimo quello che hai detto, straniero, e allora fa' come dici. ATENIESE: Avanti, dunque, e se talvolta noi dobbiamo invocare la divinità, ora si faccia così - si invochino gli dèi, in fondo, con estrema serietà, per dimostrare che essi stessi esistono - e aggrappandoci a loro come ad una fune sicura, inoltriamoci in questo discorso che ora cominciamo. E se intorno a tali questioni qualcuno volesse confutarmi con le seguenti domande, mi sembra che questo sia il modo più sicuro di rispondere. Se uno mi dicesse: «Straniero, tutto sta e nulla si muove? Oppure è tutto il contrario? O, ancora, alcune di quelle cose si muovono, e altre stanno ferme?» «Alcune si muovono», dirò, «altre stanno ferme». «E forse ciò che sta sta in qualche spazio, e ciò che si muove si muove in qualche spazio?» «E come no?» «E alcune cose agiscono in un solo luogo, mentre altre in più luoghi». «Alludi», diremo, «a quelle cose che hanno la proprietà di essere immobili al centro e che si muovono in un unico luogo, come i cerchi di cui si dice che stanno fermi, mentre la loro circonferenza gira?» «Sì. E sappiamo che in questo moto circolare tale movimento, facendo muovere insieme il cerchio più grande e quello più piccolo, secondo la stessa proporzione si distribuisce nei cerchi piccoli e in quelli più grandi, essendo così, in proporzione, minore e maggiore: e questa è la ragione da cui scaturisce quella fonte di tutti quei fenomeni meravigliosi, per cui lo stesso movimento fornisce lentezza e velocità, in proporzione ai cerchi grandi e piccoli, e sembrerebbe appunto impossibile, per quel che uno si aspetterebbe, che. si potesse verificare questa condizione». «Verissimo». «Per quanto riguarda le cose che si muovono in più luoghi, mi sembra che tu alluda a quelle cose che, muovendosi con un movimento di traslazione, passano continuamente da un luogo all'altro, e ora hanno un solo centro come base d'appoggio, ora molti per il loro rotolare. E ogni volta che si incontrano con altri corpi che stanno fermi si dividono, mentre quando si incontrano con altri corpi che giungono dalla parte opposta, riunendosi in un unico corpo, si congiungono e si combinano in un unico composto». «Dico che le cose stanno proprio così come dici». «E quando si combinano insieme diventano più grandi, e quando si dividono diventano più piccoli, nel caso in cui permanga la costituzione di ciascun elemento, quando invece questa viene meno, essi spariscono in virtù di queste due cause. Quando e in quale condizione avviene la genesi di ogni cosa? è chiaro che avviene quando un principio, ricevendo un incremento, passa alla seconda trasformazione, e da questa a quella più vicina, finché, giunto alle tre dimensioni, diventa sensibile per coloro che hanno la sensibilità di coglierlo. Tutto così nasce in virtù del mutamento e del movimento da uno stadio ad un altro: ed esiste effettivamente quando permane, mentre si annienta del tutto quando si trasforma in un altro stadio». Non abbiamo così parlato di tutti i movimenti, enumerandoli secondo le specie, fatta eccezione per due, amici miei? CLINIA: Quali? ATENIESE: Ottimo uomo, si tratta di quei due movimenti per i quali noi stiamo conducendo tutta l'indagine attuale. CLINIA: Parla più chiaramente. ATENIESE: La nostra indagine non si svolge in funzione dell'anima? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Il primo movimento, dunque, sia quello che fa muovere altro ma non può far muovere se stesso, ed è sempre una specie di moto, il secondo movimento sia quello che fa muovere se stesso ed altro, secondo combinazioni, divisioni, incrementi, diminuzioni, generazioni e corruzioni, ed esso forma un'altra specie separata da tutti gli altri movimenti. CLINIA: Sia così. ATENIESE: Considereremo come nona specie di movimento quel movimento che muove sempre altro e da altro viene messo in movimento, mentre diremo che la decima specie è rappresentata da quel movimento che, muovendo se stesso ed altro e accordandosi a tutto ciò che vien fatto e subito, viene effettivamente definito come mutamento e movimento di tutte le cose che sono. CLINIA: Senza dubbio. ATENIESE: Di questi dieci movimenti quale potremo assai correttamente scegliere come il più forte dì tutti e il più importante quanto ad efficacia. CLINIA: Credo che sia necessario affermare che il movimento che è in grado di muovere se stesso sia infinitamente superiore, e tutti gli altri vengano dopo questo. ATENIESE: Dici bene. Ma delle cose che ora abbiamo detto in modo errato, dobbiamo correggerne una o due? CLINIA: Quali? ATENIESE: Quando abbiamo parlato del decimo movimento, non abbiamo detto correttamente. CLINIA: Perché? ATENIESE: Esso è primo per genesi e per forza, secondo un corretto ragionamento: e dopo questo abbiamo quel secondo movimento che poco fa, in modo assurdo, abbiamo definito nono. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Così. Quando un oggetto ne modifica un altro, e questo ancora un altro, e via così, vi sarà un primo oggetto responsabile di tutti questi movimenti? E se un oggetto è mosso da un altro, come potrà esso essere il primo fra gli oggetti che causano il movimento? è impossibile, infatti. Ma se un oggetto muovendo se stesso muove un altro oggetto, e quello un altro ancora, e così gli oggetti che vengono mossi sono migliaia e migliaia, non è forse vero che il principio di tutto il loro movimento consisterà in nient'altro se non in quel mutamento determinato dal movimento che muove se stesso? CLINIA: Benissimo, e non si può non concordare con queste parole. ATENIESE: Parliamo ancora in questo modo, e di nuovo rispondiamo a noi stessi. «Se tutte le cose, essendo nate insieme, si trovassero in quiete, come hanno il coraggio di dire la maggioranza di quei sapienti che abbiamo visto, quale sarebbe in esse il primo dei movimenti che viene necessariamente ad essere fra quelli che abbiamo detto? Naturalmente quello che muove se stesso: esso non avrebbe mai potuto essere modificato da altro in precedenza, non essendoci in quelle cose nessun precedente mutamento. Il principio dunque di tutti i movimenti e il primo che viene ad essere tanto nelle cose che sono in quiete quanto in quelle che sono in movimento, vale a dire il movimento che muove se stesso, diremo che questo è necessariamente il mutamento più vecchio e più potente, mentre quello che è mosso da altro e che muove altro, è il secondo movimento.» CLINIA: Quello che dici è verissimo. ATENIESE: Ora che siamo giunti a questo punto del discorso, rispondiamo a questa domanda. CLINIA: Quale? ATENIESE: Se vedessimo che questo principio è presente in ciò che è formato dalla terra, o dall'acqua, o dal fuoco, separato o mescolato, quale proprietà diremo che è presente in tale sostanza? CLINIA: Forse mi domandi se possiamo dire che tale sostanza vive quando muove se stessa? ATENIESE: Sì. CLINIA: Vive. E come no? ATENIESE: Ebbene? Quando vediamo che l'anima è presente in alcune cose, diciamo forse un'altra cosa o la stessa cosa? Non dobbiamo cioè convenire ch'essa vive? CLINIA: Non diciamo una cosa diversa. ATENIESE: Un momento, per Zeus! Non vorrai pensare tre cose per ciascuna realtà? CLINIA: Come dici? ATENIESE: Una è il suo essere, un'altra è la definizione dell'essere, un'altra il nome: e inoltre si possono porre due domande riguardo ad ogni realtà dotata di essere. CLINIA: Come due domande? ATENIESE: Ora, proponendo il nome della cosa, domandiamo la definizione, ora, invece, proponendo la definizione, domandiamo il nome. E la questione che ora vogliamo dire non è la seguente? CLINIA: Quale? ATENIESE: Oltre a molte altre cose, anche il numero si può dividere per due: e parlando del numero, il suo nome è “pari”, e la sua definizione “numero diviso in due parti uguali”. CLINIA: Sì. ATENIESE: Ed ecco il punto che voglio chiarire. Non chiamiamo noi in ambedue i modi la stessa cosa, sia che diamo il nome quando ci viene chiesta la definizione, sia che diamo la definizione quando ci viene richiesto il nome, chiamando la stessa cosa sia con il nome, e cioè “pari”, sia con la definizione, e cioè “numero diviso in due parti uguali”? CLINIA: Ma certamente. ATENIESE: E qual è la definizione di ciò che ha nome anima? Ne abbiamo forse un'altra, oltre a quella che è stata detta ora, e cioè “movimento in grado di muovere se stesso”? CLINIA: Affermi allora che si può definire come “ciò che muove se stesso” quell'essere che tutti chiamiamo con il nome di “anima”? ATENIESE: Sì, lo affermo: e se la cosa sta in questi termini, avremo forse ancora il rimpianto di non aver sufficientemente dimostrato che l'anima si identifica con la genesi prima e il movimento delle cose che sono, che sono state, e che saranno, e di tutti i loro contrari, dato che è apparsa essere la causa del mutamento e del movimento dì tutte le cose? CLINIA: No, ma anzi, si è sufficientemente dimostrato che l'anima è anteriore a tutte le cose, ed è il principio del movimento. ATENIESE: E il movimento che si trova in un altro oggetto, causato da un altro fattore, che non fa mai in modo che nulla muova se stesso in se stesso, non viene per secondo, o in una posizione arretrata di tanti numeri quanti uno ne vuole contare, trattandosi del movimento proprio del corpo effettivamente inanimato? CLINIA: Giusto. ATENIESE: Abbiamo dunque fornito una corretta e valida spiegazione, oltre che pienamente corrispondente al vero, del fatto che per noi l'anima si è generata prima del corpo, mentre il corpo per secondo e in un momento successivo, e che l'anima guida il corpo e quello, secondo natura, obbedisce. CLINIA: Verissimo. ATENIESE: Ricordiamo che prima ci eravamo trovati d'accordo nel dire che se l'anima fosse risultata essere anteriore al corpo, anche tutto ciò che ha attinenza con l'anima sarebbe stato anteriore a ciò che ha attinenza con il corpo. CLINIA: Certamente. ATENIESE: I modi di vita, i costumi, le intenzioni, i ragionamenti, le vere opinioni, le occupazioni, i ricordi, sono venuti prima della lunghezza dei corpi, e della larghezza, e della profondità, e della forza, se è vero che l'anima è anteriore al corpo. CLINIA: Necessariamente. ATENIESE: Dopo di che non è allora necessario accordarsi sul fatto che la causa del bene e del male, del bello e del brutto, del giusto e dell'ingiusto, e di tutti i loro contrari è l'anima, se è vero che stabiliremo che essa è la causa di tutte le cose? CLINIA: E come no? ATENIESE: E non è necessario affermare che l'anima, che amministra ed abita in tutte le cose che in ogni modo si muovono, amministra anche il cielo? CLINIA: Certamente. ATENIE5E Un'anima o più di una? Più di una, risponderò io per voi. Non possiamo stabilirne meno di due, vale a dire quella che produce il bene e quella che ha la possibilità di realizzare il contrario. CLINIA: Quello che dici è assolutamente giusto. ATENIESE: Bene. L'anima allora guida tutte le cose che vi sono in cielo, in terra, e in mare, e le guida con i movimenti che le appartengono e che si chiamano “volontà”, “indagine”, “occupazione”, “decisione” “opinione vera e malvagia”, “godimento e sofferenza”, “coraggio e paura”, “odio e amore”, e con tutti i movimenti affini a questi o primari, che dirigono i moti secondari dei corpi e guidano tutte le cose verso il loro incremento o la loro diminuzione, verso la loro dissoluzione e composizione, e verso ciò che è connesso a queste proprietà: caldo e freddo, pesante e leggero, duro e molle, bianco e nero, aspro e dolce. Quando l'anima ricorre a tutto ciò, prendendo sempre come aiutante l'intelletto, che è un dio e viene giustamente stimato dagli dèi, dirige tutto verso la giustizia e la felicità, ma se si unisce alla stoltezza, produce tutto il contrario di queste cose. Possiamo considerare che la questione stia in questi termini o ancora dubitiamo che possa essere posta diversamente? CLINIA: Nient'affatto. ATENIESE: E quale genere di anima diciamo che sia diventato padrone del cielo, della terra, e di tutta la rivoluzione dell'universo? Quel genere assennato e pieno di virtù, oppure quello che non possiede né l'una né l'altra qualità? Volete che rispondiamo così a queste domande? CLINIA: Come? ATENIESE: Se, straordinario uomo, diciamo che tutto il corso e il movimento del cielo e di tutto ciò che è in esso ha natura simile al movimento, alla rivoluzione, e ai calcoli dell'intelletto, e se si muove secondo movimenti congeneri, allora è chiaro che si deve dire che l'anima migliore si prende cura di tutto l'universo e lo conduce lungo tale corso. CLINIA: Giusto. ATENIESE: Se procede in modo folle e privo di ordine, l'universo è guidato dall'anima malvagia. CLINIA: Anche questo è giusto. ATENIESE: Ma quale natura possiede il movimento dell'intelletto? Non è facile, amici, rispondere a questa domanda e dire parole assennate: perciò anch'io adesso vi devo aiutare nella formulazione della risposta. CLINIA: Dici bene. ATENIESE: Non facciamo come quelli che rivolgono lo sguardo fisso al sole, facendo venire notte a mezzogiorno, e non rispondiamo come se potessimo vedere e conoscere adeguatamente con occhi mortali l'intelletto: è più sicuro osservare con lo sguardo rivolto verso l'immagine di ciò che viene domandato. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Prendiamo come immagine quella di quei dieci movimenti cui assomiglia l'intelletto: ve la richiamerò alla memoria, e insieme a voi cercherò di rispondere a quella domanda. CLINIA: Dici benissimo. ATENIE5E Delle cose che abbiamo detto prima non ricordiamo almeno questo, e cioè che abbiamo stabilito che di tutte le cose alcune si muovono e altre stanno ferme? CLINIA: Sì. ATENIESE: E, fra quelle che si muovono, alcune si muovono in unico luogo, altre in più luoghi. CLINIA: è così. ATENIESE: Di questi due movimenti, è inevitabile che quello che si muove in un unico luogo si muove sempre intorno ad un centro, imitando i cerchi lavorati al tornio e questo movimento è assolutamente, nei limiti del possibile, quello che è più affine e somigliante al movimento circolare dell'intelletto. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Affermando che l'intelletto e il movimento che si muove in un unico punto si muovono ambedue in modo uguale ed identico, nel medesimo luogo, intorno al medesimo centro, nella medesima direzione, e secondo un'unica ragione ed un unico ordine, formando un immagine somigliante ai movimenti della sfera al tornio, non daremmo mai l'impressione di essere scadenti artefici di belle immagini realizzate con la parola. CLINIA: Giustissimo. ATENIESE: E il movimento che non è mai uguale ed identico, che non è mai nel medesimo luogo, né intorno al medesimo centro, e non si muove mai nella medesima direzione, che non avviene secondo un'unica disposizione, un unico ordine, un'unica ragione, non potrebbe essere il movimento affine alla stoltezza in genere? CLINIA: è assolutamente vero. ATENIESE: Ora non è affatto difficile dire in modo esplicito che, dal momento che l'anima guida tutte le cose, occorre affermare che il movimento circolare del cielo è necessariamente guidato e ordinato dall'anima migliore o da quella contraria. CLINIA: Straniero, dopo quello che ora abbiamo detto, sarebbe empio affermare una cosa diversa dal fatto che una sola anima che contiene in sé tutte le virtù, o, allo stesso modo, anche più anime, guidano l'universo. ATENIESE: Benissimo, Clinia, hai ascoltato questi discorsi: ascolta ancora questo. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Se è vero che l'anima muove circolarmente il sole, la luna, e tutti gli altri astri, non muove anche ciascuno di essi singolarmente? CLINIA: Certamente. ATENIESE: Ragioniamo intorno ad uno di quelli, e così quel che risulterà si potrà adattare a tutti gli altri astri. CLINIA: Quale prendiamo? ATENIESE: Ogni uomo vede il corpo del sole, ma nessuno vede l'anima, e neppure vede l'anima di nessun altro corpo degli esseri viventi, vivo o morto che sia: ma abbiamo molte ragioni per attenderci che questo genere dell'anima, pur essendo completamente insensibile a tutte le sensazioni del corpo, sia intellegibile. Con il solo intelletto e con il solo pensiero noi possiamo afferrare questa cosa intorno a tale genere. CLINIA: Che cosa? ATENIESE: Se l'anima guida il sole, non ci sbagliamo di molto nel dire che essa compie una di queste tre cose. CLINIA: Quali? ATENIESE: Essa, trovandosi all'interno di quel corpo che appare rotondo, lo trasporta in ogni luogo, come l'anima che è in noi ci porta in giro in ogni luogo; oppure, procurandosi all'esterno, chissà da dove, un corpo composto di fuoco o di aria, come alcuni dicono, spinge violentemente corpo contro corpo; oppure ancora, ed è il terzo caso, spogliata del corpo, possiede altre sue straordinarie e miracolose potenze grazie alle quali lo muove. CLINIA: Sì, questo è inevitabile, e cioè che l'anima guidi il tutto compiendo una di queste operazioni. ATENIESE: Ogni persona deve ritenere che quest'anima è superiore al sole, sia che lo conduca sopra un carro perché porti a tutti la luce, sia che lo muova dal di fuori, o comunque avvengano le cose, e deve pensare che si tratta quasi di una divinità. O no? CLINIA: Sì, almeno colui che non ha raggiunto l'estremo grado di stoltezza. ATENIESE: Riguardo a tutti gli astri e alla luna, riguardo agli anni e ai mesi e a tutte le stagioni, quale altro discorso diremo se non questo stesso discorso, e cioè che, dal momento che un'anima o molte anime risultarono essere causa di queste cose, anime valorose provviste di ogni virtù, diremo che esse stesse sono divinità, sia che trovandosi all'interno dei corpi, come fossero esseri viventi, mettono ordine in tutto il cielo, sia che agiscano in qualsiasi altro modo? Chi è che, trovandosi d'accordo su queste cose, sosterrà ancora che tutte le realtà non sono colme di dèi? CLINIA: Nessuno può essere così fuori di senno, straniero. ATENIESE: Lasciamo allora stare tale questione, Megillo e Clinia, dopo che abbiamo fissato i termini per colui che prima non credeva all'esistenza degli dèi. CLINIA: Quali? ATENIESE: O devono mostrarci che non abbiamo detto bene quando abbiamo stabilito che l'anima era la genesi prima di tutte le cose, e quando abbiamo fatto tutte le altre affermazioni che si accompagnano a quel principio, oppure, non potendo dire meglio di noi, dovranno prestar fede a noi e vivere credendo negli dèi per tutto il resto della loro vita. Vediamo se abbiamo dimostrato a sufficienza che gli dèi esistono a coloro che non credono nell'esistenza degli dèi, o se alla nostra dimostrazione manca ancora qualcosa. CLINIA: Non manca assolutamente nulla, straniero. ATENIESE: Abbia dunque per noi termine questo discorso. Dobbiamo ora esortare chi crede negli dèi, ma non ritiene che si occupino delle faccende umane. «Ottimo uomo», diciamogli, «tu credi all'esistenza degli dèi perché forse una divina parentela ti spinge a stimare e ad onorare chi è della tua stessa natura: ma le sorti di uomini malvagi ed ingiusti, sia privatamente che pubblicamente, che, pur non essendo veramente fonte di felicità, sono ritenute tali dalle opinioni degli uomini, anche se in modo sconveniente, ti spingono verso l'empietà, e così nell'arte e in ogni sorta di discorsi non vengono correttamente celebrate. Oppure, vedendo che molti uomini sono giunti ormai vecchi al termine della vita, lasciando i figli dei figli fra grandissimi onori, ora appunto ti turbi nell'assistere a tutti questi fatti, sia che tu abbia sentito parlare di queste cose, sia che tu abbia visto con i tuoi occhi, imbattendoti in molte e terribili empietà, attraverso le quali sono riusciti a giungere ai vertici delle tirannidi e delle più grandi fortune partendo da oscure condizioni: e poiché allora è chiaro che tu non vuoi accusare gli dèi di essere i responsabili di questi fatti, a causa di quella certa parentela, essendo in balia di uno stolto ragionamento e non potendo disapprovare gli dèi, sei giunto ora a provare questa attuale stato d'animo, sicché ritieni che essi esistano, ma pensi che disprezzino e non si curino degli affari umani. Perché allora questa tua credenza di adesso non degeneri in una condizione più grave di empietà, se siamo in grado di respingerla con i discorsi prima che ti assalga, proviamo, unendo il discorso che segue a quello che abbiamo svolto dal principio alla fine rivolgendoci contro chi non credeva affatto all'esistenza degli dèi, a ricorrere ora a quest'ultimo». Tu Clinia, e tu Megillo, assumete il ruolo di questo giovane nel rispondere, come avete fatto nei precedenti discorsi: se poi nei discorsi capita che vi sia qualche ostacolo, io, come ora mi sono assunto il vostro ruolo, vi aiuterò ad attraversare il fiume. CLINIA: Quello che dici è giusto: allora tu fai così, e noi, nei limiti del possibile, faremo come dici. ATENIESE: Ma non sarebbe affatto difficile dimostrare questa cosa, e cioè che gli dèi non solo non si curano di meno delle piccole cose, ma anzi, di più che di quelle estremamente importanti. Quel giovane ha sentito dire, poiché era presente ai nostri discorsi di adesso, che gli dèi, essendo buoni, sono assolutamente forniti di quella virtù che consiste nella cura di tutte le cose, virtù che è la più affine alla loro natura. CLINIA: Ha ascoltato bene. ATENIESE: Dopo di che si esamini insieme di quale loro virtù parliamo quando concordiamo nel dire che essi sono buoni. Avanti, diciamo che l'essere temperanti e il possedere intelletto appartengono alla virtù, e tutte le opposte qualità appartengono invece al vizio? CLINIA: Lo diciamo. ATENIESE: Ebbene? E non diciamo che il coraggio appartiene alla virtù, mentre la viltà al vizio? CLINIA: Certamente. ATENIESE: E diremo che di queste qualità le une sono turpi, mentre le altre sono nobili? CLINIA: Necessariamente. ATENIESE: E non diremo che di queste qualità quelle di scarso valore si addicono a noi, se proprio si addicono a qualcuno, ma né molto né poco agli dèi? CLINIA: Ognuno la penserebbe così intorno a tali questioni. ATENIESE: Ebbene? La negligenza, l'ignavia, la mollezza, le considereremo nell'ambito della virtù dell'anima, o come dici? CLINIA: E come potrei dire? ATENIESE: Ma non è il contrario? CLINIA: Sì. ATENIESE: E le qualità contrarie a queste sono allora sul versante opposto? CLINIA: Sì, all'opposto. ATENIESE: Ebbene? La persona molle, negligente, pigra, che il poeta dice che è assai simile ai fuchi senza pungiglione, non sarà tale anche per noi? CLINIA: Parole giustissime. ATENIESE: Non si deve dire che il dio abbia un simile costume, che, anzi, lui stesso detesta, e se qualcuno cerca di pronunciare una cosa simile, non si deve permettergli di pronunciarla. CLINIA: No, naturalmente: come sarebbe altrimenti possibile? ATENIESE: E se a un tale spetta il compito dì fare e di prendersi particolare cura di qualcosa, e così si occupa e rivolge la propria mente soltanto agli aspetti più importanti della questione, e trascura invece quelli di scarsa importanza, con quale discorso elogiandolo saremmo assolutamente sicuri di non sbagliare? Vediamo la cosa in questo modo. Non è vero che chi compie quest'opera, può compierla tenendo presente questi due aspetti, sia che sia un dio, sia che sia un uomo? CLINIA: Quali aspetti? ATENIESE: O ritiene che non sia affatto importante, in relazione all'opera nel suo complesso, che si trascurino le questioni di minor rilevanza, oppure, per indolenza e per mollezza, anche se sono importanti, li trascura. O come può avvenire in altro modo la negligenza? Infatti, se non è possibile occuparsi di tutti gli aspetti, allora non sarà più negligenza, né delle cose piccole né di quelle grandi, per chi non si occupa di tali cose, poiché a questo punto, divinità o uomo di scarso valore che sia, manca della capacità e non è in grado di occuparsene. CLINIA: Come, infatti? ATENIESE: Ora che sono due rispondano a noi che siamo tre, quei due che convengono sull'esistenza degli dèi, anche se il primo pensa che debbano essere placati con sacrifici e preghiere, e il secondo ritiene che non si prendano cura delle questioni di poco conto. In primo luogo affermate che gli dèi conoscono, vedono, e ascoltano tutte le cose, e nessuna cosa che sia oggetto di sensazione e di conoscenza è possibile che rimanga loro celata: dite che le cose stanno in questi termini, o come? CLINIA: Così. ATENIESE: Ebbene? Ed esercitano la loro influenza su tutto quanto è in potere dei mortali e degli immortali? CLINIA: Come non essere d'accordo anche su questo punto? ATENIESE: E tutti e cinque abbiamo concordato che essi sono buoni e ottimi. CLINIA: Assolutamente sì. ATENIESE: Dunque non è impossibile pensare che essi compiano qualsiasi cosa con indolenza e con mollezza, se abbiamo concordato che essi sono come abbiamo detto? L'ozio, per noi, è figlio della viltà, l'indolenza, invece, figlia dell'ozio e della mollezza. CLINIA: è verissimo quello che dici. ATENIESE: E nessuno degli dèi è negligente per ozio e per indolenza, dato che non partecipano della viltà. CLINIA: Giustissimo. ATENIESE: Allora non resta altra considerazione che questa: se è vero che gli dèi trascurano le piccole cose, quelle che sono insignificanti rispetto al tutto, o si comportano così perché riconoscono che non vale affatto la pena di occuparsi di tali cose, oppure che cos'altro resta se non il contrario della conoscenza? CLINIA: Nulla. ATENIESE: Forse, ottimo e carissimo amico, dobbiamo ammettere che tu dici che gli dèi sono ignoranti, e che per ignoranza trascurano ciò di cui dovrebbero occuparsi, oppure che, pur conoscendo ciò che debbono fare, si comportano come si dice che facciamo i più vili fra gli uomini, i quali sanno che se si comportassero diversamente da come si comportano si comporterebbero meglio, ma comunque non si comportano in quel modo perché sono vinti dai piaceri e dai dolori? CLINIA: Come possibile? ATENIESE: Ma ogni cosa umana non prende parte della natura dell'anima, e l'uomo non è fra tutti gli esseri viventi l'essere più pio? CLINIA Mi pare. ATENIESE: Diciamo che tutti gli esseri mortali sono proprietà degli dèi, come anche il cielo intero. CLINIA: Come no? ATENIESE: Si può dire ormai che queste cose hanno scarsa o grande importanza per gli dèi: non si addice ai nostri signori, che sono i più diligenti e i migliori, trascurarci nell'uno o nell'altro caso. Ma esaminiamo ancora un punto, oltre a quelli già detti. CLINIA: Quale? ATENIESE: La sensazione e la facoltà intellettiva non sono per natura opposte fra loro in rapporto alla facilità ed alla difficoltà? CLINIA: Come dici? ATENIESE: è più difficile vedere ed ascoltare le cose piccole che quelle grandi, ed è per chiunque più facile sopportare, dominare, ed occuparsi di poche e piccole cose che di quelle contrarie. CLINIA: E anche di molto. ATENIESE: Poniamo il caso che ad un medico sia ordinato di curare tutto un corpo, e che egli voglia e possa occuparsi degli aspetti più importanti della malattia, mentre trascuri quelle parti più insignificanti: tutto il suo corpo starà bene in questo modo? CLINIA: Nient'affatto. ATENIESE: E non accade nulla di diverso ai nocchieri, agli strateghi, agli amministratori della casa, a certi uomini politici, e ad altra gente simile se si occupano di un gran numero di cose importanti, ma lasciano da parte quei pochi aspetti di scarsa importanza: e d'altra parte i muratori dicono che le pietre grosse non sono ben sistemate senza quelle piccole. CLINIA: E come potrebbero? ATENIESE: Non consideriamo la divinità di valore inferiore rispetto agli artigiani mortali, i quali, nell'ambito di loro competenza, si dimostrano migliori nella misura in cui le loro opere, grandi o piccole che siano, risultano perfettamente e compiutamente lavorate con un'unica arte: non possiamo allora pensare che il dio, che è assai sapiente, e che vuole e può prendersi cura delle cose, non si occupi affatto delle cose di cui è più facile prendersi cura, in quanto sono piccole, e si prenda cura di quelle grandi, come quel tale pigro o vile che per le fatiche diviene indolente. CLINIA: In nessun modo accogliamo, straniero, un'opinione del genere sugli dèì: se la pensassimo così, il nostro pensiero non sarebbe affatto santo, né corrispondente al vero. ATENIESE: Ormai mi sembra che abbiamo discusso in modo del tutto conveniente di chi si diverte ad accusare gli dèi di negligenza. CLINIA: Sì. ATENIESE: Con i nostri discorsi lo abbiamo costretto ad ammettere che non parlava correttamente: e tuttavia mi sembra che abbia ancora bisogno di certi racconti incantatori. CLINIA: Quali? ATENIESE: Cerchiamo di persuadere questo giovane con i nostri discorsi che chi si occupa del tutto in vista della salvezza e della virtù dell'insieme ha ordinato tutte le cose in modo che ogni più piccola parte di esse, nei limiti del possibile, subisca e operi ciò che le spetta. A ciascuna di queste parti sono state preposte delle guide che presiedono anche la più piccola cosa ch'essa subisce e compie, e fanno in modo che tutto si realizzi perfettamente sino all'ultima divisione. Anche tu, o misero, sei una piccola frazione di queste parti che mira continuamente e tende al tutto, anche se infinitamente piccola, e proprio a tal proposito, ti sfugge il fatto che ogni genesi avviene in funzione di quello, e cioè perché nella vita del tutto vi sia un'essenza di felicità, e quel tutto non si è generato in funzione di te, ma tu in funzione di quello. Ogni medico, infatti, ed ogni esperto artigiano realizza ogni sua opera in funzione del tutto, e tendendo al miglior bene comune, realizza la parte in funzione del tutto, e non il tutto in funzione della parte: tu sei turbato perché ignori che ciò che ti accade ed è ottimo per il tutto lo è anche per te, in virtù di quella proprietà che deriva dalla comune origine. E poiché l'anima è sempre unita ora a quel corpo, ora a quell'altro, e quindi subisce ogni sorta di mutamento a causa sua o di un'altra anima, non resta altra opera all'ordinatore se non quella di collocare il costume migliore nel luogo migliore, e quello peggiore nel luogo peggiore, secondo ciò che è conveniente a ciascuno, perché ciascuno abbia il destino che gli spetta. CLINIA: Come dici? ATENIESE: Credo di poter dire che sia facile per gli dèi prendersi cura del tutto. Se infatti qualcuno, guardando sempre all'insieme, plasmasse e trasformasse il tutto, e trasformasse il fuoco in acqua viva, e non facesse derivare i molti dall'uno o l'uno dai molti, allora, avendo preso parte le cose della prima, della seconda, e della terza generazione, sarebbero infiniti di numero gli ordinamenti mutati: e ora vi è una facilità straordinaria per chi si prende cura del tutto. CLINIA: Come dici? ATENIESE: In questo modo. Poiché il nostro re vide che tutte le azioni sono causate dall'anima, e in esse vi è grande abbondanza di virtù e di vizio, e che quando si genera, l'essere dell'anima e del corpo è indistruttibile, anche se non eterno, come sono gli dèi secondo la legge - e se venisse a mancare uno di questi due elementi non vi sarebbe più generazione di esseri viventi - e poiché considerò che tutto quanto vi è di buono per natura nell'anima risulta vantaggioso, mentre ciò che è malvagio reca danno, considerando allora tutto questo, escogitò il modo per cui, essendo ogni parte collocata in un certo modo, potesse assolutamente rendere nel tutto, nel modo più semplice e migliore, la virtù vittoriosa e il vizio sconfitto. E in vista di questo tutto egli ha escogitato, a seconda delle qualità che ogni essere deve sempre avere, quale sede e quali luoghi mutando egli deve andare ad abitare: quanto al generarsi delle qualità individuali, ha lasciato alla volontà di ciascuno di noi la libertà di determinarne le cause. Infatti quasi sempre, o almeno nella maggior parte dei casi, ciascuno di noi diviene così come desidera e come è disposto relativamente alla propria anima. CLINIA: Naturale. ATENIESE: Tutto ciò che prende parte dell'anima si trasforma, e ha in sé la causa di tale mutamento, e mutando si trasforma secondo l'ordine e la legge del destino: e se i costumi di vita di chi possiede l'anima mutano di rado e in particolari insignificanti, si muta di luogo sulla superficie della terra, mentre se mutano più di frequente e tali mutamenti risultano più ingiusti, si scivola nelle profondità della terra e nei luoghi che sono detti “sotterranei”, e vengono chiamati “Ade” o con altri nomi simili, luoghi che sono assai temuti, e che vengono sognati sia in vita, sia quando si è ormai separati dal corpo. E se l'anima partecipa in misura maggiore del vizio o della virtù, per sua volontà o per un rapporto consolidato nel tempo, quando si unisce ad una virtù divina divenendo essa stessa tale, si trasferisce in un luogo diverso e del tutto santo, e viene portata in un altro luogo migliore; ma se avviene il contrario, anche la sua vita si muta al contrario. «Questa è la giustizia degli dèi che occupano l'Olimpo», o figliolo, o giovane, che ritieni di essere trascurato dagli dèi! Chi diviene peggiore si muove verso le anime dei peggiori, chi diventa migliore si dirige verso le anime dei migliori, in vita e in tutte le morti successive subendo e facendo ciò che i simili devono fare ai loro simili. A questa giustizia divina né tu, né nessun altro sventurato può vantarsi di sfuggirvi: coloro che la stabilirono la collocarono in un luogo superiore rispetto a tutte le altre forme di giustizia, ed è assolutamente necessario stare lontani da essa. Non sarai mai trascurato da essa: e non sarai così piccolo da poter penetrare nelle profondità della terra, né così alto da poter volare nel cielo, ma pagherai la pena che essi ritengono conveniente, sia che tu rimanga qui, o anche scenda nell'Ade, o, ancora, sia trasportato nel luogo più selvaggio di tutti questi. Lo stesso vale per te e anche per quelli che tu, vedendo che sono partiti da origini modeste e sono diventati grandi, compiendo empietà o altre opere del genere, hai creduto che da sventurati fossero diventati felici, e come in uno specchio hai pensato di vedere riflessa nelle loro azioni la negligenza degli dèi verso tutte le cose, non sapendo in che modo il loro contributo venga in soccorso al tutto. E come puoi credere, o fra tutti assai temerario, che non bisogna conoscere questo contributo? Se uno non ne fosse a conoscenza non potrebbe formarsi l'idea del vivere e non sarebbe in grado approfondire il discorso della vita a proposito della felicità e della cattiva sorte. Se su tali questioni il nostro Clinia e tutti i vecchi qui presenti riescono a convincerti che sugli dèi non sai quello che dici, la divinità stessa farà bene a venire in tuo aiuto: ma se hai bisogno di qualche altro discorso, ascoltaci mentre parliamo alla terza categoria di avversari, sempre che tu abbia un po' di cervello. Che gli dèi esistono e si prendono cura degli uomini, mi sembra, direi, di averlo dimostrato, e non in modo del tutto scadente: quanto al fatto che gli dèi possano essere placati dagli individui ingiusti, ricevendo i loro doni, non dobbiamo concederlo ad alcuno, e in qualsiasi modo, nei limiti del possibile, dobbiamo confutare questa tesi. CLINIA: Dici benissimo, e allora dobbiamo fare come dici. ATENIESE: Avanti, in nome degli dèi stessi, in che modo potremmo corromperli, sempre che si potessero corrompere? E chi? E quali di essi? Bisogna che siano come dei condottieri essi che governano perfettamente tutto il cielo. CLINIA: è così. ATENIESE: Ma a quali condottieri assomigliano? O quali condottieri assomigliano a loro, se vogliamo confrontare i più piccoli con i più grandi? Saranno simili ad essi quelli che guidano i carri nelle gare o i piloti delle navi? Forse si potrebbero confrontare con i comandanti degli eserciti; ma si potrebbero paragonare anche ai medici che vigilano sull'assalto nemico delle malattie che minacciano i corpi, o ai contadini che accolgono con timore le consuete stagioni che sono difficili per lo sviluppo delle piante, o anche ai pastori di greggi. Poiché ci siamo trovati d'accordo sul fatto che il cielo è pieno di molti beni, ma anche di ciò che ad essi è contrario, anche se i beni sono in maggior numero, diciamo che una battaglia simile è immortale e richiede una straordinaria vigilanza, e che gli dèi e i demoni sono nostri alleati, e noi siamo in loro possesso: ci corrompono l'ingiustizia e la tracotanza insieme alla stoltezza, mentre la giustizia e la temperanza insieme all'intelligenza ci salvano, le quali abitano nelle anime degli dèi, ma che in minima parte sono presenti in noi, come si può chiaramente vedere. è chiaro che alcune anime che abitano sulla terra e posseggono un ingiusto profitto sono simili a fiere, e, prostrandosi dinanzi alle anime dei custodi, siano essi cani, pastori, o anche anime di padroni più eccellenti, cercano di convincere, con parole di adulazione e con certe preghiere di ringraziamento, come dicono i malvagi, che è loro possibile avvantaggiarsi sugli altri uomini senza subire alcuna difficoltà: e noi diciamo che l'errore di cui abbiamo parlato, vale a dire il prevalere sugli altri uomini, quando avviene nei corpi di carne si chiama “malattia”, se avviene invece nelle stagioni dell'anno e negli anni “peste”, se infine colpisce gli stati e le costituzioni, questa stessa parola bisogna mutarla nel termine “ingiustizia”. CLINIA: Certamente. ATENIESE: è necessario che pronunci questo discorso chi dice che gli dèi sono sempre indulgenti con gli uomini ingiusti e con i delitti che essi compiono, purché assegnino ad essi una parte degli ingiusti guadagni: sarebbe come se i lupi dessero una piccola parte della preda ai cani, e i cani, placati dai doni, lasciassero venire i lupi a depredare le greggi. Non è forse questo il discorso che fa chi sostiene che gli dèi si possono corrompere? CLINIA: è proprio questo. ATENIESE: Ma non sarebbe ridicolo chiunque volesse paragonare gli dèi ad uno qualsiasi dei custodi di cui sopra si è detto? Forse li dobbiamo paragonare ai piloti delle navi, che alterati da una libagione dì vino e dall'odore di carni arrostite, mandano in rovina nave e marinai? CLINIA: Nient'affatto. ATENIESE: Ma neppure a coloro che in gara guidano i carri i quali, schierati alla partenza, si lasciano corrompere da doni e consegnano ad altri concorrenti la vittoria. CLINIA: è terribile l'immagine che viene fuori da questo discorso. ATENIESE: E neppure a strateghi, a medici, a contadini, o a pastori, o a certi cani che vengono ingannevolmente attirati dai lupi. CLINIA: Taci! Come puoi dire queste cose? ATENIESE: Ma, fra tutti i custodi, non sono per noi gli dèi i più autorevoli custodi delle più gravi questioni? CLINIA: E di gran lunga i più autorevoli. ATENIESE: Possiamo dire allora che coloro che custodiscono le cose più nobili, ed eccellono per virtù nel loro compito di custodia, sono peggiori dei cani e degli uomini mediocri, essi che non tradirebbero mai la giustizia, allettati da doni accettati empiamente da uomini ingiusti? CLINIA: Nient'affatto: ma questo discorso è inaccettabile, e fra tutti gli empi che si trovano nella totale empietà ogni uomo che aderisce a questa opinione corre il rischio di essere giudicato assai giustamente come il più malvagio e il più empio. ATENIESE: Possiamo dire di aver dimostrato a sufficienza le tre cose che ci eravamo proposti, e cioè che gli dèi esistono, che si prendono cura di noi, e che sono assolutamente inflessibili nei confronti dell'ingiustizia? CLINIA: E come no? E anche noi concordiamo con questi discorsi. ATENIESE: Essi sono stati certamente pronunciati con veemenza, a causa del nostro desiderio di avere la meglio sugli uomini malvagi: ma il tono polemico delle mie parole, caro Clinia, era giustificato dalla preoccupazione che quei malvagi, forti dei loro discorsi, ritenessero di avere la possibilità di fare ciò che volevano, in relazione a tutto ciò che pensano riguardo agli dèi. Per queste ragioni è sorto in noi un ardore forse troppo giovanile di parlare: e se almeno in parte siamo riusciti a fare in modo di convincere questi uomini ad odiare se stessi e ad amare i costumi opposti a questi, questo proemio alle leggi riguardanti l'empietà risulterà ben detto. CLINIA: Questa, almeno, è la speranza: in ogni caso, un discorso del genere non pretende di mettere sotto accusa il legislatore. ATENIESE: Dopo il proemio, dobbiamo tenere un discorso che si faccia giustamente interprete delle leggi, e ordini a tutti gli empi di abbandonare i propri costumi di vita, e di rivolgersi verso quelli delle persone pie. Ma per quelli che non obbediscono, questa sia la legge riguardante l'empietà: se un tale commette empietà nelle parole o nei fatti, chi per caso si trova presente difenda la legge segnalando ai magistrati il colpevole, e i magistrati che verranno informati per primi, lo presentino al tribunale che è stato designato a giudicare in merito a tali questioni, come prevedono le leggi; se un magistrato, dopo aver ascoltato questi fatti, non compie ciò che dovrebbe fare, sia egli stesso accusato di empietà, da parte di chi vuole vendicare le leggi. Se uno viene riconosciuto colpevole, il tribunale fissi per ogni singolo caso, la pena per chi commette empietà. Il carcere sia la pena comune per tutti: e le carceri nel nostro stato devono essere tre; uno, situato presso la piazza, sarà comune alla maggior parte dei criminali e servirà a salvaguardare la maggior parte delle persone fisiche, un altro, situato presso il luogo dove avvengono le adunanze notturne, chiamato “carcere correzionale”, un altro ancora, infine, al centro della regione, dove vi sia un luogo deserto e assolutamente selvaggio, avrà un qualche nome che evoca la pena. Dato che tre sono le cause che danno luogo all'empietà, delle quali anche prima abbiamo parlato, e poiché da ciascuna di esse ne scaturiscono due, diventano sei i generi di coloro che commettono mancanze nei confronti del divino, e meritano una distinzione, dal momento che non richiedono pene uguali, né simili. Vi è chi non crede assolutamente all'esistenza degli dèi, ma aderisce per natura ad un costume di vista giusto; costui insieme ad altri detesta i malvagi, e poiché disapprova l'ingiustizia, non vuole compiere azioni ingiuste, ed evita gli uomini che non sono giusti, mentre predilige quelli giusti. Vi sono poi quelli che, oltre all'opinione che tutto sia desolatamente privo di dèi, cadono nell'intemperanza di piaceri e di dolori, e possiedono buona memoria e acute capacità di apprendere. In ambedue i generi di persone è presente la comune disgrazia di non credere all'esistenza degli dèi, ma i primi recano un danno limitato agli altri uomini, mentre i secondi causano mali maggiori. Il primo infatti parlerà assai liberamente degli dèi, dei sacrifici, e dei giuramenti, e suscitando il riso degli altri, forse li renderebbe come lui, se non intervenisse la pena; il secondo, che ha la stessa opinione del primo, è considerato uomo abile e pieno di astuzie e di insidie: da questo genere di persone viene fuori tutta una serie di indovini e di gente che si muove intorno alla magia, e talvolta nascono anche tiranni, e demagoghi, e strateghi, cospiratori che tramano insidie con riti celebrati in privato, e altri ingannevoli espedienti dei cosiddetti sofisti. Di questi empi vi possono essere molte specie, ma due sono quelle per le quali merita fissare le leggi: la prima è quella dei dissimulatori, i quali per le colpe che commettono, meriterebbero non una, e neppure due condanne a morte, l'altra esige soltanto ammonizione e nello stesso tempo carcere. Allo stesso modo anche il pensare che gli dèi siano negligenti genera due altre specie di empietà, e altre due il pensare che si possono corrompere. Compiute tali distinzioni, il giudice condannerà al carcere correzionale, secondo la legge, per un periodo di tempo non inferiore ai cinque anni, chi per stoltezza, e non per malvagia disposizione o per cattivi costumi è divenuto tale; in questo periodo nessun altro cittadino abbia rapporti con quelli, eccetto i magistrati che partecipano al consiglio notturno, che avranno rapporti con loro per ammonirli e salvare le loro anime: trascorso per quelli il periodo della detenzione, chi di loro sembrerà aver riacquistato senno torni a vivere tra le persone assennate, altrimenti, se verrà giudicato un'altra volta colpevole di un reato simile, sia punito con la morte. Quelli che invece, simili a bestie, oltre a non credere all'esistenza degli dèi, o a ritenerli negligenti o corruttibili, disprezzano gli uomini, e incantano l'anima di molti viventi, vantandosi di saper evocare i morti e promettendo di persuadere gli dèi, come se li potessero raggirare con sacrifici, preghiere, ed incantesimi, e mettono mano, per sete di ricchezze, alla completa rovina di privati cittadini, delle famiglie intere e degli stati, per colui che fra costoro risulti dunque colpevole, il tribunale per quello stabilisca che sia condannato al carcere che sta in mezzo alla regione, secondo la legge, e mai alcun uomo libero si avvicini a questa gente, ed essi ricevano il vitto stabilito dai custodi delle leggi da parte dei servi. Quando muore, sia gettato fuori dai confini senza sepoltura; e se un uomo libero presterà il suo aiuto per seppellirlo, sia perseguito da chi vuole con l'accusa di empietà. Se egli lascia figli adatti alle esigenze dello stato, i magistrati che si occupano degli orfani si prendano cura anche di questi come se fossero orfani, e non in modo peggiore degli altri, dal giorno in cui il padre loro sia stato riconosciuto colpevole. Bisogna stabilire per tutti costoro una legge comune che faccia in modo che la maggior parte di essi commetta meno errori, sia nei fatti che a parole, verso gli dèi, e che siano meno stolti; e questo può avvenire mediante il divieto di compiere ritì sacri a l di fuori di quelli concessi dalla legge. Per tutti questi sia allora stabilita una legge formulata semplicemente così: nessuno possegga luoghi sacri all'interno delle case private. Se uno intende compiere sacrifici, vada a sacrificare nei luoghi pubblici, e consegni le vittime nelle mani dei sacerdoti e delle sacerdotesse cui è affidata la purificazione di questi sacrifici; preghi con loro, e chi vuole preghi con lui. Queste disposizioni siano emanate per le seguenti ragioni. Costruire templi e altari per gli dèi non è cosa facile, e solo una mente assai dotata può compiere correttamente l'impresa. è costume delle donne, in particolare, e di coloro che in ogni caso si trovano in una condizione di debolezza, e, ancora, di quelli che corrono qualche pericolo e sono in difficoltà, quale che sia il disagio in cui si trovano, e anche, al contrario, di chi si trova in una fortunata condizione, di consacrare tutto ciò che si trova in loro presenza, di pregare facendo sacrifici, e di promettere costruzioni in onore di dèi, demoni, e figli degli dèi; e svegliati per la paura anche nei sogni, e ricordandosi allo stesso modo di molte visioni, cercano un rimedio per ciascuna di esse costruendo altari e templi, e così riempiono tutte le case, tutti i villaggi, e li costruiscono non solo nei luoghi puri, ma anche in qualsiasi luogo in cui tali persone si vengano a trovare. Per tutti questi motivi conviene fare come la legge ora prescrive: ed inoltre essa deve avere validità per gli empi, perché non compiano queste azioni furtivamente, costruendo templi ed altari nelle case private e pensando di rendersi segretamente benevoli gli dèi con sacrifici e preghiere, e perché, accrescendo all'infinito l'ingiustizia, non attirino le colpe degli dèi su di sé e su quelli che li lasciano fare e sono migliori di loro, e così tutto lo stato non tragga guadagno dagli empi, in qualche modo giustamente. Il dio non muoverà critiche nei confronti del legislatore. E questa sia la legge: non si devono possedere cose sacre in onore degli dèi nelle case private, e quindi se uno risulta possederne e celebrare riti diversi da quelli dello stato, e chi ha compiuto il fatto, uomo o donna che sia, non ha commesso nessuna delle empietà gravi ed empie, chi se ne accorge lo denunci ai custodi delle leggi, e quelli gli dovranno intimare di trasportare gli oggetti privati nei pubblici templi, e se non obbedisce, lo puniscano finché non si decida a portarli; se invece uno risulta commettere atti empi non propri di bambini, ma di uomini empi, sia costruendo templi nei luoghi privati, sia facendo sacrifici a qualsiasi divinità in pubblico, come se impuro facesse sacrifici, sia condannato a morte. I custodi delle leggi, giudicando se si tratta o meno di una colpa da ragazzi, presentino così queste persone in tribunale, ed impongano loro la pena per l'empietà commessa.

Eugenio Caruso ... 25 - 01-2020

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